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Autore: anonimo9898    13/04/2021    0 recensioni
Harry ha paura di se stesso, dei suoi sentimenti e di ciò che il suo cuore può provare.
Louis è un inguaribile romantico, uno scrittore di favole, e ne stava vivendo una proprio con quel ragazzo.
Si erano incontrati per caso, una mattina, in un bar, e da lì non si erano mai più lasciati andare.
Gli imprevisti succedono, una leggenda dice che se ami tanto una persona devi lasciarla libera di volare con le sue ali, ma Harry non può sopravvivere senza di lui, come Louis non sa come si respira quando non ha Harry al suo fianco.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Primavera, la sua stagione preferita. L'odore dei fiori appena sbocciati gli invase le narici, i suoi occhi si aprirono piano, il verde che li dipingeva era illuminato dai raggi del sole, sorge sempre dal lato di casa sua. Si stiracchiò, si guardò intorno: solo, come ogni giorno. Indossò un paio di pantaloni raccolti dal pavimento. Uscì in balcone, incrociò le braccia al petto ed assaporò l'aria, era fredda ma piacevole sulla pelle. Passò una mano tra i capelli, si accese una sigaretta. Non fumava mai, non le sigarette normali. Preferiva le Nirdosh alle erbe, solo quando la giornata iniziava col piede giusto. Ispirava, espirava, l'addome si contraeva e il petto si gonfiava. Una notifica, poi un'altra, poi una chiamata. «Harry, dove sei?» la voce di Liam lo riportò nel presente, i momenti di pace e tranquillità duravano troppo poco, in questi momenti vorrebbe fermare il tempo. «Buongiorno anche a te Liam» addio buone maniere «sono a casa, mi hai disturbato mentre fumavo, fa che sia per una buona ragione» «Vestiti, mi serve una mano al bar» chiuse il telefono, non gli diede il tempo di replicare, quando quel ragazzo si metteva in testa una cosa, nessuno poteva contraddirlo. Spense la sigaretta, respirò i residui di erba, si godette l'ultimo momento di quiete prima della tempesta. Lo stile di Harry? Un completo disordine. Troppo classico, troppo elegante, troppo moderno, troppo coperto, poco coperto... Non ci badava più ormai, tutti i consigli di Niall finivano in un pozzo senza fondo. Era lui fra tutti "il paladino della moda". Sapeva sempre ogni singola tendenza, in camera sua le riviste di Vogue si moltiplicavano a vista d'occhio. A lui piaceva così, si sentiva bene. Uscì di casa, accese la macchina. Aveva la giornata libera al lavoro, niente a cui pensare. Raggiunse Liam, parcheggiò nel retro, il posto riservato ai dipendenti. Non faceva il barista, lui aiutava l'amico, proprietario di quel Bar. Cantava, animava le serate, suonava la chitarra, ma era solo una maschera. Non sopportava l'idea di essere solo, aveva bisogno di qualcuno, ma mai nessuno faceva al caso suo. Forse era troppo esigente, ma lui voleva una favola, non una storia. Voleva sentire le farfalle nello stomaco ad ogni suo tocco, ad ogni carezza, ad ogni bacio. «Vai a servire quel tavolo» in fondo alla stanza, un gruppo di giornalisti della zona. Li aveva riconosciuti tutti, tranne uno. «Buongiorno, cosa vi porto?» fissò il ragazzo tutto il tempo, era con la testa china a scrivere sul suo quaderno. La mano scorreva, l'inchiostro della penna si consumava. «Quattro birre per noi e per Louis...» il direttore del New York Times puntò il dito su di lui, alzò lo sguardo. «Un caffè amaro» accennò un sorriso, i loro sguardi si incrociarono. In così poco tempo, gli sembrava di essere cascato nel bel mezzo dell'universo. Lui, occhi azzurri, profondi. Gli ricordavano il mare, brillavano come stelle. Erano sereni, grandi, perfettamente disegnati per il suo viso. Si perse al loro interno. «Ragazzo?» un battito di ciglia, si allontanò dal tavolo. Era ancora turbato, non provava una sensazione simile da anni ormai, quasi come se quei ricordi fossero svaniti e d'un tratto ritornati con un nuovo viso, con degli occhi che si sarebbe difficilmente scordato. Sapeva il suo nome, "Louis". Forse un apprendista nell'editoria, con un futuro da scrittore o da giornalista. Un sorriso involontario scambiato fra i due: il mare calmo che si scontra su uno scoglio, una foresta che brucia. L'uno potrebbe essere il rimedio dell'altro, una reciproca medicina che agisce sul cuore. Harry si accorse che aveva smesso di scrivere, aveva gli occhi immobili posati su di lui. Portò gli ordini al tavolo. «Posso portarvi altro?» questa volta, timidamente, fu Louis a parlare. «No, grazie...» lesse il nome sul badge «Harry». Arrossirono entrambi, sulla pelle chiara di quel ragazzo le guance si erano macchiate di un rosso intenso, rosso sangue. Harry corse sul retro, si passò una mano tra i capelli. Guardava ogni cosa intorno a lui, posò lo sguardo sulla sua auto, corse e si chiuse al suo interno: l'unico desiderio che aveva in quel momento era scappare. Aveva paura, paura di rovinare tutto, come sempre. Questo faceva Harry, sul più bello era in grado di sgretolare i momenti come graffite, tutto ciò che toccava diventava polvere, non voleva che accadesse di nuovo. Voleva tenere il ricordo di Louis e farlo rimanere tale. Non come uno dei tanti, no, quel ragazzo lo aveva stregato. Forse inconsciamente era stato il destino a scegliere per il loro futuro. Accese il motore, strinse forte il manubrio. Prima di premere sull'acceleratore sentì in lontananza qualcuno chiamare il suo nome. «Harry!» lo guardava, una sigaretta in mano, lo sguardo deluso e perso. «Scusa» fu l'unica cosa che riuscì a dire, la voce flebile come un respiro; nella sua mente le parole erano tante, ma si cancellavano da sole. L'unica speranza era quella di rivederlo, anche solo da lontano, per non scordarsi mai di lui.
   
 
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