Cocci
“Non
eri così tranquilla prima, mentre ci stavamo
infiltrando!”
Boruto
la fissò ghignando di un ghigno lontano, dimenticato, e
Sarada, seduta sulla
sedia girevole dell’Hokage con le gambe a penzoloni, si
sentì arrossire.
Anche
se l’idea di sgattaiolare a notte fonda dentro
l’ufficio dell’Hokage era
stranamente provenuta da lei, - Boruto non aveva battuto ciglio e
l’aveva
seguita - aveva tremato come una foglia alla mercé del vento
in tutti quei
lunghi minuti in cui avevano percorso, quatti e senza respirare, il
lungo
corridoio che portava alla meta.
Poi,
una volta forzata la porta, si era divertita come una matta a
volteggiare su quella
immensa sedia dietro la scrivania che non aveva più pensato
al fatto che
nell’ufficio non c’era solo lei, ma anche il figlio
del proprietario di quella
sedia, che doveva averla osservata più del dovuto dal suo
cantuccio accanto
alla finestra prima di cominciare a prenderla in giro.
“Stai
zitto.” lo rimbeccò, asciutta, senza
però negarsi un’altra giravolta, lasciando
libere le gambe nell’aria “Ho sempre sognato di
potermi sedere su questa
sedia!”
Era
il suo piccolo segreto, ma in quel momento sentì che poteva
lasciarlo andare soltanto
con un po’ di imbarazzo, come un uccellino che vola via per
sempre dal nido. Non
era più la dodicenne che gridava a tutti di voler diventare
Hokage senza
cognizione di causa; ormai aveva venticinque anni e vedeva quel
traguardo molto
più vicino dopo numerose prove, missioni, allenamenti,
discussioni
diplomatiche. Dopo tutto quello che era accaduto.
Il
ghigno di Boruto si assottigliò fino a diventare un semplice
sorriso, ma quel
sorriso non c’era più quando finalmente la sedia
smise di girare e si fermò
proprio di fronte a lui. Lo shinobi la guardò con
un’espressione troppo seria,
non da lui, rendendo ancora più crudele la cicatrice che gli
segnava ormai l’occhio
destro.
“Tra
poco ci riuscirai, ne sono certo.” disse, incrociando le
braccia e poggiando le
spalle, stanco, contro la finestra. “Ed io ti
proteggerò.”
C’era
una certa delicatezza nelle sue parole, e le guance di Sarada si
tinsero, senza
volerlo, di nuovo di rosso. Spostò lo sguardo lontano, oltre
la finestra, dove
la luna si intravedeva appena, nascosta tra le chiome degli alberi
della
foresta. Le cose tra di loro non erano ancora sistemate da
quel punto di vista, era vero, ma ci stavano arrivando. Pian
piano, come al loro solito, ma si trattava soltanto di un altro pezzo
da
ricostruire nel villaggio ancora distrutto dopo la battaglia.
L’idea
di sgattaiolare a notte fonda dentro l’ufficio
dell’Hokage era stata la sua, ma
l’aveva deciso pensando a Boruto, perché facesse
qualcosa di estremamente
stupido. Negli ultimi tempi era stato impegnato a salvare il mondo,
come suo
padre, e non aveva avuto tempo per le altre questioni, neppure per i
sentimenti.
Era cresciuto, si era ferito nel corpo e nell’anima, e non
era più il bambino
capriccioso e sempre sorridente che aveva imparato a conoscere sin da
piccola.
Adesso, quando la guardava, la sua espressione era quasi sempre dura, e
cercava
di celare la sofferenza onnipresente sul viso sfregiato con rari,
sottili
sorrisi.
Quando
avevano dodici anni e gli aveva parlato del suo sogno di sedere in
quell’ufficio, Boruto le aveva promesso che
l’avrebbe sostenuta e protetta per
sempre, ma Sarada non voleva più essere l’ennesima
persona a pesare sui cocci da
riordinare ed incollare della sua vita infrantasi
all’improvviso. Non tutti i pezzi
ritrovavano perfettamente il loro posto nel momento di rimetterli
insieme, ma
lei ce l’avrebbe messa tutta per farli combaciare il meglio
possibile. Inspirando
a fondo, ricambiò il suo sguardo, dura quanto lui, e
fremette: “Quando sarò
l’Hokage, non dovrai più combattere, e il
Villaggio non sarà più distrutto. Sarò
io a proteggere te.”
Boruto
spalancò gli occhi impercettibilmente, sorpreso, e allungo
la mano verso la sua,
il palmo sospeso a mezz’aria, proprio come le sue gambe.
Sarada la osservò ad
occhi bassi: ancora si intravedeva il punto dove il sigillo, infrantosi
durante
la battaglia, lo aveva ustionato. Lo sfiorò lievemente e gli
strinse forte la
mano, poi si diede una spinta con i piedi sul pavimento per
avvicinarglisi e
finalmente intercettò il suo sguardo in maniera diretta,
senza più sbattere le
palpebre. Anche gli occhi di Boruto lacrimavano, concentrati nello
sforzo di
restare aperti e non perdersi neanche più un dettaglio di
lei.
Continuarono
a fissarsi con le labbra schiuse, quasi senza respirare, ed era la cosa
più
normale del mondo. Senza farsi domande, senza parlare, senza pensare al
futuro,
a come i loro sguardi si sarebbero evitati nel percorrere ancora quel
corridoio
nel ritorno verso casa. Poi, all’improvviso, le sopracciglia
di Boruto si
corrugarono e le sue labbra si strinsero ancora in
un’espressione ruvida che
ormai conosceva bene, e ne ebbe quasi paura.
“Sarada,
io-” mormorò lo shinobi, ma passi e voci concitate
nel corridoio li
paralizzarono sul posto, e Sarada scattò in piedi,
stringendogli forte la mano
mentre la porta si spalancava di scatto.
“Cosa ci fate voi qui?”
Dalla
soglia della porta, la mano ancora stretta sulla maniglia, Naruto
lasciò vagare
lo sguardo da uno all’altra, incredulo, e si
lasciò andare ad una risata
squillante, la prima da quando il villaggio era diventato un vaso da
riparare e
quel palazzo era una delle poche costruzioni rimaste in piedi.
Note:
Questa
fic partecipa alla BoruSara
Week 2021, che quest'anno si tiene dal 25 al 31 marzo. I
prompt sono quelli del secondo giorno, “childhood,
comfort, “I’ll support you”. Happy
BoruSara week, everyone! <3
Scrivere
questa fic è stata una sfida, perché avevo in
testa un’immagine da sviluppare,
ispirata da una fanart trovata su Tumblr (che non riesco più
a rintracciare su
Google, ma che ritraeva Sarada seduta sulla poltrona
dell’Hokage e Boruto, in
piedi, dietro di lei), e volevo dare una specie di taglio
cinematografico, per
cui mi ero in prima battuta imposta il diktat
di restare al massimo in 500 parole.
Le
500 parole sono state scritte, ma sentivo che potevo sviluppare meglio
i
sentimenti ed i pensieri di Sarada ed ho sforato terribilmente. Questa
fic si è
praticamente scritta sola, perché questa Sarada,
più matura, ma non abbastanza
rispetto a Boruto (o almeno questo è quello che pensa lei
:D) si è
letteralmente impossessata di me. È stata la prima volta che
mi è successa una
cosa del genere ed è stato spaventoso, in senso sia buono
che cattivo XD
Siccome
mi piace portarmi avanti (XD), la fic è ambientata dopo
quella che, credo di
aver capiro, sarà la fine del manga di Boruto,
cioè la battaglia con Kawaki
illustrata all’inizio del primo capitolo. I nostri due
protagonisti sono più
grandicelli di quello che leggiamo ora nel manga, e ho ipotizzato una
crescita
differente per ognuno: più dettata dalla sofferenza quella
di Boruto, più
intellettuale quella di Sarada che ho ipotizzato, sulla base di
ciò che accade
di negli shonen manga, abbia avuto poco spazio nello “scontro
finale”. Tutto questo
senza seguire il manga, perché sto recuperando
l’anime pian piano e sono indietro
di circa venti episodi XD
Mi
farebbe piacere sapere cosa ne pensate. ^^ Qualunque commento
è ben accetto,
positivo o negativo che sia! Vi adoro perché mi leggete
sempre, davvero! Grazie
per il tempo che mi dedicate!
Ja
ne,
Ayumi