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Autore: Enchalott    06/04/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao a tutti! Ho cambiato il nome dello strik Gormal in Daingean. Grazie a chi mi segue e lascia una recensione. ^^

Sei mesi dopo

 
La Karadocc attraccò a Thyda con la puntualità all’alba.
Ritta a prua, Adara osservò lo splendore dirompente della sua terra, che dopo il distacco e l’interminabile inverno nordico appariva più intenso. Si lasciò attraversare dallo sfavillio dei colori infuocati di Elestorya, consentì ai profumi inconfondibili di colmarle l’anima, ascoltò il vociare marcato dei portuali che tiravano le gomene alle bitte, percepì sulla pelle il pizzicore della sabbia trasportata dal vento tiepido. Tutto appariva identico a quando era partita. In verità, nulla lo era. Scacciò la mestizia e abbracciò ciò che i suoi occhi coglievano nella materialità e non nel ricordo.
«Mai andata tanto liscia, parola mia!» esclamò Dalian, sporto verso il bompresso «Si vede che il vecchio Manawydan è di buon umore!»
«Sareste capace di farlo credere a chiunque, capitano.»
«Sul mio onore, altezza!» si schermì l’ex pirata, sfilandosi il foulard «Il Pelopi riserva sempre sgradite sorprese, ma in questa tratta è apparso assonnato! Privo di vigore da quando ha provato a ingoiarci interi qualche mese fa! Si è stancato o non ha ancora digerito. Mai successo in cinquant’anni di mare, per tutte le onde!»
Adara sorrise: la Karadocc era sfuggita alla furia devastatrice dell’oceano e lo scafato lupo di mare non se ne dava motivo. Non aveva neppure provato a inventarsi una panzana più o meno credibile per decantare la propria abilità di marinaio.
Dalian le offrì il braccio con cavalleria e la guidò al barcarizzo gettato sul molo: la fanciulla elestoryana era bellissima, regale e gentile come quando l’aveva incontrata, ma nei suoi occhi riposava una tristezza che prima non esisteva.
Le chiacchiere viaggiavano veloci sulle onde: i tragici eventi che l’avevano vista protagonista a partire dalle nozze con il principe Anthos sino alla sua misteriosa scomparsa non erano un segreto. Come il fatto che a Iomhar, dopo l’apocalisse e svariati millenni, si fosse manifestata l’estate e che avesse perso l’aspetto d’oltretomba ghiacciato. Forse l’esistenza stessa del creato era merito di quella ragazza dal viso dolce e malinconico. Il suo istinto infallibile lo suggeriva e Dalian ci credeva. Anzi, per paradosso aveva iniziato a confidare in qualcosa di diverso dalla rigida legge del mare.
«Tra una quarantina di giorni sarò di nuovo qui, se avrete bisogno di me. Siete sicura di voler viaggiare da sola? Vostro padre ha sbaragliato i predoni, ma una donna senza scorta può sempre incorrere in spiacevoli inconvenienti.»
«Oh, ma con me c’è Illtyd! Lui è sufficiente come compagno e come deterrente.»
Il bucaniere sogghignò, osservando il magnifico stallone bianco sulla banchina: l’animale era una cavalcatura degna del suo originario padrone. Persino Bicks non aveva osato avvicinarsi ai suoi preziosi finimenti.
Un grido acuto lacerò l’uniformità dell’aria, seguito da un frullio di piume scure: uno strik di considerevoli dimensioni volteggiò intorno alla regina del Nord, per posarsi superbo sul corrimano d’ottone, fissandoli con gli occhi d’argento.
«Ma certo, Daingean. Anche tu sei un accompagnatore eccellente.»
Dalian scosse la testa. L’uccello messaggero possedeva la medesima tempra del purosangue, pur trattandosi di un esemplare molto giovane.
Eppure a Erinna qualcuno aveva tratto le sue stesse conclusioni e aveva evitato che la ragazza raggiungesse in autonomia la città: era lì ad aspettarla, in groppa a uno splendido blu roano, fermo oltre la zona d’attracco.
Adara spalancò gli occhi nel riconoscerlo.
«Dare Yoon!»
Il comandante della Guardia smontò d’arcione e s’inchinò formale, tendendo la destra al fianco sinistro. Le iridi blu scintillarono liete alla vampa assolata del giorno. Sulle sue labbra aleggiò un sorriso, mentre osservava la principessa precipitarsi a rotta di collo. Non si stupì quando gli gettò le braccia al collo in barba al protocollo, ma riuscì ad avvampare: non ci si sarebbe mai abituato.
«Mia signora» mormorò con calore.
«Quando ci siamo salutati mi chiamavi per nome, Dare Yoon! Mi sei mancato tanto!»
L’ufficiale si decise a ricambiare la stretta, pur con rispettosa distanza, accettando commosso quel legame di amicizia che aveva superato ogni genere d’ostacolo.
«E voi a me. È una gioia immeritata rivedervi.»
«Come facevi a sapere del mio arrivo? Non ho avvisato nessuno.»
«C’è chi non necessita di annunci per conoscere.»
Adara seguì sorpresa il suo indice e solo allora notò una carrozza coperta, fregiata con le insegne reali elestoryane e sorvegliata da altri quattro soldati. La donna che ne scese fu investita da un refolo di vento, che sollevò i veli salvia di cui era ammantata per difendersi dal sole. La folata, benché mite, fece sfuggire dalla sua acconciatura alcune lunghe ciocche ramate.
«Dionissa!»
La veggente avanzò sul pontile con la grazia di una visione sovrannaturale, tendendo le mani affusolate e facendo tintinnare i bracciali che portava ai polsi. La accolse nell’abbraccio e la cinse per un tempo incalcolabile, commossa alle lacrime.
«Adara…»
«Sei bellissima, Nissa! Non posso credere di poterti rivedere in salute, così radiosa!»
«Dovresti, invece. Partendo, hai promesso che mi avresti guarita. Non ho mai smesso di avere fiducia in te, Adara, ero sicura che non ti saresti arresa.»
«Io invece non lo ero affatto. E anche adesso…»
Dionissa scosse il capo, leggendo con una fitta la disperazione che albergava nell’animo della sorella. Era nitida, profonda, un sentimento straziante che non aveva mai rilevato. Sospirò affranta, pur senza perdersi d’animo.
«Quando Màrsali mi ha comunicato che eri decisa a partire, ho evocato ogni giorno il Kalah per venirti incontro. Non potevo attenderti a palazzo. I nostri genitori e Rei non vedono l’ora di riabbracciarti. E Shionade vuole conoscere sua zia!»
Adara appoggiò la testa sulla spalla morbida della sorella, riconoscente. La preghiera sgorgò spontanea dal cuore ferito, come in tutte le precedenti occasioni.
Irkalla, sei il medicamento, il rimedio. So che mi ascolti, raccogli il mio dolore e trasformalo in forza. Torna. Torna da me, mio sposo, mio immenso amore…
Non ebbe risposta. O fu un no che non udì.
«Illtyd non se la prenderà, se siedo con te.»
«Voglio sperarlo» sorrise la sacerdotessa.
La sua attenzione cadde sullo strik dalle tonalità bluastre che se ne stava appollaiato su un paletto.
«Azhulio?» balbettò incredula.
«Daingean» precisò Adara «Ogni tanto anch’io mi confondo. Sono identici.»
Dionissa intravide nell’essenza del volatile una sorta di sdoppiamento, come se non fosse un’unica creatura e possedesse due anime distinte e legate, due storie che convergevano in un unico percorso. Era impossibile spiegarlo in termini umani.
«Il tuo non è proprio un errore… e la mamma sarà felice di vederlo.»
 
Dare Yoon sorrise, toccato nell’intimo dall’incontro struggente tra le due donne. Impugnò le redini di Soresh e lanciò un’occhiata alla Karadocc, che dondolava placida all’ormeggio. L’equipaggio stava scaricando le stive, le merci attendevano allineate sul molo. I ricordi gli affollarono la mente. Si diede dell’imbecille quando constatò che qualcosa mancava alla scena collaudata.
Dalian lo salutò dalla murata, portando la mano alla tempia. Gli rispose con cenno del capo e rimontò in sella, pronto a scortare le due altezze reali a Erinna. Non si interrogò sul motivo per cui il pirata non gli domandasse notizie della sua ex capitana. Probabile ne fosse al corrente o non lo ritenesse la fonte di informazioni idonea.
Aveva scoperto di lei per caso. Aggrottò la fronte irritato. Non che gli importasse.
Era accaduto poche settimane prima, mentre la Guardia reale attraversava uno dei sestieri della capitale.
 
I cittadini avevano attirato la sua attenzione, pregandolo di intervenire per sedare una rissa scoppiata alla Varuya. Alla sua espressione interrogativa, avevano spiegato che si trattava di una locanda inaugurata di recente e che la proprietaria era una straniera bellissima e cortese. I soldati si erano messi a fremere.
Lui aveva alzato gli occhi al cielo e aveva smorzato le accordature ammirate e l’aria trasognata dei suoi uomini. Si era affrettato verso la taverna, anche se non era compito suo mantenere l’ordine pubblico.
Lì l’aveva incontrata: il primo pensiero era stato quello di non essere sorpreso di averla colta in mezzo a una zuffa, mentre qualcuno strillava di essere stato derubato. Si era dovuto ricredere. Tsambika non era il ladro. Era impegnata a consolare la poveretta cui erano state sottratte le poche monete dopo che era entrata per dissetarsi. I presenti si erano accusati a vicenda, passando dalle parole ai fatti, complice qualche bicchiere di troppo.
Lei era trasalita al suo ingresso e lo aveva guardato con intensità, come se non avesse desiderato scorgere altri che lui sulla sua soglia.
Dare Yoon aveva mantenuto il cipiglio e si era concentrato sui bollenti spiriti della clientela, ma la comparsa delle uniformi tortora e cremisi era bastata a placare gli animi. Aveva comandato ai suoi di perquisire i presenti e di interrogarli con le cattive. Era rimasto in disparte, appoggiato a braccia conserte al bancone, ma con la coda dell’occhio aveva colto un particolare: Sharen aveva lasciato cadere un paio di aergid nel palmo della donna in lacrime, pregando che li accettasse in qualità prestito e non di elemosina. Lo sguardo riconoscente di quella persona lo aveva colpito.
Il responsabile non era stato trovato, i testimoni non erano concordi, forse era riuscito a filarsela prima dell’arrivo della Guardia. Lui si era spazientito, ma l’isolana aveva sbattuto le mani sul legno macchiato di bjorr, sbraitando agli avventori di pulire il disastro che avevano combinato, minacciando di cacciarli a pedate e a giudicare dalle reazioni era risultata alquanto convincente.
Tsk! Merito dei decenni di allenamento con le ciurmaglie di tutto il Pelopi!
Tsambika aveva offerto da bere ai soldati, che avevano accolto la proposta.
«Il sole è calato, non siete in servizio» aveva mormorato, offrendogli un bicchiere «Nessuna violazione al regolamento. A giudicare dalla polvere che vi portate addosso, dovete essere assetati.»
Lui aveva continuato a girarle le spalle, indefesso.
«Pensavo foste tornata tra i flutti.»
«Non fa più per me.»
«Sono costretto a chiedervi come siete diventata proprietaria della Varuya.»
«Sono costretta a rivelarvi che ho venduto l’anello di Iker. Altre interpellanze?»
Dare Yoon era rimasto in silenzio, in attesa che i suoi uomini si ristorassero.
«Ho visto cosa avete fatto.»
«Quale nefandezza mi attribuite stavolta?» aveva replicato Sharen sulla difensiva.
«Nessuna. Parlavo del denaro che avete regalato a quella povera donna.»
«Non avete mai visto qualcuno compiere un atto di carità?»
Il capitano si era voltato. Lei era avvampata, ma aveva sostenuto il suo sguardo.
«Raramente in modo che non risultasse umiliante» aveva ribattuto sincero.
Poi aveva richiamato i soldati e se n’era andato senza aggiungere altro.
Lungo il cammino verso il quartiere, il suo secondo lo aveva avvicinato, fissandolo con una meraviglia tale da fargli credere di avere qualcosa in faccia.
«Rivelatemi qual è il vostro segreto, comandante» aveva implorato con adorazione.
«Di cosa stai parlando?»
«Della bella straniera. Non dà confidenza a nessuno.»
«Fingerò di non aver sentito! Così non sarò costretto a rifilarti un doppio turno per convincerti a non spettegolare alla stregua di una cameriera! Allunga il passo, soldato!»
Nessuno aveva osato fiatare, ma per tutto il tragitto aveva percepito sulla schiena gli sguardi curiosi dei suoi uomini.
 
Dannata donna
Dare Yoon strinse i talloni ai fianchi di Soresh, lasciandosi il porto alle spalle.
 
I fuochi ardevano nella notte stellata. Un plenilunio immenso schiariva la sabbia fine del deserto, rendendo superflue le fiamme delle torce, le braci dei falò e le tenui vampe delle lampade a olio.
Le sette tribù del deserto si erano riunite al limitare delle dune, alla presenza del reggente, per rinsaldare il legame che avevano stretto nei giorni in cui il creato appariva destinato alla caduta. Le tende, variegate nei colori della rena, si estendevano ai piedi di Erinna, le cui torri erano visibili nel chiaroscuro sfumato della distanza. Celebravano di essere vivi e ricordavano chi non lo era più, festeggiavano la vittoria, l’ultimata ricostruzione e il ritorno della Campionessa, scambiavano doni e promesse, officiavano le cerimonie rimaste in sospeso.
Il mattino seguente le genti del deserto si sarebbero separate per tornare ciascuna alle proprie consuetudini. Congiunte in eterno nei cuori, certe che i sentieri di anydri le avrebbero condotte l’una verso l’altra.
Così pensava Kiyan, mentre si godeva la vicinanza dei compagni, elargendo i suoi motti spiritosi e arricchendo di particolari l’avventura vissuta nelle viscere della Strega del deserto. Gli Alkivion erano tornati sani e salvi. Il loro spensierato portavoce aveva adempiuto alla promessa: nessuno si era smarrito, ogni singolo individuo era stato protetto e salvaguardato. Erano stati fortunati, mentre altri avevano subito perdite ingenti, come i Melayr. Eppure i coraggiosi yafandi avevano superato il lutto che coinvolgeva ciascun essere umano e, smontati i bastoni da guerra, battevano le mani al ritmo dei tamburi, che facevano vibrare l’aria quieta di un’armonia diversa da quella della battaglia.
Ayonira, seduta sui cuscini del padiglione, scambiò un gesto d’intesa con Zheule.
«Sei davvero deciso a rinunciare così presto alla tua carica?»
Il bailye dei Thaisa annuì, posando lo sguardo sul figlio maggiore: Niyla si era ripreso senza strascichi negativi. Il quel momento stava facendo ballare la moglie e nei suoi occhi d’ossidiana brillava la fierezza di un vero uomo del deserto.
«Lascio la tribù in ottime mani. Comincio ad annoverare un discreto numero di nipoti e pronipoti, se non faccio loro visita più spesso rischio di dimenticarne qualcuno.»
«Ma figuriamoci, non sei così rimbambito!» rise la portavoce Melayr «Ma è l’occasione giusta per passare il testimone a tuo figlio, di cui siamo orgogliosi.»
Levò il calice per il nuovo capotribù Thaisa e gli altri onorarono il brindisi.
Aylike, accomodata in disparte, bevve un sorso di vino speziato, ammirando gli inconsueti festeggiamenti degli Haltaki, che mai si dedicavano alla musica, al canto e alle attività giocose. I più valenti combattenti del deserto avevano preso gli strumenti a corda e si erano uniti agli altri con spontaneo entusiasmo. Alcuni estraevano la divinazione dal fuoco: sperò che fosse un principio, un’occasione per rendere meno austere le regole della sua gente.
«Vuoi danzare con me, mamma?»
«Magari dopo, Yazad. Va’, sono certa che qualunque fanciulla accetterà il tuo invito.»
Il ragazzo avvampò e le iridi blu scuro scintillarono al riverbero del fuoco: indugiò un istante, poi si congedò e sparì nell’allegra confusione.
Aylike sospirò. Aveva compreso perché il figlio si era offerto come cavaliere. Aveva notato che nessuno le aveva rivolto la parola e avrebbe voluto che non si sentisse esclusa dall’atmosfera lieta. Albergava tanta solidarietà nel suo animo e anche in quello non le assomigliava.
«Perché il generale Gadyvian non è qui?» intervenne Eisen, rivolgendole un cenno cordiale «Forse non è in buona salute?»
«Oh n-no, sta bene. È che…» arrossì lei, abbassando gli occhi.
 
«Promettete che alla prossima occasione porterete anche vostro marito» la cavò d’impiccio il bailye Iohro «Non lo vediamo da un secolo.»
«Garantisco» replicò lei sollevata.
Eisen sogghignò per l’infinitesimale attimo di gelo calato tra gli altri capitribù e che per fortuna si era estinto altrettanto rapido. Era ora di finirla con gli errori del passato, con le ruggini e con i pettegolezzi. Soprattutto quando chi ne era bersaglio si era distinto per ardimento e si era messo a repentaglio a favore del bene condiviso. Nessuno poteva vantare assoluta perfezione, neppure gli dei, a considerare gli eventi trascorsi. Incrociò lo sguardo di Stelio, che ammiccò con gratitudine, poi passò il vassoio colmo di datteri e miele al vicino.
«Non vedo tua figlia, Varsya. Mi hanno riferito che ha deciso di tornare in anydri
«È così» confermò il principe Aethalas «Gli dei me l’hanno restituita. Ma ciò che più conta è che in questi mesi difficili abbia riguadagnato la serenità. È un miracolo. Ha stretto amicizia con i Rhevia, credo sia con loro. Mi sento sollevato per questo.»
«Mh, non assegniamo il merito ai Superiori.»
Varsya gli rivolse un’occhiata interrogativa e scandalizzata.
«Il nuovo bailye, Anshar» precisò Eisen divertito «Quando è giunto stravolto presso le nostre tende, abbiamo pensato che fosse troppo sensibile, troppo insicuro o troppo giovane per il suo ruolo. Comprensibile, visto l’infame massacro patito dalla sua gente. Al contrario ci ha sorpresi in più di una circostanza. L’ho addestrato alla bell’e meglio e ti assicuro che mi ha colpito. Ha un bel fegato. Mi ha detto di non aver mai tenuto in mano un’arma e di non averne particolare simpatia, ma si è sottoposto alle pesanti esercitazioni senza un lamento. Lui e Phylana ci hanno liberato da Laras. Credimi, lo ammiro molto. È un uomo come pochi.»
«Sì. Sarà una guida eccellente per i suoi.»
«A questo proposito, i Rhevia hanno bisogno del nostro appoggio, non mi pare corretto lasciarli soli in mezzo al deserto. Sono anziani e ragazzini, per loro sarebbe impossibile sopravvivere con dignità, nonostante l’assennatezza del loro portavoce.»
«Concordo. È per questo che gli ho proposto di rimanere con noi. Abbiamo usi diversi, noi siamo Guardiani e arcieri, loro pastori e danzatori, ma questo non è un problema, ritengo.»
«Direi proprio di no. Che cosa ti ha risposto?»
«Che mi è riconoscente e che ci rifletterà.»
 
Phylana si lasciò cadere sulla sabbia con il fiato corto, accaldata. Aveva ballato a partire dal tramonto e aveva bisogno di una pausa. Non capiva come Anshar riuscisse a respirare dopo tutto quel movimento. Lui le sorrise: l’aveva convinta a danzare dicendole che le avrebbe mostrato i passi e poi non avevano più smesso.
«Ti ci vuole un po’ di vino!» commentò Neyosh, porgendole un bicchiere.
«Sarebbe meglio del chae» obiettò Anshar.
«Non siamo bambini! Porta male brindare con l’acqua calda!»
«Sì, ma tu hai levato il calice a sufficienza. Non ho voglia di portarti a spalle.»
Neyosh sbuffò, guardando Phylana in cerca di solidarietà. Lei rise alla sua espressione costernata e lievemente offesa.
Non era abituato a vederla in abiti femminili. La volta in cui si era agghindata per tranquillizzare Daara non era paragonabile. I capelli sciolti e ornati di nastri, la veste di seta ciclamino, la sciarpa rosa che le stringeva la vita sottile, i bracciali ai polsi e alle caviglie, la collana che le aveva donato. Non l’avrebbe creduta tanto attraente da farlo sentire intimidito. Certo non sortiva il medesimo effetto su Anshar, che la guardava senza soggezione, con una luce inconfondibile nelle iridi di giada.
«E va bene! Andrò cercare questo chae
«Non ce n’è bisogno!» lo richiamò Phylana «Ne abbiamo in abbondanza!»
«È freddo!» ribatté lui, accomiatandosi con il braccio levato.
Anshar sorrise. Neyosh si era premurato di lasciarlo solo con lei; aveva colto l’occasione per non risultare il terzo incomodo. Lo avrebbe ringraziato a dovere. Tese la destra e prese quella della ragazza, sfiorandola con le labbra.
«La promessa di suonare l’ògera è ancora valida?» domandò lei.
«Certo. L’ho lasciato nella tenda, devo solo recuperarlo.»
«Vengo con te» stabilì Phylana «Non desidero farmi servire e in mezzo al chiasso non riuscirei ad ascoltare la tua melodia.»
Il giovane la guidò fuori dalla festosa confusione, orientandosi al chiarore lunare.
«Che meraviglia» mormorò la ragazza, osservando l’interno del padiglione riservato.
«Troppo per me» considerò Anshar.
«Filtri i meriti con la modestia. Ne sei degno, non solo perché sei il bailye dei Rhevia.»
Il ragazzo le accarezzò una guancia con il pollice, abbassando lo sguardo.
«Tuo padre ci ha offerto l’opportunità di restare con gli Aethalas.»
«Cosa farai?»
«Non ho intenzione di andarmene.»
Phylana gli posò le mani sul petto, trattenendo a stento la commozione. Erano rimasti insieme quando il buio era calato e quando la luce lo aveva squarciato. Le sue parole assicuravano che avrebbero continuato il cammino.
«Mi sono interrogato sull’ipotesi che la mia fosse una risoluzione interessata e non a favore della mia tribù» proseguì lui «Ti amo, il solo pensiero di vivere lontano da te mi riempie d’angoscia. Ho pensato di chiederti di sposarmi e portarti con me, ma sarebbe ingiusto toglierti a Varsya ora che ha bisogno del tuo sostegno. I Rhevia mi hanno convinto che la felicità di uno è la felicità di tutti e viceversa. Si fidano di me e della mia facoltà di giudizio, onorandomi. Resteremo con voi, rimarrò accanto a te. Mi assumo la responsabilità delle parole che sto pronunciando.»
«Oh dei! Tu vorresti…»
La proposta di matrimonio e la notizia che non sarebbe partito alle luci dell’alba detonarono in alternanza nella mente di Phylana, stordendola di gioia. Lui si abbassò e la baciò con dolcezza. Il trasporto si accrebbe immediato e dirompente.
«Sei bellissima stasera» sussurrò Anshar «Non trovo che queste banali parole… e giuro che sto cercando in me la volontà di prendere il flauto e uscire da qui.»
Il battito del suo cuore era assordante, superava il ritmo dei tamburi lontani.
«Ti amo, Anshar.»
Lui posò le labbra sulle sue, soffocando un sospiro.
«Fermami adesso, se non vuoi. Ti prego.»
«Non voglio. Non voglio che ti fermi.»
Il ragazzo la prese tra le braccia. Mosse pochi passi e si lasciò cadere tra le stoffe preziose del talamo, stringendola al petto.
Lei gli prese il viso tra le mani, la lunga coda di lui le sfiorò la pelle. Era dolce e gentile, esprimeva rispetto e amore in ogni gesto, la faceva sentire preziosa e la passione che gli leggeva nello sguardo non aveva nulla di spaventoso o di perverso.
«Io…» avvampò al contatto con il suo corpo maschile «Anche se… oh, lo sai, è irrazionale, ma… non ho mai fatto l’amore.»
Anshar la contemplò nel chiaroscuro ricamato dal plenilunio.
«Nemmeno io l’ho mai fatto. Impareremo insieme stanotte.»
   
 
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