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Autore: _Lightning_    06/04/2021    1 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte III

Ad occhi chiusi
.2.


 
21 Maggio 1908
Guarnigione di Nasha, Ishval
17:20
 
Ironclad sarà furibondo. Sarei dovuto andare a fare rapporto un’ora fa e so che mi aspetta una sfuriata interminabile.

Non che mi importi molto, al momento, ma non è il migliore dei modi per presentarsi al proprio superiore. Soprattutto se si è troppo giovani per occupare il mio grado e il superiore in questione è un soldato vecchio stampo, abituato ad avere una schiera di subordinati pronti a scondinzolare ad ogni sua parola. Non riceverà quella soddisfazione da me: avrò anche la medaglietta di cane dell’esercito al collo, ma non sono ancora arrivato al punto di camminare a quattro zampe per gli alti gradi.

Attraverso con relativa calma il tumulto del campo, facendomi largo tra capannelli di soldati seduti per terra, tendoni sorti in mezzo al nulla e pezzi d’artiglieria abbandonati a loro stessi. Sono qui da neanche una settimana e già stiamo cadendo a pezzi.
Supero a testa bassa le file di teli bianchi schierati al centro del campo in attesa di essere identificati, chiedendomi se tra loro ci siano già William e Dennis.

Individuo finalmente la tenda del Colonnello, sormontata dallo stendardo verde di Amestris, quando scorgo gran parte della mia truppa radunata poco lontano. Alcuni siedono su un muretto di pietra diroccato, un tempo muro di cinta di un giardino – la casa a cui apparteneva non è che uno scheletro di muri e travi carbonizzati. Gli altri siedono per terra, col fondo dei pantaloni nella polvere. Sembrano discutere piuttosto animatamente, forse euforici per essere scampati alla loro prima battaglia. Un sentimento che non riesce a toccarmi, anche se qualche parte più primordiale di me è grata per poter ancora calpestare questa terra sabbiosa.

Sono indeciso se unirmi a loro o meno; quando già sto per tirare dritto,però, Jace mi vede e mi fa cenno di avvicinarmi. Non sono dell’umore, ma preferisco non evitarli. Ho avuto modo di conoscere fin troppi ufficiali che trattano i loro sottoposti con indifferenza.

«Truppa Flame,» dico a mo’ di saluto, quando mi fermo in piedi accanto a loro.

Uno dei soldati arrivati ieri fa per cedermi il suo posto sul muretto, ma lo fermo con un gesto.

«Non mi trattengo. Ironclad mi aspetta. Da un’ora,» aggiungo in tono significativo.

«Ti farà a pezzi,» sogghigna Oskar, e io alzo le spalle senza scompormi, lanciandogli un’occhiataccia.

Vorrei che i miei compagni d’Accademia non mi parlassero in modo così informale di fronte agli altri soldati.

«Qualcuno è in infermeria?» chiedo, cambiando argomento.

Jace mi fissa con vago rimprovero, sottintendendo che se prima fossi rimasto solo qualche minuto in più avrei potuto saperlo. Mostra la mano destra fasciata in una spessa benda chiazzata di sangue – ciò non gli impedisce comunque di tenere una sigaretta in equilibrio tra  medio e indice.

«Il mio è un graffio, qualche scheggia provocata dall’esplosione. Tess, Vinnie e un altro paio sono conciati peggio, erano più vicini. Noi stiamo più o meno bene,» snocciola Oskar, perdendo la sua solita vivacità.

Noto il suo turbamento, ma mi limito ad annuire grave. Credo di dover dire qualcosa, ma io stesso devo ancora riprendermi dallo stress della battaglia. Lascio che il tramestio del campo riempia quel silenzio, almeno per un po’.

«Avete combattuto bene. Se non fosse stato per voi avremmo perso il quartiere,» articolo infine, cercando di guardare tutti i miei soldati negli occhi.

Una sequenza di iridi dalle varie sfumature, per lo più chiare, ricambia le mie in una successione confusa. Di molti di loro non ricordo il nome, altri li conosco solo di vista, ma riesco a inquadrarli: a parte pochi, fanno tutti parte del gruppo intrappolato nella distilleria. Degli altri non v’è traccia. Le divisioni interne sembrano già molto nette, e non è un bene, lo dimostra il modo disordinato con cui abbiamo agito sul campo. Ho l’impressione di dover fare un bel discorsetto ai miei uomini, se abbiamo intenzione di uscire da questa guerra vivi. Ma non oggi: sento già un principio di mal di testa stringermi la nuca.

Mi chiedo soltanto perché mi abbiano assegnato una truppa così numerosa, considerando che questo è stato il mio primo scontro vero e proprio. La mia prova del fuoco, che ironia. Controllare così tante unità sul campo si è rivelato molto più complesso del previsto, soprattutto perché dovevo tenerla al riparo dalla mia stessa alchimia. Ho più di sessanta uomini ai miei ordini e oggi avrei potuto perderne la gran parte.

«Se non fosse stato per le tue fiamme a quest’ora nessuno di noi sarebbe qui,» ribatte semplicemente Roderick, rimasto taciturno finora. Un sorriso leggero increspa la sua barba rossiccia.

Ricevo altri sguardi grati e sorrisi un po’ titubanti e sento una punta dell’orgoglio che avevo sepolto riaffiorare in superficie.

«Signor Maggiore?» un soldato – Pete? – che avrà almeno cinque o sei anni più di me mi si rivolge come se stesse parlando con qualche pezzo grosso dell’esercito. Gli faccio cenno di proseguire. «Pensa che ci consentiranno di tornare a casa per... per seppellire i caduti?» chiede, esitante.

Non so chi abbia perso, ma dal suo sguardo improvvisamente sofferente capisco che è qualcuno di caro. Un amico, o forse un fratello.

«Spero di sì,» rispondo senza sbilanciarmi, pensando a Dennis e William e ai teli bianchi.

Nonostante non fossimo così legati è innaturale non vederli con gli altri dopo aver affrontato l’Accademia insieme. È innaturale non sentire la risata rara ma inconfondibile di William ed è innaturale non sentire i costanti fischiettii sottovoce di Dennis, che accompagnava quasi ogni conversazione con una marcetta o un bolero inventato sul momento.

«Di solito non lo permettono. Ti convocano solo per identificarli,» interviene una ragazza, brusca.

La guardo, un po’ seccato per l’intervento indelicato, ma freno ogni rimbrotto nel vederla: i suoi occhi grigi sono puntati verso l’orizzonte delimitato dalle tende. Hanno la stessa sfumatura delle strade di East City – spente, malmesse. Ha la divisa stracciata e sporca, gli stivali consunti a cui si sta scollando una suola. Deve essere qui a Ishval da un po’. Mi chiedo quanti compagni e amici abbia perso lei. Pete, a quelle parole, abbassa gli occhi afflitto.

«Chiederò conferma al Colonnello,» mi limito a dire, sentendo la gola secca.

Devo andare.

«Adesso riposatevi. Domani probabilmente ci spediranno di nuovo a Nasha per consolidare l’area,» annuncio, senza sapere davvero niente per certo, ma fingendo che sia così per rassicurarli.

Loro annuiscono; ci scambiamo cenni di saluto frettolosi, formali o meno, e mi allontano in fretta, tirando un sospiro di sollievo insensato nella calura opprimente. Mi avvio finalmente alla tenda di Ironclad, la cui entrata è sorvegliata da una guardia. Storco il naso nel prendere atto delle dimensioni della tenda: ho la fortuna di averne anch’io una singola, ma questa è almeno tre volte più grande. È pur vero che funge da centro di comando per Nasha, ma posso solo immaginare le comodità che Ironclad può avervi fatto installare – per esempio, un vero letto.

«Maggiore Mustang. Devo fare rapporto al Colonnello,» mi identifico, mostrando svogliato l’orologio d’argento.

«Non è di buon umore,» mi avverte lui sottovoce, scansandosi di lato.

«Lo so,» rispondo secco, preparandomi mentalmente alla strigliata che mi aspetta.

Non sono nuovo ai rimbrotti delle autorità, ma credevo di essermeli lasciati alle spalle assieme ai corridoi del collegio. All’Accademia sono miracolosamente riuscito a mantenere un basso profilo, con Oskar che fungeva da specchietto per le allodole con le sue bravate eclatanti che mascheravano le nostre. Sospirando, scosto il lembo della tenda ed entro.

Dall’interno, lo spazio sembra ancora più grande, ma non così lussuoso come mi aspettavo. C’è effettivamente un letto nel vero senso della parola, lì dentro, ma è una semplice brandina da campo mezzo piegata da un lato. Al centro, dietro al supporto centrale, c’è un tavolinetto sbilenco sul quale è spiegata una carta di Ishval. Sopra di essa sono posizionate delle pedine e di fianco spicca un bicchiere di vino, terribilmente fuori luogo. Appoggiata al tavolo, con la punta del fodero nella polvere, c’è una sontuosa spada da ufficiale.

Il Colonnello è seduto, chino sulla mappa coi gomiti puntati: sembra non essersi accorto del mio arrivo. Ho avuto modo di vederlo solo da lontano, ma dalle voci bizzarre che corrono su di lui avrei fatto a meno di un incontro ravvicinato. Vicker Ironclad è un uomo alto e allampanato, dai capelli grigi stempiati che mostrano i segni dell’età, nonostante le mani nodose lascino ancora intravedere un marcato vigore. Il pastrano bianco è appeso allo schienale e le mostrine lucide sulla sua divisa da parata sono bene in vista, quasi fosse in procinto di sfilare in pompa magna in mezzo all’accampamento. Mi hanno avvertito delle sue stranezze.

Faccio per avvicinarmi cercando di richiamare la sua attenzione, ma riesco appena a muovere un passo che lui alza la testa e mi trapassa con occhi cristallini e acuti. Riesco a vedere chiaramente la profonda cicatrice che gli sfigura il volto, dalla tempia destra all’angolo del labbro sinistro: un ricordo della Guerra Civile del Sud.

«Non ti ho dato il permesso di entrare, soldato.»

La sua voce risuona profonda, ma arrochita dagli anni passati a gridare ordini. Mi blocco sul posto e lui riporta la sua attenzione alla carta, come se non esistessi. Contraggo la mandibola. Un uomo più intelligente e meno orgoglioso di me starebbe zitto.

«Mi ha convocato a fare rapporto, se non sbaglio.»

Ho la sensazione che la temperatura cali a picco di almeno dieci gradi. Il Colonnello solleva di nuovo lo sguardo. Stavolta prende nota della catenella d’argento che fa capolino dalla mia tasca e un brillio di comprensione gli balugina nelle pupille.

«Sei tu il bastardino di East City?»

Mi sento avvampare e reprimo la risposta pungente che mi sale alle labbra. Sto in silenzio, ma non riesco a camuffare il risentimento nei miei occhi.

«Ti ho fatto una domanda, soldato.»

«Sono il Maggiore Roy Mustang, l’Alchimista di Fuoco,» scandisco, sforzandomi inutilmente di mantenere un tono neutro – non mi riesce affatto bene.

Ironclad si alza in piedi e, nonostante l’età, è ancora impettito e diritto. Sembra riempire la tenda, nonostante non sia poi così corpulento. Il suo volto scavato s’indurisce.

«Risparmiati quei nomignoli altisonanti di cui andate tanto fieri. So chi sei. Mi avevano detto che voi cani dell’esercito eravate “particolari”. Ma se pensate che ciò mi spingerà a passare sopra alla vostra indisciplina, fareste meglio a morire in battaglia il prima possibile come il resto dei soldati semplici.»

Ignoro l’ultimo commento. Se ho quasi perso la mia squadra è per colpa delle informazioni superficiali che ci sono state riferite e dell’incompetenza della Squadra Scout. Entrambi i fatti possono essere ricondotti alla negligenza di Ironclad, ma la mia posizione è già abbastanza delicata senza farglielo presente.

«Avevo richiesto il tuo rapporto più di un’ora fa, Maggiore.»

Per questo non ho scusanti, per cui mi limito a chinare il capo, vincendo il mio orgoglio, ma senza offrire alcuna scusa in merito.

«Abbiamo conquistato la zona commerciale nel distretto di Nasha e...»

«Risparmia il fiato. Sono già stato informato dal Tenente Foster. Sembra che vi siano solo sei superstiti della Squadra Scout.»

Alzo gli occhi, assottigliandoli.

«Sette. Ne abbiamo salvati sette.»

«Il sottotenente Gries è morto mentre tu eri impegnato ad oziare,» risponde seccamente lui, «e anche la tua squadra ha subito perdite. Mi aspettavo di meglio, dal tanto decantato Alchimista di Fuoco.»

La frecciata va a segno e la incasso con una contrazione del volto. Non ha bisogno di ricordarmi dei soldati che ho perso. E poi, dov’era Foster in tutto questo? Mi viene da pensare che abbia battuto la ritirata non appena ha capito che brutta aria tirasse per loro, e probabilmente ha trascinato con sé il resto della mia truppa misteriosamente irreperibile, abbandonando gli altri al loro destino. Razza di codardi.

«Comunque, non importa più. Non è questo il problema,» aggiunge Ironclad, dopo una breve, significativa pausa.

Alzo mentalmente gli occhi al cielo – trattenendomi dal farlo davvero per puro istinto di autoconservazione – e lo anticipo, maledicendomi:

«Mi scuso per il comportamento irrispettoso di poco fa, Colonnello. Non accadrà di nuovo.»

È come se dovessi strappare ogni singola parola dalla mia bocca a forza con una tenaglia. Più che una scusa, sembra una minaccia. Ironclad mi fissa e basta, stranamente interdetto. Le sue labbra si tendono in quella che sembra una smorfia di disgusto, ma è difficile dirlo. Lo sfregio gli attraversa l’intero volto e l’angolo sinistro della bocca è inclinato decisamente verso il basso. Ogni suo lineamento si muove in modo innaturale, ed è solo a fatica che capisco che sta sorridendo, anche se non so con quale intento. I suoi occhi rimangono freddi.

«Impari in fretta,» commenta aridamente; il suo volto ritorna una maschera impenetrabile e grinzosa , «ma il mancato rapporto non è stata certo la tua più grande dimostrazione d’indisciplina, oggi.»

Mantengo una facciata impenetrabile, ma un sottile velo di sudore freddo mi insidia la nuca. Essere all’oscuro di qualcosa, soprattutto qualcosa di cui sono artefice, mi fa sentire allo scoperto, in un campo minato. Attendo in silenzio che il Colonnello mi illumini, senza dargli la soddisfazione di chiedere delucidazioni. Il suo sguardo impatta contro il mio, e vedo chiaramente quanto sia infastidito dal mio modo di fare.

«Il tuo comportamento sul campo è stato... discutibile,» si pronuncia infine, puntellando le dita ben distanziate di una mano sulla mappa, quasi a prendere le misure di qualcosa.

«Anche questo gliel’ha detto il Tenente Foster?»

«Lui, certo. E i tuoi osservatori.»

A questo punto non posso evitare di sgranare gli occhi.

«Mi... tenevate d’occhio?» chiedo cautamente, oscillando tra indignazione e inquietudine.

«Alcuni veterani capitati nella tua truppa si sono fatti “assumere” per qualche razione più abbondante e un letto comodo,» spiega lapidario, ma colgo anche una vena di disprezzo nella sua voce. «Voi Alchimisti siete un esperimento voluto dai piani alti. E non possiamo permetterci esperimenti fallimentari

Mi squadra da capo a piedi come se avesse a che fare con una cavia da laboratorio.

«La tua alchimia ci sarà molto utile, da quanto mi è stato riferito.» Ironclad incrocia le dita, intersecandole alle linee della mappa. «Sono un profano, ma sembra potente quasi quanto quella dell’Alchimista Scarlatto, e molto più controllabile; di certo hai meno esperienza di Grand e Komanche, ma sei già un’arma notevole, Maggiore Mustang. Dovresti solo eseguire gli ordini.»

Storco apertamente il naso alla parola “arma”, ma sono confuso. Come avrei potuto disobbedire a un ordine, anche volendo?

«Ero il più alto in grado,» specifico, accigliandomi. «Non ho dovuto rendere conto a nessuno.»

Ironclad scaccia quest’affermazione con un gesto della mano, come fosse una mosca fastidiosa.

«Sì, sì, la questione dei ranghi,» sospira seccato. «Sarete anche equivalenti a maggiori, voi cani dell’esercito, ma non avete più autorità di quanta ne abbia un capitano. Spero che il concetto sia chiaro una volta per tutte.»  Fa una pausa, senza staccare per un istante gli occhi da me. «Piuttosto, cosa non ti è chiaro dell’Ordine 3066?»

Un peso scivola sul mio petto prima ancora che possa realizzare a cosa voglia alludere. Rispondo guardingo, dosando e calibrando ogni parola e intonazione della voce.

«Non capisco cosa intende. Ho spazzato via l’avamposto dei ribelli senza esitare. Da quel che ho potuto constatare, non ci sono stati sopravvissuti.»

L’immagine di quel cadavere sventrato, dei suoi occhi bianchi, si sovrappone per un istante alla mia vista. Un conato mi stringe la bocca dello stomaco e deglutisco a forza aria e poca saliva per placarlo.

«Non avete rastrellato la zona,» replica seccamente Ironclad.

«Non eravamo nelle condizioni di farlo: se ci fossero stati altre bande di ribelli ci avrebbero sicuramente attaccato durante la ritirata. E poi quello è un distretto civile

La scintilla che si accende nel suo sguardo è solo un fievole indicatore della rabbia che è appena montata dentro di lui, quasi del tutto impercettibile dall’esterno.

«Hai idea di quanti Ishvaliani potevano essere barricati nei magazzini e nei palazzi circostanti?» il suo tono sprofonda, diventa glaciale. «A quest’ora si saranno già spostati in un altro distretto per riorganizzarsi. Pensi che il solo nemico siano i ribelli?»

La terra sotto ai miei piedi si fa molle. Sono del tutto cosciente di ciò che il Colonnello sta implicando, ma, esattamente come ho fatto quando mi sono ritrovato tra le mani il riepilogo dell’Ordine, chiudo fuori a chiave quelle parole. Guerra di sterminio. Il mio cervello ha voluto intenderla come “sterminio selettivo”. Di potenziali pericoli per Amestris. Dei soldati e ribelli che minano e attentano alla sicurezza e pace della nostra gente nell
’Est.

Il cadavere del guerrigliero carbonizzato si trasforma in quello di un uomo comune... e poi di una donna... e poi di un vecchio... e infine di un bambino e– il conato diventa una morsa che mi strangola lo stomaco e sento il sangue defluire di colpo dal mio viso. Il sapore della bile mi ristagna sul palato.

«Stiamo parlando di civili!» sbotto incredulo, e la mia voce trema un poco.

«Civili, sì. Che secondo l’Ordine 3066 devono essere considerati alla stregua di nemici per Amestris, e pertanto eliminati.»

«Non posso bruciare vive persone innocenti!» la mia voce decolla e quasi mi dimentico di stare parlando con un mio superiore.

«Ogni Ishvaliano che risparmi equivale a un soldato di Amestris che muore.» Ironclad rovescia un paio di pedine sulla mappa con un secco colpo di nocche. «Vuoi davvero portare avanti questa guerra più a lungo di quanto serva? Sette anni non sono stati abbastanza?» aggiunge, e la sua voce bassa ora somiglia a un ringhio.

Apro la bocca per ribattere, ma ogni parola si è rifugiata sotto la lingua, lasciandomi muto.

«Bastano gli alti gradi a trascinare avanti questo bagno di sangue e a mandare gli uomini al macello. Non accetterò un comportamento simile da un mio subordinato.»

Ironclad si ricompone, torna composto come quando sono entrato nella tenda.

«Sei in guerra, Mustang,» proferisce poi, con un tono che mi ricorda quello del vecchio Pastore di Bushmills. I miei guanti diventano pesanti nella tasca, quasi si fossero trasmutati accidentalmente in piombo. «Quando hai accettato di indossare quell’uniforme, hai accettato anche il sangue che l’avrebbe sporcata. Fai il tuo dovere, come io faccio il mio.»

Ironclad mi trafigge con lo sguardo e ricambio con un’occhiata furiosa che ha il retrogusto acido dell’impotenza. Vorrei mandarlo al diavolo, ma so che se dovessi disobbedire di nuovo mi troverei davanti alla corte marziale. E forse non solo io. Taccio, coi pugni serrati. La conversazione avuta in treno coi miei compagni mi torna in mente, vivida. Amestris annega sempre i suoi conflitti nel sangue. Ho davvero ingenuamente pensato che non avrebbe sporcato le mie mani? Non so darmi risposta, e forse non voglio.

Capisco che l’incontro è terminato quando il Colonnello si siede di nuovo al tavolo e riprende a fissare la mappa. Riposiziona con cura le due pedine che ha colpito.

«Tra le altre cose, faresti bene a nominare un luogotenente. Voi Alchimisti siete più vulnerabili,» non si risparmia un’occhiata derisoria, «e avete bisogno di qualcuno che porti avanti la truppa e vi faccia da scudo mentre voi siete impegnati a fare i vostri trucchetti alchemici in retroguardia.»

«La mia non è un’alchimia da retroguardia,» ribatto in automatico, senza curarmi del tono che sto usando. «Combatto in prima linea.»

Gli occhi slavati di Ironclad si sollevano per una frazione di secondo a trapassare i miei, forse accesi da una scintilla d’interesse, poi tornano a ignorarmi.

«Nomina comunque un luogotenente. Se muori, qualcuno dovrà pur prendere il comando in tua vece.»

Fissa brevemente la mappa davanti ai suoi occhi e sposta una pedina rossa di qualche centimetro. Immagino che rappresenti la Squadra Flame. Mi fa sentire insignificante, manipolabile. Carne da macello. Lo sapevo, realizzo in quell
’istante, con un crampo allo stomaco, l’ho sempre saputo. Gli occhi del mio Maestro mi trafiggono a distanza di anni, colmi di sardonico disprezzo.

«Domani, tu e la tua truppa attaccherete quest’area del distretto di Sarkis. È una zona povera, un intrico di baracche e seminterrati. I bastardi che avete risparmiato oggi si sono probabilmente rifugiati là dopo la caduta di Nasha.» Rialza brevemente gli occhi verso di me. «Stavolta eseguirai l’Ordine alla lettera. Non lo ripeterò di nuovo, Mustang.»

Mi concentro sulla pedina, imponendomi di non contraddirlo.

«Sissignore,» rispondo in modo meccanico, mettendomi sull’attenti con una prontezza e simmetria dettate dall’abitudine.

Aspetto il cenno noncurante di Ironclad per uscire in fretta e furia da quella tenda. Sento i suoi occhi puntati sulla schiena anche quando sono ormai fuori. Vengo stordito dal caldo torrido, che sembra ancor più intenso nella vibrante luce rossa del tramonto vicino. Allo stesso tempo, un brivido mi scuote. Le gambe sembrano non appartenermi – oppure sono rimaste davanti a Ironclad, pietrificate.

Nel punto in cui c’era la mia truppa sono rimasti solo Oskar, Alena, Patrick, Jace e Roderick. Mi incammino malfermo verso di loro, ricomponendo un tassello alla volta una facciata imperscrutabile. Nell’avvicinarmi, colgo un dettaglio del tutto superfluo, che è però una gradita distrazione dalla battaglia infinita che mi imperversa nel cranio: Jace tiene con disinvoltura un braccio sulle spalle di Alena. Mi acciglio tra me e me, anche se potrebbe non voler dire nulla. Teoricamente, dovrei impedire relazioni tra i commilitoni... ma dopo i miei trascorsi dell’Accademia sono l’ultima persona nell’esercito a poter mettere bocca in queste faccende. Prendo comunque l’appunto mentale di tastare il terreno con Jace.

«Allora? Ti ha fatto a pezzi?» chiede scherzoso Oskar, giocherellando con la treccina sulla nuca, ma si rabbuia all’istante quando vede la mia espressione.

«Non dirmi che ti ha messo al gabbio per il ritardo,» commenta Rod, preoccupato.

«No, niente del genere.»

La mia voce si rifiuta di collaborare e sembra più stridula del normale. Oskar sta per fare una delle sue battute poco felici, ma si rimedia una gomitata da Jace, che mi squadra con attenzione.

«Devo...» esito e capisco di non avere la forza di dire loro dell’Ordine, almeno non ora. Vigliacco. «Devo nominare un luogotenente,» butto lì infine, suonando molto poco convincente.

Mi fissano dubbiosi, capendo che li sto depistando, ma fortunatamente Alena accorre in mio supporto:

«E chi ha scelto?»

«Non prendetela sul personale,» prendo tempo distrattamente, scostandomi i capelli dal viso e rimanendo abbagliato al sole che manda un lampo quando sfiora il confine tra cielo e terra.

«Ah, non farmi morire senza sapere da chi altri dovrò prendere ordini,» sbotta Oskar, sbuffando, e la sua cinica scelta di parole, nonostante sia una mera battuta, mi raggela.

Non dovrei dirlo ora, così, su due piedi, senza nemmeno valutare le scelte a mia disposizione – non molte, a dire il vero, considerando che tutti i possibili candidati sono qui, meno uno che è ormai sotto un telo bianco. Sono consapevole che questa è una decisione di rilievo e mi sento superficiale a prenderla alla leggera, ma ormai non posso tirarmi indietro. Sono tutti sottoufficiali ma non devo farmi influenzare dal loro grado, né dal livello di confidenza che ho con loro. William sarebbe davvero stato la scelta perfetta, concludo mesto.

Penso rapidamente: scarto subito Patrick, che mi sembra un po’ troppo entusiasta di essere su un campo di battaglia. Alena sembra un bravo soldato, ma la conosco decisamente troppo poco per affidarle l’unità. Oskar è da escludere assolutamente. Ci farebbe ammazzare con i suoi colpi di testa imprevedibili – e non è tra le mie priorità porlo in prima linea. Jace e Roderick... esito, sentendo di avere ancora pochi secondi per scegliere. Non avrei dovuto tirar fuori l’argomento adesso. Roderick viene immediatamente oscurato, quasi in automatico, e il riflettore ricade su Jace. Jace, che riesce sempre a vincere a poker e non si fa problemi a parlare con franchezza. Che è riuscito ad avere una condotta immacolata all’Accademia nonostante si cacciasse nei guai quanto noi. Che ha perso tutti i suoi cari a Fotset, in una guerra civile sanguinosa quanto questa. Non lascerebbe mai i suoi compagni allo sbando.

Incrocio il suo sguardo e mi sembra di cogliervi un’intesa. I suoi occhi sono calmi, forse troppo per qualcuno che è appena sopravvissuto a una battaglia vedendo morire i propri compagni. Sto per parlare, ma improvvisamente sento un groppo in gola, una barriera che si interpone tra i miei pensieri e ciò che dico – ci impatto contro, senza poterla evitare.

«Roderick,» annuncio, indicandolo con un cenno mentre già mi pento di aver parlato.

Rod mi guarda sorpreso, gli occhi che scattano qua e là a conferma di aver sentito bene. Jace gli dà una gran pacca sulla schiena a congratularsi, ma colgo la sua occhiata interrogativa diretta a me. La ignoro, forzando un sorriso.

«Stai scherzando? Io comandare una squadra?» sbotta l’eletto, piantandosi un indice tozzo sul petto.

Come dargli torto. È stata la decisione più idiota che potessi prendere e mi sento in dovere di ridimensionare i suoi compiti:

«Solo in mia assenza. E seguendo i miei ordini.»

«Quindi farà quello che fa di solito,» commenta Patrick, grattandosi il naso, evidentemente contrariato dalla mia decisione.

Non replico e scrollo le spalle prima di incamminarmi verso la mia tenda, seguito dagli altri che discutono animatamente la mia scelta come se neanche fossi presente. I toni non sono particolarmente entusiasti e non posso dar loro torto. Roderick, il “gigante buono”, che comanda una squadra incaricata di massacrare persone innocenti. Non può finire bene.

Ci separiamo al centro del campo, loro diretti alle tende comuni, io a quelle nel settore degli ufficiali superiori. Poco prima di allontanarsi, Jace si volta verso di me, schermandosi gli occhi dal sole:

«Sicuro che non ci sia altro? Hai una faccia,» commenta, con un cenno del mento a rafforzare il concetto.

Sostengo il suo sguardo e sorrido rassicurante, ma i miei occhi rimangono freddi e so di non ingannarlo.

«Sicuro.»



 




 


Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
no, non ho dimenticato questa storia, sono solo molto, molto lenta nel portarla avanti per tutta una serie di motivi. I capitoli che avete letto finora sono stati scritti quasi 10 anni fa e richiedono pesantissime opere di revisione. Questo è quello che, forse, ha subito meno interventi rispetto agli altri, e credo la cosa sia abbastanza evidente, a partire dallo stile che, me ne rendo conto, è farraginoso. Ho scelto comunque di non operare troppe interpolazioni, pur sistemandolo dal punto di vista formale.

Vicker "Ironclad" (il vero cognome verrà rivelato più avanti) è un mio OC, il primo che sia mai scaturito dalla mia penna. Vi chiedo di non riutilizzarlo in alcuna sede né di trarne ispirazione in qualsivoglia modo, in quanto tutto ciò che lo riguarda è totale frutto della mia fantasia ♥
Spero che vi abbia suscitato curiosità: il modo in cui si presenta può magari sembrare scontato, ma spero non sarà lo stesso con l'avanzare del tempo e della trama.

Grazie a chi ha commentato recentemente questa storia, ovvero Rhoda, LaTazzadiTea e lovelyhinata, dandomi la carica per riprenderla: sappiate che ogni vostro commento e lettura ha un valore ♥
Alla prossima, stavolta sicuramente prima di quanto pensiate,

-Light-

   
 
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