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Autore: Picci_picci    23/03/2021    3 recensioni
Sono passati mesi da quando Ladybug e Chat Noir non si vedono più. Solo una muta promessa li unisce: non scordarsi mai l’uno dell’altra. Vanno avanti nel loro presente, ma continuano a vivere nel passato e nel loro ricordo. Marinette, ormai, è a tutti gli effetti la stagista personale di Gabriel Agreste, praticamente il Diavolo veste Agreste nella realtà, e Adrien sta tornando da Londra per imparare a gestire l’azienda di famiglia.
Cosa mai può andare storto?
Tutto, se ci troviamo alla maison Agreste.
Mettetevi comodi e preparatevi a leggere una storia basata sulle tre cose indispensabili di Parigi: Amore, Tacchi alti e...là Tour Eiffel.
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"Perché l'amore è il peggiore dei mostri: ferisce, abbandona, ti rende pazzo, triste ed euforico allo stesso tempo. Ma è anche l'unica cosa bella che abbiamo in questa vita."
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L’amour'
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Il viaggio in macchina era stato silenzioso, solo quando Adrien accostò la macchina al marciapiede osò aprire bocca, “grazie per avermi accompagnata.”

“Figurati”, disse lui spegnendo il motore, “non sarei riuscito a dormire, altrimenti.”

Lei sorrise, “sempre il solito ruffiano.”

“Che posso farci?”, disse lui ridendo.

Si passò una mano tra i capelli biondi, “sei stata fantastica. Sei fantastica”, disse lui con gli occhi verdi che brillavano, “non te lo avevo ancora detto.”

Lei scosse la testa, “oggi me lo hanno detto così tante persone che penso che non sia reale.”

Lui spostò la testa di lato e la guardò serio, “non pensarlo mai, my lady. Sei unica, geniale e fantastica, e se le persone lo dicono è perché è la verità.”

Lei sorrise dolcemente e puntò lo sguardo sul ciuffo di capelli biondi che gli era caduto davanti agli occhi. Istintivamente allungò una mano sistemandogli i capelli all’indietro mentre gli occhi verdi la guardavano brillando di luce propria.

La mano di Marinette scese fino alla sua guancia e lì ci resto per qualche minuto. 

“Buonanotte, Chaton.”

Lui ghignò, “buonanotte, mia signora.”

Tolse la mano dal volto di lui e subito sentì freddo come se le mancasse il contatto caldo con la pelle lui, ma si scrollò velocemente quella sensazione e scese dalla corvette.

“Ci vediamo domani in maison.”

Lui annuì e lei camminò velocemente verso casa per fuggire dall’improvviso freddo che stava provando. L’ultima cosa che vide furono i suoi brillanti occhi verdi che la guardavano come se non desiderassero altro.

***

La mattina, si sa, non è mai facile. Soprattutto se devi litigare al telefono con cinque ditte diverse di ascensori. Stava chiudendo l’ultima chiamata proprio mentre finiva di indossare le Louboutin. Sospirò dandosi una veloce controllata allo specchio: maglia nera a maniche lunghe che però le lasciava scoperte le spalle e gonna a ruota a vita alta in chiffon azzurro chiaro. Capelli sciolti, l’immancabile collana con il ciondolo Agreste e un girocollo di perle. 

Aspetta, quello cos’era? Si avvicinò allo specchio scrutando un punto preciso sotto l’occhio sinistro: gli era colato del mascara. Passò il dito indice sotto l’occhio incriminato, eliminando quella sbavatura. Ora era perfetta. 

Scese di sotto dove prese il cappotto, dello stesso colore della gonna, che Monsieur gli aveva regalo per la sua prima Fashion Week e la sua immancabile borsa nera.

Doveva fare veloce o sarebbe arrivata in ritardo contando anche il traffico della metro.

Si fermò in pasticceria per salutare i suoi genitori, ma si bloccò davanti a quella scena.

Adrien stava amabilmente conversando con sua madre, mentre Tom continuava ad ingozzare il biondo con ogni leccornia possibile e Sabine gli faceva gli occhi a cuoricino. Per non parlare del Paul euforico che stringeva le mani di sua madre come se avessero appena vinto la lotteria.

“Ma che accidenti..”, la domanda le morì in bocca da quanto era scioccata.

“Oh, bonjour, tesoro”, esclamò Sabine accorgendosi della presenza della figlia.

Gli occhi celesti incontrarono subito quelli verdi di lui in una muta domanda.

“Sono venuto a prenderti per andare a lavoro insieme e, mentre ti stavo aspettando, i tuoi mi hanno fatto assaggiare qualche dolce.”

“Vorrai dire tutta la pasticceria.”

“Su, bambina, non esagere.”

Alle parole di Tom, Adrien ghignò, “già, Marinette, non esagerare.”

Lei alzò gli occhi al cielo e guardò Paul, “e tu?”

“Oh, bonjour, Paul, che bello vederti qui”, esclamò il chiamato in causa con una voce in falsetto.

“Oh, bonjour, Paul”, ripeté lei con voce monotona, “che bello vederti, perché sei qui?”

“Ricordi? Il patto? Quello in cui io devo accompagnarti a lavoro dopo che il tuo cuore a fatto crack perché ti sei lasciata con il modello più bello di tutta la Francia, così da evitare che tu diventi una single sciatta dopo una rottura?”

Se l’era sognato, vero?

Non l’ha detto ad alta voce, vero?

Ma dalle facce stralunate dei suoi, gli occhi sbarrati e il ghigno di Adrien e la faccia da angelo di Paul, capì che non se l’era sognato.

Diventò rossa e strinse i pugni lungo i fianchi.

“Sono due giorni che vado a lavoro in metro, se non sbaglio”, rispose lei stizzita.

“Va bene”, esclamò il suo amico alzando le mani, “avevo voglia di macarons e dovevo aggiornarmi con tua madre.”

“Ma possibile che venite tutti qui per i dolci?!”

Adrien rise, “mi sa che i dolci sono una scusa”, disse guardandola dritto negli occhi.

Ecco, non poteva lanciarle quello sguardo così dal niente. Non lo sguardo che la uccideva interiormente e scatenava i suoi ormoni a palla.

Respirò profondamente, prima di guardare determinata il quartetto.

“Bene, adesso che vi siete riempiti la pancia, possiamo andare? Non so se avete notano, ma è già tardi.”

Paul spazzolò una mano in aria, “tanto ormai ci sei abituata.”

“Concordo”, gli fece eco Adrien. 

“Ehi!”, rispose lei guardandoli. Poi riflettè qualche secondo e aggrottò la faccia, “no, okay, avete ragione.”

Adrien rise e passò una mano tra i capelli, “direi che possiamo andare.”

Lei annuì e guardò Paul in una muta domanda: vieni?

Il moro scosse la testa, “tesoro, devo finire di spettegolare con tua madre, poi vi raggiungo in maison.”

Sabine, elettrizzata, annuì, “vado a fare due tazze di tè!”

Marinette guardò sconcertata la scena, “voi due mi fate paura.”

Poi uscì insieme ad Adrien e si diressero verso la corvette.

***

“Sai”, iniziò lui mentre Marinette, sprofondata nel sedile nero della macchina, scriveva gli ultimi appunti su quei dannati ascensori.

“Adoro come ti sei vestita oggi.”

“Adrien, me lo dici sempre, ogni giorno.”

“Perché è la verità”, gli lanciò un’occhiata di sfuggita per poi tornare a guardare la strada, “valorizzi il tuo corpo in una maniera incredibile.”

Marinette tossì. Forte.

Cavolo le era andata di traverso la sua stessa saliva.

“Ehm, grazie..credo.”

Lui ghignò.

Passarono alcuni metri prima che Adrien parlasse di nuovo, “è vero?”

“Che cosa? Dell’ ascensore? Credo proprio di sì, per nostra sfortuna.”

Lui scosse la testa, “intendevo quello che ha detto Paul.”

Marinette arrossì e si finse impegnatissima a controllare un documento, “Paul dice molte cose.”

“Il moccioso intende dire se è vero che ti sei disperata come una scema per lui e se il tuo cuore a fatto veramente crack.”

“Grazie, Plagg. Non avrei saputo spiegarlo meglio.”

“Figurati ragazzino.”

Marinette guardò fuori dal finestrino e chiuse gli occhi. Cosa doveva dirgli? 

La piccola manina di Tikki che le stringeva un dito la fece sorridere e gli dette la forza. 

“Ha ragione Paul”, iniziò con voce incerta e con il viso voltato dalla parte opposta, “quando mi hai lasciato, mi sono sentita persa...pensavo di dare le dimissioni.”

Adrien inchiodò improvvisamente facendo stridere le ruote, “cosa?!”

Lei annuì, continuando a non guardarlo, “si può dire che ero la classica immagine di ragazza disperata che è stata appena mollata: pigiamone in pile, montagna di fazzoletti e gelato. Se vogliamo essere sinceri anche un po’ di alcol, anche se è stato prerogativa di Paul, principalmente.”

Adrien annuì...nella fase alcol ci era passato pure lui. Rimise in moto la macchina così da eliminare la fila che si stava creando dietro di loro.

“So che la colpa è stata mia e io...non riuscivo a perdonarmi, non riesco a perdonarmi”, esclamò passandosi una mano sulla fronte, “ti ho fatto soffrire.”

Adrien strinse le mani sul volante fino a che le nocche non gli diventarono bianche, “e io ho fatto soffrire te”, rispose con voce grave.

Lei si girò di scatto, “no, Adrien-“

“Non mi scusare, my lady. Avevo promesso a me stesso che avrei fatto tutto il possibile per non farti soffrire….e ora si scopre che sono io la causa.”

Plagg alzò gli occhi al cielo, “ non essere drammatico.”

“Plagg ha ragione. Abbiamo superato questa fase, no? Tutti e due abbiamo sbagliato, siamo andati avanti.”

Rimasero in silenzio mentre riflettevano sulle loro ultime parole.

Arrivati davanti alla maison, scesero dalla macchina e si avviarono all’interno dell’edificio mentre Adrien lanciava le chiavi a l’autista così che parcheggiasse la Corvette.

Il loro cammino fu accompagnato solo dal rumore dei tacchi di Marinette sul pavimento in marmo della maison.

Quando entrarono dentro l’abitacolo dell'ascensore, Adrien scoppiò, “siamo davvero andati avanti?”

E intendeva molte cose con quella domanda: siamo andati avanti nella nostra vita? Ci siamo scordati l’uno dell’altro? Adesso saremmo solo degli amici che si scambiano qualche saluto e che ricordano la loro passata relazione come una storiella per bambini?

Marinette scosse la testa, “non lo so, Chaton.”

Ma tutti e due pensavano la stessa cosa: non potrei mai dimenticare la mia anima gemella.

***

“Ho bisogno di un ascensore in una settimana!”

“Monsieur, è impossibile.”

“Nulla è impossibile per Gabriel Agreste!”

Cavolo stava parlando di se stesso in terza persona.

“Ho chiamato le migliori ditte di Parigi”, iniziò Marinette per cercare di calmarlo , “e i responsi sono sulla sua scrivania.”

Lui scosse la testa bevendo la tazzina di caffè che la mora gli aveva portato per farlo rimane calmo.

Non si può dire che non ci avesse provato.

Per tutto lo scambio di battute con Gabriel, Adrien era rimasto alla sua scrivania, bellissimo in un completo blu firmato Agreste, controllando plichi di fogli e numeri con un sorriso sul volto, ma lo sguardo pensieroso.

Gabriel schioccò le dita davanti alla faccia di Marinette che si riprese con un sussulto.

“Ti eri incantata.”

A quel punto, Adrien scoppiò in una fragorosa risata mentre lei arrossiva.

“Cosa devo fare, monsieur?”

“Prendi l’agenda.”

Andò velocemente nel suo ufficio per recuperare l’oggetto con la gonna azzurrina che svolazzava dietro di lei, poi tornò dal suo capo.

L’aprì ad oggi e, vedendo tutte le cose che doveva fare, volle seppellirsi.

“Dove hai un buco?”

“Non ce l’ho”, rispose pacata la ragazza.

“Bè, trovalo. Andrai di persona a parlare con queste ditte.”

Marinette aprì e chiuse la bocca per diverse volte, poi esclamò “sta scherzando?”

“Ti sembra che io stia scherzando?”

Perché Gabriel Agreste ne era capace?

“Ma è un ascensore!”

“Devo di nuovo dirti perché è fondamentale?”, chiese con un sopracciglio alzato.

Cavolo, no! Si era già sorbita il suo monologo sull’importanza di questo dannato ascensore per quindici minuti di fila. Quindici minuti a parlare di un ascensore...assurdo!

Lei scosse la testa e rimase in silenzio.

“Sei la mia stagista?”

“Sì, monsieur.”

“E allora trova il tempo.”

“Certo, monsieur.”

Le fece cenno di andare e lei si congedò, ma, invece che sedersi alla sua scrivania, corse al piano di sotto. 

Sapeva già che oggi non si sarebbe seduta un attimo.

Maledetto ascensore.

***

Era il terzo caffè che beveva, e lei odiava il caffè. Ma doveva svegliarsi, tipo subito. 

Era stata in sartoria, poi dai grafici, all’ufficio di pubbliche relazioni e in municipio per organizzare gli ultimi permessi per mettere a norma il tutto.

Doveva ancora controllare gli ultimi vestiti confezionati per riportare un feedback a monsieur e parlare con le varie ditte.

E i piedi erano già in rivolta per le fantastiche scarpe che indossava. Ma perché aveva indossato proprio oggi le Louboutin da 12 centimetri?

Un leggero bussare la distolse dai suoi pensieri. Si era rinchiusa in una delle milioni di toilette per madame della maison, peccato che davanti a lei si trovava la figura di Adrien Agreste. Si era tolto la giacca ed era rimasto solo in camicia bianca e pantaloni blu. Quell’uomo era illegale.

“Sei nel bagno delle donne”, riuscì a dire. Davvero Marinette? Di tutte le frasi, proprio questa?

“Lo so”, ghignò lui, “e devo ancora capire perché il genere femminile si nasconde sempre qui. Cosa ci trovate in un bagno?”

“È l’unico posto in cui la gente ti lascia in pace”, rispose scrollando le spalle, “o almeno, dovrebbe”, continuò lanciandogli un occhiata.

“Te l’ho detto moccioso”, esclamò Plagg uscendo dal suo nascondiglio, “valle a capire le donne.”

Marinette sorrise e poggiò la tazzina sul ripiano in marmo del lavandino.

“Che ci fai, Adrien?”

“Bè, ecco...possiamo dire che ho visto quanto lavoro avevi da fare e volevo aiutarti.”

Lei lo guardò sorpresa e con un sorriso sulle labbra: quello era il suo chaton.

“Quindi, visto che dovevo uscire per una commissione sono andato a parlare con quelle famose ditte.”

“Davvero?”

Lui annuì, “ce n’è una che è disposta, dietro un compenso da capogiro, a installare l’ascensore in sei giorni.”

Lei spalancò gli occhi.

“Ho già riferito a mio padre e firmato il contratto. A quanto pare avremo il nostro ascensore.”

Marinette rimase impalata per qualche secondo, con tanto di bocca spalancata, poi corse verso di lui abbracciandolo.

“Grazie, grazie, grazie! Mi hai salvato! E hai salvato pure i miei piedi.”

Lui sorrise e la strinse a se, godendosi appieno il contatto fisico con lei.

“Allora sono davvero tacchi killer.”

Lei si allontanò da lui con le guance arrossate e incatenò gli occhi celesti con i suoi, “ci puoi scommettere”, disse con voce monotona.

E poi non capì più nulla perché le labbra di Adrien si stavano avvicinando pericolosamente alle sue e desiderava così tanto quel bacio. Avvertì l’odore di Adrien (profumo Gabriel e muschio bianco) e capì quanto gli era mancato.

Il bussare alla porta ruppe la magia e tutti e due la guardarono come bambini scoperti a mangiare la Nutella.

“Occupato”, urlò Marinette con voce malferma.

Tutti e due avevano il respiro affannato e si guardavano di sottecchi.

“Sarà meglio andare.”

La ragazza annuì.

Adrien si voltò per aprire la porta, ma Marinette lo fermò mettendogli una mano sulla spalla.

Il corpo del biondo reagì subito e rabbrividì per quel contatto inaspettato.

“Grazie, Adrien, davvero.”

Lui la guardò con gli occhi sinceri, “lo sai che farei di tutto per te.”

Marinette sorrise e annuì, “spero che tu sappia che è reciproco.”

Adrien ghignò e velocemente si chinò lasciandole un bacio sulla guancia, indugiando più del dovuto sulla sua pelle morbida. Cavolo, gli era mancata la sua pelle che sapeva di vaniglia. Ancora di più, le mancavano le sue labbra al gusto di miele. 

Lei si irrigidì e arrossì: era diventata una corda di violino ma voleva ancora Adrien così vicino.

“Certo che lo so”, disse lui dolce, poi ghignò divertito, “non puoi vivere senza di me.”

Poi le dette le spalle e aprì la porta di quel bagno che era diventato un confessionale.

È maledettamente vero, pensò Marinette mentre guardava le perfette e muscolose spalle di Adrien allontanarsi.

Si affrettò a seguirlo, aveva ancora molto lavoro da fare, ma almeno l'ascensore era sistemato.


Angolo autrice
Sono di ritardo? Giusto un po', forse parecchio. Mi sto rendendo conto che è sembre più difficile lasciare questi personaggi e dare loro una degna conclusione. Bè, mi spiace dirlo, con tutta me stessa, ma ecco a voi, ufficialmente, il penultimo capitolo di questa storia...mancano solo l'ultimo e l'epigolo.
Grazie mille a tutti coloro che mi accompagneranno fino alla fine della storia, vi adoro!
Un bacio,
Cassie
   
 
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