Il ritorno
di Papillon
*
Capitolo 7
*
La
battaglia continuò per un tempo indefinito.
Lady
Bug e Chat Noir, non potevano nulla contro il famigerato Papillon, che li aveva
costretti all’angolo.
Sui
tetti di Parigi, aveva preso vita la battaglia del secolo, e sembrava che il
portatore del miraculos della farfalla avesse la
meglio.
“Arrendetevi,
e consegnatemi i vostri miraculous!” Allungò una mano
guantata grigia per prendere ciò che voleva.
“Non
te li daremo mai!” Grugnì Lady Bug, la quale aveva ancora il suo potere
speciale da usare.
“Lucky Chaaarm.” Aveva urlato
lanciando in aria lo yo-yo magico, materializzando un cuscino rosso a pois neri
che atterrò tra le sue braccia.
“Hai
sonno?” Aveva detto Chat Noir schernendola.
“Ah-ah Lady Bug
e Chat Noir! E’
giunta l’ora di farvi dormire.” Aveva urlato Papillon avvicinandosi con il suo
bastone, pronto per colpirli e farli precipitare dal tetto divenuto campo di
battaglia.
“Sarai
tu a dormire, nonnetto!” Chat Noir si avventò su di
lui invocando il suo potere distruttivo “Catalisma”.
Lady
Bug si schiaffeggiò la faccia “Ma no Hugo! E’ Cataclisma, no catalisma” Aveva sottolineato la differenza di pronuncia in
maniera saccente.
Papillon,
ovvero Adrien, si era levato la maschera viola
“Sareste stati eliminati tutti e due”.
I
tre sentirono la porta dell’ingresso principale chiudersi.
“E’
arrivata la mamma!” Urlò contento Hugo correndo al piano inferiore ancora
travestito da Chat Noir, seguito a ruota dalla sorella Emma che vestiva i panni di Lady Bug.
“Aspettami,
Hugo!”
Louis,
stava studiando in camera sua, per modo di dire, in quanto il baccano che
stavano facendo quei tre, era enorme e ogni tanto sospirava seccato quando
sentiva qualche oggetto cadere, facendogli perdere la concentrazione.
Spostò
la sedia girevole con un colpo di bacino, era arrivato il momento di fare una
pausa e di andare a salutare sua madre che non vedeva da qualche giorno.
Poggiò
la matita che teneva in bocca, sulla scrivania, e si avviò all’ingresso.
*
“Mammaaa!” Aveva urlato il più piccolo della combriccola
andandola ad abbracciare, superando tutti.
“Ciao
piccolo!” Marinette passò i cartoni della pizza calda
ad Adrien, che li portò poi in sala da pranzo, già
con la tavola imbandita e pronta per la cena.
“Sta
bene zia Alya?” Aveva chiesto la biondina.
“Mi
ha detto di salutarvi e di abbracciarvi, poi quando torna zio Nino, andiamo a
pranzo da loro, e ci prepara i suoi famosi hamburgher”.
Urla
di gioia uscirono dalla bocca dei tre pargoli, seguiti da qualche saltello dei
più piccoli.
“Forza,
a mangiare finchè è ancora calda.” Ordinò Adrien, ritornato all’ingresso per aiutare la moglie a
togliersi il cappotto e raccogliere le altre buste di plastica e carta, Alya e Marinette ne avevano anche
approfittato per fare dello sano shopping.
*
“Mamma,
mi hai preso la pizza con il Camembert che ti avevo chiesto?” Aveva domandato
Hugo annusando il cartone che era stato messo al suo posto, accomodandosi.
Adrien sorrise
divertito “Conoscevo qualcuno che andava matto per quel formaggio puzzolente.”
Non si era nemmeno accorto di averlo detto a voce alta mentre tagliava uno
spicchio della sua ortolana.
“Chi,
papà?” Gli occhi di Hugo si puntarono su di lui.
“Un
amico!” Aveva balbettato facendo quasi finta di niente.
“Lo
conosco?”
Perché
i bambini sono sempre così maledettamente curiosi?
“No,
tesoro” Intervenne Marinette.
Hugo
alzò le spalle e finì quella baby pizza che sua madre gli aveva appena
tagliato.
Emma,
seduta vicina al fratello più piccolo, era stata costretta a spostarsi, perché
l’odore di quel latticino le dava il volta stomaco.
“Che
puzza!”
Sia
ad Adrien, che a Marinette,
mancava quell’odore in giro per tutta casa, e si scambiarono un’occhiata
complice e malinconica.
Ma
un patto è un patto.
Non
avrebbero più evocato i loro kwami, a meno che non
fosse strettamente necessario, il che valeva a dire, se non comparivano nuovi
nemici, anche perché avevano già abbastanza da fare con quei tre in giro per
casa.
“E’
profumo, non capisci niente, Emma”
“Bleah! Quello è un insulto al cibo.”
“Smettetela,
e mangiate la vostra pizza in santa pace.” Intervenne la mamma a placare quella
lite.
*
Marinette rimboccò le
coperte al piccolo Hugo, erano già le nove passate e lui era già molto stanco.
Sbadigliò
e si stropicciò gli occhi.
“Buonanotte,
piccolo” Gli stampò un tenero bacio sulla fronte e gli tolse il cerchietto con
le orecchie da gatto che lei stessa aveva cucito.
Lo
appoggiò sul comodino, e fece per spegnere l’abatjour, quando suo figlio le
porse una domanda.
“Mamma…pensi che Lady Bug e Chat Noir abbiano avuto dei
figli?”
Lei
deglutì rumorosamente.
“Perché
me lo chiedi?”
“L’ho
chiesto a papà, ma non mi ha risposto.”
“Se
non lo sa papà, perché dovrei saperlo io?”
Hugo
sbuffò seccato, in un’espressione crucciata, che fece molta tenerezza a sua
madre. “Uffa, nessuno mi dice niente”. Incrociò anche le braccia al petto.
Marinette gli scompigliò
la testa nera “Non saprei”
“Si
amavano?”
A
lei mancò un battito e anche ad Adrien che origliava
fuori dalla porta.
“Tanto,
e sono sicura che si amano ancora.”
“Sono
fatti l’una per l’altra, vero?”
“Chi
ti ha detto questa cosa?”
“Papà!”
“Sai
cosa penso? Che Lady Bug e Chat Noir, anche se non si vedono più in giro,
sicuramente sono insieme da qualche parte. E mi piace pensare che abbiano avuto
dei gattini e che li stanno crescendo
nei migliori dei modi.”
“Ma
vegliano anche su di noi?” Sbadigliò e chiuse gli occhi abbandonandosi al
sonno.
“Sempre,
piccolo mio. Sempre”.
*
Adrien si era
soffermato a guardare Marinette mentre era intenta ad
infilarsi il pigiama.
Era
incredibile come quella ragazza risultasse sexy anche con quella tenuta da
notte un po’ larga.
Lui
era già sotto le coperte da un pezzo e la stava aspettando per chiederle com’era
andata con la sua amica, in quanto per tutta la cena, era rimasta in silenzio e
con un’aria pensierosa.
Non
poteva essere per la sfilata di fine settimana, era sempre abbastanza
tranquilla e sapeva che ormai ai preparativi mancavano solo dettagli, ai quali
ci avrebbe pensato l’ufficio competente.
“Adrien…” Aveva esordito guardandolo, ma non aveva il
coraggio di proseguire, doveva però dirgli che cosa si erano dette lei ed Alya quel pomeriggio.
“Che
cosa ti turba” Le aveva preso la mano.
Non
c’erano mezzi termini per parlare di ciò, doveva essere semplice e diretta,
come lo era stata la sua amica.
“Qualcuno
deve avere scoperto che tuo padre in realtà, vestiva i panni di Papillon”.
“Impossibile!”
“Hanno
chiamato in redazione di Alya, chiedendole di far
uscire la notizia. Ma lei non lo farà, non crede all’informatore anonimo.”
“Senza
prove non lo farebbe mai, e prove non ce ne sono.”
Marinette sospirò “Quello
che ho pensato anch’io. Però ha detto anche se Alya
non avesse pubblicato lo scoop, sarebbe andata direttamente dalla polizia.”
“Una
calunnia del genere, se infondata, le potrebbe costare il posto di lavoro. Gli
avvocati di mio padre sono strapagati e lo tireranno fuori anche da questo. Non
è la prima volta che…”
“Lo
so bene.” Lo interruppe “…Alya non pubblicherà
niente. Ma non è questo di cui mi preoccupo.” Fece una breve pausa “…se i kwami venissero scoperti,
sarebbe un disastro…”
“Non
accadrà” Adrien era sempre stato molto positivo, e
trovava sempre il modo per consolare tutti.
“Ho
una terribile sensazione in merito”
“E
io ho un’idea per scacciare via questi pensieri brutti”.
Iniziò
a baciarle il collo fino ad arrivare alle labbra morbide.
*
Erano
le due di notte quando Sabrina Raincomprix terminò un
turno massacrante.
Quella
mattina, era riuscita, grazie ad una soffiata anonima e alla sua squadra
migliore, a catturare una banda di malviventi, che erano soliti fare razzia di
gioielli e denaro.
Quella
settimana avevano rapinato due oreficerie della città e un paio di ville nella
periferia di Parigi.
Erano
settimane che la polizia li cercava e sempre per un soffio riuscivano a
sfuggirli, lasciandoli sempre con un pugno di mosche in mano.
Ma
non era il caso di quel giorno.
Dopo
aver radunato la sua squadra migliore e un paio di cecchini, indossato il
giubbotto antiproiettile, spolverato la sua pistola di servizio, si erano
diretti in un casolare abbandonato e diroccato, nelle campagne parigine.
Il
profumo di lavanda regnava sovrano, ma Sabrina non poteva fermarsi ad annusare
l’aria.
Prima il dovere
e dopo il piacere.
Era
questo che gli aveva impartito suo padre.
Non
fu difficile buttare giù la porta, non
c’era nemmeno bisogno dell’ariete, tanto era marcia e mangiata dalla tarme
quella porta di legno.
“Fermi
tutti!” Aveva urlato puntando l’arma contro quei quattro teppisti, intenti, in
quello che una volta doveva essere un salotto, e lo si capiva dal sofà lercio e
odorante di piscio, a dividersi il bottino della giornata.
Gli
era andata male.
Erano
bastati delle telecamere di sorveglianza e un paio di testimoni lungo la strada
per inchiodarli.
L’interrogatorio
poi, proseguì per tutto il pomeriggio, e Sabrina, aveva dovuto assistere anche
al processo per direttissima.
Una
volta tornata in centrale, stilò il rapporto, che la costrinse in ufficio fino
a tardi.
Non
aveva figli.
Non
aveva marito.
La
carriera era tutto ciò che al momento possedeva.
Sbadigliò
e si stiracchiò, e quando vide l’orario sull’orologio da parete, decise che era
ora di prendere armi e bagagli e uscire da lì.
Soddisfatta
e con un enorme sorriso dipinto sulla faccia.
Mentre
indossava il cappotto beige, notò una busta gialla imbottita in cima alla pila
di documenti tra le pratiche da evadere.
Incuriosita,
la prese e se la rigirò tra le mani.
Nessun
indirizzo del mittente, solo il destinatario “Al commissario di polizia – Informazioni
riservate”, non si erano nemmeno sprecati ad indicare il nome.
“Che
stronzi” Aveva pensato mentalmente.
Tastò
il contenuto e al tatto, sembrava contenere una memory
card, l’aprì di fretta strappando la carta.
Aveva
ragione, all’interno c’era proprio quell’oggetto.
Era
stanca, ma la curiosità di cosa contenesse, era troppo grande.
Senza
pensarci troppo, la infilò nel lettore e premette il pulsante di accensione,
quello che vide, la lasciò a bocca aperta e meravigliata.
Si
doveva trattare per forza di un falso, non c’era altra spiegazione, oppure di
uno scherzo di cattivo gusto.
Tolse
la schedina e spense il computer, infine la gettò nella pattumiera.
Sbuffò
irritata per aver perso del tempo, che invece avrebbe potuto dedicare al
riposo.
E
ne aveva bisogno.
Eccome
se ne aveva bisogno.
*
continua