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Autore: Pat9015    28/03/2021    1 recensioni
Circa otto mesi dopo il devastante tornado che ha spazzato via Arcadia Bay, Max e Chloe hanno cercato di andare avanti, ricostruendosi una vita quasi normale a Seattle, nonostante i traumi e i sensi di colpa che si portano dentro. Le indagini sui crimini di Jefferson, però, si stanno rivelando più complicate del previsto e vedono la bilancia della colpevolezza pendere sempre più verso Nathan Prescott, ancora dato per disperso e il cui corpo non è mai stato trovato e la famiglia finita in disgrazia a livello nazionale. Questo, unito a una serie di fatti ravvicinati tra loro, costringerà le due ragazze a tornare nel luogo da cui erano fuggite, costringendole ad affrontare, e questa volta senza poteri, i propri demoni interiori e questioni lasciate in sospeso sotto le macerie di Arcadia Bay.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chloe Price, David Madsen, Mark Jefferson, Max Caulfield, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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15.
 
 
La Toyota Corolla frenò bruscamente entrando del piccolo parcheggio antistante al Fisherman’s Hotspot. Steph non si curò di mollare la sua auto nel bel mezzo della strada, con le quattro frecce. Chloe era già scesa prima ancora che potesse spegnere il motore, mentre Max era in visibile tensione.
La scoperta che una delle vittime che stavano cercando era stata la loro cameriera per una mattina le aveva visibilmente scosse. Avevano guardato e riguardato quella lista ma si erano tuffate a capofitto su Samantha Myers, senza indagare approfonditamente su quei nomi, senza badare al fatto che una Laureen già la conoscevano e che non potesse essere solo un caso.
 
Stupida!
Stupida, stupida, stupida Max!
L’avevi sott’occhio da subito e non ci hai badato! Stupida!
 
Steph le aveva tranquillizzate dicendo che, senza un controllo online, non era semplice capirlo. Non potevano certo presentarsi al diner e dire a una cameriera giovane ‘hey tu sei stata molestata da Jefferson, per caso?’.
Manco a dirlo, non era sicuramente la soluzione migliore e nemmeno quella più discreta.
Eppure nemmeno questo bastò a placare il sentimento di malessere e la sensazione di aver toppato alla grande nell’animo di Max e Chloe.
Avevano percorso la tratta dall’ospedale al diner in Bay City nel più breve tempo possibile, impazienti di recuperare quello che ritenevano il tempo che avevano sprecato andando a Eugene.
Davvero era stato sprecato?
Anche qui, Steph sosteneva il contrario: parlare con Samantha era stata una mossa saggia e utile che le avrebbe aiutate presto a entrare sempre più nella mente di Nathan Prescott, avvicinandole alla soluzione.
Ricordò loro che la lista delle vittime e la ricerca del corpo di Nathan erano due piste separate che avrebbero portato al medesimo risultato: un ulteriore aggravarsi della condanna di Jefferson. Riuscire in almeno una sarebbe stato un successo, entrambe un miracolo.
Indagare su ogni pista non era una perdita di tempo ma, al contrario, uno stimolo maggiore per continuare a inseguire il loro obbiettivo.
Chloe era sembrata sulle spine tutto il tempo, come se tenesse a dire la sua. Steph suppose che avesse scoperto qualcosa anche lei o, almeno, che pensasse di aver trovato qualcosa d’interessante. Questo le sollevò di parecchio l’umore, scacciando il ricordo dell’aggressore della sera prima.
Max, dal canto suo, sembrava euforica e svilita al tempo stesso. Steph volle pensare che la Caulfield si sentisse indietro rispetto alle sue compagne d’indagini, quasi inutile. Poteva sentire gli ingranaggi dentro la sua mente lavorare frenetici, convinti che ci fosse qualcosa che le sfuggisse e, probabilmente, continuasse a sfuggire a tutte e tre.
Chiusa l’auto, una volta fatta scendere l’ultima passeggera, Steph salì rapidamente i gradini, poco dietro le altre due.
Chloe entrò come una furia dentro il diner e fissò rapace il bancone, in cerca della ragazza.
Con una lieve nota di rammarico, non era presente.
Rebecca alzò lo sguardo, fissandole tutte e tre con un misto di sorpresa e confusione nel vederle arrivare con tutta quella foga.
“Non dovreste lasciare l’automobile in mezzo allo spiazzo, donzelle: rischiate una multa salata.” disse loro a mo di saluto.
“Rebecca, non c’è Laureen?” chiese Max, timidamente
L’attempata cameriera del Fisherman’s ora sembrò platealmente sorpresa e le squadrò con curiosità.
“Oggi è di turno nel pomeriggio. Perché?”
“Avremmo davvero urgenza di parlarle.” spiegò Steph
Rebecca ora si fece sospettosa. Incrociò le braccia e, rivolgendosi a Steph, in tono molto meno amichevole del solito la riprese
“Potete aspettare oggi pomeriggio e sposta quella automobile. Adesso.”
“Non possiamo aspettare!” esclamò Chloe allarmata, spalancando le braccia “E’ dannatamente urgente, cazzo!”
“Cosa mai ci sarebbe di così urgente, eh?”
Chloe abbassò le braccia, impallidendo. Non sapendo che dire, sparò la prima bugia che fu in grado di partorire
“Credo che abbia perso un bracciale e lo abbiamo recuperato noi. Magari ci teneva, perciò…”
“Lasciatelo a me: lo posso consegnare io e grazie per il disturbo.” rispose freddamente Rebecca, avvicinandosi al bancone e allungando la mano destra, in attesa di un bracciale che non esisteva.
Vista la tragicomica situazione e comprendendo che le loro bugie mal costruite avrebbero avuto vita molto, molto breve, Max intervenne
“Non c’è nessun bracciale. Scusa se sembriamo così allarmate ma temiamo sia qualcosa di grave: abbiamo visto il ragazzo di Laureen abbracciare un’altra ragazza.”
Ora Rebecca cambiò totalmente espressione, fissando Max con un’aria vagamente incuriosita e contrariata. Approfittando della pausa, decise di rincarare la dose
“Sai, lo abbiamo visto l’altra mattina e… beh insomma ricordiamo vagamente chi fosse, per quello ci è sembrato strano che la ragazza con lui non fosse Laureen. Tu e lei siete state così gentili con noi che per solidarietà volevamo parlare di questa cosa. Privatamente però.”
Rebecca ora incrociò le braccia e scosse la testa
“Era rossa?” chiese
Non sapendo che fare, Max annuì, sostenuta tempestivamente da Chloe che borbottò un ‘cazzo, si!’ a bassa voce. Rebecca sospirò
“Grace Aceveds. Quella stronza ronza intorno al ragazzo di Lau da parecchio tempo. E’ una ex di quel piccolo bastardo e lui non fa niente per allontanarla. Una volta quella rossa si è presentata qui, sapete? Voleva vedere la nuova ragazza del suo ex coglione. Stavo aspettando che facesse una mossa così stupida, così magari Lau si sarebbe decisa a mollarlo. Sono abbastanza certo che, oltre a quella Grace, l’abbia tradita altre volte. Non mi è mai piaciuto!”
Max voleva urlare di gioia. Che fortuna sfacciata! Avevano fatto centro, ora Rebecca sembrava più disposta a collaborare con loro! Doveva approfittarne
“Senti, siccome non mi sembra una cosa carina da dover dire sul posto di lavoro, che ne dici se andiamo a parlarci noi? Sai, magari tra ragazze può essere utile…”
“In fondo abbiamo tutta la giornata libera noi!” aggiunse allegramente Steph, mentre Chloe si limitava a un religioso silenzio.
Rebecca annuì e Max chiese subito l’indirizzo di Laureen.
“Abita in una piccola villetta a Tillamook, all’incrocio con la 7th e Park Avenue.”
Max le sorrise con calore e la ringraziò, mentre le altre due fuggivano già verso l’auto, pronte per affrontare la loro prima vittima di Jefferson.
“Cazzo, eravamo a Tillamook poco fa!” si lamentò Chloe, mentre entravano nella città, per la seconda volta quella mattina.
“Sì, ma senza alcuna idea su dove abiti. Abbiamo sperato che fosse già al lavoro ma almeno abbiamo rimediato l’indirizzo, no? Smettila di essere sempre furiosa, Price: guarda che otteniamo sempre piccole vittorie ad ogni passo che facciamo!”
“Steph, vorrei avere il tuo ottimismo, ma sarò tranquilla solo quando avremo chiuso questa storia del cazzo. Dove si trova la fottuta Park Avenue? Odio Tillamook!”
Max abbozzò un sorriso: l’impazienza rendeva Chloe sempre un po’ buffa. Guai a dirlo ad alta voce, però.
Aveva visto la rabbia di Chloe diminuire sempre di più in quegli ultimi mesi e quando occasionalmente si faceva prendere da questi scatti d’impazienza e rabbia, non era più carica e aggressiva come prima, capace di ferirti con una sola frase. Era più come un’adolescente offesa. Il che era un notevole controsenso, dato che aveva la mentalità di una donna ormai adulta in tutto e per tutto.
Ma questa era Chloe Price: un puzzle di vent’anni composto di tanti bizzarri colori che rappresentavano un mosaico di vita complicato, più di quanto una persona come lei meritasse di aver vissuto. Si augurò con tutto il cuore che il suo pensiero fosse vero: che a fine di questa storia, sarebbe stata serena e in pace definitivamente.
Girovagarono ancora per Tillamook alla ricerca della loro destinazione finché, imboccata la 6th, videro un incrocio che recitava ‘Park Avenue’.
“Cazzo, finalmente!” gridò Chloe “Gira a destra!”
Ma prima che potesse finire la frase, Steph aveva già messo la freccia e stava seguendo Park Avenue, verso la 7th. Con loro immensa fortuna, la casa di Laureen era sulla destra, all’incrocio, come aveva detto Rebecca.
La zona ricordava moltissimo lo stesso quartiere dove abitava Chloe e, fino a pochi anni fa, Max stessa, solo molto più grande e spazioso. Il classico sobborgo americano, con vie costellate di villette familiari così simili tra loro ma tutte rese uniche dai loro inquilini. L’aria che le avvolgeva era pacifica e per niente contaminata da pensieri o azioni cupe. Si poteva faticare a immaginare che, in una di quelle, vivesse una ragazza che era stata traumatizzata da un uomo adulto del quale si fidava.
Parcheggiarono di fronte alla casa, che riconobbero grazie alle foto postate su Facebook in cui la potevano intravedere. Aveva un tetto marrone scuro e le mura di legno di colore bianco perla. Il giardino, ben curato, ospitava due pini giganteschi, che mettevano parzialmente in ombra l’abitazione. Il vialetto d’accesso, circondato da alternati cespugli rigogliosi, era composto di pietre levigate. Percorsero in fretta la breve distanza che le separava dalla porta d’ingresso e suonarono alla porta senza alcuna esitazione. Con qualche istante di attesa, ad aprire loro si presentò Laureen stessa. Era in tenuta sportiva, forse era così che stava in casa o si stava allenando in camera sua. Aveva una canotta aderente, pantaloncini corti e piedi nudi. I capelli chiari erano raccolti alla bene e meglio in una crocchia, lasciando però delle ciocche ai lati e di fronte che le ricadevano sul viso arrossato. A Max ricordò mostruosamente Kate Marsh e questo, comprese, non poteva essere un caso.
 
 
….cerco l’innocenza…..
 
 
“Oh!” esclamò con enorme sorpresa Laureen, spalancando gli occhi “Siete voi…. Questa si che è una visita inaspettata. Come mai da queste parti?”
“Oh beh sai passavamo di qua e ci chiedevamo ‘Perché non andare a salutare la ragazza che lavora al Fisherman?’ e cosi….”
Max e Steph fissarono Chloe con disappunto. La sua pessima uscita era totalmente insensata e la faccia confusa di Laureen ne era una prova più che evidente.
“Perché? Vi ho mai detto dove abito, per caso? Non me lo ricordavo affatto.”
Appunto.
Steph mugolò impazienza e si fece avanti
“Scusala: non è abituata ad essere delicata. Di solito è sfacciata e non dice cazzate ma c’è sempre una prima volta, no? Dobbiamo parlarti, Laureen. Urgentemente.”
La ragazza non accennava a cambiare dalla sua espressione di pietrificata sorpresa, non lasciando intendere se questo fosse un segnale positivo o negativo.
“Scusa ma tu saresti…?”
“Stephanie Gingrich. Chiamami Steph e siamo tutte più felici, ok? Dunque, possiamo sederci da qualche parte o preferisci ascoltarci qui all’ingresso di casa?”
Laureen era ora più confusa che sorpresa e Max poté comprendere facilmente il perché di quello stato d’animo. Decise che, per rispetto, era inutile girarci intorno e si fece avanti, chiarendo la faccenda
“Laureen: dobbiamo parlare di Jefferson.”
La ragazza ora sbiancò totalmente a quelle parole. Puntò lo sguardo su Max e rimase pietrificata, stringendo le labbra fino a renderle sottili. Le pupille erano buie, svuotate e il rossore della fatica della palestra fatta in casa si attenuò sulle sue guance.
“Non so di cosa stiate parlando.” mormorò a bassa voce, allungando una mano sulla maniglia “Credo stiate sbagliando persona. Ora se volete scusarmi…”
Max scattò e la prese per il polso sinistro, costringendola a fermarsi. Laureen, per un istante, sembrò feroce, come un animale in trappola e pronta a difendersi
“Ti prego. Abbiamo bisogno di parlarne con te.”
“Non so di cosa…”
“Non mentire, sappiamo tutto.” disse Chloe
“Esatto. Non vogliamo essere ciniche ma il tuo nome è tra quello delle vittime.” aggiunse Steph
Laureen ora era palesemente inorridita e pronta alla fuga. Max, lievemente, strinse la presa attorno al polso, pronta a strattonarla se avesse tentato la fuga dentro la casa. Odiava quello che stava facendo e si sentiva non dissimile dal loro comune carnefice ma aveva bisogno di risposte. Era la loro, molto probabile, unica occasione di scoperchiare quell’orribile vaso di omertà e crimini.
Puntò il suo sguardo dentro gli occhi di Laureen, come a comunicarle telepaticamente che non avevano cattive intenzioni
“Come sapete che…”
“Come lo sappiamo non importa, Laureen.” tagliò corto Steph “Credimi, noi per prime vorremmo non sapere. Ma qualcuno deve fare qualcosa.”
“Non potete costringermi a…”
“No, non possiamo, è vero.” disse Max “Ma tu, forse, puoi darci la possibilità di ascoltarci. Lasciarci spiegare e provare a farti comprendere quanto tu possa essere importante non solo per noi, ma per tutte le ragazze che sono finite vittime di quel bastardo. Soprattutto per Rachel Amber e Kate Marsh. Ti prego, dacci questa sola occasione.”
Laureen era combattuta.
Non riuscì a nascondere, sul suo viso, confusione, paura, pietà e rassegnazione. Il suo braccio destro, ancora allungato e sospeso tra la maniglia e il corpo, si pietrificò nell’indecisione mentre chissà quali pensieri si scontravano dentro la sua giovane testa. Dopo un interminabile minuto, sospirò sconfitta. Max, avvertendo il cambiamento, lasciò finalmente andare il polso della ragazza, che si rilassò un poco.
“Non so se voglio sentire la vostra storia.” mormorò Laureen “Non so se…”
Non fece in tempo a finire la frase: una donna sulla cinquantina aveva spalancato la porta. Era abbastanza trascurata, capelli biondi e chiari ma malamente raccolti, occhiali da vista e una veste leggera estiva da casa. Squadrò il gruppetto con occhi carichi di ansia e sospetto.
“Laureen? Che fai qui fuori? Chi sono loro?” chiese con un tono incerto
La ragazza, prima di voltarsi, roteò gli occhi velocemente. Poi, indicandole velocemente con una mano, rispose
“Mamma, tranquilla: sono solo delle clienti abituali. Le vedo spesso al lavoro e ci fermiamo a fare quattro chiacchiere nelle giornate tranquille. Erano di passaggio e hanno voluto farmi un saluto, tutto qua.”
La madre di Laureen, dubbiosa, lanciò una occhiata penetrante e lunga a Max, Chloe e Steph, come se cercasse di capire che stessero pensando in quel momento. Poi, con un mugugno e un cenno di assenso, distolse lo sguardo
“Va bene, ma non rimanete fuori troppo con questo caldo.”
“No, mamma. Ora arrivo.”
La signora rientrò e Laureen chiuse la porta senza quasi darle tempo di far passare l’ultima ciocca di capelli biondi.
“Resteremo qui fuori a parlare, chiaro? Tanto c’è un po’ di ombra, per ora.” disse
“Beh, potremmo anche andare nel giardino o in camera tua: tanto tua madre ci ha viste, ormai.” commentò Chloe.
“Non se ne parla!” sibilò Laureen, gelida “Avete visto anche voi no? E’ paranoica e ansiogena. Non intendo far entrare in casa estranei: voi ve ne andreste e poi a me toccherebbe l’interrogatorio. Già mi tartasserà perché ora sarà convinta che vi abbia dato io il mio indirizzo!”
Chloe alzò le mani in segno di resa, mentre Steph si limitò a un ‘ok’. Max, invece, non si espresse ma rimase con gli occhi puntati su Laureen, in attesa che si calmasse e fosse pronta ad ascoltarle.
“Dunque? Che volete da me?” chiese
“Te lo abbiamo detto: ascoltaci. Poi, se riusciremo a farti capire la gravità della situazione, dicci la tua storia.”
Laureen era furiosa. Incrociò le braccia e fissò negli occhi Max e, con un cenno del mento, la invitò a parlare. La ragazza non attese oltre
“Come sai, io e Chloe abbiamo smascherato i crimini di Jefferson. Ti risparmio tutti i dettagli, dato che li avrai già sentiti e non credo che ti interessino quelli che non hai sentito. Saprai anche che, grazie alla difesa del suo avvocato, Jefferson potrebbe tornare libero prima di quanto sia possibile immaginare: McKinsey è un figlio di puttana e potrebbe riuscire nell’intento di farlo passare come insegnante troppo diligente e di buon cuore, che ha occultato un cadavere e totalmente inconsapevole dei crimini di Prescott. Senza il cadavere di Nathan, le possibilità che la sentenza vada in quella direzione sono alte. Però ci sarebbe una seconda strada: la confessione spontanea delle vittime. Molte non sono rintracciabili, oppure è passato troppo tempo e non ci sono prove sufficienti per dimostrare che fossero state drogate e coinvolte contro la loro volontà o non vogliono parlare. Quelle che, invece,  potevano comprometterlo più di tutte le altre sono morte, ovvero Rachel Amber e Victoria Chase. Non possiamo permettere che questo avvenga, non intendo vederlo libero prima di qualche millennio: ma non posso farcela da sola. L’ho sbattuto in carcere una volta, non so se riuscirò a impedire che ci resti a lungo. Non posso trovare Nathan Prescott, vivo o morto. Ho bisogno che le vittime si facciano avanti: ho bisogno di te. Racconta la tua storia, ti prego.”
Laureen sembrò non smuoversi dalla sua posizione, rimanendo all’apparenza imperturbabile.
Max, con un ultimo disperato tentativo, aggiunse
“Vorremmo solo che tutte noi, soprattutto voi vittime, possiate avere pace e giustizia. Non possiamo farcela se nessuna di voi farà il primo passo.”
La giovane cameriera si passò le mani sul viso, come a rilassarlo, poi si sedette a terra, contro la porta di casa.
“Sedetevi: non sarà né piacevole né breve.”
Obbedirono e si sedettero come poterono davanti a lei.
“Vuotate le tasche e mettete tutto davanti a me. Cellulari spenti.” ordinò Laureen con un tono secco e deciso.
“Hai paura che possiamo registrarti di nascosto?” ironizzò Steph.
“Sì.” replicò gelida lei.
Senza più nulla da obiettare e, con l’intento di farla parlare e non che si rimangiasse l’intento di farlo proprio ora, obbedirono. Disposero i loro pochi effetti personali davanti a loro e spensero i cellulari prima di riporli a terra. Laureen sembrò gradire e parve rilassarsi leggermente.
“La scorsa estate ero al lavoro. Da due anni sono assunta al Fisherman’s, cioè da quando ho terminato gli studi perché volevo mettere da parte dei soldi per l’università. Ho una borsa di studio ed economicamente non avrei problemi, anche se ne fossi sprovvista. Solo che odio l’idea di dipendere dai miei. Mio padre non c’è mai, lavora per la Holliburton ed è più in Medio Oriente che in casa. Vista la sua assenza e la zona dove risiede, mia madre vive in costante paranoia. Da giovane è stata aggredita da uno sconosciuto che lei sostiene essere stato Ted Bundy, ma non ha prove e la sua dichiarazione non ha mai trovato riscontro. Però credo che qualcuno abbia tentato di violentarla quando aveva circa la mia età dato che, da quando sono nata, è sempre stata eccessivamente paranoica e morbosa verso di me. Solo che durante l’adolescenza ho iniziato a non sopportarla, al punto da credere di avere un esaurimento in corso. Non potevo nemmeno godermi una passeggiata con le mie amiche che potevo trovarmi una sua chiamata o un suo messaggio ogni dieci minuti. Perciò, volevo mettere via soldi non solo per gli studi ma per andarmene il più lontano possibile da qui. Sogno il Colorado ma anche il Massachusetts… insomma non lontano da qui. Basta che potessi godermi in pace la mia vita.
Non vi dico che tragedia sia stata quando le dissi che avrei iniziato a lavorare. Per il primo anno non potei fare i turni di chiusura notturna: se li dovevo fare per forza, veniva a prendermi lei nonostante l’auto l’avessi nel parcheggio. Perfino la mia relazione è un segreto: non sa che mi vedo regolarmente con un ragazzo da più di sei mesi. Forse per quello che lui mi tradisce: so per certo che si è scopato un’altra e mi auguro solo che non sia la sua ex. Ma come posso avercela con lui, con quello che lo sto costringendo a passare? Inoltre, dopo la scorsa estate, è già strano che mi fidi di un altro uomo. Già, la famigerata scorsa estate di cui vi stavo parlando….. Beh ero al diner e ho notato che, ogni mattina, veniva quest’uomo. Si sedeva sempre nel solito tavolino, non molto distante in cui vi siete sistemate voi due, ordinava la stessa colazione e rimaneva sempre per circa due ore, leggendo libri di fotografia. Era affascinante, non lo nego: sulla quarantina, aria da intellettuale alla moda, ben vestito e in forma. Non sapevo chi fosse ma si faceva notare pur non facendo nulla. Poi passai a fare i pomeriggi per un paio di settimane e per qualche giorno non lo vidi finché, dopo quasi quattro giorni di assenza, lo vidi regolarmente venire a metà pomeriggio, prendersi del caffè e uno spuntino veloce. Sospettai che mi stalkerasse e chiesi informazioni in maniera vaga e… sorpresa! Un docente della Blackwell Academy! E che docente!”
“Mark Jefferson.” mormorò Max
“Già.” annuì Laureen “Ovvio che era lui. Un fotografo famoso e insegnante di una delle scuole più esclusive dell’intero Stato. Mi faceva strano ma la mia curiosità era placata e non badai più a lui ma, dopo un mese circa di appuntamenti silenziosi, un giorno che il diner era praticamente vuoto, mi si avvicinò al banco. Mi chiese come mi chiamassi e se avevo intenzione di studiare perché notava che fossi giovane e trovava strano che fossi una cameriera. Spiegai lui che stavo solo risparmiando e mi fece una proposta: posare come modella. Mi avrebbe pagato per un servizio esclusivo. Lui era un fotografo famoso ed io, fingendo di non saperlo, mi mostrai sorpresa e interessata. Mi avrebbe pagato cinquecento dollari per un set siccome mi trovava perfetta per il mio viso, le mie forme e altre stronzate che non ho ascoltato. Nella mia mente c’erano solo le parole ‘cinquecento dollari’ e questo mi bastava. Una cifra così e per farsi scattare due foto. Specificai che non volevo posare nuda ma lui rispose quasi offeso e consigliandomi di vedere qualche sua opera in internet per capire il suo stile. Mi scusai e risposi che avrei preso una decisione entro il giorno dopo, ma in realtà avevo già deciso. Speravo solo che potesse alzare la posta, anche solo di cinquanta dollari, ma non lo fece: sorrise, mi salutò e mi diede appuntamento al giorno dopo. A casa, ragionai solo su come evitare di dire a mia madre che andavo in uno studio con un uomo di quarant’anni e di cinquecento dollari che sarebbero comparsi sul mio conto. O forse no, forse sarebbero rimasti nascosti nel mio cassetto assieme alle mance o altri risparmi. Fanculo, avrebbero aiutato moltissimo quei soldi e li volevo. Così, il giorno dopo, accettai e mi disse se potevo raggiungerlo in macchina perché aveva una location inusuale. Mi lasciò le coordinate su un foglio e sul navigatore saltò fuori che era in mezzo ai boschi qui in zona. Mi disse che aveva un progetto in mente, qualcosa di naturalistico. Così, quel sabato presi un giorno di ferie e mi recai nel posto prestabilito all’ora che ci aveva indicato, circa per il tardo pomeriggio. Era Luglio ma voleva una luce tenue, più vicina al tramonto, perciò arrivammo per le diciotto.”
“Arrivammo?” chiese Chloe
Laureen chinò il capo, rammaricandosi
“Si. Mi sono portata mia cugina di diciassette anni. Ogni tanto viene qui a trovarmi e si ferma a dormire per qualche giorno, in estate anche per una settimana. Era appena arrivata e, siccome ero entusiasta della cosa, ne parlai solo con lei. Mi ha supplicato di portarla con me, voleva assistere a un vero set fotografico, con un vero professionista all’opera. Promise di mantenere il segreto con mia madre e, con la scusa di fare un giro con lei, devo ammettere che mi ha semplificato non poco la cosa, cosicché mia madre si allarmò meno del solito. Cazzata gigantesca da parte mia. Lei è così… bella…. Dolce e con un carattere così aperto e generoso, che non fa che far innamorare costantemente chiunque la conosca. Diciamo che è nata fortunata, no? Perciò la portai con me perché mi sembrava una cosa carina accontentare quel suo piccolo desiderio e, diciamocelo, farla anche vedere a un fotografo professionista! Cazzo, immaginate cosa poteva consigliarle per il suo futuro, con quel viso che si ritrova. Volevo solo che le desse consigli….”
Prese una pausa. Era delusa verso se stessa e non faceva nulla per nasconderlo. Le tre si scambiarono una rapida occhiata ansiogena: temevano per la sorte di due ragazze ora.
“Come si chiama tua cugina?” chiese timidamente Steph
“Non la troverete tra le vittime, mi dispiace. E scordatevi che vi dirò come rintracciarla: fatevi bastare la mia storia, ok?” sibilò Laureen freddamente “L’ho già rovinata io.”
“Non volevo andare da lei, credimi. Ma come fa a non essere stata catalogata come vittima presunta?” rispose Steph
“Sono risaliti a me grazie alle testimonianze dei clienti del diner. Hanno affermato che veniva spesso e, visto il mostro che è, la polizia ha dedotto che era a caccia. Ci hanno messo poco a capire che ero io, visto che le mie colleghe sono tutte sopra i quarant’anni e ragazze giovani tra i clienti, in estate, ve ne sono davvero poche. Quindi mi hanno rintracciata e fatto domande, ma non ho voluto espormi ne confermare. Però ho capito che se non avessi parlato, oltre che tranquillizzare mia madre, avrei protetto mia cugina: nessuno l’aveva vista con me quel giorno, niente testimoni. Perciò non si trova in nessun rapporto e in nessun pettegolezzo.”
“Cazzo, potrebbero essere molte di più allora.” borbottò Chloe “Magari altre che non ha sedato e rapito, altre come la cugina di Laureen: adescate senza testimoni e fotografate altrove, non ad Arcadia.”
“Sicuramente. Specie nel periodo precedente a quando è venuto qua in Oregon a insegnare.” aggiunse Max che, come a stimolare un senso di responsabilità, fissò negli occhi Laureen “Un altro stimolo a incastralo con ogni mezzo.”
Laureen colse l’allusione si limitò a sbuffare prima di riprendere il racconto
“Arrivammo in anticipo al luogo concordato. Era non molto distante da Arcadia Bay ma in mezzo ai boschi, molto isolato. Lui aveva preparato tutto: un telo bianco appeso con un filo tra due alberi per allestire un piccolo set e un altro senza telo, completamente in mezzo alla natura. Mi sentì estasiata e fortunata: voleva davvero fare qualcosa di artistico con me, non solo freddi scatti di posa. Ero rapita e non mi accorsi con che sguardo famelico osservò mia cugina. Ne rimase incantato e le propose di aiutarlo, di farle da ‘assistente’, promettendole di farle un paio di scatti come ricordo prima di chiudere la giornata. Per una mezz’ora abbondante fu un set professionale e lui molto esigente: mi aveva anche portato due abiti da indossare, un bianco perla e un blu elettrico. Erano bellissimi e dall’aria costosa… Non ci badai, ero totalmente rapita e cominciai a fantasticare che ne avrei tratto qualcosa di molto di più che cinquecento dollari. Forse era un primo passo per arrivare più in alto di quanto sperassi in vita mia. Ci offrì da bere, dopotutto era estate inoltrata e non faceva esattamente fresco, perciò accettammo. Sembravano bottigliette d’acqua normali e, soprattutto, sigillate. Dio mio, che pessimo errore!”
Si nascose la faccia tra le mani e le ragazze udirono distintamente dei singhiozzi soffocati. Non fiatarono e la lasciarono sfogare per un paio di minuti, prima che si riprendesse e concludesse il suo racconto.
“Ci risvegliammo che era buio, in macchina. Era logico che non ci arrivammo noi, ma ci mise dentro come se fosse stato cosi. Io ero rivestita malamente, mentre mia cugina non aveva più il suo reggiseno. Ci dolevano ad entrambe i polsi e le caviglie e avevamo dello sporco sulla schiena e nei capelli. Mi sentivo, però, sporca in una maniera diversa, più profonda….più intima….. Decidemmo di non parlare mai di questo. Lei se ne andò due giorni dopo, ancora non parlava granché ma evitò abbastanza mia madre perché non potesse insospettirla. Non l’ho più vista da allora. Io Avrei voluto andare in terapia, ma questo avrebbe comportato troppe domande. Mi sono sforzata di dimenticare, ma ogni tanto sento dentro di me qualcosa di guasto, di sporco, che vorrebbe riaffiorare. Mi sono fidanzata con il primo coglione che ho trovato per sopperire e tornare ad avere una vita normale, ma è sempre dura. Sempre.”
Steph batté una mano sulla gamba e fissò in cagnesco Laureen
“E tu vuoi tacere? Ti rendi conto di quello che ti ha fatto? Che VI ha fatto? Davvero vuoi stare qui, in silenzio, nella tua prigione di ansia materna, sperando di dimenticare? Beh, spoiler principessa: non funzionerà! Anzi peggiorerà. Tu e tutte quelle che hanno scelto il silenzio, state rovinando la vostra stessa salute e presto metterete in libertà un mostro perché non avete trovato il coraggio di farvi avanti.”
“Steph!” la richiamò Max, sconvolta e sorpresa per la durezza della ragazza “Insomma, un po’ di…”
“Un cazzo, Max! Noi siamo qui che ci sbattiamo per loro e ci troviamo davanti non una, ma chissà quante ragazze come questa qui che se ne stanno zitte! Possiamo raccogliere tutte le prove che volete, ma quello ce lo metterà nel culo assieme al suo viscido avvocatino, perché LORO non parlano! Certo, non è mai facile parlare di queste cose, posso immaginare cosa si possa provare ma non accetto che si voglia lasciare in libertà quel verme solo perché la nostra vita deve continuare, solo in apparenza, liscia e normale. Sono stufa di vedere apparenza da social per ostentare una perfezione inesistente: è ora di incazzarsi e spaccare il muso a sti fottuti uomini con il cazzo mal funzionante. Laureen? Fa quel cazzo che ti pare, ma se Jefferson sarà scagionato tra due anni, spero che la tua coscienza non ti schiacci più di quanto non faccia già mammina.”
Si alzò e se ne andò. Chloe, allarmata per quella scenata, scattò in piedi e si mise a inseguire la sua amica. Max, rimasta sola con Laureen, ora visibilmente scossa, cercò un tono più conciliante
“Scusala: non ama questi argomenti. Specie perché abbiamo da poco scoperto che …. Beh una sua amica ha subito cose abbastanza pesanti da un ex e… credo che debba ancora processare quello e la tua storia l’ha mandata fuori di testa.”
“Vi state tutte e tre martoriando la testa per questa faccenda, credo. Ma non capisco perché. Non siete qui in gita di piacere o per la madre di Chloe, vero? Non siete venute fino a Bay City per rilassarvi, corretto?”
Max annuì
“Diciamo che l’intenzione era quella ma i nostri scheletri sepolti nell’armadio di Arcadia Bay hanno presentato il conto. Sapevo che avrei dovuto affrontare ciò che avevo lasciato in sospeso… speravo solo di avere più tempo per essere pronta.”
Poi, Max alzò lo sguardo verso Laureen
“Spero che tu, invece, ne abbia. Non ti dirò di aiutarci, perché non è per questo che sono qui. Sono qui per chiederti di aiutare te stessa e le altre vittime, tra cui tua cugina. Se tu prendessi coraggio, forse altre lo farebbero e ti seguirebbero. Ma non posso obbligarti, ne sono cosciente. Perciò, se decidi di tacere, ti auguro solo che gli scheletri nel tuo armadio si prendano più tempo per esigere di essere affrontati, a differenza di me e Chloe. Cerca solo di essere felice. Io te lo auguro.”
Le accarezzò la mano con delicatezza, mentre Laureen la fissava sbalordita. Poi si alzò, le sorrise e se ne andò, dirigendosi verso l’auto, lasciando la giovane e bella cameriera sotto il suo ingresso all’ombra, sperando vivamente che almeno lei potesse tornare a vivere quanto prima, mentre per se stessa augurava presto di trovare un’alternativa a tutto quel casino.
 
 
Steph e Chloe erano appoggiate all’auto. Sembrava che avessero appena finito di confrontarsi: Steph aveva le braccia incrociate e una smorfia di disappunto sulle labbra, mentre lo sguardo era fisso sull’asfalto accanto all’auto. Chloe, invece, teneva la mano sinistra appoggiata su una spalla di Steph, a mo’ consolatorio, le labbra piegate in segno di preoccupazione e tristezza e lo sguardo fisso sulla nuca dell’amica.
“Hey…” mormorò Max “Tutto bene?”
Steph annuì, ma Chloe negò
“No, Max. Steph lo sa di aver esagerato e si dispiace, ma non vuole scusarsi. Non la biasimo, ma questa storia ci sta provando tutte e mi sento in colpa perché lei non c’entrava. L’ho trascinata io.”
“Piantala, Price!” tuonò Steph “Sapevo in cosa mi stessi infilando e non me ne sono tornata indietro, mi pare. Fanculo, mi girano solo perché non abbiamo ottenuto nulla. Mi darò da fare per trovare qualcun’altra, non intendo darla vinta così facilmente a Jefferson.”
Chloe parve diventare insofferente. Incrociò le braccia stizzita e disse
“ Ora volete dare retta a me? E’ da stamane che cerco di farmi ascoltare: ho un’idea. Magari sarà una colossale stronzata, oppure potrebbe essere qualcosa di utile.”
Max s’incuriosì nel sentirla parlare e Steph sembrava un po’ più rilassata
“D’accordo.” disse quest’ultima “Che hai in mente? Che pensi di aver scoperto?”
Chloe sorrise
“Torniamo a casa mia. Parliamone con calma.”
Risalirono sulla Corolla di Steph e fecero rotta verso Arcadia Bay, ma prima si fermarono in un piccolo centro commerciale e presero qualcosa da mangiare a casa Price.
Dopo circa un’ora, erano dentro la camera di Chloe, con sacchetti di patatine, bibite, panini e molto altro, mentre mangiavano scomposte a terra.
“Beh? Che hai fcoperto?” bofonchiò Max, con la bocca piena
Chloe trangugiò un pezzo di pizza fredda con un sorso di birra e poi si alzò con fare solenne
“Max, credo alle tue parole: qui abbiamo tutto. Noi abbiamo già la soluzione, abbiamo tutto ciò che ci occorre, ma non riusciamo a collegare i pezzi. Poi stamattina, mia madre mi ha ricordato una frase che diceva sempre mio padre: tutto ciò che ci occorre è già qui, sepolto sotto i ricordi e le esperienze, o qualcosa di simile. Il punto è che mi ha fatto scattare una scintilla! Non dobbiamo limitarci ai ricordi e alle esperienze di questa settimana e nemmeno dell’ultima passata qui ad Arcadia. Possiamo sfruttare cose più indietro, io posso farlo!”
Andò verso la cartina e indicò un punto imprecisato a nord della città di Arcadia.
“Perché l’hanno sepolta qui? Perché Jefferson e Nathan avrebbero dovuto nasconderla nella discarica, dalla parte opposta della città, rispetto a dove l’avevano assassinata?” e indicò un punto più in basso, dove si trovava la vecchia fattoria Prescott, molto più vicino all’attuale residenza della famiglia di quanto non pensassero “Non avrebbe senso, giusto? Con tutti i boschi e gli alberi, perché proprio lì?”
“Per allontanarne i sospetti se fosse stata ritrovata?” chiese Steph “Difficile collegarla a una fattoria abbandonata dall’altro capo della città ma tutt’altro discorso se fosse stata nascosta nei boschi a pochi chilometri da essa: sarebbe risultata sospetta e un ideale luogo per un omicidio.”
“Esatto!” disse Chloe “Ma non è solo questo. Max?”
La ragazza si sorprese nel sentirsi chiamata in causa. Gli occhi pieni di entusiasmo e fiducia di Chloe, con quel mezzo sorriso vittorioso, suggerivano che tremasse dalla voglia di dire tutto ma voleva vedere se lei lo aveva intuito. In realtà, aveva solo vuoto dentro di se. Era ancora troppo sconvolta per Laureen. Fece uno sforzo, cercando di non copiare le parole di Steph
“Credo che fosse anche perché era lontana da qualsiasi altro posto a lei riconducibile.” borbottò poco convinta, ma il sorriso sul volto di Chloe s’allargò e immaginò di aver fatto quasi centro.
“Ci sei quasi! Fuochino. Nessuno poteva immaginarla lì, perché nessuno poteva sapere che era il nostro rifugio. Portarla lì, in un posto che  la sua famiglia e quasi nessuno ad Arcadia Bay poteva collegarla era perfetto. Ma, come ho detto, quasi nessuno ad Arcadia lo sapeva, tranne me e qualcun altro.”
“Nathan, no?” disse Steph
“Certo, ma che io sappia Nathan non ne era a conoscenza. Non mi ha mai fatto accenni, non l’abbiamo mai visto avvicinarsi e non credo che Rachel tenesse a confessare a quello spocchioso dove andasse ogni tanto. Perciò, dubito che il piccolo Prescott abbia potuto dirlo a Jefferson, a meno che non ci fosse stato qualcun altro che avrebbe potuto dirlo o farselo scappare. Qualcun altro che sapeva: Frank.”
Max ebbe una illuminazione
“Ma certo! Frank sapeva! L’ho conosciuto proprio alla discarica, quando dovetti minacciarlo con la pistola di David!”
“Tu hai minacciato qualcuno? E lo hai fatto con una pistola? Davvero? Tu, Max?” chiese sbalordita Steph
Chloe e Max ignorarono la ragazza e si fissarono
“Esatto, Max. Frank rientra in quella piccola cerchia di persone che poteva sapere che la discarica era il nostro rifugio segreto. Inoltre, lui e Prescott erano entrati in ottimi affari, come ben sappiamo tu ed io. Nathan era diventato il suo cliente numero uno e, assieme a Rachel, il ponte perfetto per lo spaccio dentro la scuola. Insomma, avrebbero potuto essere legati in qualche modo. Comunque non sono convinta che lo abbia detto a Nathan.”
“Ok, ora sono confusa.” disse Steph “Perché non avrebbe potuto confessarlo? Se, come hai appena detto tu, c’era tutto questo legame tra loro…”
“Perché conosco Frank abbastanza bene da affermare che Nathan sia esattamente il tipo di ragazzino che lui odia: ricco e viziato, oltre che studente della Blackwell. Nemmeno se si fossero fatti qualsiasi tipo di droga assieme, si sarebbe lasciato sfuggire qualcosa che riteneva privato, specie se riguardasse Rachel, ora che sappiamo che avevano una relazione.”
“Ok, ora non ti seguo più. Perché tirare in mezzo Frank se ora dici che non avrebbe mai parlato?” chiese Steph
“Perché, anche se non avesse mai parlato apertamente della discarica, potrebbe aver dato suggerimenti diversi a Nathan. Oppure, Nathan potrebbe averlo dedotto da solo facendo domande riguardanti una certa persona che tu, Steph, hai conosciuto indirettamente. Una persona che era, disgraziatamente, venuta a conoscenza della discarica come nascondiglio ma che non avrebbe potuto dirlo in giro: Damon Merrick.”
Steph spalancò gli occhi per un istante, poi esclamò
“Damon! Certo! No, scherzo: continuo a non capire.”
Chloe sembrava soddisfatta: per una volta era lei a portare avanti le indagini con il suo intuito e stava godendosi il momento
“Merrick era alla discarica quando ha aggredito Rachel. E’ lì che è stata ferita quasi mortalmente da lui ed era in compagnia di Frank. Ora, Damon è stato gentilmente fatto sparire dalla circolazione proprio da Frank stesso, quindi….”
“Quindi Nathan potrebbe avergli fatto domande scomode a riguardo. Oppure domande su come far sparire un corpo. Domande che avrebbe poi riferito a Jefferson, dandogli un'idea su come crearsi una scappatoia con il corpo di Nathan…..” concluse Max “Cazzo, Chloe: sei un genio.”
La Price sorrise fiera
“Lo so, grazie amore. Direi che non sarebbe male andare a fare un salto a trovare Frank più tardi, no?”
Steph si mise in piedi allarmata
“Wo, wo , wo frena Price. Ok, quasi tutto liscio, a parte alcune falle nel tuo ragionamento: Frank non dice nulla della discarica dell’ammmmore ma parla apertamente di come ha fatto fuori un tizio e lo abbia abilmente nascosto per tutti questi anni? Specie perché era Drew il contatto nella scuola e Damon non penso abbia mai preso in considerazione Prescott, all’epoca. Un po’ bizzarro, non trovi?”
“Non credo glielo abbia riferito, ma non possiamo nemmeno escludere che Nathan non sapesse nulla di Damon. C’è stato un vuoto di potere dalla morte di Damon e la partenza di Drew: nessuno riforniva gli studenti e nessun spacciatore sembrava prendere il posto di Damon. Poi arriva Frank che sostiene di fare gli affari al posto di Merrick e per qualche mese i ragazzi vanno direttamente da lui ma poi è Nathan a caricarsi delle principali quantità da girare agli studenti, ricreando la catena di distribuzione dentro la Blackwell che era stata interrotta. Non mi sembra improbabile che Nathan abbia fatto domande su come funzionasse e avesse saputo della scomparsa di Damon. Non dico che abbia fatto confessare Frank, nessuno l’ha mai fatto, ma potrebbe aver capito qualcosa che gli sarebbe tornato utile, come il collegamento tra Rachel e la discarica. Dico solo che conviene scoprire cosa sapeva Nathan e, di conseguenza, cosa avrebbe potuto scoprire Jefferson per occultare Nathan.”
Steph ora annuiva
“Ha senso.”
Max, invece, non si espresse. Non sapeva più che pesci pigliare e quel ragionamento sembrava comunque una possibilità concreta di trovare il bandolo della matassa. Sentiva che forse era davvero questo che stavano cercando, ciò che era convinta che si trovasse davanti a loro da tutto il tempo. Fissò in tralice la cartina di Arcadia Bay e sospirò: basta nascondigli, basta segreti. Rinasci senza più ombre.
“Beh, direi che possiamo andare a parlare con Frank, più tardi.”concluse Chloe, con un sorriso trionfante.


16
 
 
Erano quasi le sei del pomeriggio quando la Toyota Corolla blu di Steph Gingrich entrava nel parcheggio del South Fork Forest Camp. Le tre ragazze erano nervose, ma per motivi diversi.
Chloe era nervosa perché teneva moltissimo a confermare la sua teoria e magari svoltare definitivamente la ricerca del corpo di Nathan, avvicinandole definitivamente alla soluzione.
Steph era nervosa perché quella giornata  (ma anche quella precedente) aveva segnato e di molto la sua serenità. Provava sensazioni miste, dalla felicità di aver finalmente delle amiche, all’insicurezza di avventurarsi in un carcere maschile dalla ridicola sicurezza.
Max era nervosa perché sentiva che la sua ansia e i suoi ricordi premevano per colpirla non appena si sarebbe rilassata: i suoi sensi di colpa e il suo trauma si stavano facendo strada a spintoni nel suo animo e temeva che un racconto di Frank, per quanto fosse utile, avrebbe sancito definitivamente un addio alla sua salute e stabilità mentale.
Marciarono spedite verso l’ingresso, ognuna presa dai propri pensieri e riflessioni, paure e angosce. Non parlarono, non si guardarono nemmeno: dovevano solo arrivare a Frank e scoprire tutto quello che era possibile per tornare indietro, almeno stavolta, soddisfatte e non sconfitte.
“Ok, ci parlerò io. D’accordo?” propose Chloe mentre si addentravano nella struttura, verso la sala delle visite. Le altre due annuirono: era la cosa più logica, dato che Chloe lo conosceva meglio.
Frank era in un tavolino diverso dall’ultima volta che erano venute a fargli visita, più lontano e sulla sinistra, quasi isolato dal resto del gruppo. Si sorprese di vedere Steph con loro e non nascose minimamente tale sorpresa dal suo volto.
“Ciao Frank! Speriamo di non averti disturbato con questa visita!” disse allegramente Chloe “Lei è Steph, una mia vecchia compagna di scuola. Te lo dico, così smetti di essere così stupido che il nostro team sia cresciuto e risparmiamo sui convenevoli.”
Ma Steph allungò ugualmente una mano in segno di educata presentazione e Frank ricambiò la stretta. Dopodiché, si accomodarono di fronte all’uomo.
“Perché ho l’impressione che voi non siate qui per una visita di cortesia?”  chiese l’ex spacciatore, una volta che passò in rassegna i volti delle tre ragazze di fronte a lui.
“Come sei sospettoso, Frank. Volevamo solo vedere come stavi!” mentì malamente Chloe.
Frank non se la bevve e fulminò Chloe con lo sguardo
“Non sei mai stata brava a mentire, Price. Che ci fate qui?”
Chloe roteò gli occhi all’indietro e  sbuffò
“Ok, ok Frank. Siamo qui perché abbiamo bisogno di chiederti se hai mai parlato con Nathan Prescott riguardo posti in cui si poteva nascondere un corpo.”
Frank digrignò i denti
“Ti sei bevuta il cervello, Price? Che cazzo di domande mi fai? “
“Beh, visto la situazione con Dam…”
“NON..” tuonò Frank, prima di calare di tono per non attirare l’attenzione “….non nominare Merrick. Non è successo niente, chiaro?”
Chloe alzò le mani in segno di pace
“Hey, sai che ti devo la vita a riguardo. Non sono qui per sputtanarti, solo che Nathan era un tuo cliente fisso, magari ti ha fatto domande strane e tu hai, involontariamente detto qualcosa.”
“Perché?” sibilò lui “Perché questa curiosità?”
“Sai già la risposta.” disse Steph “Sei molto più sveglio di quello che sembri. Sai benissimo che sta succedendo.”
Frank le lanciò una occhiataccia e uno sbuffo di dissenso
“Un’altra ricerca del cazzo, eh? L’ultima volta non è andata bene.”
“Beh, sotto un certo aspetto, si.” Commentò sarcastica Steph, guadagnandosi un’altra occhiataccia da parte di Frank, a cui lei non badò prima di riprendere “Se non fosse stato per loro due, forse Jefferson l’avrebbe fatta franca del tutto e, con il tornado, chissà dove sarebbe finito ora. Meno male che hanno investigato, anche se il risultato non era quello che volevate.”
Frank sembrava sempre più insofferente verso di Steph ma non replicò. Chloe, invece, ne volle approfittare per dire la sua
“Quello che la mia amica vuole dirti, Frank, è che abbiamo bisogno di te. Ti prego, raccontaci in che rapporti eri con Nathan. Potresti essere il nostro miglior aiuto, al momento. Abbiamo bisogno di incastrare questo tassello.”
L’ex spacciatore di Arcadia Bay si rabbuiò. Congiunse le mani e chinò il capo, sforzandosi di rilassarsi un poco, regolando il respiro.
“Non posso.” mormorò infine
“Perché? Sai qualcosa?”
Frank rialzò lo sguardo, fissando negli occhi Chloe
“No. Ma se voi tre dovreste avere ragione, io sarei fottuto, chiaro? Non so cosa potrei aver detto a quel piccolo bastardo, ma se è morto e sepolto se lo merita per quello che ha fatto a Rachel!”
Chloe si allungò verso di lui, sfiorandole una mano
“Ma è proprio per lei che dovremmo farlo, Frank. Merita la verità. Merita giustizia e la meritano anche tutte le altre vittime di Jefferson. Si, Nathan l’ha uccisa ma è Jefferson ad averlo plagiato fino a portarlo a fare quello che ha fatto. Ti prego Frank….”
“Non posso, Price.” ripeté Frank “Mi odio per quello che è successo a Rachel, mi odio tantissimo. Non trovo pace ma non posso dirvi nulla. Se poi scopriste davvero dove è sepolto Prescott? Cazzo, potrei essere fottuto definitivamente, no? Mi sento una merda a mettere me stesso davanti a Rachel ma, cazzo, non voglio restare qui troppo a lungo. Voglio uscire e rimettere a posto al mia vita di merda anche per lei. Ho fatto troppi casini.”
Chloe ritirò la mano e fissò Frank con un misto di compassione e delusione. Max vide svanire l’entusiasmo dal volto della sua ragazza e decise di dire la sua, pentendosi subito per quello che stava per dire
“Ti manca Pompidou, vero?”
Frank la osservò stupito
“Si, certo. Ma che c’entr…”
“Hai paura che, se rimanessi qui per troppo tempo, potresti non vederlo più, giusto?”
“Si, certo ma non penso che me lo possano impedire per sempre se…”
“Ci prenderemo cura noi di lui. Nessun sconosciuto, nessun canile malcurato. Io e Chloe ti promettiamo che baderemo a Pompidou per ogni giorno in cui sarà necessario, in attesa che torni da te.”
Chloe s’illuminò. Aveva inteso l’idea di Max e non tardò a rincarare la dose
“Sai, Max a Seattle ha un giardino niente male. Scommetto che starebbe comodo. Inoltre, possiamo sempre venire qui una volta al mese con lui, a trovarti.”
Frank ora sembrava depresso e sconvolto. Fissò intensamente Max
“Tu lo prenderesti con te?”
Max sorrise in risposta
“Non ho mai avuto un cane, ma sai che mi piacciono. Mi farebbe piacere aiutarti e accudirtelo per un pochino.”
“Ma se io non dovessi…”
“Uscirai.”disse Chloe “Non è detto che succeda il peggio, Frank. Possiamo sempre evitare che succeda. Forse non troveremo mai nulla. Dobbiamo provare e possiamo solo prometterti che, comunque vada, ci faremo carico di Pompidou per te. Te lo promettiamo.”
Frank era una maschera di emozioni contrastanti: sollievo, rammarico, delusione. Squadrò le tre ragazze, soprattutto Max, poi disse
“Se dovesse succedere qualcosa…. Se dovesse andare male…. Cioè intendo bene per voi ma male per me, vorrei che trattaste Pompidou come se fosse vostro. So che starà bene: stranamente vi ha sempre trovate simpatiche.”
Max sorrise in risposta
“Lo vedrai spessissimo, te lo prometto. In qualche modo, anche se dovessimo andare via da Seattle.”
Frank abbozzò un sorriso e annuì
“Cercherò di essere breve. Ci sono un paio di episodi, forse tre, in cui io e Prescott parlammo un po’. Me li ricordo abbastanza bene…. Magari riuscirò a rendermi utile per voi.”
Si accomodò sulla panca, prese un respiro e cominciò  a raccontare…..
 
 
 
Il tramonto lungo la costa era da sempre uno dei momenti preferiti e uno dei pochi motivi per la quale non aveva ancora abbandonato Arcadia Bay. Era stata una estate assurda ed era tornato da poco in città. Le acque sembravano essersi calmate ma c’erano ancora dei piccoli imprevisti da sistemare. Ci avrebbe pensato poi, ora voleva solo godersi il tramonto sulla spiaggia dopo tutte quelle settimane di assenza. Prese una birra ghiacciata dal frigo, uscì dal suo camper e si sedette sulla sedia, abbandonandosi alla quiete di fine estate, con la brezza marina a lambire la sua pelle. Avrebbe dovuto pensare velocemente a come risistemare gli affari della zona e far sapere a un paio di persone che contava che era vivo e che era di nuovo in pista.
Sbuffò.
Odiava trovarsi ancora in quella situazione, ma non aveva avuto altra scelta.
La macchia di sangue sul camper, perlomeno, era stata cancellata nel frattempo. Almeno un piccolo problema in meno era risolto.
Con la coda dell’occhio, vide avvicinarsi una figura alla sua destra. Piegò il capo un poco, il necessario per vedere meglio chi stesse tentando di avvicinarsi a lui.
Era un ragazzino adolescente, magro e con una faccia smunta, capelli biondo cenere e una maglietta semplice ma palesemente di marca.
“Sei Frank Bowers, vero?” disse con una voce timida
Merda: aveva a malapena adagiato il culo nei confini di Arcadia e già i piccoli tossici erano in cerca di erba di bassa qualità da pagare con la paghetta settimanale. Inoltre, era ancora estate! Cazzo, quanto mancava alla scuola? Due? Tre settimane? Già venivano a rompere i coglioni!
“E tu chi cazzo saresti? Che vuoi?”
Il ragazzo sembrava ora intimidito. Cercò, balbettando, di dare una risposta
“V-volevo solo dell’erba…. Vorrei distrarmi un po’….”
“E perché pensi che l’abbia io?”

Il biondino si fece piccolo piccolo e, con voce tremante, disse
“Beh mi hanno detto di cercare un certo Frank che viaggia sempre con un camper…… almeno così mi dissero alcuni compagni di classe…. Sei il primo che vedo con un camper e non sembra un turista, in tutta l’estate…. Non che Arcadia Bay pulluli di turisti, giusto?”
Maldestro e insicuro, ma qualcosa in lui lo convinceva poco. Frank non voleva tenerselo tra i piedi ancora per molto. Si alzò e lo squadrò da capo a piedi
“Quindi vieni da me e insinui che io sia uno spacciatore, che abbia della droga e che la venda a dei piscialletto. Ora, perché non dovrei incazzarmi e cacciarti a calci nel culo?”
“Perché posso pagare. Non sto accusando di nulla, sto solo chiedendo se…. Ecco se posso comprare dell’erba, tutto qui.” si giustificò lui, alzando le mani e impallidendo.
Bene, allora era un finto duro.
“E dimmi: come intendi pagarla? Con la ricca paghetta del tuo facoltoso paparino?”
Sorprendentemente, il ragazzo annuì. Si mise una mano nella tasca ed estrasse una banconota. Fece per allungarla verso Frank, tremante, che si sorprese nel vedere che era un biglietto da cinquanta dollari.
“Scherzi, vero? Cinquanta sacchi per dell’erba? Chi cazzo sei, un milionario?”
Il ragazzo ridacchiò
“Quasi.”
Frank ebbe una illuminazione

“Sei un Prescott, per caso?”
Il ragazzo ora arrossì ed annuì: voleva vantarsi della sua ricchezza ma non voleva essere associato alla sua famiglia.
“Quindi, più che la tua paghetta, quello potrebbe essere al massimo l’anticipo. Aspettami qui.”
Entrò nella sua casa mobile e frugò in uno degli scaffali in alto. Non aveva scorte: le poche che possedeva le aveva vendute per campare durante quelle settimane. Trovò un barattolo con dentro ancora quattro canne. Ne prese una e la esaminò: sembrava ancora in buono stato.
Tornò all’esterno e porse la canna al giovane Prescott, che la esaminò con curiosità.
“Almeno sai fumare?” chiese, vedendo la faccia stranita del ragazzo
“Certo!” rispose lui offeso, ma Frank ebbe la sensazione che stesse mentendo
“Bene. Me la pagherai la prossima volta. Non ho da cambiare cinquanta dollari.”
Frank pensò che, con ogni probabilità, non avrebbe ricevuto un centesimo per quella canna ma poco importava: ormai poteva non essere più di buona qualità, perciò non ci avrebbe rimesso granché. Prescott lo ringraziò sinceramente e se ne andò, non soffermandosi molto con altri convenevoli.

Convinto che non l’avrebbe mai più rivisto, tornò alla sua birra e a godersi il tramonto.
Circa un mese dopo, però, dovette ricredersi.
Settembre era ormai iniziato da un pezzo e Frank aveva ripreso gli ‘affari’ . Aveva lasciato un tempo più che necessario perché le acque si calmassero anche nella sua area di competenza e aveva, ormai, ufficialmente preso il posto di Damon. Il passo non comportò grossi problemi, dato che era sempre stato il braccio destro di Merrick, quindi la sostituzione nella piazza di spaccio di Arcadia non fu un problema per i fornitori. Anzi, meglio cosi: Frank era meno problematico rispetto a Damon e dava più garanzie. Inoltre, il Procuratore Amber non sembrava più interessarsi al giro di spaccio in città e non aveva mai messo sotto torchio seriamente Frank, quindi che egli fosse il nuovo e unico spacciatore della baia era solo un guadagno aggiuntivo.
Frank si era stabilizzato a sud, non lontano dal quartiere benestante di Arcadia e dalla vecchia fattoria dei Prescott. Era la zona più serena in quel periodo dell’anno e, prima di tornare alla spiaggia, il luogo che preferiva e che aveva eletto a piazza di spaccio principale, voleva approfittare di quella quiete per organizzarsi al meglio.
Convinto che nessuno sarebbe arrivato a rompere le palle, si sentì tradito nel profondo nel trovarsi il giovane Prescott a pochi passi da lui, un pomeriggio di metà Settembre, che si dirigeva a passo spedito e sicuro dopo aver parcheggiato un pick-up nuovo, rosso fiammante.
Frank pensò che quella era l’esatta immagine del tipico studente della Blackwell Academy, ovvero il cliente sicuro e spendaccione ma anche un sacco da boxe fattosi uomo.
“Hey, Bowser!” salutò allegramente Nathan, con la mano e un sorrisetto da rompergli i denti.
“Prescott…” borbottò in risposta, ancora incerto se incazzarsi o ascoltarlo
Nathan frugò nelle tasche. Portava dei jeans normalissimi ma sicuramente di marca. Indossava con orgoglio la felpa rossa fiammante della Blackwell e sotto sbucava una polo firmata. Estrasse, infine, la mano dalla tasca e porse a Frank una banconota da dieci dollari.
“Dovevo saldare un debito. Tieni pure il resto, come interessi per queste settimane di silenzio.”
Lo spacciatore osservò dubbioso la banconota per qualche istante, poi l’afferrò con decisione
“Non sono il tipo che chiede interessi. Non ancora, almeno. Ti darò il tuo resto.”
“No, non preoccuparti. Al massimo, se vuoi, convertimeli in erba a questo punto. Cosi ci guadagni anche tu.”
Frank fece le spallucce. Poteva fregarlo ma pensò che, almeno per ora, poteva tenerselo buono. Giusto il tempo per far ripartire il giro. Con un cenno, gli disse di seguirlo e lo mise ad aspettare fuori dalla porta del suo camper. Lasciando l’uscio aperto, mentre cercava la droga, continuò a parlare con il ragazzo facoltoso.

“Sai, non capita spesso che uno dei Prescott venga a chiedere erba. Che io sappia, sei il primo della tua famiglia.”
Sentì uno schiocco di lingua provenire da fuori e, subito dopo, Nathan parlare
“Può essere. Mia sorella è abbastanza tranquilla: ha scelto la fuga anziché la droga. I miei sono troppo bigotti per darsi alla droga. Il resto della famiglia non so manco che cazzo combini.”
Frank sbucò fuori nuovamente, porgendo il sacchetto con la droga a Nathan, che lo prese senza ringraziare.
“Senti, Bowser…. Avrei anche un’altra richiesta…”
“Se ti servono droghe più, per così dire, elaborate dovrai attendere: primo perché il mercato sta ripartendo ora, secondo perché se inizi ora con l’erba, fossi in te aspetterei a calarmi roba più pesante.”
“No, intendevo altro….. sai, ora tu sei al posto di Damon e a scuola non c’è più North…”
“Non mi interessa… quel toro da football era il galoppino di Merrick, io non voglio rotture di cazzo con studenti…”
“Ma un aggancio ti potrebbe fare comodo, no? Potrei essere io il tuo Drew North, anzi sarei mille volte meglio in confronto a quel coglione.”

“Ehi, non ti sembra di esagerare? Cosa cazzo pensi di fare? Da insignificante signor nessuno figlio di papà a novello Scarface? Senti bello, se vuoi comprare le droga da me, sei il benvenuto, ma non venirmi qui a fare discorsi da narcos perché potrei solo riderti in faccia.”
Frank notò un cambio nell’espressione di Nathan. Una sorta di ira cieca era sbucata per un istante nel profondo degli occhi del ragazzo, salvo poi svanire. Gli rivolse un sorriso beffardo e disse

“Forse hai ragione, per ora. Ma appena il tuo giro tornerà  a crescere e io sarò ben ambientato alla Blackwell, fidati che faremo affari insieme e tu guadagnerai moltissimo, amico mio.”
“Davvero? E come sai che sarai popolare?”
Nathan allargò le braccia
“Sono un Prescott: le donazioni compreranno la mia notorietà e non solo. Ho un progetto in mente: prenderò possesso dell’elite della scuola, lasciando gli sfigati ammessi per sbaglio ai margini. Sono stufo di essere schiacciato da tipi come North: cambierò le carte in tavola, fidati. Quando accadrà, credimi, sarai contento di avere me come contatto nella scuola. Scarface mi può fare una sega.”
Concluse questo pomposo proclama, si voltò e se ne andò.
 
 
“Ammetto che lo trovai presuntuoso e il classico pezzo di merda snob, ma qualcosa mi suggerì che non era solo un proclama pieno di arie. Ero sicuro che avrebbe fatto quello che sosteneva. Quando, quella estate, lo conobbi e mi disse quelle cose, per un mese non lo vidi più. Poi, per un anno circa, divenne mio cliente fisso. Comprava principalmente erba, nulla di esagerato. Pagava in anticipo, mi lasciava spesso gli spicci come ‘disturbo’ e non si fermava tanto, qualche chiacchierata di cortesia ma nulla di che. Poi, con il nuovo anno scolastico, cominciò a dimostrarmi che il suo piano stava prendendo forma. Mi chiedeva sempre più erba, mi disse che era per altri e che, se avessi voluto, mi avrebbe mandato gente a comprare. Oppure, poteva pensarci lui. Non lo voleva fare per i soldi, ma solo per sentirsi importante. Davvero, quello lavorava quasi gratis, non gli fotteva niente. L’unica cosa che voleva è che gli garantissi la totalità del controllo alla Blackwell o di zone che, occasionalmente, trovava interessanti. Di solito erano punti di ritrovo per studenti, ma lì diventava più difficile lasciarlo fare, mentre a scuola non avevo certo problemi. Quindi si, alla fine divenne il mio Drew North.” spiegò Frank “Dopo quasi due anni, il giro era stato creato. La Blackwell viaggiava spedita e, quando non c’erano le droghe disponibili da Nathan, loro venivano direttamente da me, mandati sempre da lui. Solo dopo la merda che è venuta fuori, ho scoperto che allungava le droghe con le sue medicine. Che pezzo di merda. Nel frattempo, mi disse che il traffico era in continua crescita e voleva presentarmi una potenziale collega che aveva bisogno di soldi. Mi garantì che era brava e intenzionata a fare bene il suo dovere, oltre al fatto che in popolarità era la sola a batterlo, perciò poteva essere una garanzia come un ulteriore modo per raggiungere i pochi studenti che si premunivano lo sballo da soli. Fu così che conobbi Rachel: me la presentò Nathan. Era bellissima, cazzo. Ma era una ragazzina, non potevo certo guardarla con occhi diversi se non di un uomo maturo che vede una adolescente sgamata che fa gli occhi dolci per avere quello che vuole. Cazzo, che fregatura che è stata! Acconsentì e, poco dopo, io e Rachel cominciammo a frequentarci. Il resto, immagino, lo sapete anche voi. Quello che non sapete e potete magari trovare interessante, è la discesa verso il delirio che Nathan Prescott fece in quei mesi. Era peggiorato tanto, ma finché c’era Rachel sembrava contenersi. Nell’ultimo anno, però, cominciò a preoccuparmi…..”
 
 
 
Era sera, quasi mezzanotte.
Non sapeva dirlo di preciso. Era alticcio e si era fatto un po’ di canne. Cazzo era stata una primavera di merda! Rachel lo aveva abbandonato e continuava a soffrire. Mancava nella sua vita come l’aria, mancava costantemente. Quella stronza impertinente era entrata nella sua vita come una sorpresa di cui non credeva di essere meritevole. Non era il suo corpo, le sue labbra o i suoi occhi…. Era tutto. Lei era tutto. La sua forza, la sua determinazione, la sua caparbietà lo avevano annichilito e sedotto negli ultimi mesi. Si erano lasciati perché lui era un coglione, certo. Però sapeva che poteva riconquistarla, in qualche modo. Doveva solo lasciarla sbollire…. O scopare qualcun altro.
Cazzo, il sospetto che si scopasse un altro uomo era fortissimo! Ne era quasi certo. Non tutti gli uomini sono così stupidi da non cogliere certi segnali, specie se solo di raffreddamento e di distanza. L’avrebbe lasciata fare e poi l’avrebbe riconquistata.
Peccato per un piccolo dettaglio: era scomparsa.
Da quasi un  mese oramai, Rachel Amber era svanita nel nulla. Nessuna traccia, nessun messaggio, nessun testimone…. Niente.
Si, voleva fare la modella.
Si, voleva scappare con la Price via a Arcadia Bay (quelle due erano convinte che il loro piano super segreto fosse noto solo a loro due, ma mezza città lo sapeva e, forse, anche il padre di Rachel ne era al corrente.).
Si, voleva stravolgere la sua vita….
Ma svanire così?
Non che sembrasse strano che avesse abbandonato tutti, compresa Chloe, per andarsene: rientrava perfettamente nell’indole di Rachel: se non puoi seguirmi, allora non correre nemmeno.
Ma un biglietto… un avviso….
Da due giorni aveva visto comparire dei volantini di segnalazione di scomparsa…. Era certo che non fosse stata la famiglia. Ancora opera di Chloe? Possibile: era abbastanza cazzuta da farlo. Era una testa calda ma era una brava persona e, conoscendo la tragedia che aveva passato anni fa, ammise a sé stesso che provava compassione. Chloe, benché litigassero sempre, era una sorta di sorella minore per lui. Teneva a quella ragazza ma con dei limiti che non voleva che ella superasse.
Dove cazzo era, Rachel?
La sua mancanza, amplificata dalla sua scomparsa, non stava aiutandolo granché a metabolizzare che non l’avrebbe più vista nuda sopra il suo letto.
Buttò giù mezza birra con un paio di sorsi rabbiosi e sperò che i pensieri s’annebbiassero, scacciando la malinconia. Sperava davvero di poter tornare a dormire serenamente, invece di proseguire con notti insonni, alternate da sogni e speranze in cui Rachel bussava alla sua porta, implorando di entrare di nuovo.
Avrebbe trovato la pace anche se avesse scoperto che lei era in California, viva e serena. Anche se fosse stata con un altro.
Basta che vi fosse pace nella sua mente e nel suo animo.
Purtroppo, quella sera aveva tutta l’intenzione di virare verso una direzione sgradita: la spiaggia fu brevemente illuminata da due fari artificiali di una automobile. Il rombo del motore e il freno schiacciato malamente e bruscamente, ne confermarono la presenza. Il guidatore aveva, malamente, parcheggiato all’ingresso della spiaggia, lasciando pochi dubbi che fosse venuti lì per lui. Avrebbe dovuto incazzarsi ma, al tempo stesso, non poteva certo pretendere che la gente sapesse come si sentisse. Ma chi poteva essere? Price? Nah, il motore sembrava decente….
Meno di un minuto dopo ebbe la sua risposta.
Nathan Prescott si sedette pesantemente a terra. Aveva la faccia sconvolta, pesanti occhiaie e guance scavate. Indossava una polo azzurro chiaro e jeans scuri, braccia molli e adagiate sulle ginocchia ossute. Sembrava più pallido e smagrito che mai.
“Brutta serata?” chiese Frank
Nathan non rispose subito. Rimase imbambolato a osservare l’oceano, a pochi metri da loro.
“Hai qualcosa? Qualcosa che mi svegli come si deve?” chiese con voce fioca
“No, finito quasi tutto. Solo erba, ragazzo. Domani vado a Tillamook e mi rifornisco. Con i vostri Vortex Party mi finite tutto, cazzo.”rispose Frank, con un mezzo sorriso, ma Nathan non parve entusiasta ne interessato
“Peccato. Mi farò una canna allora. Te la pago la prossima volta, sono senza portafogli ora.”
“Non occorre, questa te la offro. Ma vedi di non girare senza quel coso, se dentro hai la patente… se ti fermassero gli sbirri…”
“Li compro. Li ho già comprati. Non mi fermeranno mai e se lo facessero, appena sentono il mio nome sanno che non devono rompere i coglioni.”

Frank sbuffò: queste ostentazioni di potere di Prescott ancora lo urtavano dopo tutto quel tempo. Si alzò e prese una canna da dentro il camper e la porse a Nathan che, ringraziando con un mugugno, l’accese e prese una boccata enorme.
“Che cazzo ti è successo? Hai una faccia….”
“Nulla. Periodo di merda. La Blackwell inizia a diventare un fottuto labirinto da cui non vedo l’ora di uscire, questa città è sempre più una fogna abbandonata da ogni Dio e la mia famiglia è un cazzo di scherzo…. A volte invidio quella stronza egoista di mia sorella per essersene andata….”

“Dove sta, adesso? Nicaragua?”
“Brasile…”
“Ah si, giusto… Brasile….”

Pausa.
Altro sorso per Frank.
Altra boccata per Nathan.
“Se non vuoi parlarne, non ti obbligherò, Prescott.”
“Siamo amici? Non pensavo fossimo intimi, Bowser.”
“No, non lo siamo. Siamo soci. Ma capita che anche tra soci si parli, sai? Specie per il bene degli affari. Se la Blackwell ti fa schifo, vuol dire che vuoi qualcuno che ti sostituisca?”

“Cazzo, no! Ho ancora troppi agganci e il prossimo anno arriveranno i novellini del corso pre – Universitario. Quel cazzo di corso inutile e inventato toccherà seguirlo anche a me, perciò devo tenere ancora banco io. Il Vortex Club è mio, ora. Lo useremo come copertura finché sarà possibile. Mi serve, ne ho bisogno…”
“Per distrarti?”

Nathan si voltò a guardarlo confuso
“Che?”
“Per distrarti…. Ripeto: hai una faccia…. È chiaro che non stai bene.. che cazzo ti piglia, Prescott?”
“Anche tu hai una faccia da funerale da un po’ di tempo, ma so farmi i cazzi miei, a differenza tua.”
“No: tu sei solo più bravo a fottertene degli altri.”
Nathan tornò a fissare l’oceano con un ghigno indecifrabile sul viso
“A volte è così.” disse infine.
Frank finì la sua birra. Poi si alzò, ne prese una seconda ghiacciata dal frigorifero e tornò a sedersi. Nathan non batté ciglio. Rimase immobile e finì di fumare.
“Vuoi parlarne?”
“Di cosa? Che cosa può interessarti quello che mi passa per la testa, Bowser?”
“Nulla, ma credevo ti potesse far bene.”
Altra pausa, altro silenzio. Solo lo sciabordio delle onde. L’oceano era nero come l’inchiostro, la brezza stava velocemente raffreddando l’aria e presto sarebbe arrivata l’ora di tornare dentro e provare a dormire, di nuovo. Stavolta, senza sonniferi.
“Se si cadesse dal faro?”
Nathan sputò quella domanda all’improvviso, lasciando Frank con la bottiglia di birra sospesa a mezz’aria, a pochi centimetri dalle labbra.
“Che vuoi dire Prescott?”
“Se qualcuno cadesse dal faro, dici che verrebbe mai ritrovato?”
“Questo non saprei dirlo. Difficile, però… sai, la corrente è forte anche in periodi di calma, in quel punto. Inoltre, se il corpo fosse senza troppi pesi, dopo un certo periodo potrebbe riemergere, ma chissà dove. Forse mai più o forse al largo, chi lo può sapere.”
“E’ lì che hai scaricato il corpo di Merrick?”
Frank s’incazzò moltissimo a quella domanda e rinunciò alla pacatezza, sbattendo la birra con violenza sul bracciolo, al punto che una discreta quantità si riversò fuori con un getto schiumoso
“Che cazzo hai detto, tu? Come cazzo ti permetti di insinuare che io abbia ucciso e scaricato Damon..”
“Andiamo Frank, non incazzarti. Lo sanno tutti, ma non hanno prove per incastrarti. Mi sono informato alla polizia, tanto sono dipendenti di famiglia. Non hanno nulla e James Amber se ne fotte della fine di quel coglione. Ma se non vuoi dirlo, ok. Quindi non lo hai scaricato al faro, d’accordo, non mi frega. Quello che mi interessa sapere è se mi buttassi con delle pietre in tasca da lassù, finirei a fondo e quello che rimarrebbe di me sarebbe legato al fondale per un bel po’, no?”
Frank ora era stranito. Lo osservava con curiosità e preoccupazione

“Che cazzo stai dicendo? Vuoi suicidarti?”
Nathan mostrò di nuovo quel sorriso beffardo.
“No. Non ancora per lo meno.”
“Senti, queste cazzate fattele passare dalla testa, chiaro? Evita di parlarne con altri. Ne hai parlato con qualcun altro?”

“No.”
“Bene. Evitalo. Potrebbero non capirlo o prenderti per strano. Se hai bisogno di parlarne e sfogarti, piuttosto vieni qui e facciamoci una canna.”

“Pago già gente per psicoanalizzarmi. Non occorre che tu lo faccia.” rispose gelido, salvo poi scusarsi timidamente
“Evita di pensarle, certe stronzate.”concluse Frank, porgendoli la birra rimanente che, con un gesto della mano, Nathan rifiutò. Frank fece le spallucce e la trangugiò
“Dove pensi che sia finita Rachel?” chiese poi lo spacciatore
Nathan rimase impassibile. Fece le spallucce e mormorò un tiepido ‘non lo so’.
“Pensavo foste amici. Non ti ha mai detto nulla?”
“No. Amici… termine un po’ esagerato, non credi? Eravamo soci, certo. Eravamo amichevoli, certo. Amici, forse no. Ma è una delle poche persone che tolleravo alla Blackwell.”
Mentiva, glielo leggeva in faccia. Frank sospettò che Nathan fosse innamorato perso di Rachel, che ne fosse affascinato mostruosamente ma, al tempo stesso, sembrava sincero nel dire che non sapeva dove fosse finita.

“Capisco.” rispose, senza intenzione di proseguire la discussione, capendo che da lui non avrebbe ottenuto nulla.
“Hai paura che sia cascata dal faro?” chiese Nathan “Oppure pensi che senza la nostra socia, gli affari andrebbero a puttane?”
Ora toccò a Frank mentire
“No, nulla di tutto questo. Non vorrei che la polizia ci venga a fare domande scomode.”
“Non succederà: non la stanno nemmeno cercando. Il padre di Rach, James – stronzo -  Amber ritiene che la figlia sia scappata per fare la modella. Ha mandato un paio di pattuglie a perlustrare la zona e fare qualche domanda, ma nulla di serio. Se ne frega la sua famiglia, se ne frega la città… forse siamo solo io e te, gli spacciatori, a chiederci dove sia. Oltre a quel tizio che mette volantini ovunque. Ma dopotutto, se lei se ne è voluta andare, perché dovremmo preoccuparcene anche noi?”

“Perché non ci credo e nemmeno tu ci credi. Te lo leggo in faccia.” disse Frank, stufo delle bugie di Nathan. Il ragazzo si sorprese di quella uscita e guardò Frank sbigottito
“Io…io non…”
“Prescott, piantala. Sei preoccupato e anche tu non credi che sia un allontanamento volontario. Ci speri, ma pensi che non sia così.”

Nathan si alzò. Sembrava nervoso, impaziente.
“Non so nulla, ok? Quella è sparita dopo una festa del Vortex. Sembrava ok, si divertiva. Domenica non rispondeva già più ai messaggi e Lunedì era svanita nel nulla. Che cazzo ti devo dire, che è normale? NO. Sembrava preoccupata o inseguita da qualche stalker? Cazzo, no.  Nessuno ha mai capito Rachel Amber e, se ti interessasse sapere, era una ottima bugiarda. Non per niente era la migliore al corso di teatro, sai? Chissà quante cazzo di cose ci ha nascosto quella là.”
Sembrava innervosito. Frank pensò che, visto che ne era innamorato, Nathan si sentiva tradito da Rachel. Forse odiava l’idea che se ne fosse andata senza dire nulla a lui o magari chiedendo di seguirla in quella avventura.
Povero coglione.
Rachel era una leonessa: non la si domava con i soldi o i bei vestiti. Rachel non avrebbe mai chiesto: andava solo seguita. Se non voleva essere seguita, non lo avrebbe mai reso possibile. Ecco perché era svanita.
“Se non fosse fuggita, invece? Se qualcuno l’avesse presa?” chiese Frank
“Te l’ho detto: non aveva stalker.”
“Hai anche detto che era una brava attrice.”
Nathan non rispose stavolta. Esibì nuovamente il suo sorrisetto beffardo, ma il tremolio alle spalle tradì la sua sicurezza.
“Vero. Ma potrebbe essere stata brava a nascondere le sue problematiche. Dovresti chiedere solo a quella punk del cazzo di Price. Erano inseparabili.”
In effetti, pensò Frank, questa era una verità. Andava però detto che Chloe non avrebbe mai messo in giro volantini se fosse stata sicura che Rachel era viva, al sicuro e semplicemente in fuga. Anzi, Chloe sarebbe sparita con lei.
L’ansia di Chloe era, perciò, un diretto segnale di quanto la situazione fosse problematica.
“Forse. Magari le farò un paio di domande: tanto mi chiede sempre erba nonostante il debito gigantesco che ha nei miei confronti.”
Nathan incrociò le braccia
“Perché sei cosi interessato alla fuga di Rachel?”
Frank era decisamente più bravo a mentire e rispose prontamente e con sicurezza
“Perché devo essere certo che non mi metta nella merda, ok? Ovunque sia, qualsiasi cosa stia facendo, non mi interessa. Voglio solo che non possa rischiare nulla, chiaro?”
Nathan alzò le mani e si rilassò
“Chiaro. Vuoi tutelare i tuoi interessi e hai ragione. Messaggio ricevuto. Ora vado. Ci vedremo presto: il party di fine anno avrà bisogno di ricariche. Inoltre preparati per Settembre: voglio organizzare qualcosa per le matricole del corso pre-universitario. Dicono che si iscriverà anche la figlia dei Marsh: quella ultra cattolica del cazzo magari deciderà di sciogliersi un po’ e avremo una cliente in più con un bel portafogli gonfio.”
“D’accordo. Vedrò di rifornirmi presto. Per il resto, ho una estate per pensarci.”
In effetti, i Marsh erano benestanti: una cliente del genere avrebbe fatto comodo.

Nathan sorrise e, con un cenno di saluto, si congedò e se ne andò.
 
 
“Nei mesi successivi, Nathan Prescott appariva sempre più instabile e rabbioso. A volte non mi parlava, a volte parlava troppo, a volte mi scriveva minaccioso in piena notte se non gli davo la droga e altre volte sembrava un bambino spaventato. Non sapevo della sua malattia mentale e non immaginavo che fosse legato alla morte di Rachel, finché non è scoppiato tutto il casino. Certo che, se lo avessi saputo, magari lo avrei potuto intuire anche io: la sua instabilità era cresciuta esponenzialmente dopo la morte di Rachel. Era tutto così chiaro, cazzo! Sono stato un coglione… Non parlò più, o meglio non così spesso e così tanto. Non nominò mai più il faro ne altri posti di Arcadia Bay in cui poteva nascondere un corpo. Buffo, perché lo aveva già fatto, no? Pochi giorni prima che drogasse la figlia dei Marsh, era terrorizzato. Sembrava in ansia, in fuga da qualcosa. Ora capisco che Jefferson lo stava mettendo sotto pressione. Era una cazzo di bomba pronta ad esplodere. Mi meraviglio che non abbia sparato a nessuno di voi, a scuola.”
Max e Chloe si scambiarono una rapida occhiata complice.
Steph, invece, era rapita dal racconto ed esclamò
“Cazzo, sei rimasto a contatto con lui così a lungo! Al punto che sembrava ti rispettasse un minimo. Però mi sfugge una cosa: non ha mai indicato nulla, a parte il faro, vero?”
“No, nulla. Mai una menzione. Mi dispiace ragazze.”
Prima di congedarsi da Frank, passarono ad argomenti più spensierati, per aiutarlo a tirarsi su di morale. Rinnovarono la promessa di tornare e organizzarsi per prendersi cura, in futuro, di Pompidou.
Una volta uscite, di nuovo al sole, i veri umori vennero fuori: Chloe marciava rabbiosa, Steph era pensierosa, Max era insicura e afflitta.
“CAZZO, IL FARO! FIGLIO DI PUTTANA!” urlò Chloe
“Calmati, Chloe: non è detto. Magari non lo ha detto a Jefferson!” tentò di dirle Steph
“Non glielo ha detto? Cazzo, Steph: erano compagni di omicidi, ovvio che glielo avrà detto. Jefferson non avrà esitato a portarlo lassù, mettergli un paio di sassi nel culo e scaraventarlo di sotto, nell’oceano. Merda, merda e ancora merda! Cristo, siamo fottute!”
“Non è finita, Chloe! Esamineremo le vittime, una per una e le cercheremo, se necessario. Come dicevo a Max stamane, ho trovato una potenziale vittima che forse potrebbe aiutarci. Sarà un quasi sicuro buco nell’acqua e butteremo via benzina e tempo per arrivare a Beaver Creek, ma potrei sbagliarmi. Max voleva tentare ma ero io ad averla dissuasa. Possiamo però tentare se lo volete, no? Giusto Max? Max?”
Erano arrivate alla Corolla ma erano solo in due.
Si voltarono e videro che la giovane Caulfield era rimasta qualche metro indietro. Stava osservando il suo cellulare.
“Max!” strillò Chloe “Muoviti!”
La ragazza sembrò riprendersi e mise via il telefono. Raggiunse le altre e si scusò.
“Che hai letto? Brutte notizie?” chiese Steph
Max scosse la testa
“No. Ho solo mandato un messaggio: vedrò Jefferson domani, ho accettato. Da sola, stavolta.”
Chloe divenne viola di rabbia
“Che cazzo stai dicendo? Sei completamente impazzita? Non ricordi cosa ha detto Steph? Non devi avvicinarti! Non devi vederlo? Dobbiamo tenerlo per le palle!”
“Non abbiamo più tempo, Chloe!” strillò in risposta Max, con gli occhi lucidi “Tutto sta andando allo sfascio, tutto! Nathan forse è in fondo all’oceano da quasi un anno, le vittime non ci parlano e non parlano alla polizia….. che cazzo dovremmo fare? E’ l’ultima carta che ci rimane da giocare: Jefferson stesso. Lo vedrò e cercherò di incastrarlo, a costo di svendermi o fare promesse che mi faranno schifo. Ma se tutto andrà bene, non dovrò mantenere nessuna promessa a lui! Cazzo, Chloe, devo! Per quelle ragazze! Per Kate!”
Chloe si lanciò su Max, prendendola per le spalle ossute e immobilizzandola
“Cazzo, ma ti ascolti? Non sei una eroina di tutti i giorni, Max! Non devi niente a nessuno, cazzo! Io e te abbiamo già dato troppo, tu più di tutti. Stiamo trascinando Steph in una merda viscida e noi stiamo crollando. Se domani andrai da lui, sarai ridotta a uno straccio, lo capisci?”
Max si morse il labbro e lacrime silenziose cominciarono a scendere sulle sue guance.
“Io…. Io devo farlo…. Devo, Chloe. Se il prezzo è la mia serenità, lo pagherò: lo voglio in carcere per sempre. Non avrò mai pace, lo capisci?”
“No, non lo capisco. Abbiamo già troppi pensieri per metterci sulle spalle anche questo. Tu hai troppe pressioni per rovinarti la vita facendoti carico dei problemi del mondo. Se non ce la faremo, pazienza! Ci abbiamo provato. Se uscirà di prigione e proverà a cercarti, beh butteremo noi il suo cadavere giù dal faro, stavolta.” insistette Chloe
“No, Chloe…. Non capisci…. Devo….”
“Max?” s’intromise Steph, con un tono stranamente affettuoso “Non ti sei vista ultimamente allo specchio vero?”
“Come?”
“Non ti sei guardata, immagino. Sei devastata, Max. Hey sei sempre bellissima eh, ma il tuo viso è un blocco di stress e tensione emotiva. Non sono solo occhiaie, ma tutto il tuo viso a mostrare segni di sofferenza. Non stai bene, Max: sei a un passo dal crollo. Il tuo ultimo anno e i gli ultimi giorni ti stanno sfiancando. Non puoi reggere.”
Max rimase di sasso.
In  effetti, non si era vista allo specchio. Era davvero così messa male? Stava davvero avendo un crollo nervoso? Cazzo, non ci capiva più nulla. Sentì più lacrime scavarle il viso.
“Hey, scema.”disse Chloe, stavolta con un tono dolce e prendendole il viso delicatamente tra le mani “Per me sei sempre bellissima, ok? Però sei stanca, è vero. Devi riposarti. Meriti di riposarti. Basta farti del male, Max. Non puoi salvare tutti.”
Max chiuse gli occhi e si abbandonò a Chloe, che la strinse a sé
“Andrò da Jefferson. Non cambio idea.” mormorò infine.
Sentì il petto di Chloe gonfiarsi e ingoiare chissà quali parole, messe solo come un sonoro e lungo sbuffo nasale che le raffreddò la nuca. Una mano diversa, quella di Steph, si appoggiò delicatamente alla sua schiena.
“Ci penseremo domattina, ok?” mormorò la ragazza della Corolla “Stasera distraiamoci. Andiamo in hotel, ci facciamo un bagno in piscina, svuotiamo il ristorante e poi fanculo a tutti e occupiamo il bar e facciamo baccano bevendo tutto quello che possiamo!”
Chloe prese nuovamente Max per le spalle e la costrinse a guardarla
“A me sembra un ottimo piano! Lo meritiamo!”
Max sorrise debolmente
“Cazzo, si.”disse infine, suscitando giubilo alle altre due.
Si misero in auto e Max, sedendosi dietro, si sentì sfinita e persa. Odiava mentire. Non poteva non pensarci e non avrebbe bevuto: doveva alzarsi presto e tornare da Jefferson.
 
 
 
Quella sera, McKinsey sentiva odore di vittoria.
Novak lo aveva contattato con un messaggio urgente, dicendo che aveva qualcosa di interessante, che poteva chiudere definitivamente la sua guerra personale con le ragazze. Ma poteva mostrarlo solo di persona.
L’appuntamento era per le ventuno al Pacific Restaurant di Tillamook. Il posto non era dei suoi preferiti, ma non era male: ampio, con lampade sospese che penzolavano dal soffitto, tavoli in legno e non molto affollato, nonostante la posizione e l’ora.
Novak occupava un tavolino vicino alla parete a vetri. Era un tavolo abbastanza visibile ma anonimo.
Si sedete di fronte, con un sorriso ampio e una frenesia incontenibile. Si sentiva un bambino la mattina di Natale.
Novak gli rispose con un sorriso altrettanto caloroso e vivo. Per Dio, era vero allora! Era finita! Le stronze erano fottute.
“Non tenermi sulle spine! Che hai??”
“Non crederai ai tuoi occhi, ma penso che stavolta sia finita. Chiuderemo i conti stasera stessa. “Cazzo, lo sapevo che non avresti deluso! Mi preoccupava la tua reticenza degli ultimi giorni, ma penso che sia solo dovuto dal fatto che sei troppo tenero verso le donne in generale. Ma hai capito che, dopotutto, è solo uno sforzo di poco conto! Avanti, illuminami, mostrami!”
“Calma, non ho qui con me nulla. Sai, per essere sicuri…. Attendimi qui, vado a prendere la tua soluzione finale al puzzle.” E fece per alzarsi.
“No, aspetta!” esclamò McKinsey “Vengo con te!”
Sorrideva e i suoi occhi brillavano nel guardare Novak, il suo eroe del giorno!
Il detective privato sorrise ma, con una mano, fece un gesto per invitarlo alla calma
“Credimi, qui sarà meglio. Ordinati pure da bere: tanto offrirai tu stasera!”
“Oh, è il minimo!”
Novak fece un altro largo sorriso e si alzò dal tavolo e svanì.
McKinsey prese il menù e si rifece gli occhi, puntando a tutto ciò che gli sembrò gustoso e invitante: stasera non si sarebbe badato a spese! Stasera si sarebbe festeggiato!
Passò qualche minuto ma non si preoccupò minimamente. Poi, quando era ancora intento a scegliere cosa ordinare, notò un’ombra infilarsi nel tavolo e, convinto che fosse il suo eroe che ritornava, abbassò il menù e si rivolse al suo amico con aria di gioia, ma rimase sorpreso da quello che vide.
Se era seduta, di fronte a lui, una donna giovane, poco più che ventenne. Indossava un abito rosso fuoco che le aderiva perfettamente al corpo snello e atletico. Era bionda, con labbra colorate da un rossetto della stessa tinta dell’abito e indossava un paio di occhiali da sole, nonostante fosse ormai sera. Al collo, in pieno contrasto con il suo abbigliamento e portamento, portava un ciondolo fatto con una corda rozza e un animaletto in legno intagliato… una tartaruga? Un elefante? Boh, chissenefrega.
Era bella, ma non era Novak di sicuro!
La giovane donna adagiò la sua borsetta nera e firmata sul tavolo e si tolse gli occhiali. Vide uno sguardo deciso e familiare.
“Era libero questo posto, vero?” disse con una voce melodiosa, quasi invitante
“Signorina, in verità no.” rispose lui “Ma se è sola, può sempre accomodarsi qui con noi.”
“Non si preoccupi, signor McKinsey: mi tratterrò solo un paio di minuti.”
Sentì il sangue gelarsi nelle vene. Lo conosceva? Come?
“Senta, forse mi ha riconosciuto per i servizi in televisione ma non sono qui per parlare con altri giornalisti… sto aspettando un…”
“Novak non tornerà. Sono io che volevo parlare con lei, signor McKinsey. Credo che abbiamo da dirci un paio di cose interessanti.”
Novak non…. Che cazzo ha detto?
“Che hai fatto a Novak?”
“Quello  che avrebbe fatto anche lei entro stasera: pagarlo per i suoi servigi. Beh io l’ho fatto già oggi e con una tariffa raddoppiata rispetto alla sua, signor McKinsey. Dopotutto, è facile comprare un detective privato, specie se i compiti che gli si richiedono sono così semplici, come mandare un messaggio all’ex datore di lavoro e invitarlo a cena con una falsa promessa.”
McKinsey si sentiva confuso e raggirato: Novak lo aveva tradito? Dopo tutti quegli anni? Non era possibile!”
“Lei mente! Non mi volterebbe mai le spalle!”
“Davvero? Beh, non lo conosce abbastanza bene, allora. Perché vede, a differenza sua, il signor Novak una morale la ha e minacciare delle ragazzine lo ha messo a dura prova. Si sentiva in colpa e voleva espiare a dovere.”
Pezzo di merda! Doppiogiochista!
“Come cazzo si è permesso di…. Non è vero niente!”
“Ha conservato i suoi messaggi, signor McKinsey. Ha registrato anche le vostre telefonate per sicurezza. Lo fa per abitudine, mi ha detto. Quindi ci saranno molte altre testimonianze. Io volevo solo che smettesse di andare in giro con una pistola e provasse ad alzarla contro tre innocenti…”
McKinsey sentiva la rabbia inondargli il volto.
“Si è fatto comprare così facilmente? Soldi in cambio di smettere di lavorare per me? Che figlio di puttana! Giuro che..”
“Oh no, signor McKinsey.” lo interruppe la donna “Non solo questo, ma anche di scovare qualcosa di interessante che potesse tornarmi utile contro di lei, se avesse deciso di fare lo stronzo di nuovo.”
McKinsey era livido di rabbia. Si avvicinò alla donna e mormorò
“Non mi fermerò: ho altri detective da contattare!”
La donna sorrise
“No, non lo farà.”
Frugò nella borsa ed estrasse un piccolo registratore portatile. Premette play e McKinsey sentì la propria voce riecheggiare dalla piccola cassa dell’aggeggio
 
 
te lo assicuro John! Quello è un pazzo squilibrato! Certo che Jefferson è colpevole ma è un caso troppo ghiotto per potermelo perdere! Ci sono poche prove a carico della accusa e la vittoria difensiva è quasi certa. Ci tengo a chiudere la carriera con il botto, lo sai! Questo mi porterà una bella ventata di popolarità e me uscirò di scena da vincitore e con qualche soldo in più. Magari scriverò un libro pieno di stronzate per sostenere che quel pazzo maniaco è un agnellino e che credevo ciecamente nella sua innocenza, così per lucrarci su. Come? Per le vittime? Beh se non hanno parlato vuol dire che non sono state così male, no? Inoltre non ha mica stuprato qualcuna! L’unica ad aver tirato le cuoia è stata quella Amber e per mano del Prescott, quindi non vedo perché dovrei farmi un esame di coscienza. Dai John, non farmi la paternale! Magari mi verrà del rimorso, ma spero che accada mentre sarò in spiaggia a Costa Rica!
 
 
La donna spense la registrazione e sfoggiò un sorriso predatorio. McKinsey cominciò a sudare freddo: riconobbe quella chiamata….
L’aveva fatta nel suo ufficio, la settimana che aveva preso in carico il caso di Jefferson ed era al telefono con il Procuratore distrettuale, nonché suo grande amico. In ufficio non c’era nessuno, come aveva fatto a…
“Non è un falso e non provi a negarlo. Come faccio ad averlo? Novak tiene sotto controllo i suoi telefoni, giusto per avere una arma di riserva da usare se lei lo avesse invischiato in qualcosa di merdoso, come poi alla fine ha fatto. Bello sentirsi traditi, è? Ci sono molte altre conversazioni interessanti salvate sul mio laptop, ma questa dovrebbe bastare a convincere la giuria e i giornali della contea, dello stato e di tutti i fottuti U.S.A. che seguiranno questa vicenda nei prossimi giorni. Direi che siete fottuti.”
McKinsey ora era carico di ira e si sentiva tradito e umiliato. Uno stupido, fregato come uno stupido!
“Che cazzo vuoi”
La donna ora si avvicinò a lui con un ghigno furioso
“Lascia in pace le ragazze. Gira al largo e non osare mai più, mai più¸ ad avvicinarti a loro, chiaro! Non osare ostacolarle, minacciarle o anche solo guardarle o la tua carriera è morta prima ancora che tu possa rendertene conto. Sparisci, lasciale in pace. Domani, infine, ti dimetterai dal caso e lo affiderai al più incapace che conosci, chiaro?”
“Come cazzo ti permetti! Io non mollerò questo caso!”
“Allora domani i giornali riceveranno questa e molte altre conversazioni interessanti. Scegli: o esci di scena con le tue gambe e salvi il tuo vecchio, flaccido culo grasso e ti godi la pensione senza gli onori nazionali, oppure ti rovino senza appello e la Costa Rica non sarà una tua vacanza ma una fottuta prigione perché non potrai mai più tornare qui senza che la gente ti guardi con lo schifo e l’odio che meriti. Scegli, McKinsey!”
L’avvocato si abbandonò sulla sedia.
Tutti i suoi progetti, tutte le sue idee… tutto finito. Non era stupido, sapeva che era finita. Scelse di ritirarsi con dignità
“Bene, mollerò il caso e lo affiderò a un giovane imbecille, contenta! Ma fai sparire tutto o ti giuro che…”
“Cosa? Cosa intendi giurare? Non sei nella posizione di minacciare nessuno, vecchio stronzo. Io non cancellerò niente, anzi conserverò tutto per sicurezza e come trofeo. Non si sa mai che tu possa fare qualche cazzata in futuro e io non abbia modo di rovinarti. Sparisci e mantieni un basso profilo e vedrai che tutto andrà bene. Fammi incazzare e ti fotto.”
McKinsey digrignò i denti e strinse i pugni sul tavolo. Voleva colpirla in faccia, ucciderla, liberarsi di quella puttana e avere la sua vittoria totale.
Ma non fece nulla di tutto questo. Annuì, sancendo la sconfitta.
“Bene.”disse gelida la donna.
Mise via il registratore, si alzò e fece per andarsene
“Chi cazzo sei? Si può sapere almeno chi cazzo sei e perché difendi quelle tre stronze?”
“Mi chiamo Kristine Prescott. Penso che non occorrano altre presentazioni.”
McKinsey scoppiò a ridere
“Ma logico! Stai obbligando quelle lesbiche a cercare il cadavere di tuo fratello per salvare l’onore della tua famiglia! Auguri, non lo troveranno mai! E è furbo la metà di quanto penso, quel Jefferson lo avrà fatto sparire in modo che non possa essere trovato!”
“Non mi fotte un cazzo della mia famiglia.”
“Inoltre, credi davvero che crederanno a una Prescott? Davvero? Sei vista peggio di me! I Prescott sono finiti, sono caduti nella fogna!”
Kristine si avvicinò pericolosamente al viso di McKinsey che, stupefatto, si ritirò all’indietro, come se avesse paura di essere morso
“Oh loro lo sono di sicuro. Io, però, sono appena sorta.”
Si rimise gli occhiali da sole e , marciando sui suoi tacchi vertiginosi, si diresse verso l’uscita, non degnando nessuno di uno sguardo, lasciando McKinsey ad osservarla con odio, mentre dentro di lui si faceva strada la certezza e la consapevolezza che era finita nel peggior modo possibile.



17
 
 
L’ambiente era cupo e rossastro. Non c’era nessuno in fila per il guardaroba. Era completamente sola.
Sentiva la musica, aldilà del tendone, rimbombare con forza. Sentiva vibrare sotto i piedi. Si avvicinò alle due ragazze del guardaroba , davanti a un tavolo coperto da un telo porpora, in tinta con l’occasione. I manifesti per il party ‘END OF THE WORLD PARTY’ del Vortex Club popolavano il tavolo e le pareti.
Si avvicinò e chiamò le due ragazze. Non voleva lasciare nulla, ma solo chiedere se avevano visto una ragazza dai capelli blu passare poco prima di lei. Magari avrebbe chiesto anche di Nathan….
“Hey!”
Nessuna risposta.
Le due figure erano nella penombra.
Tutto era così tremendamente scuro…
“Hey!” ripeté
Ancora nulla.
Si sforzò di vedere chi fossero, così da poterle chiamare per nome se le avesse riconosciute.
Con sua enorme confusione e sorpresa, comprese che erano due manichini.
Perplessa, decise che doveva andare avanti e non perdere altro tempo.
Scostò la pesante tenda e s’infilò nella festa a bordo piscina. Ciò che l’accolse, la colpì duramente.
L’ambiente era cupo, gli odori erano pesanti e nauseabondi, un misto si sudore, bruciato e qualcosa di ferroso di cui non seppe dire esattamente cosa le rimandava alla mente. La luce stroboscopica era fortissima e lampeggiava a una velocità tale da darle la sensazione che stesse camminando aprendo e chiudendo gli occhi velocissimamente. Quando riusciva a vedere, il tutto era illuminato solo da una tinta rosso sangue.
C’erano corpi che ballavano con foga animalesca, si strusciavano e si spingevano. La musica era più forte che mai, al punto da rimbombarle nello stomaco. Il brano era Got Well Soon  di Breton.
Sapeva già che brano era, cosi come sapeva già tutto di quel luogo, di quello che doveva fare… perché?
Sgomitando, si guadagnò uno spazio in uno dei pochi punti liberi dalla ressa, poco disante dal bancone del bar che, al posto di un barman, vi era il totem Tobaga con un cappellino della Blackwell. Nessuno sembrava interessarsene ma notò, girata di spalle, una figura dai contorni familiari.
“Stella!” gridò con gioia e ansia “Hey, Stella!”
Si avvicinò velocemente alla sua compagna di corso e posò una mano sulla sua spalla, per invitarla a voltarsi, cosa che accadde e provocò una ondata di orrore e stupore in lei, al punto che si mise le mani sulla bocca per non urlare
“Ciao Max!” rispose allegramente Stella.
Le labbra, il viso e il corpo erano intatti, ma gli occhi… gli occhi erano martoriati dalle schegge di vetro dei suoi occhiali, come se le fossero esplosi verso l’interno. Di essi, non restava che la montatura in ferro, mentre copiose lacrime di sangue insozzavano le guance e il collo di Stella, completamente cieca, che la guarda dava con quei brandelli gelatinosi infilzati dal vetro che aveva al posto dei suoi occhi.
“Stella…. Tu….”
“Cerchi Nathan, vero?”
“Io…. Io veramente… Stella, ma tu….”
Stella sorrise, rendendo più macabro il suo volto
“E’ proprio dietro di te, sai?”
Max sentì il sangue gelarsi nelle vene.
“Come sarebbe a dire che è…”
“Max Calufield…”
Il brivido lungo la schiena che la colse fu intenso e la paralizzò sul posto. Quella voce…. Quella maledetta voce….
Si voltò lentamente e lo vide.
Nathan Prescott era in piedi, davanti a lei, con la sua giacca rossa, i capelli corti biondo cenere, il sorriso beffardo e le occhiaie pesanti.
“N-N-Nathan..?”
“Caulfield, dicono che tu mi stia cercando da un pezzo! Beh, mi hai trovato, no? Vieni, facciamo un giro. Ci sono tante persone che ti aspettano, oltre a me. Andiamo!”
Appoggiò una mano attorno alla sua spalla e, benché indossasse la sua felpa grigia, sentiva che era freddo, quasi di ghiaccio.
La musica si fece più assordante, facendole vibrare le budella.

 
 
They say that either you're out or you're in
But you're on
 
 
“Curioso, non trovi?” disse Nathan
“Che c-c-cosa è curioso, Nathan?” balbettò lei, sempre più confusa e spaventata
“Beh è qui che hai iniziato a cercarmi, no? Se ben ricordo, era all’ultimo Vortex Party, proprio al End of the World prima che il mondo finisse per davvero, almeno per Arcadia Bay, che venisti con la tua amichetta stronza a cercarmi. Lo hai chiesto a…. quanti? Tutti? Boh, comunque non trovi buffo che ora tu sia qui, di nuovo, a cercarmi ancora? Tutti questi mesi per tornare al punto di partenza!” spiegò lui, prima di scoppiare in una fragorosa risata.
Condusse Max verso l’ingresso dell’area Vip ma la strada, seppure breve, era ben affollata. C’erano due ragazzi che giocavano con dei galleggianti e per poco non colpivano…
“Alyssa?!” esclamò lei, sempre più confusa
“Oh si c’è anche quella lì” disse Nathan “Hey, Alyssa! Guarda chi ti ho portato! Saluta!”
Alyssa Anderson voltò solo il suo viso, lasciando il corpo immobile rivolto alla piscina. Non batté ciglio nel vedere i due, tantomeno verso Max. Sembrava assente.
“Max? Alla fine sei arrivata.”
“Alyssa…. Occhio… dietro di te ci sono…”
“Si lo so. Un galleggiante partirà e mi colpirà, buttandomi in piscina. Ma non succederà questa volta, sai? Non succederà più niente, non c’è più tempo per niente ora. Non abbiamo nemmeno l’acqua in piscina.”
Nathan la stava accompagnando sempre tenendola per le spalle. Quella lieve pressione, per lei, era come un guinzaglio dalla quale non poteva fuggire e si trovava costretta a seguirlo. Ora erano più vicini alla piscina e constatò che era effettivamente vuota e spoglia, piena di detriti non meglio definiti e sporchi.
“Eppure hai voluto salvarmi anche stavolta eh?” chiese Alyssa
“Certo, Alyssa. Sempre!”
“Sempre eh? Che razza di bugiarda! Quando ho davvero avuto bisogno di essere salvata tu non c’eri!”
Alyssa divenne una furia, il viso reso rosso dalle luci sembrava ancora più cupo e feroce. Voltò anche il corpo verso di lei, scoprendo l’orrore: un tubo dell’acqua spezzato, un pezzo di legno e una sbarra in ferro sbucavano dal petto di Alyssa, mentre il resto del corpo era martoriato da altre ferite e piccoli oggetti infilzati nella carne, trapassandole i vestiti. Si trattenne di nuovo dall’urlare nel vedere quello scempio sul corpo di una ragazza che conosceva.
“Dove eri finita, Max? Dove stavi quando il tornado è arrivato, devastando la casa in cui mi trovavo? Sono caduta, Max! Sono caduta da un foro nel pavimento e questi mi hanno ferita! Oh, speravo tanto di morire prima che arrivasse il tornado a finirmi, ma purtroppo ho sofferto e ho visto il vento, la pioggia e la rabbia dell’oceano abbattersi sul mio corpo. Mi ha fatto a pezzi, Max. Mi ha fatto a pezzi! Di me hanno seppellito un braccio e parte di una gamba, perché il resto non lo hanno trovato. Lo sapevi? No, immagino di no visto che hai scelto di fuggire! Perché mi hai salvato tutta settimana, se quando aveva più bisogno non ci sei stata? Avrei preferito una pallonata in testa che fare questa fine, Max!”
Si sentiva male, voleva piangere e urlare, ma riuscì solo a balbettare delle scuse sconnesse. Alyssa tornò a fissare la piscina con occhi vuoti.
Voleva fuggire, ma Nathan sembrava essere diventato il suo corpo, tant’è che non riusciva a sottrarsi da quel braccio pigramente adagiato sulle sue spalle.
“Come è melodrammatica, eh?” borbottò il ragazzo “Per un volo di un metro e mezzo! Ho visto di peggio. E anche tu, vero? Ma ci sono altre persone che vorrebbero salutarti, specialmente una… ma prima saluta il cubista: ti stava aspettando più di tutti!”
Superati Alyssa e i due ragazzi che, ora, avevano finito di giocare con i galleggianti, trovarono sulla sinistra un piccolo cubo sopra cui si dimenava come un ossesso un ragazzo completamente ustionato. Più che un ballo, sembrava un movimento convulso e disperato, come a spegnere delle fiamme invisibili. Fiamme che, forse, lo avevano consumato da tempo.
“Hey, scimmione! Guarda chi c’è Saluta, prima che vada via!” urlo Nathan in direzione della carcassa bruciata e ballerina.
Questo, alzò quello che rimaneva del suo viso, con le orbite vuote dato che gli occhi si erano sciolti, labbra spaccate e denti biancastri in evidenza.
“Maaaaaax? Hey, Maaaaax comete staaaaiiii?”
La voce! Quella voce….
“Warren?”
“Ciao Maaaax! Cavolo, non sono più bello come prima, scusami. Vorrei dirti che è stato un incidente in laboratorio di chimica, invece mi è esploso il Two Wales in faccia! Ero andato lì convinto di trovarti al sicuro da Joyce, invece eri a fare l’amore con quella puttanella dai capelli blu, immagino! Oh Max, perché mi hai sempre rifiutato? Potevamo almeno essere amici!”
“Warren io…. Warren mi dispiace io non volevo…”
“Nemmeno come amico mi volevi? Ecco perché non ti è importato sapere se fossi ancora vivo? Cazzo dovevo uscire con Stella, era ovvio che avessi più possibilità… in fondo, tu stessa mi hai definito come un fratello…. Wow un due di picche più lampante di così! Avrei dovuto accettarlo…. Forse, se avessi scelto subito Stella, non sarei andato a morire al diner…. Ma ora sono qui e ballo per te Max! Tutti ballano per te!”

 
 
Whatever you like when you came in
Whatever you use
Whatever you choose

 
 
Si sentiva sempre più sconvolta, confusa e delusa da sé stessa. Non aveva mai pensato a tutto questo, non aveva mai immaginato che fine avessero fatto molti dei suoi vecchi compagni finché non aveva letto i loro nomi su quella statua a scuola.
Nathan l’aveva trascinata fino all’ingresso Vip. Si guardò intorno e vide che, in console, il Dj era senza testa e Victoria Chase ballava come una ossessa, con un pezzo di metallo conficcato nel cranio.
“Pronta a entrare?” chiese il giovane Prescott
“No.”rispose lei decisa “Non voglio.”
“Ma come!” disse Nathan sorpreso, togliendo finalmente il braccio dalle sue spalle e posizionandosi di fronte a lei, costringendola a guardarlo. Nathan sembrava sereno e le sorrideva
“Andiamo, Max…. sai che vuoi andare oltre quella tenda. E’ pacifico, silenzioso, riservato…. Niente più sofferenza, dubbi, rimorsi e sensi di colpa… sarà come farsi una canna infinita… Ti piacerà, vedrai!”
“Non posso Nathan! Devo tornare…. Devo tornare da Chloe!”
“Chloe?”
Nathan ora sembrava confuso
“Ero convinto fossi qui per me! Che c’entra Chloe? Hai già fatto tutto questo per lei, hai sacrificato tutti quanti per lei. Ora sei qui per me, no? Non hai mai smesso di farlo, non è certo ora che hai ripreso. Sei tornata qui perché era quello che volevi! Sei tornata ad Arcadia perché sapevi che era la cosa giusta da fare per te stessa. Perché sei cosi, Max: pensi sempre a te stessa e basta. Tu non tieni conto degli altri, ma solo di te. Ma se pensi ancora a Chloe, allora c’è qualcuno che vorrebbe parlarti a riguardo. Si trova già alle tue spalle, sai? Ti ha seguita tutto il tempo!”
Non comprese subito le parole di Nathan ma provò di nuovo una sensazione sgradevole, quasi di disagio e ansia. Voltandosi, si trovò di fronte a un cadavere in avanzato stato di decomposizione.
Era un corpo vestito da ciò che rimaneva di una t-shirt nera e jeans strappati scuri. La pelle era violacea, i capelli sporchi di terra, gli occhi bianchi e lattiginosi, labbra rotte e putrescenti, pustole, spaccature e rigonfiamenti di liquido cadaverico ne deformavano le forme ma l’orecchino a piuma blu la rendeva inconfondibile. Rachel Amber era di fronte a lei ed emanava odio.
“Mi hai portato via Chloe, stronza!”
“Cosa? No, io no….”
“Si! Lei doveva morire e raggiungermi! Doveva morire in quel bagno e Nathan, da vero amico, me l’avrebbe restituita con la sua pistola! Stronza, sei solo gelosa! Io sono quella che l’ha fatta innamorare, non tu! Lei era mia!”
“Ma tu… tu eri da Frank! Tu avevi lui, poi hai voluto Jefferson e….Non la amavi!”
“Che cazzo ne sai tu dell’amore, stronza? Lei voleva me, io l’avrei presa quando mi sarei sentita pronta! Ero libera di avere chi volevo, perché non sono certo una sfigata geek come te! Ero la regina di questo buco di culo ma, soprattutto, ero la regina di Chloe! Tu chi cazzo ti credi di essere? Solo perché siete cresciute assieme me l’hai dovuta portare via? Fottiti, te ne eri andata. L’avevi abbandonata!”
“E tu le hai mentito!” urlò ferocemente.
Non tollerava più quelle accuse. Erano bugie. Lei non aveva amato Chloe abbastanza da farsi avanti, da volerla per sé. Lei aveva speso tre anni con Chloe e tra loro non c’era mai stato nulla, come la stessa Chloe aveva confermato. Allora perché sentiva ancora un peso al cuore davanti a quello che restava di Rachel? Perché non se ne andava?
“Io non mento mai. Ometto, al  massimo. Non sono come te: non pretendendo di salvare tutti ferendo Chloe. Io non l’avrei mai ferita. Le avrei taciuto la verità per il suo bene, come ha esattamente fatto lei con me non dicendomi tante cose, non dicendomi che ti ha sempre amata. Lei con me non avrebbe mai sofferto come soffre ora a causa del tuo egoismo!”
“Non… non è vero!”
“Ah no? A me sembra che lei non volesse nulla di tutto questo… lei voleva solo salutare sua madre… tu no, devi sistemare tutto… devi vedere Jefferson… devi scavare in giro per scoprire tutti i misteri…. Sei ridotta a uno straccio e obblighi Chloe a tenerti in piedi, ancora, ogni giorno. Sei una fottuta egoista.”
“Piantala! Non sai niente di me!” strillò esasperata.
Il ghigno sul viso putrescente di Rachel, però, era un segno. Stava subendo le sue parole, stava perdendo con il cadavere della Amber. Tutto così assurdo.
Voleva colpirla, far sparire quel cadavere dalla sua mente ma Nathan intervenne
“Ottimo catfight, ragazze. Sono quasi un po’ arrapato ma ora è il tempo del grande show! Guarda Max!”
Le prese il viso con entrambe le mani e la obbligò, malamente, a osservare verso il trampolino. In cima, riconobbe la figura di Kate Marsh.
“No, oddio no. KATE NO, NON DI NUOVO!” urlò, ma Nathan la fermò dal correre a bordo piscina “NON FARLO! NON C’E ACQUA! KATE!”
“Non ti sentirà!” mormorò Nathan alle sue orecchie “Inoltre, si è esercitata così tanto a fare questo numero! Guarda!”
Kate aprì le braccia e tenne i piedi uniti. Sembrava crocifissa….
Si lasciò cadere verso il basso, con naturalezza e senza nemmeno un grido. Chiuse gli occhi, non voleva vedere lo schianto e la musica coprì il suono orribile del suo corpo che si sfracellava dentro la piscina vuota, contro i detriti.
“Wow che botto!” tuonò entusiasta Nathan
Max aprì timidamente gli occhi e non vide nulla, tranne che la piscina si stava velocemente riempiendo di acqua. O almeno, così pensò, finché non fuoriuscì dal bordo per la velocità con cui era emersa. Non era acqua tinta di rosso dalle luci…. Era sangue… vischioso e denso…. Sangue di Kate.
“Max…. Max perché non mi hai fermato? Perché non hai insistito?”
Era la voce di Kate.
Era ovunque e rimbombava dappertutto, mischiandosi alla musica, sempre più opprimente e cupa.
Si tappò le orecchie ma Nathan le prese i polsi e le liberò
“No, no e no Max! Questa è la tua festa, devi godertela! Sono tutti qui per te!”
“No, basta. Non voglio più… ti prego… non voglio…”
“Ah non vuoi? Eppure hai voluto tutto questo! Eppure hai voluto che fossimo qui per causa tua, Maaaax!” sibilò Nathan.
Attorno a loro, il cerchio si stringeva. Tutti i ragazzi della festa marciavano verso di lei, chiamandola o supplicandola
“Potevi salvarci tutti…”
“Max perché? Ti credevo amica mia…”
“Maaax possiamo andare a scimmiare ora?”
“Max avresti dovuto pensare a noi invece che a una stronza punk che voleva solo morire!”
“Max credevo che mi volessi bene….”
Si mise le mani tra i capelli.
Voleva urlare, voleva fuggire. Voleva soltanto che la smettessero….
Si voltò per scappare nell’ingresso Vip. Non voleva andare dietro quella tenda, ma non aveva altra scelta: sarebbe stata circondata da ogni studente che la odiava.
Come si voltò, l’Area Vip era sbarrata da Nathan che, davanti a lei, iniziava a decomporsi velocemente, mentre la guardava con odio crescente
“Dove cazzo pensi d andare, eh? Ora sei qui, mi hai trovato. Hai trovato tutti noi, tutti i morti che hai sulla coscienza! Io sono sulla tua coscienza, Max? Certo che si: ah se solo avessi lasciato morire Chloe o se solo mi avessi voluto aiutare! Sarei in carcere o in qualche fottuto ospedale psichiatrico, ma sarei vivo e tu non dovresti cercarmi, giusto?  Invece siamo qui, sei qui con noi…. E’ finita, Max. Finita! Sei fottuta, non hai scampo!”



 
What if we started what became
Don't get found out again
 
Voleva urlare. Non reggeva più tutto questo. Voleva scappare. Voleva urlare.
Nathan ora aveva più della metà della faccia completamente decomposta.
“Trovami.” mormorò.
Da quello che rimaneva dei suoi occhi, vide delle lacrime scendere.
Poi il suo viso si fece più aggressivo

 
 
What if we're starting what remained
You saved our lives again
 
 
“TROVAMI!”
Finalmente, urlò.

 
 
Si ritrovò seduta sul letto. Era sudata, il respiro corto e affannato.
Sentiva le guance umide, segno che aveva pianto davvero.
La camera da letto dell’hotel era buia e silenziosa. Si voltò di scatto a guardare Chloe che le dava le spalle e, apparentemente, sembrava che non si fosse svegliata. Il respiro regolare che sollevava il suo corpo la rilassò. Era viva. Erano vive.
Tornate in albergo, aveva cenato ma non si era unita alla bevuta con Steph e Chloe che, in ogni caso, la raggiunsero poco dopo. Forse volevano fare festa solo con lei e solamente per lei. Avrebbe dovuto fare uno sforzo per apprezzare quel gesto simbolico di volerla risollevare.
Scese dal letto, si tolse la maglietta fradicia e andò in bagno. Accese la luce e si osservò allo specchio e ammise che le altre avevano ragione: era sconvolta. La sua faccia sembrava più pallida e smunta del solito, occhiaie livide e gonfie facevano a pugni con i suoi occhi chiari.
Accese l’acqua per farsi una doccia rilassante e, mentre la temperatura raggiungeva il giusto calore, si spogliò e vi si infilò.
“Che cazzo di incubo.” mormorò fra sé.
Non aveva mai avuto un incubo del genere, altro segnale che la sua stabilità mentale era in precario equilibrio. Tutti i sensi di colpa erano appena emersi prepotentemente dal suo subconscio e la risposta sembrava solo una: trovare Nathan. Avrebbe avuto una apparente calma e pace interiore da tutto quell’inferno solo se avesse trovato Nathan. Ma avevano constatato che, quasi certamente, quella pista era andata a farsi benedire.
Che fare?
Che cazzo doveva fare?
Affidarsi alle vittime? Si forse. Restava solo quello.
Oppure era vero: era solo una egoista. Doveva mollare il colpo e tornare con Chloe a Seattle e godersi la loro vita insieme, lasciandosi alle spalle definitivamente Arcadia Bay e i suoi segreti.
Ma avrebbe vissuto serenamente con se stessa? Avrebbe trovato un modo di dare un senso a tutte quelle morti?
E le ragazze vittime di Jefferson? Anche loro meritavano la pace… ma in fondo quelle non le consoceva….in fondo non poteva salvare tutti…
Però era anche vero che era la sola che sembrava possedere i mezzi per rendere loro giustizia.
La stanchezza cominciò ad annebbiarle la mente.
Non poteva ragionare ora. Lo avrebbe fatto domani, sempre che il confronto con Jefferson non avrebbe dato il colpo di grazia alla sua sanità mentale.
Spense l’acqua e si asciugò. Si rivestì e andò verso il letto. Chloe era ancora nella stessa posizione. Per fortuna non l’aveva svegliata.
Si sdraiò e attese il sonno che arrivò in fretta, senza portare altri incubi.
Se Max avesse fatto il giro del letto, avrebbe visto che Chloe aveva gli occhi spalancati e aveva sentito tutto


18
 
 
Si svegliò al primo trillo della sveglia che aveva impostato sul telefono. L’aveva appositamente puntata prima di quella di Max, in modo da poterla bloccare dall’andare da Jefferson, quando stanotte l’aveva udita soffrire.
L’ennesimo incubo, probabilmente. Solo che non l’aveva mai udita così….. aveva pianto, urlato e si era svegliata piena di terrore. Anziché consolarla, con immenso sacrificio, aveva scelto di continuare a fingere di dormire. Appena la sua compagna si diresse nel bagno, prese il proprio telefono e impostò la sveglia. Poi, si allungò e prese il telefono di Max e tolse la sveglia dal suo. Aveva un codice di sicurezza ma lo conosceva benissimo, dato che era la sua data di nascita. Inoltre, impostare proprio quella data era un modo di dimostrarle fiducia: non aveva nulla da nasconderle e Chloe non aveva motivo di frugare nel suo telefono.
Fiducia reciproca mai venuta meno.
Ma dovette compiere un piccolo tradimento a fin di bene. Voleva proteggerla.
Perciò, era ancora molto presto e Max era notevolmente cotta dalla notte turbolenta, al punto che non udì la sveglia e nemmeno si scompose quando abbandonò il letto.
Si diresse in bagno, ignorò la propria immagine riflessa e si lavò rapidamente. Sentiva rabbia, molta rabbia, dentro di sé.
Ora era tempo di intervenire. Era tempo per Chloe Price di usare ogni mezzo per smetter di vedere soffrire la ragazza che amava. Aveva perso già una volta quella ragazza, aveva perso quella che era venuta dopo di lei. Non avrebbe più perso nessuno. Non l’avrebbe guardata soffrire e crollare in migliaia di frammenti fragili.
Uscì dal bagno e si tolse il suo pigiama di fortuna, scagliandolo verso il suo cuscino in una palla di stracci.
Prese la sua valigia e l’aprì: si era portata dietro qualcosa che, sperava, non dovesse mai indossare.
Arcadia Bay avrebbe visto solo la vecchia rabbia di Chloe, aveva promesso a sé stessa.
Ma forse non l’aveva riconosciuta. Forse non era abbastanza arrabbiata.
Prese un paio di pantaloni lunghi e strappati, le bretelle di suo padre, la canottiera bianca con su l’uroboro e si vestì. Poi, pescò dal fondo il suo vecchio berretto di lana e lo indossò: avrebbe fatto caldo, ma non importava.
Infine, prese il telefono di Nathan dal fondo della valigia e, ancora avvolto nel suo sacchetto di plastica, se lo infilò in tasca.
S’infilò le scarpe e ora tornò in bagno per lavarsi i denti e osservare il suo aspetto: la vecchia Chloe era tornata.
Si sentiva più a suo agio e sorrise beffarda.
Afferrò le chiavi della sua macchina e il telecomando del parcheggio sotterraneo. Infine, prese un pezzo di carta e scrisse un messaggio a Max:

 
Non mi aspetto che tu capisca
E’ tutto per il tuo bene
Appena ti svegli, sta con Steph e andate a casa mia.
Chloe
Prese le chiavi di casa Price e il suo telefonino (dopo che lo ebbe spento) e adagiò entrambi gli oggetti sul comodino di Max, con sotto il suo messaggio cartaceo.
Uscì silenziosamente dalla camera. Il sole era già alto e la zona della piscina brillava di luce propria in quel mattino silenzioso di prima estate.
Prese l’ascensore e si diresse fino al suo vecchio catorcio a quattro ruote. Appena fu salita, bisbigliò un tenero ‘mi sei mancata’ alla sua auto, prima di ingranare la prima e dare gas con foga.
Mentre si dirigeva verso la strada che l’avrebbe portata al South Fork Forest Camp, accese la radio e nell’abitacolo rimbombò un brano che non riconobbe subito.
Era ‘Till I Collapse  di Eminem. Non era il suo stile ma non cambiò frequenza perché quella canzone sembrava abbastanza incazzata quanto lo era lei.


Cause sometimes you just feel tired, feel weak
And when you feel weak, you feel like you wanna just give up
But you got to search within you, and try to find that inner strength
And just pull that shit out of you
And get that motivation to not give up, and not be a quitter
No matter how bad you wanna just fall flat on your face and collapse

 

Sterzò e parcheggiò bruscamente davanti al carcere. Non si preoccupò di chiudere a chiave l’auto quando scese, ma si limitò a sbattere la portiera e marciare spedita verso l’ingresso. Sentiva un’ira crescente ad ogni passo: si ripromise di non colpire in faccia Jefferson appena lo avrebbe visto. Forse dopo, prima di andarsene.
Presentandosi all’ingresso, disse che era qui per l’incontro prefissato con il detenuto. Non chiesero nemmeno se fosse effettivamente lei Maxine Caulfield, ma la lasciarono passare dopo che ebbe firmato e depositato gli effetti personali.
La condussero verso la sala delle visite anche se ormai conosceva la strada a memoria. Ma la prassi era la prassi, no?
Appena aprirono la porta, si gustò la faccia di Jefferson nel vedere che stava entrando lei e non Max. Era seduto nello stesso posto dell’ultima volta, vestito sempre con la divisa da carcerato, eppure sembrava più curato in viso dell’ultima volta: che si fosse fatto bello per Max?
Questo le suscitò ilarità, deformandole le labbra in un ghigno malefico.
Si sedette di fronte  lui e lo salutò con un cenno della mano.
“Che cazzo ci fai tu qui?” sibilò l’uomo con ferocia
“Le buone maniere verso le signorine le hai già dimenticate? Oh pensavi davvero di sedurre la mia  ragazza con un paio di moine da sfigato? Comunque, buongiorno anche a te, prof.”
Jefferson sembrava tentato di sputarle in un occhio, ma cercò di ricomporsi e sembrare il solito finto stronzo amabile di sempre
“Perché sei qui? Dove è Max? Ho chiesto di vedere solo lei!”
Chloe incrociò le braccia al petto e sorrise
“Non verrà: oggi ti farò compagnia io. Max non la vedrai mai più.”
“Che cosa hai detto?”
“Max non la vedrai mai più.” ripeté “Farò di tutto perché tu possa sparire dalla sua vita, anche se il tuo avvocato del cazzo dovesse tirarti fuori di qui tra due mesi, tu non oserai mai avvicinarti a lei o ti ammazzo, chiaro?”
Jefferson scoppiò in una risata fragorosa
“Ma sei seria? Davvero credi che mi farò intimorire da te, punk del cazzo? Non sei niente, ok? Non vali niente! Se volessi prendere la tua adorata Max, tu non potrai mai fare nulla per impedirlo.”
Chloe sentì la rabbia montare rapidamente nel suo petto. Cercò di contenersi, di soffocarla e di rimanere impassibile: non doveva mostrare il fianco al suo nemico.
“Continui ad essere troppo sicuro di te, prof. Eppure non sarei così fiduciosa, se fossi in te, sulla buona riuscita del processo. Qualcosa potrebbe andare storto, sai?”
Jefferson, se aveva dei dubbi, non sembrò farlo intendere. Rimase freddo e distaccato. Sorrise di rimando prima di risponderle
“Non ho assolutamente dubbi sul fatto che tu e la tua adorata fidanzatina vi stiate dando da fare per fottermi ma è questo il punto: non ci riuscirete mai. Non ho fatto errori, mia cara.”
“Anche la volta scorsa eri sicuro di aver fatto tutto bene, eppure mi sembra che tu sia qui, non in libertà.”
Jefferson sbuffò divertito
“Solo un incidente di percorso: non hanno niente per incastrarmi, punk. Niente. La colpa è solo di Nathan Prescott. Si, mi ha un po’ guastato i piani ma ho previsto abbastanza bene le sue mosse.”
Chloe sentì il cellulare di Nathan farsi pesante nella sua mente.
No, non ancora. Doveva tacere.
 “Sai, prof? La tua arroganza ti ha già fottuto una volta. Fossi in te farei attenzione.”
“Dici? Perché la tua amichetta è in giro a cercare indizi per incastrarmi, mentre sei qui a distrarmi? Oppure è troppo devastata per reggere un confronto con me?”
“Nessuna delle due. L’ho lasciata dormire serena. Tu ed io dovevamo fare due chiacchiere.”
“Mi pare che stia succedendo.”
“No, iniziamo a parlare ora perché mi sto stufando di questi giochini del cazzo: stai lontano da Max, chiaro? Non intendo ripetermi, Jefferson: te la puoi scordare. Evita di chiedere altri incontri, evita di pensare a lei, di credere che potrai rivederla e di poterla anche solo contattarla. Hai chiuso con lei. Se proverai a riavvicinarla, te la vedrai con me ma non sarà una discussione pacifica come ora.”
Chloe si era sporta in avanti, sul tavolo, puntando minacciosamente un dito contro l’uomo, che non fece una piega.
“Chi cazzo credi di essere per potermi minacciare, ragazzina?” sibilò Jefferson “Davvero pensi che io sia spaventato da queste parole? Sai che piani avevo per voi due? Sai cosa mi sarebbe piaciuto fare a te?”
Chloe si sentì rabbrividire. Sapeva già la risposta e non la negò
“Sparare a me in testa e molestare Max fino a ucciderla, probabilmente.”
Ora, Mark Jefferson tradì una piccola punta di sorpresa a quella risposta. Bingo! Pensò Chloe: aveva fatto centro.
Grazie Max.
“Si, forse sarebbe andata così. Mi sono dovuto accontentare di quella sciatta di Chase… ma io avrò Max…. oh, la mia collezione, la mia arte sarà cosi alta quando avrò finalmente lei. Tutta per me e per il mio obiettivo…”
“Piantala, verme. Non l’avrai ho detto. Sei fottuto, chiaro? Non sperare troppo nel tuo avvocato del cazzo!”
“Continui a ripeterlo, ma non vedo nulla che possa davvero farmi preoccupare. Sento solo l’aria piena di parole vuote.”
Non si trattenne.
“Abbiamo il telefono di Nathan: quello che aveva nascosto nella sua camera. Quello che usava per parlare con te.” sibilò gelida.
Mark Jefferson spalancò gli occhi per la sorpresa e Chloe fu convinta di avere la vittoria in pugno ma fu un solo istante, dopodiché scoppiò a ridere
“Davvero pensi che questo possa cambiare qualcosa? Se davvero lo aveste, l’avreste già consegnato! E’ una prova troppo importante e sarebbe da idioti tenerla nascosta. Inoltre, non troverete nulla di compromettente su quel telefono, per nessuno. Né per me né per Nathan. Solo qualche richiesta di droga.”
“Ma è la prova che tu avevi un cazzo di secondo telefono!”
“Ah si? E dove sta? Non mi è mai stato requisito e nessuno mi ha mai accusato di possederne uno. Dove sta questo fantomatico secondo telefono, eh? Dove starebbe questo mio incriminante strumento di delitti? No, signorina: avete fatto un buco nell’acqua. Se questa era la vostra arma finale, avete perso. Ci rivedremo al processo e poi vi darò la caccia.”
“Fottiti. Non è questo che abbiamo per incastrarti. Abbiamo molto, molto di più!”
“Oh, sono davvero curioso di scoprirlo, ma lascia che prima ti dica una cosa che dovresti sapere.”
Si avvicinò al tavolo, quasi a sfiorare il viso di Chloe. Sorrise. Un ghigno malefico e pieno di gioia sadica.
“Vuoi sapere come è morta la tua Rachel?”
“Vaffanculo.”rispose Chloe con un ringhio, ma non si mosse. Era una sfida di resistenza.
“Nel suo stesso vomito. Già, mi hai sentito bene: nel suo vomito. La bella, raffinata e delicata Rachel Amber è morta soffocata dal suo vomito. Puzzava come una fogna, colava bile dai lati della sua bocca e penso che si sia anche pisciata addosso poco dopo la morte. Uno spettacolo indegno, vero? Un fiore cosi bello, morto insozzato. Inutile dire che l’abbiamo seppellita così, mica potevamo metterci a pulirla, no? Busta di plastica e via, gettata nella discarica che tanto amava. Così potevate stare vicine per sempre, stronza.”
Chloe tremava di odio.
“TI ammazzerò, bastardo.”
“Non credo. Non sono stato io a ucciderla, ma Nathan. Io sono arrivato che quel coglione già l’aveva portata di sotto. Era li e aveva appena finito di stuprarla…Ops… forse non dovevo dirlo…”
Chloe sentì la salivazione aumentare. Voleva sputare in faccia a quel verme, ma non fece nulla. Tacque.
“Penso l’abbia stuprata un paio di volte. Sai, questi adolescenti pieni di ormoni possono darci dentro facile. Ma quando sono arrivato io lei si stava riprendendo. Nathan era in preda al panico più totale, non sapeva cosa fare: l’effetto delle sue medicine stava svanendo con più velocità rispetto alla droga che aveva dato a Rachel. Ma era una occasione d’oro! Così, gli ho dato la fotocamera in mano e l’ho aiutato a scattare. Certo,non aveva la mia mano e se c’era qualcosa di buono in quei scatti era solo grazie a me, ma diciamo che abbiamo colto perfettamente la vera Rachel: una burattinaia in trappola. Non voleva saperne di starsene buona, così Nathan ha voluto darle una seconda dose ma, ovviamente, ha sbagliato. Rachel è andata in overdose in un minuto ed è morta lentamente, nel suo vomito. Dio c’è stata una puzza di acido per un mese là sotto. Quella stronza, inoltre, mi aveva insozzato il telo bianco: ho dovuto cambiarlo!”
“Una vera tragedia, immagino. Per un figlio di puttana come te, poi…”
“Via, non arrabbiarti, punk. Te l’abbiamo portata, no? Mi aveva detto che si nascondeva spesso in quella fottuta discarica e Nathan era mezzo collassato: per calmarsi si era fatto una dose e quel coglione aveva esagerato assai. Così mi sono ritrovato a fare quasi tutto da solo e mi è sembrato dolce portartela così vicino. Buffo che poi tu l’abbia cercata dappertutto tranne che sotto i tuoi piedi. Non occorre ringraziarmi, ragazza punk: te l’ho portata con gioia.”
Sorrise.
Il solito diabolico e distorto sorriso da malato. Freddo e finto ma quasi accomodante.
Chloe sentiva che la tensione diventava insostenibile. Max sopportava tutto questo? Come cazzo ci riusciva? Come aveva fatto a non crollare prima?
“Sei finito. Continua pure a ripetere che ne uscirai, ma non succederà. Mai. Comincia a mangiare il vetro, perché ti sbatteremo in un posto in cui, per anni, il tuo culo sarà alla mercé di tutti. Troveremo Nathan e sarai fottuto.”
Jefferson spalancò la bocca in un ‘o’ di finto stupore e sorpresa
“Oh, quindi è questo che voi…”poi scoppiò a ridere fragorosamente.
Chloe voleva colpirlo in faccia con qualcosa di appuntito.
Mark Jefferson si ricompose e disse in un sussurro quasi impercettibile
“Non lo troverete mai. Ora, a differenza di Rachel, sarà già stato consumato dai vermi. Vi conviene fuggire prima che io possa uscire e trovarvi: perché quando vi troverò, e vi troverò statene certe, mi divertirò un mondo con entrambe. Si, anche con te, stronza.”
Chloe si alzò sfoggiando il suo migliore sorriso di sfida
“Lo vedremo, bastardo.”
Si voltò e uscì.
Dovevano darsi da fare alla svelta, o stavolta gli sarebbe rimasto davvero, come unico piano, quello di prendere di nuovo una delle pistole di David.
 
 
Il sole mattutino era già caldo e alto. Si tolse il berretto e salì in auto. Non partì subito ma si adagiò contro il volante e chiuse gli occhi.
Doveva fare colazione. Si sentiva debole e lo stomaco brontolava: quell’incontro di pugilato psicologico l’aveva sfiancata.
La cosa peggiore: aveva perso.
 
 
Cazzo, Max! Cosa cazzo stai passando? Perché non lo hai mai detto!
 
 
Prese fiato e partì.
Si fermò a una tavola calda lungo la strada a consumare una colazione fugace e non troppo gustosa, ma almeno placò la fame e la carenza di zuccheri.
Sentiva che voleva rivedere Max e Steph. Voleva correre ad Arcadia e trovarle lì, in casa sua, ad aspettarla.
Voleva baciare Max e dirle che ora la capiva più che mai. Capiva l’orrore. Capiva le sue scelte dolorose e il peso che era costretta a portare.
Viveva con l’ombra di un tale mostro da tutto quel tempo…. Con il peso di dare giustizia a tutte, non solo a Rachel.
Cazzo Max….
Pagò e partì a tutta velocità verso Arcadia Bay.
 
 
 
 
Parcheggiò il suo pick-up nel vialetto di casa, proprio dietro la Corolla di Steph: bene, le ragazze erano qui allora.
Ormai era mattina inoltrata e la calura stava aumentando esponenzialmente. Il momento di rinnovata gloria per il suo berretto era terminato e se lo tolse, lanciandolo sul sedile del passeggero.
Scese dall’auto e s’avviò verso il vialetto di casa sua, sperando che la porta fosse aperta. Fece un tentativo e fu così: brave ragazze.
Non fece in tempo a chiudere la porta che un missile bruno lo colpì al petto. Sentì le braccia di Max avvinghiarsi disperatamente alla sua schiena, mentre la testa della ragazza faceva strada nel suo petto, scavando con foga.
“Stronza! Sei una stronza!” urlò al suo sterno la povera Max
Chloe sorrise e le accarezzò la nuca. Steph stava ancora scendendo le scale con calma e la fissava con uno sguardo misto di rimprovero e divertimento.
“Potevi avvisarci della tua fuga.” disse, mentre completava la discesa dai gradini “Eravamo un po’ preoccupate. Anche se abbiamo intuito le tue intenzioni praticamente subito.”
“Dovevo andarci io!” urlò Max, con ancora il viso premuto contro la cassa toracica di Chloe che sorrise, continuando ad accarezzarla.
“Mi farete il sermone più tardi, ok? Ora andiamo a farci una passeggiata sulla spiaggia. Ho un fottuto bisogno di fare qualcosa di normale almeno fino a dopo pranzo. Poi parleremo di quello che volete. Voglio solo godermi qualche ora di normalità.”
Max si staccò da lei allarmata e ne studiò il viso. Chloe, finalmente, vide l’ombra negli occhi di lei e si parlarono fissandosi ognuna nel buio dell’altra. Ora al capiva e Max capiva lei.
“Non dovevi andare.”
“Anche tu non avresti dovuto.”
Steph smorzò l’atmosfera assestando una sonora pacca sul sedere di entrambe.
“Su, andiamo. Occhi languidi per quando io non sarò presente, ok?” sentenziò, mentre si faceva largo tra Chloe e la porta per passare “Cristo Price! Come tolgo la mia auto da lì? Tocca andare con la tua!”
Chloe, che ancora non aveva staccato gli occhi da Max, sorrise e le premette le labbra sulla fronte, prima di dividersi da lei
“No problem, Gingrich. Comunque quella di prima era una scusa per toccare il culo a noi due, vero?”
Steph sorrise alzò i pollici verso l’alto.
Finirono per pranzare al Pirate’s Cove Restaurant, che Chloe aveva individuato su internet e aveva colto come un segno del destino. Il locale non era male, il menù era prevalentemente di pesce e la vista era magnifica. Pranzarono serenamente, distraendosi un pochino da tutta quella situazione assurda che, ormai, sembrava essere totalmente fuori il loro controllo. Ordinarono anche due bottiglie di vino bianco che finirono prima del dessert. Max non era abituata a bere ed era diventata subito paonazza e con gli occhi lucidi, suscitando ilarità a Steph.
Chloe confessò, vista la situazione, come finì la sua prima sbronza, avuta poco tempo dopo che Max era partita, in un periodo tra i più difficili della sua vita.
“Ricordo ancora la quantità di vomito che produssi: cazzo mi sono sentita una indemoniata. La bimba de L’Esorcista, in confronto, era sana. Non ho bevuto più per quasi sei mesi. Ogni tanto ci ripenso e ancora fatico a credere che un essere umano possa produrre tutto quel vomito.”
“Chloe…sto ancora mangiando.” commentò schifata Steph
“E io non sono ubriaca.” aggiunse Max “Ammetto che mi sta venendo sonno, ma penso che il dessert mitigherà tutto.”
“Eccola qui la mia Max!” sentenziò Chloe “Sempre felice per i dolci e mai per me!”
Max la fissò in tralice e sbuffò
“Fa poco la spiritosa tu, oggi.”
Chloe si mise a ridere, per niente intimorita da quelle parole.
Finito di pranzare, fecero una passeggiata sulla Barview Forest Road, giusto per stare all’ombra degli alberi e rilassarsi nel silenzio più totale. Steph si lanciò in una sfilza di aneddoti universitari che ancora non aveva raccontato a loro, come quando il primo anno si era ingraziata il professore di Storia grazie allo scambio di film, mercato che l’aveva resa nota ai tempi della Blackwell.
“Un giorno mi piacerebbe vivere in un posto simile.”disse sempre Steph, osservando una casa isolata nel verde della foresta “Ma non sola, intendiamoci. In una città che sia in mezzo al verde, lontano dalla metropoli. Poche persone, quiete e natura incontaminata. O almeno, non troppo incontaminata.”
“Dici? Quindi non verrai a Seattle con noi?” disse Chloe
“Certo che si, sciocchine. Ma in futuro! Mica posso essere vostra coinquilina a vita, no? Arriverà il giorno in cui vorrete mettere su famiglia e la vecchia Steph sarà anche stufa di farvi da reggi moccolo. Una esperienza di qualche mese in mezzo ai boschi sarebbe fico.”
“Potresti parlarne con Kristine.” suggerì Max “Non so cosa abbia fatto esattamente in Brasile, ma sembra una che si lancia in queste cose. Magari ti potrà dare consigli e…. come sarebbe a dire mettere su famiglia???”
“Però, che velocità nell’elaborare eh? Ancora vino in corpo?” la punzecchiò Chloe
“Non tirare troppo la corda, Price.” Cantilenò in risposta Max
“A Kristine, eh? Ci penserò su. Magari mi manda da qualche sua amica facoltosa  e single!”
Dopo quasi una oretta di passeggiata (e con il sole pomeridiano che spiccava in alto, sempre più cocente) decisero di tornare indietro. Se dovevano sistemare la faccenda, era inutile rimandare di troppo. La pausa c’era stata e , almeno per Max,  fu anche troppo lunga.
“Non volete proprio mollare il colpo eh?” chiese Steph, ricevendo diniego da entrambe.
Risposta che venne accolta con approvazione dalla Gingrich.
Detto ciò, fecero dietrofront, tornarono al pick-up e si misero in strada, verso casa Price.
Oltre mezz’ora dopo, erano tutte e tre dentro la camera di Chloe, con la proprietaria seduta sul suo letto mentre le altre due sedute a terra, di fronte a lei.
“Beh? Che è successo stamane? Che ti ha detto Jefferson?” chiese Max piena di curiosità e ansia.
Chloe inspirò profondamente e poi raccontò tutto quello che ricordava, cercando di non dimenticare nulla. Steph inorridiva ad ogni frase, mentre Max sembrava impassibile, solo sempre meno viva nello sguardo. Sembrava stesse estraniandosi da tutto, come se si perdesse per non sentire. O stava riflettendo?
Finito di raccontare, calò un silenzio gelido.
Steph incrociò le braccia e si sdraiò a terra
“Bella merda. Che stronzo colossale quell’uomo. Dio mio, povera Rachel.”commentò
Max non disse nulla. Si alzò lentamente e cominciò a passeggiare con sguardo perso, fissando il pavimento.
Chloe la seguiva con lo sguardo, inizialmente incuriosita, poi via via sempre più preoccupata.
“Tu stai bene, Chloe?” chiese infine Steph, rompendo il silenzio
“Uh.. io… uhm si, beh si cioè è stata una discussione di merda, ma penso di stare bene. Si, insomma scioccante e mi ha innervosito, ma ora che ve ne ho parlato sembra andare meglio.”
“Credi davvero a tutto quello che ha detto?”
“Non so, Steph. Penso volesse innervosirmi, eppure…. Ho il sospetto che fosse stato sempre sincero. Voleva ferirmi… voleva spezzarmi…. Lui voleva Max perciò, vedendo me, voleva solo demolirmi per vendetta.”
“Spero non ci sia riuscito.”
“No, Steph. Mi ha solo fatto incazzare di più. Ora pretendo di fotterlo quel bastardo. Vero Max?”
Ma la ragazza era rapita dalla cartina di Arcadia.
Aveva smesso di passeggiare e si era piantata davanti alla cartina, a fissarla con attenzione.
“Max?” la chiamò nuovamente
La ragazza ruotò lentamente il capo e fissò entrambe con una espressione stupita
“E’ uno schema.” disse


19
 
Le due si fissarono incuriosite, poi si rivolsero a Max
“Come?”
“Schema?”
Max mantenne la calma, alzò un dito e indicò Chloe
“Cosa hai detto: che voleva seppellire Rachel alla discarica dopo che lei ne aveva parlato direttamente a lui, corretto? Inoltre le aveva anche detto di quanto fosse felice e spensierata in quel posto, con te. Giusto?”
Chloe annuì
“Si una cosa del genere.”
“Quindi sappiamo del perché non abbia voluto gettarla dal promontorio del faro: voleva infierire.”
Steph si mise in piedi e osservò Max con interessa
“Và avanti, Max….”
La ragazza prese coraggio. Mentre ascoltava Chloe, colse delle frasi da ciò che aveva detto Jefferson che le accesero più di una luce nella mente annebbiata. I pezzi sembravano finalmente incastrarsi, trovare una giusta collocazione. I frammenti di quella settimana tornavano a galla e si mostravano radiosi e perfettamente limpidi. Era vero: avevano tutto già davanti a loro. Doveva solo essere certa di non sbagliare.”
“Perché farlo? Perché voler umiliare così tanto Rachel Amber? Parrebbe che non le avesse fatto nulla di male a lui, no? Si era innamorata, avevano fatto sesso e vedeva in lui una possibilità di fuga che altrove le sembrava impossibile, anche con te Chloe. Non è stato un gesto crudele, ma disperato. Voleva fuggire e Jefferson era la migliore strada. Dubito che avesse fatto qualcosa di tremendamente sbagliato o stupido per incattivirselo, no? Quindi, perché infierire così tanto su di lei? Perché umiliarla così?”
“Non per me, vero?” chiese Chloe dubbiosa
Max scosse la testa
“No, certo che no. Non eri che un nome nella sua mente. Forse Rachel ti avrà nominata, ma nulla di più Non eri né un ostacolo né una persona fisica nella sua vita. Non potevi presentare una minaccia poiché, se lo fossi stata, ti avrebbe ucciso in quei mesi. Non era per te, Chloe: il danno, lo sfregio, era solo per Rachel.”
“Ma perché?” chiese Steph “Perché farlo?”
“Forse possiamo intuirlo, ma dobbiamo fare un passo indietro: la lista.” disse. E tese la mano verso Steph che, titubante, la estrasse dalla tasca, la spiegò e la porse.
Max l’afferrò con decisione e l’appese, con una puntina, accanto alla cartina della città. Poi riprese
“Steph, quante ne hai trovate?”
“Esclusa te, Rachel e le altre ragazze della Blackwell, direi una decina per ora.”
“Quante di loro sono decedute, escluse quelle che già sappiamo?”
“Nessuna, che io sappia.”
“Allora sono abbastanza certa nel dire che, da prima di Rachel, nessuna di loro è stata assassinata.”
Chloe sembrava non capire e azzardò

“Perché non potrebbe esserci una vittima tra loro? Perché pensi che non abbia ucciso nessuna? Magari ci sono vittime che ignoriamo e una di loro potrebbe essere morta.”
Max sorrise
“Si, l’ho pensato anche io. Sono abbastanza certa che questa lista sia incompleta, ma nessuna è morta. Le uniche che ci hanno rimesso la vita sono su questo foglio.”
Chloe sembrò titubante
“Non capisco Max. Cosa ti dà tanta certezza?”
“Laureen.” rispose con decisione.
Steph emise un fischio di approvazione
“In effetti, lei e sua cugina erano finite tra le grinfie di Jefferson dopo l’omicidio di Rachel e sono sopravvissute. Non ci sarebbero state testimoni, erano sole in un bosco, nessuno avrebbe mai potuto cercarle lì.. ma sono state sedate e sono tornate indietro. Non le ha uccise. Potrebbe essere vero, Max. Potrebbero non esserci altre ragazze morte.”
Chloe volle dire la sua
“Perché non le ha uccise? Cioè se aveva una possibilità così grossa, perché non sfruttarla?”
“Perché Rachel è stata uccisa da Nathan.” rispose Max con naturalezza “Questo è un dettaglio fondamentale.”
Ora Max voleva la loro attenzione, alzò le mani e le invitò a seguirla nel suo ragionamento
“L’omicidio di Rachel per mano di Nathan ha coinvolto anche Jefferson ben oltre l’occultamento di cadavere. Ha fatto scattare qualcosa in lui, una naturale evoluzione della sua depravazione. Forse era già insista dentro di lui ma era in grado di reprimerla però, dopo Rachel, qualcosa deve essere scattato in lui. All’inizio faceva servizi normali, poi sempre più spinti ma  comunque nella sfera professionale, dato che vi sono libri pubblicati su di lui e verso la seconda metà degli anni Novanta era comparsa la prima foto in chiaroscuro con una modella con le mani legate. Solo un caso, poi il nulla. Questo è un dettaglio che sarà passato in sordina, ma se pensiamo che dal Duemiladieci in poi ha iniziato a sedare e fotografare ragazze di nascosto, non è più un dettaglio di poco conto, no? Stava sperimentando, stava cercando di soddisfare la sua ossessione per la ricerca di un determinato tipo di fotografia. Era ossessionato dall’innocenza, dalla purezza in ogni scatto e nel volto delle sue modelle…”
“Come fai a dire questo, Max?” chiese Steph
Max si era addentrata, con il suo ragionamento, nei ricordi di una realtà cancellata. Tutto ciò erano confessioni di quella notte nella Dark Room fatte da Jefferson stesso a lei, poco prima di provare a ucciderla. Ma era necessario che riportasse alla memoria tutto quello che lei aveva visto e cancellato. Chloe l’aveva intuito e le lanciò una occhiata d’intesa, ma Max era serena: ormai era abituata a mentire prontamente per difendere quel segreto.
“Lo disse in classe. Era il suo sogno fin da quando aveva iniziato la carriera di fotografo. Ci disse che ogni fotografo ha il suo vizio e il suo era la ricerca della purezza nello scatto e nelle modelle.”
La menzogna fu efficace dato che Steph annuì come ad aver capito e la invitò a proseguire
“Quindi, supponiamo che ha un certo punto questa sua ossessione abbia preso il sopravvento, che sia diventata incontenibile e incontrollabile. Potrebbe aver iniziato a sperimentare, a rapire le prime ragazze. Sceglie fin da subito giovani non troppo segnate da una adolescenza sregolata, pure e vulnerabili. Poi, presumo, le sceglie anche fragili, magari sole o con una situazione complessa. Quindi inizia a scattare, sperimenta le droghe da usare e impara a dosare correttamente per tenerle buone per il tempo necessario. Tutto và liscio finché non arriva qui alla Blackwell, dove accadono tre cose: la presenza di troppe studentesse, Nathan Prescott e Rachel Amber.
Troppe studentesse significa che ci sono più potenziali vittime da scegliere e quindi una accelerata per la sua ricerca ma anche una più difficoltosa gestione del suo bisogno. Nathan Prescott che gli fornisce sia il luogo che gli strumenti per migliorare i suoi crimini, inoltre la sua posizione economica si sposava benissimo anche con il suo ruolo di collegamento con Frank per le droghe: ora poteva far svolgere tutto il lavoro sporco a Nathan: reperire la droga e le vittime. Infine, Rachel Amber: non era una sua vittima, ma di Nathan. Lui la scelse, lui la portò nella Dark Room, lui la dovette sedare e lui aveva iniziato a scattare. Jefferson non poteva tollerare che Nathan lasciasse andare una potenziale testimone, Rachel non era stata drogata a sufficienza ed era cosciente a un certo punto. Ricordi, Chloe? L’abbiamo visto nelle foto che gli ha scattato: un errore del genere, Jefferson non l’avrebbe fatto, per questo l’autore era per forza Nathan. Il fatto che lei fosse cosciente è stata la sua condanna a morte: presumo che sia stato Jefferson a manipolare rapidamente Nathan per sedare di nuovo Rachel. Forse gli disse che serviva sedarla per portarla fuori, forse che andava drogata per rendere i suoi ricordi più confusi e renderla poco attendibile, o cose simili. In ogni caso, Nathan mandò Rachel in overdose con le sue stesse mani ma, forse, la dose letale potrebbe averla preparata Jefferson e Nathan, inconsapevolmente, ha preso la siringa e ha eseguito, convincendosi che fosse stata solo tutta colpa sua. Questo potrebbe aver dato il via alla fine di Prescott ma anche dello stesso Jefferson. Non era previsto che una morisse, non era previsto che il suo instabile strumento di recupero di vittime, soldi e droga impazzisse. Magari aveva capito che Nathan sarebbe esploso comunque e la morte di Rachel deve aver accelerato le cose ma è innegabile che Jefferson si sia fatto trovare preparato. Ha tamponato come ha potuto, anche se lo ha messo in difficoltà e, per ora, in carcere.”
Chloe sembrava rapita, Steph ammirata
“Continua, sembra una buona storia.”disse quest’ultima
“Io forse inizio a capire….” disse Chloe
“Bene, perché ora arriviamo al punto: Jefferson cerca di tenere tutto sotto controllo. C’è un caos silenzioso, ma ancora contenuto. Non ha paura, non pensa stia per esplodere tutto sotto i suoi piedi, ma la morte di Rachel ha innescato qualcosa in lui: la voglia di morte. Si interessa a questa cosa, è una evoluzione della violenza che lui da anni infierisce sulle ragazze. Quindi, reprime questa cosa, risparmia Laureen, ma a Settembre cede. Il nuovo anno scolastico porta in dote un nuovo grosso problema.”
“Il peggioramento di Nathan?” chiese Chloe
Max scosse la testa
“No. Io. Io sono il suo problema. Mi vuole: ha scelto me come prossima vittima e questo lo sappiamo tutti. Però, non può avermi. Forse perché la mia indole riservata e timida mi ha reso poco raggiungibile, forse perché la sua stima verso la mia capacità di fotografa è sincera e mette in naftalina il bisogno di rapirmi, fatto sta che  deve colpire di nuovo e trova altre due vittime: Victoria e Kate.
Ora, Victoria Chase non è il suo tipo di vittima. Per niente. Si è bella ma snob, presuntuosa e per niente innocente. Si, ha una situazione difficile, ma non così tanto. Kate, invece, è più simile a me perciò è un ottimo test per lui. Se ottiene Kate, la prossima sarò io. Quindi incarica Nathan che, alla festa del Vortex Club, la droga, la rapisce e gliela porta per scattare. Una volta finito, la butta nel suo dormitorio. Purtroppo per loro, Victoria ha filmato Kate baciare altri ragazzi e lo ha messo online. Nessuno, eccetto Nathan, sapeva che era sotto l’effetto di droghe pesanti e, credendo fosse solo ubriaca, al grido di ‘in vino veritas’ la fanno passare per una finta cattolica e per una puttana facile e la bullizzano. Questo destabilizza moltissimo Kate che è sempre più emarginata, disperata e sola. I suoi ricordi sono confusi ma, dopo che ebbi parlato con lei, era chiaro che non ricordava di essere andata in ospedale, come disse Nathan, ma che era nella Dark Room. Ora, non so se questo lo avesse capito anche Jefferson o no, dato che era la sua assistente in classe, ma per lui è ora di riprovare quel brivido. Sappiamo che lei aveva bisogno di aiuto, ha cercato sostegno nelle poche persone che ancora apprezzava: me e Jefferson stesso. Un giorno, la vidi parlare con lui. Non so cosa si siano detti, ma due ore dopo Kate era morta. Suicidatasi dal tetto. Anche stavolta, Jefferson aveva spinto alla morte qualcuno senza sporcarsi le mani. Una sua vittima era passata a miglior vita e non c’era nulla che lo collegasse. Kate Marsh è una sua vittima quanto lo è anche Rachel. Capite? Si è evoluto.
Steph batté le mani
“Cazzo! Cazzo si, ha senso! Tutti i maniaci evolvono, per cercare un brivido sempre maggiore. Lui voleva, che ne so, vedere quell’innocenza perduta, lasciare anche il corpo. Forse era eliminare testimoni scomodi  e, al tempo stesso, ricerca di un piacere interiore, una consapevolezza di essere il padrone, un modo di…”
“Avere il controllo.” concluse Chloe, con il viso sconvolto “Il controllo. Decidere non solo di drogarle e fotografarle: ora le voleva anche morte se lui lo avesse deciso. Cazzo, era peggiorato a tal punto?”
Max annuì
“Poi sarebbe toccato a me. Mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani, però.”
“Come fai a dirlo?” chiese Steph
Max si preparò a raccontare fatti accaduti, passandoli per ipotesi. Solo per lei e Chloe era tutto già successo
“Semplice. Immagina: se fosse toccato a me? Se attirato me e Chloe di nuovo alla discarica, magari con uno stratagemma per metterci in trappola? C’erano le telecamere nella Dark Room, sapeva che eravamo state laggiù. Avrebbe potuto capire che noi eravamo in cerca di Nathan o, forse, che sapevamo che fosse lui. Quindi, dovevamo sparire. In qualche modo, ci avrebbe preso in trappola. Sono sicura che avrebbe ucciso Chloe: non rientra nella sua tipologia. Avrebbe rapito me, fatto le foto che tanto desiderava farmi e poi, penso quasi certamente, mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Per rispetto, per paura, per fretta o forse perché ormai il piacere di togliere lui stesso la vita agli altri, anziché lasciare fare a terzi o al destino, era più grande. Dopotutto, aveva già ucciso Nathan direttamente. Si era liberato di quella bomba che aveva causato troppi danni. L’arrivo di me e Chloe nella sua tana devono avergli fatto prendere questa decisone. Uccidendo Nathan, forse, potrebbe aver sviluppato una voglia di uccidere personalmente. Dopo Chloe, si sarebbe liberato di me.”
Steph era pallida
“Ok, è una ipotesi, ma per qualche strano motivo, credo abbia senso. Cazzo, Max…. oddio non reggerebbe mai in tribunale perché sono solo supposizioni, ma ha un debolissimo senso logico tutto questo.”
“Ok, Max: dove vuoi andare a parare?” chiese infine Chloe “Pensi di aver risolto o trovato qualcosa per ingabbiare quel pezzo di merda?”
Max, finalmente, sorrise. Non sorrideva così spontaneamente che sentì dolore alle guance.
“Cazzo si. So come fotterlo.”
Chloe e Steph le rivolsero un largo sorriso
“Allora non tenerci sulle spine!” esclamò la giovane Gingrich
Max si rivolse nuovamente alla cartina e indicò un punto a nord di Arcadia
“La discarica. Lo sfregio finale alla persona di Rachel. Umiliazione nel posto in cui era più felice negli ultimi tempi. Non solo averla seppellita sporca e in un sacco dell’immondizia, ma addirittura infierire scegliendo proprio questo posto? Era con Nathan che, molto probabilmente, non era un aiuto dato che poteva essere confuso e , a sua volta, sotto l’effetto di droghe da come abbiamo notato nella foto nel fascicolo di Rachel che io e Chloe abbiamo visto. Però poteva comunque essere un aiuto, no? Non credo lo abbia portato solo per fargli quella foto per tenerlo al guinzaglio: dopotutto poteva incastrarlo anche senza, no? Poteva sbarazzarsi del corpo di Rachel nell’oceano, gettandolo dal promontorio del faro che è qui.” e indicò un punto più vicino alla discarica, poco più in alto a nord-ovest “Invece ha viaggiato dalla fattoria…” e indicò un punto all’estremo sud di Arcadia “…. Fino alla discarica. Nessun bosco, nessuno sforzo in più per andare al faro.. no, diretti alla discarica, scartando mezza città, una foresta e una soluzione più veloce e facile a poco più di un chilometro. Voleva seppellirla alla discarica per un preciso motivo….”
Max fece una pausa poi puntò il dito su un luogo a est
“Accademia Blackwell…. Kate Marsh si getta dal tetto del dormitorio. Il luogo in cui una ragazza per bene doveva sentirsi al sicuro, un posto in cui una come lei aveva riposto ogni speranza. Non aveva niente, se non la sua casa. Aveva bisogno della scuola per uscire dal suo guscio, per cambiare. Era una cattolica credente e ha scelto il suicidio, il massimo del disonore per qualcuno di quella fede. Così, anche questa memoria è stata insozzata: non solo il dormitorio ha perso la sua figura di luogo sicuro ma, soprattutto, la figura di Kate Marsh ne esce stravolta, sporcata, offesa.
Come Rachel.
Victoria forse sarebbe morta direttamente nella Dark Room, davanti a un obbiettivo, vedendo ciò che amava diventare l’ultimo testimone della sua vita. Esattamente la fine che avrei fatto io se fossi finita lì sotto. Uccisa dal mio mentore, davanti ciò che amavo fare da una vita. Se io e Chloe avessimo commesso un errore quella notte, se lui ci avesse attirati nella trappola, forse Chloe sarebbe stata uccisa nella discarica, nello stesso punto in cui si trovava Rachel, giusto per infierire ancora su una memoria. Poi avrebbe guastato me e la mia memoria. Non sono casuali. Sono collegati. Quel mostro si è evoluto più di quanto sembri: è uno schema.”
Steph si mise le mani davanti alla bocca e mormorò un ‘o porca merda’ e non aggiunse altro. Chloe, invece, benché inorridita, disse
“Allora perché Nathan giù nel faro? Perché ne aveva parlato? Non sembra legato all’oceano… cioè si addormentava con i canti delle balene ma..”
“Nathan non è in fondo al mare, Chloe. E’ sepolto.”
Ora, lo stupore delle sue due spettatrici era palpabile e visibile sulle loro facce
“Ma Max…” disse Steph “Frank ha detto..”
“Si lo so cosa ha detto, ma ci siamo fatte ingannare dalle nostre stesse menti. Frank ha detto che Nathan ne ha parlato. Anche se lo avesse confessato a Jefferson, non avrebbe senso. Innanzitutto, le tempistiche non combaciano: non avrebbe mai fatto in tempo a sbarazzarsi del corpo e tornare alla Blackwell e presentare il vincitore del concorso e sembrare pulito e fresco come una rosa, no? Secondo: Nathan aveva espresso un desiderio suicida per le colpe che lo affliggevano sull’omicidio di Rachel ma al tempo stesso voleva morire senza farsi trovare, forse per dare un ultimo sgarbo a suo padre. Non era legato al faro, non c’era nulla da infangare o rovinare. Non c’era innocenza in quel luogo che lo legasse al punto da distruggerne la memoria. Gettarlo da quel promontorio, non aveva nessun significato. No, lo ha sepolto dove poteva essere sicuro di poter dare un ultimo insulto alla memoria di Nathan, esattamente come le altre vittime. Solo che con lui è stato più spietato e sadico: prima lo ha demolito interiormente, caricandolo dei sensi di colpa per la morte di una ragazza che amava. Poi lo ha continuato a sfruttare e magari gli ha fatto pesare anche il suicidio di Kate, sfruttando la faccenda del video diventato virale per renderlo più instabile e pericoloso, in modo tale che nessuno potesse provare pena per lui se li fosse successo qualcosa. Infine, doveva insultarlo nascondendolo in evidenza e in un luogo che potesse significare qualcosa per Nathan, solo che Nathan era legato e ben poche cose, ma ve ne era una che, se ho ragionato correttamente, nella sua giovane vita poteva significare.”
Chloe prese per le spalle Max e la fissò con ansia
“Dove cazzo sta?”
Max sorrise
“Abbiamo ancora il badile di Kristine?”
 
 
 
Dieci minuti dopo, mollarono il pick-up di Chloe in mezzo alla strada e saltarono giù in fretta dal mezzo. Chloe si allungò verso il retro e prese il badile, mentre Steph seguiva a ruota Max, che saliva velocemente le scale.
L’ombra della Accademia Blackwell l’attendeva carica di promesse.
 
 
Cazzo so che sei qui. Cazzo, non posso sbagliarmi. Cazzo so che sei qui!
 
 
Scattarono verso destra, verso i dormitori.
Il preside Wells sbucò dalla finestra e gridò
“Hey voi tre! Che ci fate qui?”
“Non ora, signor Wells! Anzi, farebbe bene ad avvisare la polizia!” gridò in risposta Steph
“Questa voce…. Gingrich?? Ma che cazzo ci fa lei qui??”
Non risposero e scesero velocemente le scale. Max non intendeva fermarsi ora a dare spiegazioni: sentiva il cuore accelerare sempre di più, il fiato farsi sempre più corto. Era fuori allenamento ma era carica di agitazione e ansia. Doveva essere lì!
Scartò la passerella in cemento e si diresse sul pendio erboso, lontana dall’ingresso del dormitorio, fino ad arrivare al totem Tobaga, che giaceva ancora a terra.
“Aiutatemi!” gridò
Chloe superò Steph. Ficcò il badile a terra e andò al lato opposto del totem, issandolo da terra assieme a Max. Steph le raggiunse e prese il capo della scultura lignea. Facendo leva sulle gambe, le tre ragazze sollevarono il totem e lo spinsero più a sinistra. Fortunatamente, il totem era stato sradicato da terra.
“Cazzo, quanto pesa!” mugugnò Chloe
Dopo mezzo metro, lo mollarono a terra.
Steph diede una gomitata a Max e indicò il terreno
“Max… non c’è erba… il totem potrebbe aver impedito che crescesse rimanendoci sopra, ma quella sembra terra spossa e schiacciata, già privata di vegetazione…”
Chloe non attese oltre: prese il badile e cominciò a scavare con foga. Max si gettò con le mani, rischiando di vedersi tranciare due dita dal badile.
Dopo un paio di minuti, scavando con foga, il terreno regalò loro un rimasuglio di tessuto che, tempo prima, poteva essere di colore rosso. L’aria si fece fredda mentre sbucava anche quello che pareva un polso fatto di ossa e residui di carne.
Max si lasciò cadere all’indietro, mentre Chloe posò il badile
“Chiamo David.”disse infine la ragazza dai capelli blu
Max annuì e aggiunse
“E accenna al fatto che dovrebbe portare una pattuglia per il recupero dei cadaveri.”
In tutto questo, Steph si era voltata e stava andando incontro alla figura zoppicante di Wells, pronta a spiegare. Prima però, si congedò con un
“La prossima volta che organizziamo qualcosa insieme, mi accontenterò di una pizza.”



20
 
L’agente Castillo osservava il sacco nero sulla barella, venire trasportato da due agenti della scientifica e infilato dentro un carro funebre. Era quasi il tramonto, ormai. Avevano passato molte ore nei giardini antistanti il dormitorio della Accademia Blackwell. Troppe ore. Ma era la prassi e la squadra della scientifica era dovuta venire direttamente da Portland. Dopotutto, il corpo di polizia della Contea di Tillamook era attrezzato bene ma non così bene per questo tipo di situazioni e, in ogni caso, lo sforzo era ancora concentrato quasi nella totalità della situazione dovuta al tornado di circa nove mesi prima.
Recuperare il cadavere di Nathan Prescott aveva richiesto, perciò, una bella fetta di tempo. Fortunatamente, visto che la città era ancora deserta, non c’erano curiosi da tenere lontano.
Il preside Wells aveva preferito rientrare nel suo alloggio. Due agenti erano con lui, per tenerlo d’occhio. Non era sospettato, ma in quel punto delle indagini, anche Babbo Natale sarebbe stato tenuto sotto osservazione.
Le tre che interessavano a lei, invece, se ne stavano sedute sulla scalinata che portava all’ingresso del dormitorio.
Quella nuova, Stephanie, era seduta in cima, contro le porte. Le altre due, Chloe e Max, erano a un gradino di distanza. Tutte e tre sembravano provate, specialmente Max, ma intravedeva una tenue luce di sollievo sulle loro guance.
“Cosi eravate qui solo in gita e a salutare la signora Price – Madsen, vero?” chiese in un tono tra il severo e il divertito
Max sollevò la testa e le sorrise
“Ci scusi. Era…. Beh dovevamo farlo noi. Non so se capirebbe….”
Castillo si avvicinò a loro. Incrociò le braccia al petto e sentenziò
“No, non capisco e dubito che qualsiasi scusa diciate mi aiuterebbe a capire. Potevate parlare con me! Vi avrei aiutate!”
Chloe alzò la testa e la fissò sospettosa
“Si, come no! Immagino che il suo aiuto sarebbe stato “no, non fatelo. Fate controllare  a noi cazzi duri dell’Fbi”. Beh, ottimo lavoro avete fatto in questi mesi. Max ci ha messo due ore.”
Castillo alzò le braccia
“Non nego che siate state in gamba, ragazze. Un po’ troppo spregiudicate, forse. Dico solo che avrei voluto essere d’aiuto: non siete il ritratto della serenità, a dirla tutta.”
“Beh, vorrei ben vedere.” commentò Steph “Tra chiacchiere con galeotti, potenziali vittime e cadaveri, non si può dire che sia stata una passeggiata di salute…”
“Potenziali…”
“Lasci perdere agente.” disse Max con voce stanca “Se vuole aiutarci, può ancora farlo.”
Castillo, incuriositasi, si rivolse a Max
“Certo, tutto quello che serve. Che manca per concludere?”
“Nulla. Quello dovrebbe avere tutte le prove del mondo per incastrare definitivamente Jefferson ma, per favore, se dovesse saltare fuori qualcosa che potrebbe incriminare Frank Bowers… beh lo impedisca. E’ innocente, davvero. Frank è una brava persona, in fondo. Non ha niente a che fare con questa storia e forse ha perso molto, come tutti noi. Sta già pagando per i suoi errori: non fategli pagare più di quanto meriti.”
L’agente Castillo fece una smorfia e annuì
“Non posso garantirlo, dato che non so di cosa stiate parlando, ma tutelerò Frank Bowers. Ditemi come avete fatto ad arrivare qui, però…”
Max, con voce stanca, spiegò tutto quello che aveva spiegato a casa di Chloe, aggiungendo anche i particolari della chiacchierata che la sua fidanzata aveva fatto con Jefferson quella mattina. Poi concluse
“Perciò, ho pensato che fosse qui per il medesimo motivo: sfregiare la memoria di Nathan. La Blackwell era il suo regno e, per qualche strano motivo, era fissato con il totem. Nella sua breve carriera di bullo, aveva cercato di rubarlo. Non si sa il perché, ma aveva una attrazione speciale. Forse per ribadire che qui era come se fosse casa sua e poteva disporre di ogni cosa a suo piacimento. Mentre ragionavo su questo mi è tornato in mente che il signor Wells aveva detto che il totem era caduto subito, quella mattina, il che è strano. Se pensiamo alla posizione, i venti che sono arrivati alla Blackwell, per quanto fossero forti, hanno causato relativamente pochi danni nella parte interna. Non che fosse impossibile far cadere il totem, ma che fosse già caduto quando ancora il resto della scuola non avesse riscontrato grossi danni, mi ha fatto riflettere. E se fosse caduto prima del tornado? Il totem era già a terra perché, magari, la base era instabile, magari era instabile dopo che qualcuno aveva scavato alla sua base per un bel pezzo, minandone la già precaria stabilità. Inoltre, se pensiamo al vento, non sarebbe dovuto cadere sdraiato sulla schiena come è effettivamente successo, ma più sul lato, verso nord. Invece era perfettamente perpendicolare. Bizzarro, no? Inoltre i cani molecolari: sono stati usati per pochi minuti e dentro alla foresta, ma non hanno mai pensato di far analizzare i dintorni più vicini al campus. Questo errore di pochi metri è costato tantissimo e mi era tornato in mente, pensando che fosse stata una mancanza non da poco. Quindi ho sospettato che fosse lì.”
L’agente Castillo annuì. Era sinceramente ammirata ma non disse nulla.
“Beh, prima Amber, ora Prescott. Max, forse dovresti riconsiderare la fotografia e darti all’investigazione..”
“Mai. Ho chiuso con tutto questo. Era la mia ultima prova, ora voglio starmene in pace.”
La donna dell’FBI alzò le mani in segno di resa
“Non insisto. Comunque, davvero notevole. Quelle tue intuizioni poi.. sono così lucide da sembrare vere. Come se le avessi vissute. Oppure solo fortuna sfacciata, ma i tuoi ragionamenti, per quanto fragili, hanno sempre una logica. “
Chloe sorrise e fissò Max che, guardandola, le disse
“Consegnalo.”
La ragazza dai capelli blu sembrava titubante
“Sicura? “
Max annuì.
Chloe prese dalla tasca il telefono di Nathan, avvolto ancora nel sacchetto di plastica trasparente, e lo offrì all’agente, che lo osservò incuriosita ma non lo afferrò
“E’ il telefono di riserva di Nathan Prescott: lo usava per comprare droga ma, soprattutto, per comunicare con Jefferson. Magari troverete qualcosa di utile da usare contro quel bastardo.”
Castillo spalancò gli occhi e, finalmente, afferrò il telefono
“Ma come…”
“Era qui. In un condotto dell’areazione. Max ha pensato anche  che, in qualche modo, Nathan dovesse per forza comunicare con Jefferson tramite canali alternativi. Perciò abbiamo frugato un po’ in giro fino a trovarlo.”
Castillo, continuando ad osservare il telefono, annuì decisa e disse
“Capisco… stupefacente…. E senza nemmeno un briciolo di sporco e polvere, eh?”
Alzò gli occhi e fissò Chloe che, si sentì nuda
“Tutti questi mesi e nessuna traccia di abbadnono, polvere, sporcizia o altro. Inoltre nei condotti eh? Quali? Non ve ne sono qui…”
Chloe deglutì nervosamente
“Io intendevo dire…”
“Non dire nulla, Price. Mi inventerò io qualcosa e farò in modo di rendere il vostro ritrovamento più credibile. Nessuno si accorgerà che avete nascosto questa prova per chissà quanto tempo, tranquille. In fondo, ve lo meritate. Garantirò anche per Frank Bowers, promesso. Penso che sia giusto darvi qualcosa in cambio, dopo tutto quello che avete fatto per aiutare noi. Ma vi avviso: ora la vostra testimonianza diventa pesantissima e più preziosa che mai. Dovremmo per forza fare quella chiacchierata molto presto. Vi conviene fermarvi qui ancora per un bel po’.”
Detto ciò, le salutò e si congedò da loro.
“Anche io devo fermarmi qui? Cazzo dovevo portare più mutande.” si lamentò Steph
Max e Chloe ridacchiarono, mentre in lontananza videro arrivare David Madsen
“Ahi ahi.” disse Chloe “Ora non sarà semplice come con miss FBI.”
“No, temo di no.”
David si fermò davanti a loro. Le passò ai raggi x e poi esclamò
“Non so se essere orgoglioso o incazzato. Di nuovo? Quanti casi avete intenzione di risolvere voi, eh?”
Chloe tirò un sospiro di sollievo plateale
“No, abbiamo finito David. Io e Max siamo stufe e credo che anche Steph non abbia più voglia di farsi trascinare in queste avventure.”
David fissò la terza e bizzarra nuova ragazza e sentenziò
“Si, penso anche io. Non ha una bella cera.”
“No, è la mia naturale faccia da culo, signor Madsen.” rispose Steph prontamente, suscitando ilarità generale.
Una volta ricompostosi, David disse
“Davvero ragazze, sono fiero di voi. Di nuovo. Un po’ incazzato, certo, dato che non la finite di ficcarvi in situazioni pericolose, ma fiero. La vostra amica bionda, poi, è stata una vera sostenitrice del vostro operato.”
Le tre si scambiarono uno sguardo
“Kristine?” chiese Chloe
“Si. Sapeva che qualcuno vi teneva d’occhio e lo ha neutralizzato rapidamente. E’ venuta da me per chiedermi di rintracciarlo ma anche di raccomandarmi di non interferire e fidarmi di voi. Una Prescott così strana…. Direi umana…. Vi siete fatte una amica potente, sappiatelo. Ah, io non vi ho detto nulla, sia chiaro.”
Annuirono
“Chloe? Vuoi dire tu a tua madre della vostra impresa? Io ho taciuto, per ora, ma diventerà di dominio pubblico entro sera….”
“No, ora vengo in ospedale e ci penso io. Sempre se tu sei diretto là.”
“Certo che si.”
“Allora aspettaci.” concluse Chloe, salutando David che si allontanò da loro.
“E’ finita. Possiamo finalmente staccare la spina.” disse Steph
Max si rabbuiò
“Manca il processo. E ora non possiamo evitarlo.”


 
   
 
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