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Autore: FairyCleo    24/03/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Invasi dalle ombre
 
Non possedeva più il vigore fisico e l’energia di una volta, ma la sete di giustizia e la ferrea volontà di voler portare a termine qualcosa lasciato a metà in un’altra vita lo avevano spinto a non perdere neppure un briciolo di quel tempo diventato così terribilmente prezioso.
Genio non poteva permettersi alcuna esitazione: era fondamentale, per lui, mantenere i nervi saldi, era necessario pianificare tutto al meglio, capire quale fosse stato il suo errore più grande e tentare, così, di non ripeterlo mai più.
Lui era l’ultimo custode di quel luogo inarrivabile, era l’ultimo guerriero di una casta ormai estinta, ed era venuto meno al suo compito. Nonostante le attenzioni, nonostante il suo continuo vigilare, non era stato capace di fermare i propositi nefasti del suo primo allievo, non era stato in grado di fiutare il pericolo e stroncare sul nascere quel folle piano di rivalsa che aveva causato così tanto dolore in così poco tempo.
Genio aveva viaggiato a lungo, seguendo la scia di quel potere così intenso emanato di colpo in un'unica soluzione. Aveva camminato lungo sentieri impervi, aveva nuotato per mari agitati, aveva corso sul terreno brullo, aveva scalato pareti rocciose ripide come poche, si era arrampicato sugli alberi più alti e aveva affrontato le forze che la natura gli aveva scagliato contro. Durante quel faticoso cammino, metafora della sua espiazione interiore, aveva incontrato desolazione e morte, distruzione e paura, imparando, suo malgrado, che l’essere umano non aveva reagito a quella situazione, ma si era abituato a essa come se fosse stata una cosa del tutto naturale, come se il tempo si fosse fermato in un periodo che al Genio delle Tartarughe era fin troppo familiare: un periodo che lo riconduceva agli anni della sua giovinezza, quando era ancora troppo inesperto in merito alle persone e ai sentimenti che governano questo folle, pazzo mondo.
Durante quel suo pellegrinaggio, si era imbattuto in una famiglia che viveva ancora nei resti di un immenso palazzo ormai caduto in rovina. L’aspetto vissuto dell’edificio era stata la prima cosa ad aver attirato la sua attenzione: era stato costruito in una delle strade principali di quella grande e popolosa città, non era possibile che gli abitanti e il prefetto avessero deciso di lasciarlo in quello stato. Lo stesso valeva per gli edifici che lo circondavano, ma quello aveva catturato in particolare la sua attenzione proprio per la presenza di quella coraggiosa famiglia che aveva deciso di sfidare la sorte scegliendo di continuare ad abitarvi.
Madre, padre e due figlie femmine, dopo un’iniziale diffidenza, lo avevano accolto come se si fosse trattato di una celebrità, questo nonostante non lo avessero mai visto prima di allora.
Aveva scoperto che quelle persone erano le ultime rimaste in città, e che avevano deciso di non spostarsi altrove nella speranza che il figlio maggiore potesse fare ritorno.
 
“Come potrebbe mai trovarci se dovessimo andare via da qui? Non ce ne andremo… Noi non abbiamo niente a che spartire con quei folli… Aspetteremo qui il suo ritorno. Nostro figlio tornerà, ne siamo certi”.
 
La donna era stata irremovibile. Nonostante il suo aspetto trasandato, emanava una forte austerità, un carattere che in tanti non avrebbero saputo mantenere così saldo, date le circostanze. Le sue due figlie, nonostante la giovane età, non erano da meno. Quello che sembrava confuso, quasi assente, era il padre. Dopo aver parlato con la donna Genio aveva scoperto che gli abitanti della città si erano ritirati in campagna, che erano diventati superstiziosi e paurosi, e che le condizioni di vita generali erano peggiorate, per non parlare dei diritti delle donne, se non completamente negati, sicuramente retrocessi a quelli stabiliti in un periodo che si sarebbe potuto definire buio.
Quel pover’uomo era stato profondamente sconvolto dall’improvvisa scomparsa di suo figlio: il ragazzo, un ventenne che godeva di ottima salute, era letteralmente svanito davanti ai suoi occhi nello stesso istante in cui aveva varcato la soglia di casa. Non aveva potuto fare altro se non assistere impotente a quella scena che gli aveva straziato l’anima e lo aveva reso svuotato di ogni energia vitale. Quel padre non aveva retto alla perdita di suo figlio, e a nulla erano valse la presenza e le amorevoli cure della moglie e delle dolci e bellissime figlie. Lui non era più lì, era andato via con il suo ragazzo, e le donne si erano convinte che sarebbe tornato nell’attimo in cui il primogenito avrebbe varcato nuovamente la soglia di casa, nell’attimo in cui la loro famiglia sarebbe tornata a esser quella di un tempo.
 
“Sono state tante le famiglie che hanno subito il nostro stesso destino” – aveva detto la donna dagli occhi stanchi ma dallo sguardo fiero – “Tutti coloro che abitavano qui hanno perso qualcuno. Il tutto è iniziato in modo così strano… Credo di aver visto una luce, o qualcosa di simile. Da quel momento, tutto è cambiato. Chi è rimasto si è convinto di vivere in una specie di epoca primitiva, ma non le donne… Le mie amiche e colleghe, le mie parenti, sapevano che tutto questo è una menzogna, ma hanno preferito seguire i loro mariti, figli e compagni, piuttosto che rimanere indietro e lottare. Non abbiamo idea del perché sia accaduta una cosa simile, ma vedo che voi non ne siete caduto vittima… Come mai? Non che la cosa ci dispiaccia, ma ci stupisce positivamente”.
 
Genio non aveva risposto immediatamente, si era preso qualche minuto per pensare. In un’altra circostanza avrebbe fatto qualche stupida battuta per mettersi al centro dell’attenzione e ricevere un trattamento di favore da quelle giovani donne bellissime, ma la sofferenza dipinta sui loro volti e lo smarrimento del capofamiglia lo avevano portato a desistere dal comportarsi in maniera così sciocca e ad assumersi le sue responsabilità, perché volente o nolente, quello che era successo dipendeva principalmente dalla sua debolezza e dalle decisioni sbagliate che aveva preso da giovane.
 
“Forse è la mia età ad avermi tutelato da questo morbo” – aveva risposto, cercando di apparire per quello che le donne volevano vedere – “Spero che la fortuna vi arrida e che un giorno possiate tornare uniti”.
 
Era andato via da quella città col cuore in tumulto. Proprio non avrebbe potuto reggere ulteriormente il gioco, e la consapevolezza che il giovane fosse diventato parte integrante del suo nuovo pupillo, del suo Goku, lo aveva straziato sin dentro l’anima. Perché gli dei erano stati così crudeli nei suoi riguardi? Perché lo avevano destinato a non potersi legare a nessuno? Aveva scelto di non avere una famiglia sua, di non avere figli per evitare di commettere due volte lo stesso errore, ma non era servito: proprio come il suo primo allievo, Goku era diventato una minaccia per quel mondo che aveva scelto di proteggere quando era solo un ragazzino.
Aveva viaggiato con quel peso nel cuore, Genio, chiedendosi che cosa stesse facendo Goku, se il sigillo che gli aveva imposto fosse ancora attivo o fosse già svanito come neve al sole.
 
“Devi avere pazienza, ragazzo… Devi darmi il tempo di arrivare a destinazione e salvarti… Non lascerò che l’abbia vinta… Non lascerò che le ombre camminino sulla Terra… Questa volta, siamo alla resa dei conti”.
 
*
 
Ancora non riusciva a spiegarsi perché avesse perso i sensi all’improvviso, mentre si stava occupando delle colture che gli erano state assegnate. I suoi compagni gli avevano detto di averlo visto cadere a terra come un sacco di patate, ma lui non ricordava di essersi sentito male o di aver avvertito qualche sensazione in particolare, prima di perdere i sensi. Vegeta sapeva solo che quell’imprevisto gli era costato la paga di metà giornata e una mortificazione con i fiocchi da parte di quel mostriciattolo schifoso del capomastro, essere che prima o poi avrebbe schiacciato come un insetto fastidioso.
I ragazzi non erano stati messi al corrente di quello spiacevole episodio. Non voleva caricarli di ulteriori preoccupazioni proprio adesso che Trunks si era più o meno rimesso in sesto, proprio adesso che era tornato a frequentare le lezioni e che aveva più o meno ripreso a mangiare regolarmente.
Forse, era svenuto per il troppo lavoro, forse era svenuto perché era uno stupido essere umano uguale a tutti gli altri che non reggeva più quei ritmi forsennati. Stava di fatto che era successo e basta e che non poteva farci niente, proprio come non poteva fare niente a tutto quello che gli era capitato ultimamente.
 
*
 
Le settimane si erano susseguite senza troppe novità, senza che nulla cambiasse veramente, senza che si fosse realmente trovato un rimedio a quella verità a cui non si era potuto fare a meno di abituarsi.
Il lavoro nei campi proseguiva senza interruzioni, il mercato si svolgeva regolarmente, così come non si erano stoppati i processi e le esecuzioni degli adoratori e delle adoratrici di quello che veniva chiamato Satana.
Gli avvistamenti di creature demoniache non facevano che aumentare. Qualcuno, in paese, aveva giurato di aver visto un’ombra nera aggirarsi tra i vicoli bui, ma nessuno era stato in grado di fornire una spiegazione che non sfociasse nel macabro rispetto a quanto avvenuto. La superstizione faceva da padrona, e dopo mesi di quella vita così insoddisfacente, persino le donne e le bambine avevano smesso di pensare a quanto le cose fossero state diverse non troppo tempo addietro.
Le condizioni dei popolani peggioravano di giorno in giorno: i turni di lavoro diventavano sempre più massacranti, l’istruzione era sempre più superficiale e sempre meno erano i bambini seduti dietro i banchi, perché i genitori avevano bisogno di braccia per lavorare e sfamare famiglie che diventavano sempre più numerose.
Nessuno, a parte Goten, Trunks e Vegeta, sembravano essersi accorti di come il tempo stesse scorrendo velocemente. Non c’erano orologi nel villaggio in cui abitavano, ma avevano come la sensazione che le ore li stessero rincorrendo e che stessero galoppando a più del doppio della loro normale velocità.
I ragazzi, sorpresi da quanto era avvenuto, si erano ritrovati cresciuti di diversi centimetri in poco tempo, e Vegeta sembrava invecchiato di colpo: la sua forma fisica a dir poco smagliante era quasi del tutto un ricordo, e le borse sotto gli occhi erano la testimonianza più efficace della fatica che sopportava quotidianamente.
Dall’episodio del suo svenimento nei campi e dalla vicenda che aveva visto Trunks ferito nel capanno, non c’erano state più stranezze in quella famiglia composta solo da uomini.
I bambini andavano a scuola, Vegeta andava a lavorare e la sera si riunivano a tavola per consumare un pasto frugale. Nessuno aveva più parlato di Goku e di dove potesse trovarsi, nessuno aveva più parlato delle persone che erano scomparse né di come pensare di agire per far sì che avvenisse un cambiamento.
Le cose erano quelle. Forse erano sempre state quelle. Perché avrebbero dovuto cambiarle? E pensare che fino a poco tempo prima, Vegeta sperava di poter fare qualcosa.
Quello che sapevano, però, era che in paese continuavano a circolare voci sulla misteriosa ombra che compariva all’improvviso.
Vegeta non aveva dato peso a quelle dicerie, ma Goten sembrava particolarmente attratto da quel racconto che aveva qualcosa degno di un film horror.
Sembrava che qualcosa finalmente avesse risvegliato la sua curiosità: dopo i funesti eventi che avevano riguardato Gohan e Ouji, Goten non era stato più se stesso, e l’apatia di Trunks non aveva fatto altro se non alimentare un isolamento da parte del secondogenito di Goku e Chichi.
Quel racconto, però, aveva acceso la sua curiosità, privandolo del sonno. Cosa poteva essere l’ombra di cui parlavano tutti?
 
“Perché non andiamo a vedere di cosa si tratta?”.
 
In un primo momento, Trunks aveva creduto di aver sentito male. Possibile che Goten fosse tanto idiota da decidere di fare una cosa talmente stupida?
 
“Tu sei impazzito…”.
“Dai! Vorrei sapere di cosa si tratta! Tu no?”:
“Non voglio mettermi nei guai” – aveva tagliato corto, freddo come il ghiaccio – “E non voglio far preoccupare papà”.
“Neanche io voglio…” – aveva ammesso Goten. Triste – “Ma mi chiedo se ci sia un legame tra l’ombra che dicono di vedere e quello che è successo!”.
Trunks, infastidito da quel continuo chiacchiericcio, si era girato nel letto, fissandolo con occhi quasi crudeli, occhi che Goten non avrebbe potuto vedere a causa del buio.
“Ancora stai pensando a questa storia? Ma vuoi capirlo o no che non c’è modo di tornare come eravamo prima?”.
 
Ferito dalle dure parole del suo migliore amico, Goten aveva chinato il capo, nascondendo il viso tra il cuscino e le coperte. Odiava quando Trunks si comportava in quel modo. Cosa aveva fatto di male per meritarsi un simile trattamento? Perché sembrava avercela così tanto con lui? Erano così uniti, un tempo… Cosa era cambiato? E proprio adesso che non avevano nessun altro, poi!
 
“Non volevo farti arrabbiare… Io… Pensavo a Marylin… Alla mamma, e...”.
“E?”.
“Lascia stare…”.
 
Trunks era certo che a breve avrebbe visto Goten piangere. Non voleva trattarlo male, ma proprio non riusciva più a reprimere la rabbia che provava. Da quando era stato ferito, poi, le cose erano cambiate ulteriormente: non aveva più preso lo stupido quaderno nero se non per riporlo in un luogo più sicuro di quello scelto in precedenza, un luogo decisamente più lontano dalle mura della loro casa. Non voleva più causare alcun tipo di guaio, dunque perché andare in giro a cercarne di nuovi?
 
“Non voglio far preoccupare papà… Lo sai che non siamo più in grado di difenderci come una volta…” – aveva provato a spiegarsi così, Trunks.
“Lo capisco… Però non possiamo sempre nasconderci dietro al fatto che non abbiamo più le abilità di prima… Gli altri bambini come fanno, altrimenti? Non escono mai di casa per giocare? Non ci credo…”.
“Ma questo non sarebbe un gioco! Che dici? “.
“Trunks, davvero credi che ci sia in giro l’ombra di Satana? Veramente?”.
 
Il tono di Goten non gli era piaciuto, ma doveva ammettere che non aveva tutti i torti: erano cresciuti ascoltando i racconti che Goku aveva fatto agli altri in merito al Paradiso, all’Inferno e alle divinità che abitavano nell’Aldilà, e non si faceva cenno a Satana, o a qualcuno che avesse il suo nome. Però, Trunks alcune ombre le aveva viste per davvero, anche se non lo aveva detto a nessuno, e voleva evitare di imbattersi di nuovo in qualche situazione spiacevole.
 
“Io andrò lo stesso, anche se tu non vuoi venire” – aveva dichiarato Goten, deciso.
“Come sarebbe?”.
“Josuke e Joruno* andranno domani notte a perlustrate le strade della città, e io andrò con loro. Se non vuoi venire non fa niente. Come vedi, non sarò da solo”.
“Jo-Josuke e Joruno? E tu da quando frequenti quei due?”.
 
Trunks non riusciva a capacitarsene: i due cugini, due ragazzotti magrolini ma dal carattere forte e ben delineato, avevano qualche anno in più di loro, erano figli di possidenti terrieri e solitamente non facevano amicizia con bambini appartenenti al loro ceto. Come aveva fatto Goten a entrare in contatto con loro se non frequentavano neppure la stessa classe? Quando era successo?
 
“Sì, Jotaro e Joruno. Ti saresti accorto che sono diventato loro amico se ti degnassi di darmi un po’ di confidenza, quando usciamo da scuola. Sono due ragazzi in gamba, comunque, e sanno il fatto loro!”.
“Ssssh! Parla piano! Non vuoi che papà si svegli, no?”.
“Certo che no! Ma certe volte sei così… Così…”.
“Sì, hai ragione, mi dispiace! Ma spiegami meglio… Jotaro e Joruno: non ci posso pensare!”.
 
Goten aveva trascorso la successiva mezz’ora a spiegare bene a Trunks come avesse stretto amicizia con i due ragazzi. Quella era la prima volta dopo tanto tempo che il suo migliore amico aveva ripreso a dargli confidenza, e non voleva sprecare l’occasione. Alla fine, aveva persino convinto Trunks a seguirli in quella missione esplorativa.
 
“Caspita! Certo che ti sei integrato bene! Bravo Goten!”.
“Ti ringrazio” – aveva balbettato lui, arrossendo nel buio.
“Da quello che mi dici, sembrano ancora più fighi di come appaiono! La loro casa è bellissima, poi… Alemno, lo è vista da fuori. Ah, come sono fortunati!”.
“Magari potrebbero invitarci!”.
“Tu dici? Oddio, sarebbe bellissimo! Ma come faremo ad andare a casa loro conciati così? Non voglio fare brutta figu-“.
“Se non la piantate immediatamente vengo lì e vi faccio passare la voglia di chiacchierare in meno di un minuto”.
 
A quanto sembrava, Vegeta non aveva poi il sonno così pesante come pensavano: il continuo bisbigliare dei ragazzi lo aveva destato, e se in un primo momento aveva quasi gioito nel sentire che i due marmocchi si confidavano ancora segreti e dubbi – strane usanze terrestri a cui lui non si sarebbe mai abituato – dopo un po’ aveva perso la pazienza: doveva andare a lavorare, il giorno dopo, loro dovevano andare a scuola e se avessero avuto sonno non avrebbero cavato un ragno dal buco.
 
“SILENZIO”.
 
E, a quella richiesta così fine e gentile, non avevano potuto fare a meno di obbedire.
 
*
 
Si erano dati appuntamento a casa di Josuke nel tardo pomeriggio, e per far stare tranquillo Vegeta – laddove ce ne fosse stato bisogno – avevano detto che avrebbero dormito a casa sua. Il saiyan, sospettoso per natura, aveva fatto giusto qualche domanda di rito, ma poi aveva scelto di dare fiducia ai ragazzi: Bulma e Chichi sarebbero state contente nel sapere che erano riusciti a farsi degli amici anche in una situazione così anomala e bizzarra.
 
Josuke e Joruno erano due tipi estremamente determinati e carismatici: Josuke, moro con gli occhi blu, era un vero e proprio giocherellone, mentre Joruno, biondo con gli occhi verdi, decisamente più silenzioso, era apparso a Trunks estremamente risoluto.
Era stato un vero onore per il piccolo Brief essere accolto così calorosamente dai due cugini.
 
“Siamo proprio contenti di vedere che siate venuti! Lo dicevo che eravate due tipi coraggiosi!” – aveva trillato Josuke – “Conoscere te, Trunks, è un vero onore! Goten non fa altro che parlare di te e di quanto tu sia fantastico come fratello maggiore! Sei forte, sai? E pensare che da lontano sembravi un musone!”.
 
Josuke non aveva sicuramente peli sulla lingua. Aveva detto a Trunks tutto quello che pensava su di lui senza però apparire sgarbato o maleducato.
 
“Josuke, sei veramente incorreggibile!” – lo aveva sgridato Joruno – “Ti sembrano cose da dire a qualcuno che hai appena conosciuto? Ti prego di perdonare i modi di mio cugino”.
“Oh, ma no, figurati!”.
 
Per la prima volta in vita sua, Trunks era arrossito di vergogna davanti a un altro ragazzo. L’aspetto di Joruno lo metteva a disagio: quel suo fisico così minuto e asciutto, i boccoli d’oro raccolti in una treccia, la pelle di porcellana e gli occhi verdi come smeraldi lo avevano ammaliato. Persino la sua voce era soave come quella di una creatura angelica: possibile che fosse veramente un ragazzo e che, soprattutto, fosse cugino di Josuke? Erano all’opposto! Stava di fatto che non voleva mostrarsi debole o idiota davanti a lui, e aveva cercato di sembrare risoluto e ben educato a sua volta, cercando però di non strafare: guai a fare cattiva figura!
 
“Sei sempre il solito precisino, Jojo!” – lo aveva rimproverato Josuke – “Mettiamoci all’opera! Sono troppo curioso di scoprire se questa storia delle ombre è vera o se è solo una diceria messa in giro dai matti che abitano in paese!”.
 
A quanto avevano raccontato alcuni contadini, la prima apparizione dell’ombra era avvenuta circa due settimane addietro nei pressi della stradina che conduceva alla loro scuola. I due anziani fratelli avevano giurato di aver visto qualcosa di malefico strisciare lungo le pareti dell’edificio, e che questa stessa presenza fosse poi svanita nel nulla, lasciandogli addosso un senso di puro terrore.
Per questo motivo, la loro prima tappa sarebbe stata proprio la scuola.
 
“Non che io ami venire qui, eh!” – aveva ammesso Josuke – “Questo posto mi sta stretto di giorno, figurarsi di notte, ma che dobbiamo fare? Dei veri investigatori non si tirano indietro!”.
 
Goten era a dir poco affascinato dal carisma di Josuke, nonché dalla sua bizzarra e indescrivibile acconciatura. Non avrebbe saputo come definirla, ma di certo non faceva sì che il ragazzo passasse inosservato. Ma, del resto, chi era lui – bambino dai buffi capelli a palma – per prendere in giro un ragazzo così… figo?
 
“Quindi non sappiamo altro? Dell’ombra, dico… Che forma abbia… Dove sia stata vista in seguito…”.
“Sappiamo molto di più, Goten! Sappiamo che non ha una forma ben precisa, e per questo comincio a pensare che – se esiste – prenda la forma di quello che ci spaventa di più, e sappiamo che compare nei posti più bui come vicoli o cantine”.
“Ma ha mai fatto del male a qualcuno? Voglio dire” – aveva chiesto Trunks – “Ci sono state segnalazioni di feriti o di persone scomparse?”.
 
I due cugini si erano guardati a lungo prima di rispondere: la loro espressione non lasciava presagire nulla di buono.
 
“Voi non sapete niente, vero?”.
“Emmm… Sappiamo sicuramente meno di voi” – aveva ammesso Trunks, sincero.
“L’ombra ha portato via il mio gatto”.
 
A giudicare dall’espressione di Goten, quella era un’informazione di cui era già in possesso. Non doveva aver aperto bocca a riguardo perché; evidentemente, quell’episodio gli portava alla mente il ricordo di Ouji. Povero cagnolino, chissà quale sorte gli era toccata. E chissà se la sua morte era in qualche modo correlata alla sparizione del gatto di Joruno.
 
“Sono certo che troveremo qualcosa” – aveva asserito Trunks, deciso – “Se così non fosse, continueremo a cercare… Coraggio!”.
 
Nel vederlo così deciso e risoluto, Goten non aveva potuto non pensare a quanto somigliasse al bambino con cui era cresciuto e con cui si era allenato tanto intensamente. Aveva fatto bene a convincerlo a venire: quello era Trunks, il vero Trunks! Finalmente, lo aveva ritrovato.
 
“Ben detto… Ora, facciamo silenzio e proseguiamo. La notte è lunga e noi non dobbiamo farci scoprire”.
 
*
 
Vegeta non riusciva a darsi pace.
Odiava il fatto di sentirsi tanto in apprensione, odiava il fatto di non sapere cosa stessero facendo i ragazzi, odiava il fatto che non fossero lì con lui.
Alla fine lo aveva dovuto ammettere: i ragazzi gli mancavano e si sentiva tremendamente, completamente solo.
Oh Dei, da quando era diventato una mammoletta in pena per la sua condizione? Da quando si era trasformato in mamma chioccia che trascorreva le notti in ansia per il destino della sua progenie?
Avrebbe voluto staccarsi la lunga a morsi e ingoiarla per morire soffocato pur di non pensare alla vergogna che quei pensieri suscitavano in lui.
Non era più un principe sanguinario? Ok poteva passarci sopra. Non era più un guerriero spietato? Va bene, poteva soprassedere, ma quello era troppo anche per lui. Doveva uscire fuori da quella casa o sarebbe impazzito definitivamente, e non era una cosa che aveva intenzione di fare.
Solo che, una volta varcata la soglia del cancello che lo immetteva sulla via principale, si era reso conto di non avere idea di dove poter andare.
Nonostante il lavoro a stretto contatto con altri uomini e altre donne, si era reso conto di non conoscere nessuno. Aveva imparato qualche nome, qualche faccia, ma niente di più. Era proprio come quando si trovava sotto le grinfie di quel bastardo di Freezer.
 
“Tsk! Ma chi se ne importa!”.
 
Bugia.
Una stupida bugia che non avrebbe potuto raccontarsi ancora a lungo. Ma perché faceva così male, dannazione?
 
Senza rendersene conto, aveva cominciato a incamminarsi per il paese. In un’altra vita, avrebbe cominciato a sferrare pugni a caso per sfogare la rabbia e diventare più forte, ma quella non era “un’altra vita”, ed era troppo stanco per sprecare energie senza motivo.
 
Per qualche strana ragione, si era trovato a bighellonare davanti alla prigione, e il pensiero era andato subito dritto a lei, a Marilyn.
 
“Tsk… Che diamine mi importa di lei? Mi ha cacciato… Non posso farci niente se ha deciso di sprecare la sua vita per salvare me e i ragazzi, che si comportasse come l’imbeccille? Chi le ha chiesto niente, poi? Le donne di questo pianeta sono tutte… Tutte…”.
 
Non era stato capace di trovare una definizione adeguata. Forse, la parola giusta da usare sarebbe stata eroiche, ma era un qualcosa che ancora non era pronto ad ammettere, non fino in fondo, almeno.
Stava di fatto che non era tenuto a fare cose che non voleva fare, no? Allora, perché non andare a trovarla se voleva vederla? Ma voleva davvero vederla dopo che lo aveva praticamente cacciato via? Dopo che gli aveva chiesto di non tornare?
In preda alla confusione, spinto da una qualche ragione sconosciuta, Vegeta si era ritrovato a fare lo stesso percorso di qualche settimana prima, scoprendo con i suoi occhi l’orrore che permeava quei luoghi.
 
“Mettiti in fila, straccione! Aspetta il tuo turno”.
 
Neppure nel suo periodo più sanguinario sarebbe mai stato capace di mettere in atto un crimine tanto atroce. Aveva smembrato, schiavizzato, ucciso, ma mai aveva sottomesso una donna in quel modo, neppure quando erano state loro stesse a offrirsi a lui spontaneamente. E, in quell’attimo, nel momento in cui aveva visto il corpo nudo schiacciato su quello di lei, l’immagine di Bulma si era per un attimo sovrapposta a quella di Marilyn.
Vegeta non era stato più se stesso. O, forse, per un istante, era tornato a esserlo: incurante dell’ordine impartitogli dalla guardia che sorvegliava il cancello della cella, aveva sfondato le sbarre con un calcio e si era avventato sul verme schifoso che grugniva addosso alla donna, rendendosi conto che fosse quel cane del suo capomastro solo dopo che gli aveva rotto naso, mandibola e procurato un trauma cranico.
 
“TI AMMAZZO, LURIDO BASTARDO! TI AMMAZZO!”.
 
C’erano voluti sei uomini per tenerlo a bada, e altri due per trasportare il ferito altrove.
Vegeta sembrava una furia, non sentiva neppure il dolore delle nocche ferite tanto grande era la rabbia che stava provando. Aveva sfogato tutta la sua frustrazione su quel piccolo farabutto, tutto il suo tormento era venuto fuori alla vista di quell’orrore.
 
“NON LA DOVETE TOCCARE, BASTARDI! NON LA DOVETE TOCCARE!”.
 
Lo avevano imprigionato nella cella accanto, incatenandolo per i polsi e per le caviglie. Le guardie presenti avevano giurato di aver visto le pietre cedere sotto i suoi strattoni, ma quelle venute in seguito avevano asserito che fossero state lievemente sconnesse sin dal primo istante.
C’erano voluto ore per calmarsi, ma niente avrebbe placato definitivamente la sua ira.
Forse, aveva fatto una stronzata, mai come allora aveva tratto soddisfazione dall’aver preso a pugni qualcuno, ma come allora, le ombre si erano diradate nel suo cuore.
 
*
 
“Che noia! Possibile che siamo qui da ore e non abbiamo ancora visto niente? Comincio ad avere freddo, poi… Temo che siamo solo perdendo tempo!”.
 
Josuke era profondamente disturbato dall’idea di aver fatto un buco nell’acqua. Erano fuori da un’infinità di tempo e dell’ombra non vi era alcuna traccia. Possibile che i contadini fossero tutti impazziti e avessero raccontato un mucchio di fandonie?
Joruno aveva mantenuto la sua calma e la sua impassibilità: il loro era una sorta di esperimento, non potevano pretendere che riuscisse sin dal primo tentativo.
I piccoli Goten e Trunks non sembravano particolarmente stanchi o preoccupati, anche se l’entusiasmo iniziale si era affievolito anche in loro due, che cominciavano a essere veramente molto infreddoliti.
 
“Che dite, torniamo a casa, per stanotte?”.
“Sì, penso che tu abbia ragione, Joruno… Fa freddo, e non abbiamo visto niente di niente, nonostante abbiamo cercato ovunque… Vi va se ritentiamo un’altra volta?” – aveva detto Goten.
 
I due cugini si erano guardati, prima che Josuke prendesse la parola.
 
“Avete ragione… Andiamo a casa, su… Farò preparare thè e biscotti dalla domestica e dormiremo in salotto, accanto al fuoco. Ci vuole proprio per tirarsi su, non trovi Joruno? Joruno?”.
 
Suo cugino non aveva risposto, e questo non per mancanza di educazione, ma perché, a quanto sembrava, non si trovava più lì con loro.
 
“Joruno?! Ma dove ti sei cacciato?!”.
“Era qui un attimo fa! Era qui, no? Lo avete visto anche voi?”.
“Sì, Goten… Era qui… Non capisco come sia possibile che non ci siamo accorti che si sia incamminato!”.
“Perché non lo ha fatto!” – aveva urlato Josuke, puntando la fiaccola contro il terreno – “Guardate! Le orme di Joruno si fermano qui! Sembra che, che…”.
 
Nessuno di loro aveva avuto il coraggio di dirlo, ma dal punto in cui si trovavano le ultime impronte lasciate da Joruno partiva uno strano segno, come quello di un corpo che veniva trascinato e, poco più avanti, su quel solco era apparsa una grossa chiazza scura e densa.
I tre ragazzi erano rimasti lì, immobili, con il cuore in gola.
 
“Jo-Jojo?” – aveva sibilato appena Josuke, che si era messo davanti ai bambini per fare loro da scudo in caso di pericolo.
 
Nel silenzio, disturbato dai battiti incessanti del loro cuori in tumulto, i ragazzi avevano udito un rumore diverso, un rumore che non avrebbero saputo come descrivere.
 
“Trunks… Oddende…”.
“Goten… Promettimi che starai qui, ok?”.
“Perché? Che vuoi fare?”.
 
Approfittando del buio e della distrazione di Josuke, Trunks si era incamminato, strisciando con le spalle alla parete verso il punto da cui proveniva quel suono spaventoso.
L’orrore che si era palesato davanti ai suoi occhi di bambino nel momento in cui aveva svoltato l’angolo sarebbe stato qualcosa che non avrebbe mai più potuto dimenticare: un’ombra informe si stava bagnando con il sangue di Joruno.
 
*
 
Avevano salvato il ragazzo grazie alla prontezza di spirito di Goten e di Josuke.
Trunks, pietrificato da ciò che aveva visto e dal ricordo di quanto aveva subito nella baracca dietro casa, era andato in iperventilazione ed era caduto per terra, seduto, incapace persino di urlare e di chiedere aiuto.
Se non fosse stato per Josuke che era sopraggiunto e aveva scacciato via l’ombra con il chiarore della sua torcia, forse non sarebbero sopravvissuti.
Eppure, Trunks aveva avuto una strana sensazione, nel trovarsi di fronte a quello strano essere dalla forma umanoide: aveva avuto come l’impressione di sentire un rantolo, una voce in cerca di aiuto.
 
“Attento-a-lui”.
 
Joruno non avrebbe ricordato niente di quanto accaduto. Si era risvegliato poco dopo, aveva chiesto a Josuke perché piangeva in modo così sconveniente e aveva ripreso la conversazione esattamente da dove l’avevano lasciata.
Dell’ ombra non vi era più alcuna traccia, se non quella che aveva lasciato negli animi di Trunks, Goten e Josuke.
 
Continua…


Ragazze/i,
Eccomi qui!
Stranamente, più puntuale del solito!
Come procedono le vostre vite nonostante i divieti? Spero che stiate tutti bene! <3
Ordunque: Genio sta cercando di raggiungere il quaderno e porre fine alla storia iniziata quando era un ragazzo ingenuo.
 
Vegeta ha deciso di non restare a guardare e di trascorrere una notte al fresco. Bella mossa, nostro eroe! Ci saranno conseguenze? Lo scopriremo.
 
Ebbene, qualche attento lettore avrà notato immediatamente che ho preso in prestito due personaggi di un altro anime. Chi saranno mai i nostri fantasmagorici “cugini”? Araki, perdonami, ma dovevo farlo. Non mi sembra il caso di ridefinire come “crossover” la storia per questo motivo: non li vedremo spesso, hanno solo una piccola particina, ma mi faceva piacere citarli e plasmarli a mio piacimento (nel manga, Araki ce li presenta come due adolescenti, qui sono poco più grandi dei nostri piccoli mezzo-sangue).
 
Le ombre continuano ad apparire… Secondo voi, a questo punto, sono buone o cattive? Sono curiosa di sapere cosa ne pensate!
A presto!
Un bacino
Cleo

 
   
 
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