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Autore: Luinloth    27/03/2021    6 recensioni
Gli angeli sono scesi sulla terra e hanno soverchiato l’umanità, regredendola ad uno stato quasi medievale. Gli umani lavorano come schiavi alla costruzione di una torre, di diverse torri sparse intorno al globo, ma nessuno sa cosa succederà una volta che il loro lavoro sarà concluso. John Winchester è a capo di una delle cellule della Resistenza e Dean nei confronti degli angeli non ha mai provato altro che odio, per ciò che hanno fatto alla sua famiglia, per ciò che hanno fatto a Sam. Finché, un giorno, Castiel non viene assegnato al suo cantiere e tutte le certezze che aveva iniziano a sgretolarsi. Ma come gli ripete spesso suo padre, un umano non dovrebbe mai fidarsi di un angelo.
80% AU, 20% what if (vi assicuro che non è così complicato come sembra)
Dal testo:
«Perché?» […]
«Perché ho sempre creduto che non mi importasse» […] «Ma mi sbagliavo»
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessuna stagione
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Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene

 

 

35. Simile al cielo

 

 

14 luglio 2009

«Ti piace qui?»

Castiel si piegò sulle ginocchia, immerse una mano nell’acqua «E’ molto tranquillo» gli rispose. 

La debole risacca del lago infrangeva minuscole onde contro la punta delle sue scarpe e appiccicava la sabbia all’orlo dei suoi pantaloni.

«Sì…» Dean si riparò gli occhi con la mano e scrutò l’orizzonte «Sì lo è» 

Il sole campeggiava alto e abbagliante al centro del cielo, annerendo il profilo in controluce delle betulle che costeggiavano la riva, e fin dove lui riusciva a spingere lo sguardo c’erano solo alberi, e bosco, e silenzio. 

Un luminosissimo silenzio azzurro.

«Voglio andare a vedere cosa c’è lì»

Una cinquantina di metri più in su — lungo il crinale della collinetta che degradava lentamente verso il lago — si riconoscevano le assi brune di un tetto spiovente e un comignolo venuto giù per metà. Dean risalì lungo il sentiero, addentrandosi nel boschetto sovrastante, finché non si ritrovò di fronte una piccola costruzione in pietra e legno, di quelle che un tempo dovevano essere casette per turisti.

La piccola veranda all’ingresso era ingombra di foglie secche e spazzatura portata dal vento, ma in compenso gli ci volle meno di un minuto per forzare la serratura marcia. Un filo di impalpabile segatura gli piovve in testa non appena aprì la porta. 

«Beh…» 

Starnutì.

«…tutto sommato pensavo peggio» 

Il villino aveva un solo piano ed era privo d’ingresso — l’entrata dava direttamente sul soggiorno — ma era molto spazioso, anche più di quanto non apparisse da fuori. 

Dean si scrollò via i trucioli di dosso e cominciò a guardarsi in giro. C’erano due camere da letto, un camino, un cucinino e un bagno da rimettere entrambi a nuovo, persino uno sgabuzzino stracolmo di vecchie scope spelacchiate. Le pareti — notò — erano di solida roccia, e le piastrelle del pavimento tutte integre, avrebbero solo avuto bisogno di una buona ripulita.

Certo, le erbacce erano passate attraverso i vetri rotti colonizzando un’intera credenza, le travi del soffitto erano gonfie d’acqua e tutte le superfici languivano sotto venticinque anni di polvere, ma non era niente che non si potesse risistemare, dopotutto.

«E a te…» 

L’anta della porta non era evidentemente più abituata a venire utilizzata, perché anche Castiel aveva i capelli ricoperti di segatura. Lo aveva seguito, sul sentiero acciottolato e poi attraverso il boschetto, e adesso se ne stava appoggiato allo stipite con un’espressione sorniona stampata in viso e le mani affondate nella tasche dei jeans.

«A te piace qui?»

Dean fece oscillare la testa su e giù e assentì, ridacchiando «Si notava molto?» chiese.

«Direi…» Castiel si staccò dalla parete e lo raggiunse in mezzo alla stanza, girando intorno al divano scolorito solo per posargli un bacio sulle labbra «Direi proprio di sì»

«Secondo i vecchi cartelli all’uscita dell’autostrada qui si pescano i migliori persici dello Stato» proseguì il ragazzo «E siamo appena a un’ora da New York» aggiunse in un soffio.

Castiel posò le mani sulle sue spalle «Sono certo che Sam non avrà nulla da ridire in ogni caso» mormorò, spazzolandogli le maniche impolverate «Neppure se decidessimo di trasferirci in Canada» lo rinfrancò, per poi oltrepassarlo e mettersi a perlustrare silenziosamente il cucinino.

Dean gettò uno sguardo all’esterno, alle punte degli alberi che il sole tingeva d’oro. 

In verità gli sarebbe piaciuto proporre anche a Sam e Jack di trasferirsi lì, sulla riva del Tiorati — quella non era certamente l’unica casetta per turisti dei dintorni — ma dubitava che il suo invito sarebbe stato accolto, almeno per il momento.

Da quando gli angeli avevano abbandonato per sempre l’Empire State Building e il loro mondo, una manciata di giorni addietro, nel grattacielo non si faceva che parlare di assemblee, diritti costituiti e libere elezioni. Charlie, in modo particolare, sembrava non avesse intenzione di discutere di nient’altro se non della formazione del nuovo Parlamento e della ripresa delle attività delle fabbriche nell’ex-area metropolitana del West Haverstraw, fabbriche che proprio quel giorno lui, Castiel e un gruppetto di altri uomini erano stati incaricati di ispezionare.

Ad ogni modo — nonostante intavolare con lei un qualsiasi altro tipo di discorso fosse diventato impossibile — Dean non se la sentiva di biasimarla: anche Anna e Gabriel avevano lasciato New York, al seguito dei loro fratelli, e sebbene l’efficienza e gli ordini della ragazza fossero rimasti implacabili come un tempo lui l’aveva sorpresa più d’una volta a guardarsi intorno, smarrita, come alla ricerca di qualcosa che si fosse resa conto di aver improvvisamente perduto. Sia lei che l’Arcangelo avevano comunque promesso di ritornare il più presto possibile, ma adesso anche gli angeli avevano le loro questioni da sbrigare e nessuno avrebbe potuto prevedere quando sarebbero ricomparsi.

In compenso però Jack era rimasto, e lui e Sam erano diventati il braccio destro e sinistro di Charlie al punto dall’essere entrambi interpellati in un infinito numero di questioni — talvolta anche piuttosto delicate e di cui Dean spesso era a malapena a conoscenza — e per questo gli pareva assai improbabile che suo fratello piantasse tutti quanti in asso per darsi alla pesca d’acqua dolce e alle passeggiate nei boschi.

Sollevò il lenzuolo ingiallito che avrebbe dovuto proteggere il tavolo da pranzo, scatenando una piccola bufera di polvere nel soggiorno. 

In quanto a lui, beh… non si poteva dire che condividesse lo stesso entusiasmo di Sam di fronte alla prospettiva di trascorrere i mesi — se non gli anni — seguenti nell’edificio che faceva da sfondo a buona parte dei suoi ricordi peggiori, per giunta con un carico di responsabilità maggiore di quello che già gli gravava sulle spalle. Si fermò a osservare Castiel, affaccendato nel cucinino, che apriva e chiudeva ogni anta o cassetto alla sua portata come a volersi sincerare della tenuta delle cerniere. 

Castiel aveva rinunciato ai suoi poteri l’ultima sera di giugno, dopodiché aveva passato le sue prime tre notti da umano a fissare il soffitto della loro camera a occhi sbarrati. 

I suoi sensi — l’udito, soprattutto — sembravano rifiutarsi di venire a patti con la sua nuova vulnerabilità, e quella folle pretesa di lasciarsi scivolare in un’incoscienza ancora più indifesa semplicemente lo atterriva. 

A ogni parola pronunciata un po’ più ad alta voce o rumore inatteso che attraversava il corridoio e riusciva a raggiungere la loro stanza e i suoi timpani, Castiel sussultava e balzava a sedere come se quelle eco smorzate rappresentassero l’avvisaglia di chissà quale pericolo. A nulla erano servite le rassicurazioni e le carezze esauste di Dean, solo alla quarta notte il corpo dell’ex-angelo aveva fisiologicamente ceduto facendolo crollare in un torpore disturbato, interrottosi comunque prima dell’alba.

Da quel giorno le sue condizioni erano pian piano migliorate — riusciva a mangiare normalmente, le emicranie e il dolore generalizzato erano spariti — eppure il sonno non voleva saperne di regolarizzarsi. I suoi movimenti apparivano ancora affaticati, lenti, le sue occhiaie troppo scure. 

«Avete finito la luna di miele voi due?»

Dean alzò la testa in direzione della voce e la seguì fino in veranda, in tempo per vedere la sagoma spazientita di Crowley sbucare in cima al sentiero.

«Non abbiamo ancora finito il giro!» gracchiò l’uomo, sventolando verso di lui la vecchia cartina fornitagli da Charlie «E io vorrei tornare a New York per ora di cena»

«Sì, sì… Arriviamo…» sbuffò lui di rimando, mentre Castiel lo raggiungeva all’esterno con uno strascico di ragnatele appiccicato al fondo dei pantaloni e chiudeva la porta — per quanto potesse essere utile un’accortezza del genere. Avrebbero impiegato l’intera estate per rendere quell’abitazione nuovamente agibile, rifletté Dean. 

Soltanto che, ben lontano dallo scoraggiarlo, quell’eventualità quasi lo esaltava.

Fecero ritorno al piazzale asfaltato dove era parcheggiato il furgoncino grigio con il quale erano arrivati fin lì e il ragazzo si apprestò ad aprire lo sportello del guidatore.

«Stavolta guido i-»

«Scordatelo, Winchester» 

Crowley si frappose a braccia conserte tra lui e la portiera «Ci ho messo tre settimane per rimettere in sesto questa vecchia carcassa» specificò «Col cavolo che la lascio nelle mani di un ragazzetto che fino al mese scorso non sapeva nemmeno cosa fosse un cambio»

«Ma se ho imparato perfettament-»

«Niente ma, scoiattolino» lo interruppe — per la seconda volta —Crowley, con un'eloquente alzata di sopracciglia «Macchina mia, regole mie, marsc’!»

Dean fece una smorfia e si avviò di malavoglia verso l’altro lato della vettura. 

«La prossima volta…» borbottò «…suggerirò a Samandriel di farti crescere una coda biforcuta anziché dei capelli biondi…»

«CHE HAI DETTO?»  

«Che siamo in ritardo e che di questo passo non arriveremo mai in città per il tramonto» intervenne quieto Castiel dai sedili posteriori, prima che la conversazione prendesse definitivamente fuoco.

Crowley gli scoccò — scoccò a entrambi — un’occhiata omicida ma poi optò per il lasciar cadere la questione, sistemandosi al volante e mettendo in moto, facendo stridere le gomme del furgoncino sulla ghiaia del selciato. Nonostante non fosse più un angelo — dovette convenire Dean — Castiel possedeva ancora un certo ascendente su di lui. 

Specialmente da quando l’aveva accompagnato di persona nella sua vecchia biblioteca.
 

22 luglio 2009

Nemmeno dieci giorni dopo stava caricando lo sgangherato pick-up che Ash era riuscito a rimediargli con gli ultimi — per quella tornata — scatoloni di asciugamani e indumenti di ricambio.

Era una mattinata limpida e altrettanto torrida, neppure una bava di vento risaliva dal mare.

Castiel, nel frattempo, con la schiena poggiata contro la fiancata, tentava di arginare il profluvio di raccomandazioni miste a scuse sotto cui Sam li stava sommergendo dall’inizio della giornata e di fronte al quale il maggiore aveva già capitolato.

Come Dean aveva previsto, a New York c’erano ancora troppe faccende da sbrigare e Jack non era ancora del tutto autonomo perché suo fratello potesse allontanarsi dall’Empire State Building, anche solo per qualche settimana. Ciò non gli aveva comunque impedito di dare una mano con i bagagli, gli attrezzi e quant’altro avrebbero dovuto portare con loro — compreso il materasso assicurato al portapacchi — né di cominciare a stilare una lista infinita di preoccupati consigli non richiesti, neanche stessero per trasferirsi nella giungla, anziché appena a una cinquantina di miglia da lì. 

«Tuo fratello ti vuole troppo bene e Castiel è troppo educato per chiederti di piantarla, Sam, ma se non chiudi quel becco entro i prossimi due minuti credimi che cominceranno a sanguinargli le orecchie!»

Dean sollevò gli occhi dalle sponde metalliche del cassone posteriore e sorrise. Charlie aveva appena oltrepassato le — da pochissimo sostituite — porte a vetri del grattacielo e stava venendo loro incontro: alla fine aveva trovato il tempo di passare a salutarli prima della partenza. 

«Toneremo presto Sammy, non preoccuparti» aggiunse lui, ridendo, verso un Sam improvvisamente azzittitosi «Ci sono ancora un mucchio di cose di cui abbiamo bisogno per i lavori, avrai senz’altro modo di rifarti!»

«Cretino»

Il maggiore incassò in silenzio, ma non per questo smise di sogghignare; Sam brontolò qualcosa di inintelligibile e ritornò ad occuparsi della pressione delle gomme — che aveva già controllato una volta, ma non si poteva mai sapere — mentre Castiel s’infilava nell’abitacolo alla ricerca del manometro.

«Il lago Tiorati, eh?»

Dean aveva appena chiuso lo sportello del cassone quando la ragazza lo raggiunse «E’ un bel posto, devo ammetterlo» gli confidò, allegra, aiutandolo a inserire tutte le sicure.

«Ci sei mai stata?»

Lei scosse la testa «Io no» disse «Ma i miei genitori venivano dalla Pennsylvania e hanno trascorso più d’un estate in quella zona, quando io non ero ancora nata»

«Io non…» Dean si grattò la fronte, imbarazzato: non l’aveva mai sentita nominare la sua famiglia prima di allora «Non lo sapevo»

«Oh, non era poi una cosa così importante…» Charlie scrollò le spalle. 

«Sai, nella lingua dei nativi, la parola ‘Tiorati’ significava ‘simile al cielo’» riprese, cambiando argomento, e il suo tono si era fatto così inaspettatamente morbido «Sono sicura che vi troverete bene lì» sussurrò «Tutti e due» 

«Sì…» Dean annuì.

Seduto sul cofano anteriore, Castiel osservava suo fratello armeggiare con gli pneumatici; ogni tanto Sam gli diceva qualcosa, e lui sorrideva.

«…sì, lo credo anch’io»
 



Impiegarono l’intero pomeriggio soltanto per scaricare il pick-up e ripulire una delle due camere da letto, quella in cui lo strato di polvere che ricopriva la struttura in ferro battuto del letto appariva meno coriaceo. Avrebbero dovuto riparare il tetto, rifare i soffitti e ritinteggiare tutte le pareti, ma avrebbero cominciato il giorno dopo. Non c’era nessuna fretta, i segni che le infiltrazioni d’umidità avevo lasciato sui muri erano dello scorso inverno e l’arrivo dell’estate aveva già asciugato tutto.

Le temperature erano talmente miti che avrebbero addirittura potuto dormire anche all’esterno, se avessero voluto.

Con l’arrivo del crepuscolo si resero conto di aver trascurato un dettaglio fondamentale: l’impianto elettrico del villino era — ovviamente — non più funzionante, e loro non avevano che un paio di torce elettriche e una manciata di candele. Dean di pasti a lume di candela non voleva neppure sentirne parlare — per troppi anni erano stati lo standard nella loro catapecchia in Colorado — e così, alla luce delle pile, lui e Castiel ridiscesero fino al lago e accesero un piccolo fuocherello sulla riva. 

Quando finirono di mangiare era già calato il buio.

Se ne stavano seduti sulla sabbia, schiena contro schiena, e gli unici suoni che emergevano dall’oscurità circostante erano il rumore dell’acqua e il richiamo lontano di qualche uccello notturno; sopra le loro teste, minuscole stelle scintillavano come Dean non le aveva mai viste.

Castiel rovesciò la testa all’indietro, fermandosi con la nuca sulla sua spalla «A che cosa stai pensando?»

«Uh…» Dean trasalì «Ecco… a niente di particolare in realtà» si precipitò a rispondergli «A cosa bisognerà fare domani, i materiali che mancano, e poi…»

Il resto della frase si perse nello sciabordio placido delle onde che s’infrangevano sulla battigia. Castiel girò la testa verso di lui, la punta fredda del suo naso gli sfiorò una guancia.

«Poi?»

«Mh» Dean si schiarì la voce «Promettimi di non ridere»

Sentì Castiel sorridere contro il suo collo. 

«Prometto»

«Domani vorrei fare il bagno»

«Il bagno?»

«Sì»

«Nel lago?»

«Nel lago»

«Ma ti hanno mai insegnato a nuotare?»

Dean ammutolì nel buio, e arrossì. 

«Ehi, avevi promesso!» insorse, quando le sue orecchie intercettarono il gorgoglio divertito proveniente dalla gola di Castiel, che nel frattempo si era spostato al suo fianco.

«Lo so, lo so, riconosco le mie colpe» ammise lui, passandogli un braccio intorno alla schiena «Ma almeno assicurami che finché non imparerai come si deve resterai dove avrò la possibilità di salvarti in caso stessi rischiando di annegare»

Dean gli tirò una spallata facendoli capitombolare entrambi nella sabbia, con Castiel sotto di lui che ancora ridacchiava. 

«E tu invece?» gli domandò «A cosa stavi pensando?»

«Al fatto che mi sento stanco»

Castiel si sollevò sui gomiti.

«Ma non come durante i primi giorni in cui eravamo di nuovo insieme» rifletté «Mi sento stanco eppure mi sento… bene: è una sensazione difficile da spiegare» confessò, abbozzando un sorriso incerto «Chissà, magari stanotte riuscirò a sfondare il muro delle tre ore di sonno ininterrotto» 

Quello sarebbe stato nulla di meno che un miracolo, ponderò Dean, carezzandogli distrattamente un braccio.

«Dai, torniamo dentro» decretò dopo qualche secondo, aiutandolo a rialzarsi «Domani avremo un bel po’ di lavoro da fare»

Percorsero il sentiero a ritroso e fecero ritorno al villino. Si tolsero i vestiti pieni di sabbia sulla soglia della camera da letto e nel lasso di tempo che impiegarono a spogliarsi e mettersi sotto le lenzuola Castiel infilò dieci sbadigli uno dietro l’altro; si accoccolò contro il suo fianco e a quel punto Dean avrebbe solo voluto abbracciarlo di rimando e continuare a baciarlo fino al mattino successivo, ma erano entrambi esausti e così si accontentò di rimanere ad ascoltare il suono del suo respiro che lentamente si regolarizzava.

Pensò a Sam, mentre il sonno prendeva il sopravvento anche su di lui; a Jack; si domandò come avessero trascorso quella prima sera senza di loro. Pensò a Claire, a Charlie, a Gabriel.

Pensò a sua madre, e poi pensò a suo padre. 

Un singhiozzo gli si addensò tra le costole e il suo petto si alzò e si riabbassò con un movimento repentino mentre un brivido gelido lo scuoteva, come se un esercito di fantasmi lo avesse appena circondato.

Dean spalancò di nuovo gli occhi, ma la stanza era vuota. 

Non c’erano spettri negli angoli, né ombre minacciose sul soffitto.

C’era solo Castiel che dormiva, con la testa posata sul suo torace: il suo sobbalzo improvviso non l’aveva svegliato.

Buon segno. 

Un sorriso gli affiorò spontaneamente sulle labbra. Il freddo che aveva avvertito poco prima era già sparito e, fuori dalla finestra, la notte era serena e tersa come vetro levigato. 

L’indomani avrebbero avuto un’altra giornata piena di sole.

 

 

 

 

 

 

 

 

Varie ed eventuali:
-Ringrazio lilyy per aver voluto condividere con me - e con voi - queste due versioni delle famose Ninfee di Giverny, e quest’altra (anonima per quel che so) frase loro associata :)
-Il titolo di questa storia, “The crooked kind”, è il titolo di una canzone dei Radical Face (che tra l’altro parla di due fratelli, anche se non hanno nulla a che fare con i Winchester).

 

 

 

 

 

 

 

 

Ecco.

 

*note molto malinconiche in arrivo con tanto di “Hotel California” degli Eagles in sottofondo*

 

Non è passato neppure un anno da quando ho pubblicato il primo capitolo eppure quel giorno, ora, mi sembra lontanissimo. Sarà che ho cominciato a scrivere questa storia all’inizio del 2019 e - non a volervi tediare sulle sue vicissitudini - ma è rimasta talmente tanto tempo ferma al terzo capitolo, ed è arrivata così vicina al cestino (non tiratemi i pomodori) che ora mi sembra quasi assurdo che io stia davvero piangend-ehm, elaborando queste note. Ma insomma, devo aver trascorso talmente tanti anni a scrivere, riscrivere, non trovare mai le parole giuste e sentirmi insoddisfatta di talmente tante storie da avere ormai un bisogno quasi fisico di portarne a serena e soddisfacente conclusione una così assorbente come è stata “The crooked kind”. Ebbene, spero che almeno un po’ vi sia piaciuta, perché per me questo è stato un viaggio splendido, e il merito è stato in buona parte anche vostro.

Grazie a chiunque mi abbia dato fiducia e seguito questa storia fin qui, grazie a chiunque l’abbia inserita in una delle sue liste. 

Soprattutto, un grazie ENORME (ed è un termine oltremodo riduttivo) a voi lettrici che siete state tanto meravigliose da dedicarmi il vostro tempo lasciandomi una recensione. Questa storia e la sua sgangherata autrice vi devono moltissimo, al punto che potrei riempire dieci altri capitoli soltanto con la parola “grazie”, e penso non sarebbe comunque abbastanza. Per me è stato un onore - e una fortuna decisamente insperata - avervi dall’altra parte dello schermo

Un abbraccio grande,
Loth*

   
 
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