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Autore: Josy_98    10/04/2021    0 recensioni
Prima di incontrarsi con la compagnia dei nani alla casa dello hobbit, Gandalf fece visita a una vecchia amica chiedendole di mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Quella giovane, che così giovane non è, si troverà così costretta a partecipare a un viaggio corrispondente a un doloroso e continuo tuffo nel passato, in mezzo a ricordi che l'intera Terra di Mezzo ha dimenticato. Per non parlare della verità celata dietro alla sua natura: la sua parte di elfo, razza disprezzata da Thorin e i nani, non è la peggiore. Una realtà molto più oscura, infatti, la segue come un'ombra che non si è ancora rivelata.
Estratto dal primo capitolo:
"Perchè lo fai?"
Lei si voltò verso di lui. "Non è ovvio?" chiese. Al silenzio del nano sospirò. "Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla." disse.
"C'è qualcos'altro." ribattè lui. "Qualcosa che non mi hai detto."
"Sono tante le cose che non ti ho detto." rispose.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Compagnia di Thorin Scudodiquercia, Gandalf, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A mio fratello, il mio primo lettore e critico personale, che ha sopportato i miei sproloqui e le mie paranoie e mi ha spronato a far sentire la mia voce in questo nuovo mondo.
Ti voglio bene, anche se non te lo dico spesso.







 




1. Una riunione inaspettata
 
Un rumore di rami spezzati fece voltare la ragazza di scatto, l’arco in mano e la freccia in procinto di essere scoccata. Sotto i caldi raggi di un sole primaverile che si infilavano tra le foglie, un uomo con indosso una veste grigia da viandante completata da un cappello a punta dello stesso colore e una lunga barba avanzava verso di lei impugnando un bastone, facendosi largo fra i tronchi e le radici degli alberi di quella fitta, antica e oscura foresta in cui aveva deciso di cacciare per il villaggio di cui era ospite in quel periodo, fino a quando non se ne fosse andata per aiutare qualcun altro.
Lo riconobbe all’istante.
«Ciao Lumbar.» disse con un sorriso, fermandosi a un passo da lei, la freccia puntata alla sua fronte.
«Mithrandir. Ti aspettavo.» la ragazza abbassò l'arco, rilassando i muscoli tesi fino a quel momento. «Non mi sono ancora abituata al nome.»
«Tu lo hai scelto, così come hai scelto le sue conseguenze.» le ricordò. «Hai fatto di tutto per torturarti, anche se non capisco perchè. Mi hai visto arrivare suppongo.» si osservò intorno mentre lei annuiva. «Allora saprai anche perché sono qui.»
La ragazza distolse lo sguardo, puntandolo sugli alberi millenari che li circondavano e che sicuramente stavano ascoltando. Certo che lo sapeva, ma questo non lo rendeva più facile.
Gandalf sospirò.
«Sapevi che questo giorno sarebbe arrivato.» mormorò.
Lei tornò a guardarlo, facendogli notare la lucidità dei suoi occhi e il profondo tormento che sentiva. Stava trattenendo le lacrime, un'azione che lo stregone riusciva a comprendere.
Le sorrise dolcemente, ricordandole ciò che aveva fatto in passato, per spronarla a non cedere al dolore. «So quanto ti fa soffrire, ma so anche che non ti tirerai indietro, nonostante quando li vedrai rischierai di crollare più di ora. Sapevi tanti anni fa, quando hai preso quella decisione, cosa sarebbe accaduto, ma l’hai fatto comunque.»
«Non avevo scelta. Lui non avrebbe mai fatto ciò che doveva, altrimenti. Ho solo fatto ciò che era giusto.»
Lumbar tentò di giustificarsi, ma con lui non era necessario. Conosceva i motivi che l’avevano spinta a fare ciò che aveva fatto e non l’aveva mai giudicata per le decisioni che aveva preso. Era solo addolorato che la sua amica avesse perso così tanto.
«Ti sei sacrificata per lui e per un intero popolo. E non parlo solo della tua vita, hai sacrificato la tua felicità, per il loro futuro. E loro neanche lo ricordano. Comprendo perchè tu abbia scelto di cambiare nome, mia cara.» lei lo fissò con un dolore infinito sul volto che rifletteva tutti gli anni che in realtà portava sulle spalle, la sua lunga vita. Il tono dello stregone diventò più dolce. «Ce l'hai ancora?»
«Certo che ce l'ho. Sai che non la perderei mai.» il suo tono fu fermo, quasi offeso, mentre si portava la mano al collo, lì dove nascondeva due oggetti tanto importanti quanto diversi tra loro, entrambi simbolo di amore e fiducia in due modi simili ma allo stesso tempo differenti. Fece un respiro profondo prima di continuare, arresa. «Dove e quando?»
«Il venticinque aprile, tra due settimane esatte, nella Contea degli Hobbit. Chiedi di…»
«Bilbo Baggins, sì. Questo lo so.»
L’uomo sorrise, lanciando un’altra occhiata agli alberi attorno a loro, l’ennesima da quando si era avvicinato. «Non smetti mai di sorprendermi. Ora devo andare, ho ancora delle commissioni da fare prima della riunione. Sulla porta di casa Baggins ci sarà una runa, per facilitarvi la ricerca. Mi dispiace aver interrotto la tua caccia.»
«È stata una visione particolarmente chiara. E non preoccuparti per la caccia.» aggiunse noncurante, riprendendo l’arco. «Recupero in fretta.»
«Lo so.»
Lo stregone le rivolse un ultimo sorriso poi se ne andò mentre la ragazza si mise in ascolto dei rumori della foresta, pronta a riprendere da dove si era interrotta. Sapeva che gli alberi non si sarebbero offesi per la sua partenza improvvisa. Nessuno meglio di Barbalbero, il più antico e rispettato di loro, avrebbe potuto capire cosa stava passando ed era sicura che l’avrebbe incoraggiata a mantenere la parola data. Voleva uccidere ancora qualche animale in modo che tutti avessero un po’ di carne per almeno quella settimana, dato che nessuno si inoltrava nella Foresta di Fangorn a parte lei, troppo spaventati dalle voci che giravano su di essa. Dopotutto, gli Ent erano un popolo molto particolare e non era da tutti andarci d’accordo. Persino Gandalf evitava quella foresta, se poteva. Lumbar aveva notato la lieve tensione che lo aveva pervaso per tutto il tempo, il suo continuo scrutare gli alberi come se temesse un loro arrivo. Agli Ent, però, non piacevano molto le persone, quindi non si sarebbero mai fatti avanti in presenza di estranei. Tranne in pochi e particolari casi.
Inoltre aveva bisogno di liberare la mente: da settimane i sogni l’avvertivano sull’arrivo di quel giorno; i ricordi erano tornati a tormentarla, pieni di fiamme, perdita e persone che non vedeva da troppo tempo. Per non parlare di ciò che sentiva avvicinarsi.
Sarebbe stata un’impresa particolarmente difficile, per lei.


 
****


Era una sera particolarmente serena quella del venticinque aprile quando, finalmente, Lumbar arrivò nella Contea, il cappuccio del mantello sollevato a celare totalmente il suo aspetto mosso leggermente dalla leggera brezza. Era un posto davvero tranquillo, uno dei più pacifici in cui Lumbar fosse mai stata, e aveva superato diversi campi coltivati che, sapeva, erano alla base della loro economia.
Seguì il sentiero fino a quando non passò davanti a una grossa collina, che poi riconobbe come la casa che stava cercando. Una sfavillante runa azzurra sulla parte bassa della porta perfettamente tonda e dipinta di verde glielo confermò.
Lumbar scese da Erenie, la sua magnifica giumenta immortale figlia di Nahar (il capostipite dei Mearas), e le sussurrò dei ringraziamenti prima di lasciarla libera di andare dove preferiva; sarebbe tornata al suo richiamo per proseguire il viaggio. Poi superò il cancelletto di legno del giardino antistante l’ingresso, perfettamente curato, e salì le scale, fermandosi davanti alla porta quando sentì delle voci. Si mise in ascolto.
«Lontano, verso Est, oltre montagne e fiumi, al di là di terreni boschivi e terre desolate giace un’unica vetta solitaria.» raccontava Gandalf.
Lumbar era in ritardo, lo sapeva; aveva cavalcato senza mai fermarsi per arrivare il giorno stabilito dallo stregone, e all’inizio non era nemmeno sicura che ci sarebbe riuscita: era partita subito dopo essere tornata al villaggio, ma la distanza da percorrere era notevole. Il piccolo villaggio della terra di Rohan in cui si era rifugiata nell’ultimo paio di mesi, vicino alla foresta di Fangorn, era molto distante dalla Contea ed era l’ultimo di una lunga serie che la ragazza aveva visitato; non si fermava mai più di qualche mese, aiutava gli abitanti, che la accoglievano come se fosse sempre stata lì e poi ripartiva. In quel villaggio era arrivata da appena sei settimane quando Gandalf l’aveva trovata. Nonostante il ritardo, rimase comunque in ascolto, cercando dentro di sè la forza per bussare.
«La Montagna Solitaria.» disse una voce giovane che non conosceva, probabilmente quella del signor Baggins dato che tutti i nani conoscevano la storia, anche chi non era mai stato ad Erebor.
«Sì, Oin ha letto i presagi… e i presagi dicono che è il momento!»
La ragazza sentì un lampo di malinconia percorrerla; quella voce apparteneva a qualcuno che non vedeva da troppo tempo, così come le altre che avrebbe sentito da quel momento in avanti. Era Gloin, un nano panciuto con lunghi e voluminosi capelli rossi, una barba folta dello stesso colore e un carattere deciso. Era uno dei nani più forti che conosceva; inoltre Lumbar sapeva avesse una moglie e un figlio, rimasti sui Monti Azzurri.
«I corvi sono stati visti rivolare verso la Montagna come era stato predetto.» infatti eccone un altro, Oin appunto.
Era il fratello maggiore di Gloin, aveva lunghi capelli grigi e lo stesso valeva per la barba perchè era uno dei nani più vecchi della Compagnia che sarebbe partita per quel viaggio; per questo motivo usava un apparecchio di metallo per sentire, dato che era un po’ sordo se Lumbar non ricordava male, inoltre era anche considerato il medico del gruppo.
«Quando gli uccelli del passato torneranno a Erebor, il regno della Bestia avrà fine.» continuò.
«Quale bestia?» chiese lo hobbit.
«Oh, sarebbe il riferimento a Smaug il Terribile, la maggiorissima e più grande calamità della nostra Era.» disse Bofur, un nano con lunghi capelli scuri avvolti in due trecce e una corta barba. Aveva un carattere piuttosto allegro – Lumbar lo ricordava vagamente dalle fermate sui Monti Azzurri durante i suoi viaggi – ma era anche estremamente leale. «Denti come rasoi, artigli come ganci da macellaio… appassionato di metalli preziosi…»
«Sì, so cos’è un drago.» lo interruppe il signor Baggins.
«Io non ho paura, sono capace. Gli darò un assaggio del ferro nanico dritto nelle chiappette.» questa voce giovane doveva essere di Ori, uno dei piccoli che non aveva ancora propriamente conosciuto; non come i più grandi. Sapeva, però, che era molto timido e impacciato, oltre ad essere fissato a usare una fionda come arma. E come diversi suoi compagni aveva barba e capelli rossi.
«Il compito sarebbe già arduo con un esercito alle spalle.» fece notare Balin, il più anziano e saggio tra i nani. Molto pacato nei modi di fare, aveva un istinto davvero notevole, ed era in grado di intuire molto di una persona o una situazione solamente osservando. «Ma siamo solamente tredici. E non i tredici migliori. Nè i più svegli.»
Alcuni nani si lamentarono a quelle parole, Lumbar poteva sentire i loro borbottii infastiditi attraverso il legno della porta e tentò di nascondere un sorriso, nonostante non potessero vederla. Balin li aveva appena colpiti tutti nell’orgoglio.
«Saremo pure pochi di numero, ma siamo combattenti. Tutti quanti. Fino all’ultimo nano!»
«E dimenticate che abbiamo uno stregone nella compagnia. Gandalf avrà ucciso centinaia di draghi ai suoi tempi.» i giovani Fili e Kili, gli eredi della stirpe di Durin, entrambi smaniosi di partire e combattere. Entrambi desiderosi e impazienti di dimostrare il loro valore, assomigliavano molto allo zio nel carattere, e Kili anche nell’aspetto. A differenza del fratello, invece, Fili aveva i capelli e la barba biondi, mentre gli occhi erano gli stessi dello zio per entrambi.
Lumbar ricordava la loro nascita con un pizzico di tristezza: già a quel tempo i nani non sapevano più chi lei fosse e la chiamavano come molti altri: Palarran, colei che vaga lontano. Era uno dei tanti soprannomi, soprattutto elfici, con cui veniva identificata.
«Beh, no, io non direi che io…» disse lo stregone a disagio.
«Quanti allora?» chiese qualcuno.
«Eh?»
«Quanti draghi hai ucciso?» chiese nuovamente un nano robusto con barba e capelli bianchi e un po’ brontolone, mentre calava il silenzio e lo stregone iniziava a tossire, a disagio. «Avanti, dicci un numero.»
I nani cominciarono a discutere e litigare, sicuramente sotto lo sguardo confuso dello hobbit, finchè una voce non li riportò al silenzio.
«Shazara! (Silenzio!)»
Una voce imperiosa che lei conosceva molto bene. Thorin, il capo di quella Compagnia, si era spazientito e li aveva messi a tacere. Autoritario e fiero come poche altre persone, quel nano aveva l’aura del comandante, senza contare l’orgoglio smisurato e lo sguardo chiaro e penetrante. Aveva la capacità di farsi seguire senza nessuno sforzo, una qualità da leader. Era un vero re, lei lo sapeva meglio di chiunque altro.
«Se noi abbiamo interpretato quei segnali non pensate che anche altri l’abbiano fatto?» chiese a tutti gli altri. «Le voci hanno cominciato a diffondersi. Il drago Smaug non viene avvistato da 60 anni. Occhi guardano a Est, verso la Montagna, valutando, ponderando, soppesando i rischi. Forse la grande ricchezza del nostro popolo ora è senza protezione. Ce ne stiamo comodi mentre altri prendono ciò che è nostro di diritto, o afferriamo l’occasione per riprenderci Erebor? Du bekâr! Du bekâr! (Alle armi! Alle armi!)» gli altri nani esultarono.
Persino Lumbar sorrise leggermente, ancora nascosta dalla porta; quel nano aveva le stesse doti oratorie di tanti anni prima.
«Dimenticate che la Porta Principale è sigillata.» disse Balin, smorzando il loro entusiasmo. «Non si può entrare nella Montagna.» il suo tono era amaro, abbattuto anche, ma non sapeva che la realtà non fosse esattamente così.
A differenza di lei. E di Gandalf.
«Questo, mio caro Balin, non è del tutto vero.» disse, infatti, lo stregone.
La ragazza decise di bussare in quel momento, consapevole che il Grigio stesse aspettando solo lei. Al suono delle sue nocche sul legno il silenzio cadde all’interno. Probabilmente nessuno, tranne Gandalf, si aspettava un altro arrivo.
Stava per bussare di nuovo quando sentì la voce dello stregone. «Suvvia, mastro Baggins, non è da te far aspettare gli amici sullo zerbino.»
Dopo un paio di secondi la porta venne aperta e la ragazza si trovò davanti il padrone di casa: Bilbo Baggins, un comune hobbit di circa cinquant’anni con i capelli ricci e gli occhi scuri, che la osservava in silenzio dal basso della sua statura, con uno sguardo sorpreso. Probabilmente si aspettava un altro nano. Il mezzuomo si fece da parte per farla entrare e la ragazza potè notare come i nani stessero osservando curiosi la scena dalla stanza adiacente.
«Chiedo scusa per il ritardo, ho percorso molte leghe.» disse lei a nessuno in particolare.
«Fi-figuratevi.» balbettò il padrone di casa e, prima che lei potesse presentarsi, Gandalf si fece avanti.
«Mia cara, finalmente! Cominciavo a pensare non saresti arrivata.» lo stregone la osservava sorridendo dalla soglia della sala da pranzo, dietro di lui i nani visibilmente perplessi. «Non restare lì sull’ingresso, vieni avanti.»
La ragazza lo raggiunse seguita dallo hobbit. «Da Rohan ci vuole un po’ ad arrivare, Mithrandir, e tu non mi hai dato molto preavviso.» gli fece notare. «Chiedo scusa se non mi tolgo il mantello, ma preferisco tenerlo.» disse agli altri.
Quando era entrata, infatti, non aveva rimosso nemmeno il cappuccio.
«Non preoccuparti, vieni a sederti. Stavo giusto per parlare di te.» le disse Gandalf facendole posto al tavolo tra lui e Thorin. Lei si avvicinò, ma non si accomodò, e lo stregone si rivolse ai presenti che erano rimasti in silenzio per tutto il tempo. «Signori, ho il piacere di presentarvi l’ultimo membro della nostra compagnia. Lei è Lumbar e ci sarà molto utile in questo viaggio.»
«È una ragazza!»
Gandalf si volse verso il nano che aveva appena commentato e alzò un sopracciglio. «E quindi, Kili?»
«Non può accompagnarci. Non è un viaggio adatto alle ragazze.» protestò, appoggiato dal fratello.
Prima che lo stregone potesse ribattere lei gli mise una mano sul braccio, intimandogli di lasciar perdere con gli occhi. Lui le lanciò uno sguardo e capì. Osservò severamente tutti i nani prima di riprendere con tono controllato, nonostante il fastidio facilmente percepibile.
«Mettiamo bene in chiaro una cosa: ho aggiunto questa ragazza alla compagnia per un semplice motivo: senza Lumbar potete anche evitare di partire e tornarvene a scavare carbone!» disse schietto.
«Stai dicendo che questa donna è essenziale per la nostra spedizione?» chiese Thorin osservando di sottecchi l’ultima arrivata. Non riusciva a vederle il volto, nè nessun altro dettaglio, e questo non gli piaceva. Per niente.
«Esattamente.» confermò il Grigio.
Tutti i nani la fissarono, chi incredulo, chi diffidente, chi confuso e chi tutt’e tre insieme. Non riuscivano proprio a capire.
«Mithrandir…» sospirò lei.
Non avrebbe sopportato quella tensione ancora a lungo; era troppo difficile da sopportare per lei. Lo stregone lo comprese e riportò l’attenzione sulla Montagna e la missione.
«Dunque, prima che Lumbar bussasse avevo corretto Balin.» tutti riportarono gli sguardi su di lui che, nel frattempo, si era voltato verso la ragazza. «Mia cara, potresti…?»
Lei si portò una mano al collo e tirò fuori un cordino in cui erano infilati due oggetti; sfilò una grossa chiave d’argento di fattura nanica e nascose l’altro oggetto sotto i vestiti. Ignorando gli occhi di tutti, di nuovo puntati su di lei, mostrò la chiave a Thorin.
«Come mai è nelle tue mani?» le chiese, incredulo, studiando il manufatto.
«Mi è stata data da tuo padre. Da Thrain.» rispose, lasciandolo stupito. «Quando si rese conto che non sarebbe riuscito a dartela di persona la affidò a me e gli feci una promessa, la stessa che feci a tuo nonno: quando fosse giunto il momento ti avrei aiutato a riconquistare la Montagna. Morì dopo pochi minuti. È tua, adesso.» e gliela consegnò stando ben attenta a non sfiorarlo, mentre i nani elaboravano le sue parole.
«Se c’è una chiave…» disse Fili sciogliendo il gelo che aveva portato quella rivelazione. «... dev’esserci una porta.»
«Queste rune indicano un passaggio segreto alle sale inferiori.» disse Gandalf, indicando un punto sulla mappa.
«C’è un’altra via d’entrata.» affermò Kili sorridendo e appoggiando una mano sulla spalla del fratello.
«Beh, se riusciamo a trovarla. Le porte dei nani sono invisibili se sono chiuse.» ricordò loro lo stregone. «La risposta giace nascosta da qualche parte in questa mappa, e io non ho la capacità di trovarla; ma ci sono altri nella Terra di Mezzo che ce l’hanno.»
Lo sguardo che Thorin gli rivolse non era molto convinto, anzi era sospettoso ma non disse niente accantonando quel dettaglio. Lumbar, invece, studiava la mappa attentamente, sicura di aver visto qualcosa che, purtroppo, non era in grado di interpretare. Non con sicurezza.
«L’incarico che io ho in mente richiede una grande segretezza e una non piccola dose di coraggio. Ma se siamo attenti e astuti, credo che si possa fare.» riprese il Grigio dopo qualche istante.
«Ecco perchè uno scassinatore.» disse Ori.
«E anche bravo.» si intromise Bilbo da dietro Thorin, infilando i pollici nelle bretelle. «Un esperto, immagino.»
Tutti si voltarono verso di lui.
«E tu lo sei?» chiese Gloin.
«Sono cosa?» disse lui, osservandosi intorno.
«Ha detto di essere un esperto!» esclamò Oin.
«Io?» ripetè Bilbo, incredulo, indicandosi con un dito. «No! No no no no. Non sono uno scassinatore, non ho mai rubato niente in vita mia.»
«Temo di dover concordare con il signor Baggins.» disse Balin, mesto. «Non ha la stoffa da scassinatore.»
«No.» confermò Bilbo.
«Le Terre Selvagge non sono per la gente a modo che non sa lottare nè badare a se stessa. Tantomeno per le donne.» disse Dwalin lanciando una frecciatina alla ragazza, verso cui provava una profonda diffidenza.
Era il fratello minore di Balin e il migliore amico di Thorin, profondamente diffidente verso gli sconosciuti e chi non fosse un nano in generale; era altrettanto leale nei confronti del suo re, che appoggiava sempre in qualsiasi circostanza. A differenza degli altri, era calvo e con dei tatuaggi azzurri sul cranio contornato da una folta barba scura.
I nani cominciarono a discutere nuovamente tra loro e Lumbar rimase in silenzio. Sentiva la pazienza di Gandalf esaurirsi quindi non intervenne, sapendo che ci avrebbe pensato lui.
Dopo poco, infatti, lo stregone si alzò in piedi.
«Basta!» esclamò arrabbiato. «Se dico che Bilbo Baggins è uno scassinatore, allora uno scassinatore è!» i nani lo guardavano intimoriti, Bilbo compreso. Lumbar non fece una piega. «Gli hobbit hanno il passo notevolmente leggero. Infatti possono passare inosservati da molti, se lo vogliono. E mentre il drago è abituato all’odore dei nani, quello degli hobbit gli è completamente sconosciuto, il che ci dà un preciso vantaggio.» spiegò loro mentre tornava a sedersi, improvvisamente più calmo, e si rivolse direttamente a Thorin. «Mi avete chiesto di trovare un quattordicesimo membro di questa compagnia e io ho scelto il signor Baggins.» il nano scosse la testa contrariato, ma rimase zitto. «In lui c’è più di quanto le apparenze suggeriscano. E ha da offrire più di quanto voi immaginiate. Incluso lui stesso.» continuò spostando lo sguardo sullo hobbit per un istante, prima di tornare su Thorin. «Per quanto riguarda Lumbar, penso sia il caso di dirvi che lei vive spesso nelle Terre Selvagge, e nessuno di voi si ritroverà a doverla salvare nel corso di questo viaggio. Anzi, sicuramente sarà lei a salvare voi.» concluse. «Dovete fidarvi di me su questo.» disse a Thorin che lo osservava attentamente cercando di carpire altre informazioni, soprattutto su quella strana ragazza di cui non sapeva assolutamente niente.
«Molto bene.» ciò che vide negli occhi di Gandalf dovette convincerlo perchè non obiettò. «Faremo a modo tuo. Diamo loro il contratto.» disse a Balin mentre il mezzuomo si lamentava dietro di lui.
«È la solita roba.» disse il vecchio nano alzandosi e porgendo ai diretti interessati dei fogli. «Compendio delle spese personali, durata prevista, remunerazione, organizzazione dei funerali e così via.»
«Organizzazione dei funerali?» chiese Bilbo, confuso, prendendo il contratto e spostandosi nell’ingresso, dove c’era più luce, per leggerlo.
Thorin si alzò e si avvicinò a Gandalf.
«Non garantisco la loro sicurezza.» gli bisbigliò all’orecchio.
«Capisco.» rispose lo stregone, riflettendo, una mano che si accarezzava lentamente la barba. «Ma di lei non mi preoccuperei troppo.»
«Nè sarò responsabile dei loro destini.» aggiunse il nano, con voce grave.
Gandalf voltò il viso per incontrare i suoi occhi, osservando un secondo la ragazza che ricambiò il suo sguardo: lei stava sentendo tutto e si limitò ad annuire impercettibilmente; la freddezza del nano lo fece sospirare.
«Concordo.»
«Termini: pagamento alla consegna fino a, e non oltre, 1/15 del profitto totale, se c’è.» stava leggendo lo hobbit. «Sembra equo.» Gandalf ridacchiò, mentre Lumbar appoggiò il suo contratto sul tavolo senza nemmeno guardarlo. «La presente compagnia non risponderà di lesioni inflitte da, o come conseguenza di, incluso, ma non limitatamente, a... lacerazioni. Eviscerazioni?» lesse non credendo alle parole scritte. «Incenerimento?» continuò allibito, rivolgendosi ai nani.
«Ah, sì. Lui ti ridurrà in bracioletta in un batter d’occhio.» spiegò Bofur.
Lo hobbit chiuse di scatto il contratto e alzò il volto verso il soffitto, sospirando pesantemente, poi lo riabbassò.
«Stai bene, ragazzo?» gli chiese Balin, preoccupato.
«Sì, sto…» si voltò di spalle, appoggiò le mani sulle ginocchia, tenendo ancora il contratto, e cominciò a respirare profondamente per calmarsi. «Sto per svenire.» annunciò raddrizzandosi.
«Pensa a una fornace con le ali.» continuò Bofur, alzandosi e appoggiando una mano sulla porta che divideva la sala da pranzo dall’ingresso.
«Aria… mi-mi manca l’aria.» disse lo hobbit voltandosi e riappoggiando le mani sulle ginocchia, piegandosi nuovamente in avanti.
«Lampo di luce, dolore cocente, poi puf! Sei soltanto un mucchietto di cenere.» terminò Bofur ignorando le sue lamentele.
Lo hobbit lo guardò. Si raddrizzò, respirò, sembrò calmo per qualche istante, poi…
«No.»
E svenne.
«Oh, sei di grande aiuto Bofur.» disse Gandalf, alzandosi e avvicinandosi al mezzuomo.
«Almeno è stato schietto, dote rara al giorno d’oggi.» disse Lumbar attirando l’attenzione su di sè, gli occhi fissi sul contratto ancora chiuso poggiato sul tavolo davanti a lei. «Non è necessario.» continuò, cogliendo le domande inespresse. «Non per me.» ai loro sguardi confusi spiegò meglio. «Non mi interessa un pagamento, non avrò bisogno di un funerale se morirò e, sicuramente, so meglio di voi quali rischi corro. Quindi no, a me quel contratto non serve.»
Thorin la osservò in silenzio mentre Gandalf e gli altri nani si occupavano di Bilbo, trasportandolo sulla poltrona vicino al camino del salotto. Cercava di vedere oltre quel mantello e di leggere sotto il tono perfettamente controllato della dolce voce che apparteneva alla ragazza, ma non ci riusciva. Era un vero mistero e lui non si fidava del mistero. Non in quel caso, comunque. Voleva che si scoprisse, che gli rivelasse i suoi segreti, ma sentiva che non l’avrebbe fatto. Così le pose una semplice domanda.
«Perchè lo fai?»
La ragazza voltò leggermente la testa verso di lui, non voleva guardarlo direttamente.
«Non è ovvio?» chiese. Al silenzio del nano sospirò e gli concesse una spiegazione, anche se piccola. «Conoscevo tuo padre, e conoscevo tuo nonno. Erano entrambi miei amici. Ho fatto loro una promessa e intendo mantenerla.» disse.
«C’è qualcos’altro.» ribattè lui. «Qualcosa che non mi hai detto.»
«Sono tante le cose che non ti ho detto.» rispose.
Lo sguardo del nano era di ghiaccio, irremovibile e alquanto pesante sul suo corpo. Riusciva a percepirlo come se la tesse toccando, nonostante gli stesse impedendo di guardarla negli occhi. Thorin aveva visto lungo, aveva notato qualcosa nella sua risposta, e non avrebbe lasciato perdere tanto facilmente. Lumbar si chiese quanto avrebbe potuto rivelare senza esagerare. Riordinò i suoi pensieri, fece un respiro profondo per darsi coraggio e cominciò.
«La promessa di aiutarti la feci anche a un altro, tanto tempo fa. Prima ancora che a Thror e a Thrain. Lui è l’uomo più importante della mia vita ed è per lui che lo faccio. Per lui e per me. Glielo giurai quando questa storia cominciò, prima che venissimo separati.» rivelò al nano senza entrare nei dettagli. «Mi aveva dato tutto, tutto quello che aveva, anche se a me bastava lui. Non volevo altro, nè mi serviva. E quando perse tutto, come voi, io lo seguii. Negli anni precedenti mi aveva mostrato che anche per me esisteva una casa, e la mia era lui. Volevo essere la sua forza così come lui era stato la mia in uno dei periodi in cui il mio passato non mi dava pace. E ci riuscii, per un po’.» disse abbassando la testa e ripercorrendo nella mente quei momenti.
Si perse in quei ricordi di una vita che non le apparteneva più.
Era stata felice, all’inizio, come mai prima. Poi tutto si era trasformato in un incubo dal quale non si era più svegliata. E ora quei ricordi così belli erano i più dolorosi che avesse.
«E poi?» chiese una voce, riportandola alla realtà.
Lei alzò lo sguardo e solo in quel momento si accorse del silenzio che regnava nella casa. Dopo aver disteso lo hobbit nella stanza accanto, Gandalf e i nani si erano avvicinati per ascoltare il suo racconto e lei non se n’era accorta, troppo immersa in quelle memorie passate e terribilmente dolorose. Spostò lo sguardo sullo stregone, che la osservava con un misto di dolcezza e tristezza negli occhi. Lui sapeva quanto le stesse costando parlarne, ma era orgoglioso di lei proprio per quel motivo.
Riportò lo sguardo su Thorin, che non aveva smesso un secondo di osservarla, e continuò. «Poi arrivò il momento in cui sarei dovuta morire. Avrei dovuto lasciarlo con un peso immane sulle spalle e un dolore infinito nel cuore, troppo pesanti da sopportare entrambi. E feci l’unica cosa possibile: un incantesimo che lo portò a dimenticarsi di me e di ciò che avevamo condiviso.» strinse le mani in grembo, nascoste sotto il tavolo, fissando ostinatamente le venature del legno. Non era riuscita a reggere lo sguardo del nano. «Pensavamo entrambi che sarei morta e sapevo che si sarebbe lasciato morire anche lui. Non potevo permetterlo, così agii poi persi i sensi. Dopo mesi mi risvegliai esattamente nel punto in cui credevo di essere morta, peccato che non lo fossi. Cercai di capire cosa fosse successo mentre ero priva di sensi e, una volta scoperto, mi misi in viaggio.» concluse.
Il tono della sua voce era andato via via indurendosi, col passare del racconto, senza che lei se ne accorgesse.
«E lui?» chiese, Kili non riuscendo a trattenersi.
Fili lo fulminò con lo sguardo, infastidito dal fare indiscreto del fratello. Lumbar si irrigidì, persino Gandalf si mosse a disagio. Lo stregone stava per intervenire ma lei lo anticipò.
«Lui non mi ricordò mai più.» disse glaciale.
Il giovane nano aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse in silenzio, comprendendo l’errore.
E in quel momento Bilbo riprese conoscenza. Lumbar ringraziò i Valar per quella distrazione arrivata al momento più opportuno.
Diedero una tazza di tè allo hobbit e lo lasciarono solo con lo stregone, proprio mentre lui iniziava a sorseggiarla dopo essersi seduto vicino al fuoco del camino.
«Mi riprenderò. Solo, lasciatemi tranquillo per un momento.» disse il mezzuomo portandosi la tazza alle labbra.
Lumbar riusciva a sentirli nonostante fosse rimasta nella sala da pranzo, insieme a pochi altri.
«Te ne stai tranquillo da tanto, troppo tempo.» disse Gandalf, avvicinandosi a lui. «Dimmi: da quando i centrini e i piatti di tua madre sono diventati così importanti, per te? Io ricordo un giovane hobbit che andava sempre in cerca di Elfi nel bosco. Che restava fuori fino a tardi e tornava a casa quando era buio, seguendo tracce di fango, ramoscelli e lucciole.» gli altri potevano vederlo mentre andava avanti e indietro davanti al mezzuomo. «Un giovane hobbit che avrebbe voluto solamente scoprire cosa c’era oltre i confini della Contea. Il mondo non sta nei tuoi libri e nelle tue mappe. È là fuori.» disse indicando con la testa fuori dalla finestra.
«Non posso andarmene di punto in bianco.» protestò lo hobbit. «Sono un Baggins di Casa Baggins.»
«Tu sei, inoltre, un Tuc.» gli fece notare Gandalf, facendolo sospirare. «Lo sapevi che il tuo pro-pro-pro-prozio Ruggitoro Tuc era così grosso da cavalcare un vero cavallo?»
«Sì.» disse Bilbo senza entusiasmo.
«Sì sì sì, è così.» continuò lo stregone con enfasi. «Nella battaglia di Campiverdi attaccò il gruppo dei Goblin, mulinò la sua mazza con tale forza da staccare la testa al re Golfinbul, testa che volò per cento iarde e rotolò nella tana di un coniglio. E così la battaglia fu vinta. E il gioco del golf nacque in quel momento.»
«Ah, mi sa che questa te la sei inventata.» disse lo hobbit.
«Beh, tutte le belle storie meritano un’infiorettatura.» osservò il Grigio, sedendosi davanti a lui. «Avrai una storiella o due da raccontare anche tu, quando ritornerai.»
«Puoi promettermi che ritornerò?» gli chiese il mezzuomo dopo qualche secondo.
«No.» rispose sincero. «E se farai ritorno non sarai più lo stesso.»
«È quello che pensavo.» disse Bilbo. «Scusa, Gandalf, non posso firmarlo.» continuò, alzandosi in piedi. «Hai scelto lo hobbit sbagliato.» poi si voltò e se ne andò in camera, lasciandolo lì.
«A quanto pare abbiamo perso il nostro scassinatore.» disse Balin a Thorin mentre lo osservavano allontanarsi per il corridoio, il primo seduto su una panca e il secondo appoggiato al muro. «Forse è meglio così. Le probabilità ci erano sempre a sfavore. Dopotutto, cosa siamo noi? Mercanti, minatori, stagnai, giocattolai. Non certo materia da leggenda.» scosse la testa, demoralizzato.
«Ci sono alcuni guerrieri tra di noi.» gli fece notare l’altro, sorridendo leggermente.
«Vecchi guerrieri.» specificò Balin.
«Io sceglierei uno qualunque di questi nani invece di un esercito dei Colli Ferrosi.» disse Thorin, sincero. «Perchè quando li ho convocati hanno risposto.» si staccò dal muro. «Lealtà, onore, un cuore volenteroso. Non posso chiedere più di questo.»
Balin si alzò in piedi. «Non sei costretto a farlo. Puoi scegliere. Ti sei comportato con onore verso la nostra gente. Ci hai costruito una nuova vita sulle Montagne Azzurre. Una vita di pace e prosperità. Una vita che vale più di tutto l’oro di Erebor.»
Lumbar, che li stava ascoltando, a quelle parole uscì fuori, in cortile, lasciando la porta semi aperta. Sapeva a cosa si riferiva Balin. Li aveva osservati, nel corso degli anni, e li aveva aiutati quando aveva potuto. Il vecchio nano aveva ragione: Thorin aveva restituito una vita al suo popolo, un posto da chiamare casa, un futuro; e non c’era niente che valesse di più.
«Da mio nonno, tramite mio padre, questa è giunta a me.» Lumbar non poteva vederli ma riusciva ancora a sentirli. «Sognavano il giorno in cui i nani di Erebor avrebbero reclamato la loro patria. Non c’è scelta Balin. Non per me.»
«Siamo con te, ragazzo. Faremo in modo che avvenga.» gli disse prima che si dirigessero nel salotto con il camino ancora acceso.
Così sia, pensò Lumbar con un sospiro, appoggiandosi allo steccato del giardino.
Gli altri nani li raggiunsero e, avvolti dalle ombre, cominciarono a cantare spandendo nell’aria un suono roco che sembrava salire dai recessi di un lontano passato, invadendo il cuore di ogni essere vivente presente in quella casa:


 
Far over the Misty Mountains cold
To dungeons deep and caverns old
We must away ere break of day
To find our lot forgotten gold

The pines were roaring on the height
The winds were moaning in the night
The fire was red, it flaming spread
The trees like torches blazed with light


Lei li ascoltò da fuori; conosceva quella canzone, ovviamente, ma non voleva intromettersi. Era già abbastanza doloroso così. Sentì una forte stretta al petto, come se qualche mano invisibile le si fosse serrata attorno al cuore; quelle parole sapevano di qualcosa dimenticato da tempo, di nostalgia per una cosa perduta. Sapevano di casa, di famiglia. Sentì un gran bisogno di piangere, mentre con le mani creava piccole immagini di fiamma rappresentanti i ricordi dei luoghi che aveva calcato all'interno di Erebor: piazze, strade e vicoletti, palazzi colmi d'oro, scuderie, armerie... e poi nani che passeggiavano, lavoravano, bambini che correvano e urlavano, giocando e divertendosi. Vita.
Tutto ciò era morto con la città, inghiottito dal terrore del drago Smaug.
Nessuno venne a disturbarla, nemmeno quando si coricarono, e lei passò la notte a pensare a ciò che sarebbe successo da quel momento in poi e a quell’incantesimo sulla memoria che aveva creato tanti anni prima. Ricordò il momento in cui l’aveva lanciato, l’espressione sul viso di lui e le lacrime che versava. Fino a quel momento non l’aveva mai visto piangere. L’aveva visto spaventato, arrabbiato, felice, triste, innamorato. Ma mai una volta le lacrime avevano percorso le sue guance. Fino a quel giorno.
Ricordò le parole che le disse e la sua disperazione quando si rese conto che la stava dimenticando. Ricordò come si sentì lei quando scoprì di essere ancora viva. E si asciugò una lacrima silenziosa nell’oscurità della notte.
Troppo persa in quelle devastanti memorie non si accorse che un nano la osservava nell’ombra, chiedendosi quale pesante fardello stesse portando sulle sue sole ed esili spalle ma senza riuscire a darsi una risposta.
   
 
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