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Autore: Eevaa    17/04/2021    10 recensioni
L'aura di Kakaroth si era dissolta lentamente nel nulla. Non da un momento all'altro - il che avrebbe potuto farne presagire la morte - ma lentamente. Sempre più flebile, sempre più lontana, fino a che Vegeta non l'aveva più percepita. Mai più.
«Cosa hai capito di tutto quello che ti ho detto?» urlò Vegeta. Poi il prigioniero sbuffò, annoiato.
«Che in cinquant'anni hai stipulato un'alleanza bizzarra con gli abitanti di questo pianeta, che avete sconfitto nemici dai nomi improbabili, che non solo esiste il leggendario Super Saiyan, ma ne esistono con diverse tinte per capelli; che ti sei riprodotto e, per tutte le galassie, se ce l'ha fatta uno come te persino Dodoria avrebbe avuto delle speranze; che siete invecchiati terribilmente mentre io sono un fiore, e che ora dobbiamo salire su quel catorcio di astronave per andare in giro per dodici universi alla ricerca dello squinternato che se l'è data a gambe dieci anni fa e che, con tutta la probabilità, ora è solo un mucchio d'ossa o polvere interstellare ma oh, guai a dirlo, perché mi pare che siate molto amici».
Inaccurato, ma tutto vero.

[Post-Dragon Ball Super] [Slowburn]
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Goku/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Across the universe - La serie'
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 

 
AVVERTIMENTI:
Mi dissocio dai comportamenti molesti di Radish; abbondante uso del turpiloquio; lutto.
 
 


- ACROSS THE UNIVERSE -


Capitolo 2
Il tassello

 

«Un altro buco nell'acqua!» Radish sbuffò e si portò le mani dietro la testa, annoiato. Abitudine che aveva anche lo scemo di suo fratello. «Possibile che nessuno sappia niente? Era mica uno dei guerrieri più forti dei dodici universi?»
«Taci, ti prego» lo zittì Vegeta, affranto.
Era il ventunesimo pianeta che ispezionavano, tra quelli che avevano segnato come i più probabili nella mappa dell'Universo Sette. Neo Namekk, Yardrath, il Pianeta Senza Nome e molti altri che gli erano stati suggeriti dalla Pattuglia Galattica. Nessuna traccia di Kakaroth, neanche un passaggio, niente di niente. Non avevano piste, non avevano idee. Anche Re Kaioh aveva saputo dire loro nulla sulla posizione dell'idiota.
Camminarono svelti giù per le stradine periferiche di quella città iper-tecnologica, capitale del pianeta Takioine.
Avevano girovagato in lungo e in largo sui grattacieli, incontrato personalità importanti, partecipato persino a eventi mondani dal dubbio gusto per riuscire a ingraziarsi personaggi di spicco, ma niente.

«Forza, andiamocene da questo cesso» intimò Vegeta, brusco.
«Il signore è nervoso».

La voce gracchiante di uno strano essere sul lato della strada li fece frenare. Se ne stava lì, accovacciato su un gradino in marmo levigato, avvolto in un bizzarro mantello dai colori sgargianti. La pelle rugosa, gialla e butterata, e tre grandi occhi infossati sulla fronte spaziosa. Aveva tutta l'aria di essere un mendicante, a confronto della maggior parte della popolazione presente su quel ricco pianeta. Inoltre non sembrava un nativo.
«Il signore è sempre nervoso» ridacchiò Radish, beffardo.
«Perché manca un tassello. Al signore manca un tassello. Manca un tassello» gracchiò il vecchio, poi puntò il dito verso Vegeta. «Manca un tassello. Manca un tassello» continuò, in una sorta di nenia cantilenante. Si avvolse meglio nel mantello colorato e si alzò per avvicinarsi, ma i due Saiyan fecero un passo indietro.
«Ok, a te mancherà anche un tassello ma a questo manca qualche rotella» sussurrò Radish nell'orecchio di Vegeta.
«Dagrabàh» sussurrò il vecchio, sempre più vicino fino a mettere Sua Maestà con le spalle al muro opposto. Radish, a quel punto, non tradì la natura assassina e preparò la mano per poter porre fine a quella vita, ma Vegeta lo frenò con un gesto secco.

Aveva una sensazione strana riguardo a quell'essere.
«Come ha detto?» domandò quindi, sottecchi.
«Dagrabàh. Su Dagrabàh c'è chi vi aiuterà a trovare il tassello che manca al signore» cantilenò l'essere e, dopo avergli lanciato un'ultima penetrante occhiata con i suoi tre occhi, si voltò con uno scatto per tornare a sedersi sul gradino levigato. «Un tassello. Manca un tassello».
Vegeta, con lo sguardo corrucciato, riprese a respirare. La sensazione strana cessò, mentre il vecchio continuava a ripetere cose in cantilena riguardo al tassello.
Il tassello. Quale tassello?


E fu così che giunsero sul pianeta Dagrabàh: perché sul pianeta Takioine un vecchio strampalato gliel'aveva detto. E dire che quella era la loro pista migliore! In due mesi, per giunta.
Giusto per far capire quanto potessero essere a corto di idee.
Prima ancora che l'astronave poggiasse i lunghi piedi ammortizzatori sulla piattaforma, Vegeta poté chiaramente vedere con i propri occhi quanto quel luogo fosse bizzarro.
Sembrava una giungla, con la città principale rocciosa che si ergeva a mo' di tempio incastrato tra gli alberi. Un tempio altissimo, sulla quale cima vi era l'entrata piramidale di quello che sembrava essere un palazzo. Il resto delle abitazioni era incastrato nei gradini sottostanti, come un enorme alveare in pietra e rame.
Nell'arrivare avevano visto altre cittadine più piccole, periferiche, sempre strutturate con la medesima architettura.
Le piante, altissime, lasciavano cadere le loro liane sulle case, e gli abitanti del pianeta sembravano utilizzarle come mezzo di trasporto tra un distretto e l'altro della città. Alcune, invece, erano ornamentali e ricche di fiori colorati con frutti altrettanto sgargianti.
Un uomo ingobbito dalla pelle gialla e il mantello colorato – come quello del vecchio incontrato su Takioine – diede loro il lasciapassare per atterrare su una delle piattaforme ottagonali alla base della città, accanto all'ingresso della fitta giungla.
Non appena scesero, il più evidente dettaglio che già aveva suggerito il computer di bordo gli si fece noto come uno schiaffo in faccia.
«Dannazione, in questo posto fa un caldo infernale» borbottò Vegeta, scendendo a passi lenti dall'astronave.
Temperatura di 44°C con umidità 89%. Una sauna.
«Io te l'avevo detto che la mia divisa scosciata da sgualdrina sarebbe stata più indicata» gli fece notare Radish, camminando al suo fianco.
Non appena partiti per il loro viaggio, Vegeta gli aveva buttato nell'inceneritore delle scorie spaziali quella divisa ridicola e antiquata da Saiyan di terza classe e gli aveva fornito una nuova battle-suit. Nera, uguale alla sua, con il corpetto corazzato ed ergonomico.
«Meglio il caldo piuttosto che trovarmi costretto a guardare le tue chiappe. A proposito di sgualdrina, pensi di potercela fare a non provarci con qualsiasi forma di vita che respiri su questo Inferno di pianeta?»
Radish esplose in una risata sarcastica.
«Penso di sì» disse, poi gli si avvicinò di più e indicò alle sue spalle l'ometto che li aveva fatti atterrare. «Se le forme di vita sono tutte come questo qui».
Vegeta alzò gli occhi al cielo e iniziò a camminare verso quello che sembrava essere il palazzo principale. Se non altro lì qualcuno avrebbe saputo dare loro delle informazioni utili.


Inutile dire che non mancarono occhiate incuriosite da parte dei nativi, indice del fatto che non ci fossero molti stranieri su quel pianeta. Con tutta probabilità gli scambi commerciali avvenivano di rado, sintomo che possedessero sufficienti risorse e merci interne.
Un pianeta dunque ricco, a giudicare anche dal fatto che ci fossero delle piattaforme apposite per le astronavi e tecnologia adeguata per il loro supporto.
I nativi - da quel che riuscì a captare Vegeta durante la loro scalata verso la città alta - erano tutti esseri dalla pelle gialla o ocra, senza capelli, con conformazioni distinte in tre generi di sesso. La caratteristica più particolare, però, erano senz'altro gli occhi, che si radunavano sulle fronti spaziose a gruppi di tre, quattro o raramente cinque. Statura media, corporatura prevalentemente magra o muscolosa.
Sgargianti i loro costumi, sgargianti i gioielli, ma tono di voce molto basso. Le zone popolari come piazze o mercati erano ordinate e molto silenziose, come se le parole fossero perlopiù superflue.
Camminando attraverso un mercato Vegeta notò che i nativi venivano serviti alle bancarelle senza alcun bisogno di impartire particolari comandi, caratteristica piuttosto inquietante.
Quando giunsero in cima alla scalinata per il tempio piramidale, Sua Maestà ebbe la netta sensazione che si sarebbe sciolto nel sudore da lì a poco.
Incastonato nella superficie inclinata della piramide vi era un grosso portone in rame e al suo presidio tre guardie dall'aspetto femminile, tutte e tre vestite con un costume di colore magenta e delle lance appuntite a doppia estremità.
«Ok, rettifico: potrei farci un pensierino» ghignò Radish, nel vedere le forme poco nascoste delle tre guardie.
Vegeta roteò gli occhi così forte da farsi venire il mal di testa. O forse stava per svenire.
Una volta davanti al portone, la guardia in mezzo parlò con voce soffice. A differenza delle altre due, che avevano tre occhi, questa ne aveva quattro. Ciò che dalla lontananza non aveva notato, era che due di questi erano di colori differenti rispetto ai due centrali.
«Identificatevi».
«Principe Vegeta, quarto della mia dinastia, razza Saiyan, residente sul Pianeta Verde 887 comunemente detto Terra» dichiarò Vegeta, solenne, mostrando il documento identificativo interstellare sul palmare.
«Radish, figlio di Bardack, razza Saiyan, nessuna residenza» parlò Radish, con tono più annoiato.
Lo sguardo della guardia sostò a lungo su di lui, poi passò con uno scatto su Vegeta.
Avvertì di nuovo la strana sensazione che aveva avuto con il vecchio strampalato su Takioine.
«Enunciate cosa vi porta a Dagrabàh, uomini Saiyan» disse la guardia, indugiando ulteriormente con lo sguardo su Radish.
«Ci è stato reso noto che esiste qualcuno, sul vostro pianeta, che potrebbe aiutarci a risolvere un problema. Chiedo di poter parlare con qualcuno che possa darci informazioni in merito alla questione» parlò dunque Vegeta.
La guardia lo osservò con occhi socchiusi.
«Voi non mentite» asserì.
Beh, grazie. Certo che non mentiva, ma come faceva quella donna a saperlo?
«Come... cosa?» domandò quindi, confuso.
«Non siete a conoscenza dei poteri dei Dagrabàhni» disse poi la guardia. Non era una domanda, era come se già sapesse.
«No».
«I nostri occhi sono scrutatori. Oltre gli occhi che ci dispongono della vista, possediamo il potere di leggere diversi angoli della mente delle persone. Io possiedo l'occhio che indaga sulle intenzioni e quello che percepisce le emozioni. E voi, Principe della razza Saiyan, non avete cattive intenzioni. E, a giudicare dalla calma con la quale pronunciate le vostre parole, non mentite». La voce della guardia era calma, piatta, quasi artificiosa.
Quella era un'informazione singolare, ma che dava a Vegeta una risposta a quella sensazione di intrusione che aveva avvertito anche con il vecchio su Takioine.
«Permettetemi di sorvolare sulle intenzioni che percepisco nel vostro sottoposto» aggiunse la guardia, e Radish non poté proprio fare a meno di annuire e ammiccare come il buon pervertito che era.
Vegeta gli lanciò un'occhiata tagliente, poi chiuse gli occhi e inspirò per acquisire calma.
«La prego, non faccia caso alla mia intenzione di ucciderlo» disse quindi, a denti stretti.
«Voi non mentite» constatò la donna.
No, non mentiva.
«Desiderate parlare con qualcuno che vi spieghi la situazione. L'Imperatrice Diyn vi attende».
Quel modo di parlare senza porre domande iniziava a irritarlo, ma per convenzione sociale Vegeta chinò la testa in segno di ringraziamento.
Le guardie ai lati aprirono le porte senza attendere altri ordini, conferendo loro dunque il permesso di accedere.


Si addentrarono nella piramide – non prima che quel deficiente gettasse altre occhiate ammiccanti alle guardie – e camminarono lungo una navata di pietre color sabbia e inserti in rame. Liane e piante rampicanti pendevano dal soffitto, spiragli di luce intrecciati entravano da alcune feritoie laterali e un lungo tappeto dai colori sgargianti conduceva a un'alta pedana al centro della piramide.
Sulla pedana si ergeva un trono di rame e fiori presidiato da altre due guardie. Seduta sul trono vi era una persona dai tratti né femminili né maschili, colei che doveva essere senz'altro l'Imperatrice Diyn. Vestiva con un lungo mantello leggero e dorato, la sua pelle virava verso l'arancione e, sotto una corona di fiori color amaranto vi erano incastrati sei occhi, quattro di colori differenti l'uno dall'altro.
Non appena l'Imperatrice li vide, si sporse sul trono per osservarli meglio. Quello che aveva capito Vegeta era che il potere dei loro occhi funzionava solo se le persone fossero sufficientemente vicini e con un contatto visivo e, proprio per quel motivo, fece loro un chiaro segno di salire i gradini della pedana.
Vegeta e Radish si lanciarono un'occhiata fredda, poi raggiunsero il trono e si inchinarono profondamente di fronte all'Imperatrice.
Il contatto con il suo sguardo generò in Vegeta la sensazione di intrusione, ma si guardò bene dal voltarsi altrove. Non aveva nulla da nascondere.
«Benvenuti, uomini Saiyan. Siamo sorpresi dalla vostra presenza» parlò finalmente l'Imperatrice, con voce grave e molto bassa.
Vegeta non era decisamente tipo da formalità ma, nei pochi anni che aveva vissuto a corte sul suo pianeta, aveva appreso le fondamentali regole aristocratiche. Tuttavia, se nel passato si era raramente rivolto con riverenza a qualcuno, nel corso del tempo aveva appreso di non essere l'unico principe nella faccia dell'universo, di non essere superiore, e quindi a mostrare almeno un poco di rispetto per le alte cariche.
«Grazie per averci accolto, Imperatrice Diyn».
«La formalità non vi si confà, ma vi ringraziamo a Nostra volta».
Gli dava sui nervi parlare con delle persone che gli leggevano nella mente.
«Sono sicuro ordunque non sarà necessario spiegarvi il motivo della mia visita» sibilò Vegeta, nel tentativo di nascondere l'irritazione. Aveva notato che l'Imperatrice si rivolgesse a se stessa - loro stessi? - con il noi e quindi, per rispetto, Vegeta provò a fare lo stesso. Anche se si faceva chiamare "Imperatrice" al femminile. Per quanto suonasse strano, chi era lui per sindacare il genere altrui? 
«Non del tutto esatto. Il popolo di Dagrabàh possiede gli occhi scrutatori, ognuno con un potere diverso. I commercianti possiedono la capacità di percepire i desideri delle persone, le speranze, alcuni captano le emozioni, le guardie perlopiù le intenzioni; i più fortunati, come Noi, riescono a leggere nel passato delle persone, altri leggono le sensazioni e i sentimenti. Raramente c'è chi indugia sui crucci, conflitti e le mancanze. Non leggiamo nel pensiero, Principe dei Saiyan, ma solo in alcune aree del pensiero».
Vegeta colse il riferimento ai commercianti, e del perché vi era così tanto silenzio nel mercato della cittadella. Nessuno aveva bisogno di dare loro la lista della spesa, insomma.
Decisamente affascinante. E snervante. Sì, soprattutto snervante.
«E cosa potete leggere in me?» domandò Vegeta.
«Siete tormentato. Terribilmente tormentato. Alcuni dei vostri tumulti risalgono al vostro passato da assassino da cui vi siete redento, ma il vostro tormento deriva da qualcos'altro. Frustrazione? Sì. Siamo certi che siete qui per ricevere un aiuto, lo desiderate. Non siamo Noi coloro che possono darvelo» concluse l'Imperatrice, stringendo le labbra sottili. Si sporse un poco in avanti e un raggio di luce solare proveniente da una feritoia colpì il suo volto. Aveva la mandibola squadrata e il naso all'insù, ed emanava il forte profumo dei fiori che adornavano il capo e il trono. «Nella giungla, verso Est. Un albero a forma di luna crescente, sette passi a destra. La notte porta consiglio» cantilenò.
Vegeta storse il naso. Non gli piacevano gli indovinelli, non gli piacevano le sostanze stupefacenti del quale facevano evidentemente abbondante uso su quel pianeta.
Quella era senza dubbio l'avventura più strampalata alla quale avesse mai preso parte.
«C'è qualcuno lì che potrà aiutarci?» domandò dunque Sua Maestà. Tutto quello che gli importava era riuscire a seguire una pista.
«Tutto dipende dal quanto vi farete leggere, Principe dei Saiyan».
Quello voleva forse dire che avrebbe dovuto farsi fare il lavaggio del cervello da chicchessia? In cinquant'anni sulla Terra non aveva mai accettato di farsi analizzare da uno strizzacervelli, nonostante ne avesse avuto un gran bisogno. E ora avrebbe dovuto farsi aprire la scatola cranica e offrire la sua materia grigia agli occhi di un santone qualsiasi?
Kakaroth gliel'avrebbe pagata cara, se la mai l'avessero trovato da qualche parte. Vivo.
«Vi ringrazio, Imperatrice Diyn» disse infine, giusto per togliersi dalla testa la malsana idea che quel decerebrato fosse morto.
Con una riverenza si congedò dall'alta carica e, dopo che Radish fece lo stesso, scesero lentamente i gradini della pedana per tornare nel mondo esterno.
La voce dell'Imperatrice però lo colse di sorpresa.
«Siamo certi che il tassello mancante tornerà al proprio posto».
Si irrigidì. Il dannato tassello! Ancora quel dannato tassello del quale aveva sproloquiato il vecchio su Takioine.

Radish gli lanciò un'occhiata confusa, Vegeta la restituì, poi si incamminarono verso l'uscita.
«Amico, mi sa proprio che quello a cui manca qualche rotella allora sei tu» convenne, una volta di nuovo usciti all'esterno.
Un vero peccato, visto che la temperatura nella piramide era molto più sopportabile.
«Mi manca un tassello, non una rotella» puntualizzò Vegeta, stanco. Fottuto tassello.
Camminarono lungo la scalinata dopo aver accuratamente evitato lo sguardo delle tre guardie, poi si addentrarono nella cittadina inferiore.
«Un po' inquietanti questi tizi, mh? Sanno più cose loro di te di quante ne sappia tu».
«Tsk. Più che inquietanti li definirei insopportabili».
«Non mi dispiacerebbe andare a farmi un giretto sotto le lenzuola con una di queste. Ci pensi? Coglierebbe al volo ogni mio desiderio» ammiccò Radish.
Vegeta alzò gli occhi al cielo. «E quindi si getterebbe giù da una finestra piuttosto che assecondarlo».
«Non si può dire che tu non mi conosca» ridacchiò Radish.
Purtroppo sì, lo conosceva bene, lui e tutte le perversioni da maniaco che l'avevano portato anche a farsi inseguire per due galassie durante una missione, tutto perché ci aveva deliberatamente provato con la figlia del Re di un pianeta di conservatori. Come dimenticare.
«Che dici, ce l'abbiamo il tempo per un drink?» domandò Radish, fermandosi di fronte a quella che sembrava essere una taverna. L'insegna era scritta nei caratteri indecifrabili della lingua del posto, niente di riconducibile al sistema di comunicazione intergalattico che usavano per parlare.
«Possibile che pensi solo a bere e scopare? Voglio ricordarti che siamo qui per un altro motivo. E poi chissà cosa diamine avranno di commestibile in questo posto» sbuffò Vegeta.
«Qualcosa con i fiori, sicuro» convenne Radish. Effettivamente tutto di quella cittadina sembrava vertere su quei giganti fiori a petali ampi. «Io entro, non riesco a ragionare a stomaco vuoto».
Vegeta soffiò tra i denti tutta la sua voglia di staccargli la testa dal corpo, poi si arrese. Solo perché aveva fame. E sete, prima di tutto.
«Un'ora, non un minuto di più» si raccomandò, ma l'idiota era già partito alla volta dell'ingresso.
«Ok, ok. Un'ora, poi andiamo a cercare la rotella che ti manca».

 


Avevano davvero mangiato fiori. Come le capre terrestri. Antipasto di fiori, carne strana di vattelappesca con fiori di contorno.
Ma, quando Vegeta aveva pensato di non poter cadere più in basso di così, si era ritrovato sul tavolo un drink forte e colorato – decorato con fiori - perché, a quanto pareva, il cameriere aveva captato con il suo occhio scrutatore che fosse esattamente ciò che desiderasse. 
Non che avesse torto. Desiderava qualcosa di forte da bere, eccome, ma magari che non sapesse di fiori.
Uscirono dalla taverna con gli stomaci pieni, profumati come la serra botanica della Città dell'Ovest, poi si incamminarono in direzione Est nella fitta giungla.
Il vero problema? Quando tentarono di volare, non ci riuscirono. Non era una questione di Ki, di potenza – gli attacchi dell'Aura riuscivano a scagliarli – ma semplicemente non riuscivano a utilizzare la tecnica di volo. C'era qualcosa che inibiva quel potere. Oppure era chiaro che avrebbero dovuto affrontare quella prova con tutte le difficoltà del caso.
Dopo un rosario di imprecazioni rivolte agli Dei, si incamminarono tra le foglie ampie, le liane e, ovviamente, i fiori di quella torrida giungla.
Man mano che camminavano, però, si accorsero che la luce penetrava sempre meno dagli alberi, la vegetazione si faceva sempre più fitta e versi di alcuni animali non identificabili giungevano alle loro orecchie.
Il caldo sempre più soffocante, l'umidità che gli faceva appiccicare le tute da battaglia addosso. Ben presto si ritrovarono costretti a strapparne le maniche e le gambe, e addio al buon proposito di non vedere di nuovo le chiappe di quello scimmione di Radish.
«Vegeta, camminiamo da ore! Io dico che ci siamo persi».
«Io invece dico che devi stare zitto» sibilò il Principe, sfinito, grondante fino alla punta dei capelli.
Radish si appoggiò con il braccio al tronco di un albero e ringhiò di frustrazione.
«Starò zitto quando moriremo disidratati. Quindi a breve, secondo i miei calcoli. Ma fino ad allora mi lamenterò e lo farò in faccia a te».
Vegeta strinse i pugni, oramai al limite della sopportazione.
«Che tu sia maledetto. Tu e tutta la tua stirpe. Soprattutto quel coglione di tuo fratello».
Già, dannato Kakaroth. Dannato il giorno in cui aveva pensato di andare a cercarlo. Dannato il giorno in cui era partito e soprattutto dannato lui per non averlo preso per i capelli e non averlo costretto a restare.
Si sarebbe evitato dieci anni di frustrazione e, soprattutto, di stare in quella giungla di merda, con un deficiente malato di mente al suo fianco, con quel maledetto odore di fiori sotto al naso.
«Sei tu che hai detto che eri disposto a spingerti oltre i confini dell'universo per trovare Kakaroth e mi hai scomodato per venire qui, in questo posto dimenticato dagli Dei» ruggì Radish, in un impeto di rabbia.
E dire che, nonostante i primi giorni fossero stati piuttosto burrascosi, non avevano mai avuto una vera discussione. Radish non aveva mai dato problemi - a parte il suo essere un idiota mediamente molesto e ficcanaso.
«Oh, perdonami se ti ho tirato fuori dall'Inferno per darti una cazzo di possibilità!» gli gridò di rimando Vegeta. 
E aveva dovuto fare abbondanti conti con il fatto che non l'avesse resuscitato cinquant'anni prima. Per fortuna Radish era un Saiyan anomalo almeno quanto suo fratello, abbastanza incline al perdono. Non aveva fatto più che lanciargli qualche frecciatina velenosa sul fatto di averlo lasciato marcire sotto terra per tutto quel tempo. 
Avevano avuto trascorsi abbastanza burrascosi, ma in quei due mesi a stretto contatto su quell'astronave si poteva dire che le cose fossero tornate esattamente come un tempo. Ossia Vegeta taciturno, Radish che blaterava in continuazione, Vegeta che sopprimeva l'idea di ucciderlo, Radish che più Vegeta si infastifiva più calcava la mano. Normale amministrazione, quando erano due giovani mercenari per conto di Freezer. 
«Beh, Altezza, mi hai tirato fuori dalle fiamme dell'Inferno dopo soli cinquant'anni e mi hai messo qui su questa palla di fango, la quale temperatura è persino superiore a quella dell'Inferno» replicò, spintonandolo. 
Vegeta ci vide rosso e lo spintonò a sua volta, facendolo ribaltare al terreno. Si erano allenati a lungo, Radish aveva persino raggiunto lo stadio di Super Saiyan, ma non vi era paragone tra i livelli di potenza.
«Allora, visto che gradisci, facciamo che ti ci rispedisco subito all'Inferno, va be-»
«Vegeta! Vegeta, guarda!» Radish lo interruppe prima che potesse finire la frase.
Sdraiato per terra, fissava un punto appena sopra di lui.
«Cos'è, uno scher-» fece per rispondere il Principe, irritato, ma poi comprese quale fosse l'oggetto di tante attenzioni.
L'albero al quale Radish si era appoggiato poco prima. Non ci avevano fatto caso, ma il tronco era nettamente più chiaro rispetto alla flora circostante, e si inarcava in modo bizzarro fino a creare un effetto ottico con il sottobosco scuro.
Una mezza luna crescente.
«È quello di cui parlava l'Imperatrice!» sospirò Vegeta.
«Maledetta vacca, allora non ci ha mentito!» Radish si alzò in piedi in fretta, rinvigorito da quella scoperta. Il suo tono più calmo, niente più accuse. Il solito idiota di sempre, insomma. «Cos'è che aveva detto? Nove passi...»
«Sette» lo corresse Vegeta.
«A sinistra...»
«Destra. Sul serio, a cosa diamine stavi pensando?!» sbuffò Sua Maestà.
Radish si portò le mani dietro la nuca. Quando faceva così gli ricordava Kakaroth. Lui e la sua stupidità patologica.
«Beh, era affascinante» ridacchiò. 
«Mi sarei fatto volentieri un giro su di lei, ehm, loro».
Ecco, quella era una riposta che Kakaroth non avrebbe dato. Ripensandoci, non ci somigliava quasi per niente. Radish rideva come un ebete, ma non era lo stesso sorriso da clown di suo fratello. Vegeta lo stimava per le sue capacità di volo e di essere un figlio di puttana, non lo stimava perché era un degno avversario, o per il buon cuore. A volte era quasi divertente stare intorno a Radish, ma non era piacevole come quando lui e Kakaroth combattevano e si sfidavano.
Diversamente stupido, diversamente insopportabile, diversamente... diversamente Kakaroth.
«Ci rinuncio. Andiamo» sbottò Vegeta infine, poi si mise a contare i fatidici sette passi a destra. Si ritrovarono di fronte a un cumulo di rocce e, per la miseria, una pianta di fiori.
Niente più, niente meno. Si guardarono intorno ma nulla catturò la loro attenzione. Il posto era quello giusto, ma non vi era nulla, niente che potesse far loro intendere che ci fosse qualcuno ad aspettarli.
Niente indicazioni, niente di niente.
Cosa avevano sbagliato? Cosa c'era di sbagliato?
«La notte porta consiglio, ha detto l'Imperatrice. Credo dobbiamo aspettare l'imbrunire» mormorò Radish. Ecco cosa aveva dimenticato, Vegeta. Sempre piacevole scoprire di avere un cervello in due con un idiota. «Beh, non hai portato le carte da Sabaq?» commentò, sedendosi su una pietra piatta.
Vegeta roteò gli occhi e lo imitò. Convinti di metterci poco non avevano portato neanche le provviste, figurarsi se aveva delle carte da Sabaq!
E comunque l'avrebbe stracciato, a Sabaq.
Non rimaneva altro che attendere la notte. Avrebbe portato consiglio?


Una cosa era certa: Kakaroth gliel'avrebbe pagata cara per tutto quello che stava facendo per lui.
Sempre che sia vivo, gli intimò la sua coscienza. Vegeta scosse la testa, non voleva pensare a quella drastica possibilità.
Magari non è mai tornato perché non gli interessava tornare, sussurrò di nuovo quel neurone pessimista sotto l'ipotalamo.
No. Non più. Quello era ciò che si era imposto di credere all'inizio, quando la rabbia aveva sopperito il senso di lontananza, quando ancora percepiva il suo Ki sebbene distante. Ed era quello che si era costretto a credere.
Poi Bulma si era ammalata e lui aveva avuto altro a cui pensare, fino al giorno in cui il neurone solitario aveva iniziato a mettergli idee in testa, strane sensazioni, strane emozioni.
Così il pensiero più martellante degli ultimi cinque anni aveva cominciato a ossessionarlo.
E se gli fosse successo qualcosa?
Le scuse per non seguire quella sensazione erano state molteplici. Ma poi era impazzito, era diventato un chiodo fisso, una spada di Damocle conficcata nell'orgoglio, nel petto.
Pazzo, sempre più pazzo, si era ritrovato a vivere di ricordi, di mancanza – anche se ad alta voce non l'avrebbe mai ammesso – e quindi si era deciso.
Aveva deciso di seguire quel presentimento e non c'era stato più niente a fermarlo. Niente e nessuno. Nemmeno l'universo sconfinato che stavano attraversando, nemmeno quella giungla di merda e la notte che sembrava non arrivare mai.
Oh, Kakaroth gliel'avrebbe pagata cara, ma era tutto ciò che Vegeta desiderava: trovarlo e trascinarlo a casa per i capelli. A calci nel sedere, possibilmente.
Là dove apparteneva, vicino alla sua famiglia, a ciò che rimaneva dei suoi amici. A lui.
Se l'erano tacitamente promesso.


«Vegeta... ho paura. Per la prima volta, ho paura».
Vegeta sapeva di aver capito bene, anche se non era da lui dire certe cose.
«Di cosa hai paura?» gli domandò. Il cielo era cosparso di stelle. Loro, seduti sotto gli alberi nei loro completi formali, avevano occhi che brillavano.
«Stiamo perdendo tutti. Ora è toccato a Crilin... poi? Poi chi altro?»
Il panico nella sua voce suonava stranamente amaro nelle orecchie di Vegeta. Dispiacere?
Forse. Non gli piaceva vederlo in quello stato. Una volta gli sarebbe piaciuto. Dopo tutti quegli anni, oramai, non più.

«Kakaroth, non ci pensare adesso».
Kakaroth si rannicchiò sul tronco dove sedevano.
«Cosa faremo quando se ne andranno tutti?»
Il tempo era un maledetto infame, Vegeta lo sapeva. Sapeva già dal principio che prima o poi avrebbe dovuto seppellire Bulma, che avrebbe dovuto magari seppellire i suoi figli, cosa che si augurava meno che mai. Si era abituato a quell'idea sin da quando era giunto sulla Terra e aveva costruito una famiglia.
Kakaroth invece no. L'aveva scoperto qualche anno prima, quando si era reso conto che tutti stavano invecchiando tranne loro due. Troppo poco tempo di metabolizzare.

«I nostri figli sono mezzosangue. Non se ne andranno molto prima di noi. Almeno spero» disse Vegeta. Forse quell'insicurezza avrebbe potuto evitargliela, ma non voleva dar lui false speranze.
«Kami... rimarremo solo noi... solo noi» Kakaroth si prese la testa tra le mani e ci sospirò dentro.
«Non devi pensarci adesso. Ci penseremo quando e se... rimarremo... solo noi» disse Vegeta.
In effetti era strano pensare che sarebbero rimasti soli. Ma c'era qualcosa di dolce-amaro in tutto quello, qualcosa che anche Kakaroth percepì.
Alzò la testa e lo fissò negli occhi. Brillavano le stelle, brillavano le iridi seppur nere. Allungò una mano verso il polso e glielo strinse un poco. Vegeta provò l'impulso di staccarsi come molte volte aveva fatto. Non gli aveva mai permesso quel contatto, odiava i contatti. Ma quella notte l'impulso non era così forte. Forse l'impulso era quello di mettere una mano sopra la sua e dargli un po' di forza, ma si limitò a sostare sotto quei polpastrelli.
«Almeno ci sarai tu con me» mormorò Kakaroth, dando voce alle parole troppo sentimentali che Vegeta mai avrebbe pronunciato ma che sì, in qualche modo sentiva gli appartenessero.
Almeno sarebbero rimasti in due.
Almeno avrebbe avuto Kakaroth.



 
Continua...

Riferimenti:
-Il nome del pianeta Takioine è ispirato a Tatooine, celebre pianeta natale di Anakin Skywalker in Star Wars.
-I costumi e le lance delle guardie Dagrabàhne sono ispirate a quelle delle combattenti del Wakanda, dell'MCU.
-Per la città principale di Dagrabàh mi sono ispirata a una delle location presente nel videogioco Uncharted, al momento mi sfugge davvero quale dei quattro.
-Il gioco Sabaq è ispirato ovviamente al Sabacc - gioco d'azzardo presente in Star Wars. Ho preso poca ispirazione da Star Wars, eh?
-La lingua intergalattica standard: in molte fanfiction inglesi viene citato spesso questo "integralactic standard" che sarebbe poi la lingua della Terra, che si differenzia da alcune lingue particolari tipo il namecciano, la lingua Saiyan. Non credo sia una cosa canonica, ma mi piaceva e ho adottato anche io questo sistema di comunicazione.
-Il documento di identificazione interstellare sul palmare non è canonico, ho solo pensato che sia credibile che ce ne sia uno.
-NB: le parti scritte in corsivo sono dei ricordi.


ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno viaggiatori dello spazio!
Che dire... sono stata felicissima di leggere con che entusiasmo avete apprezzato il primo capitolo di questa storia! Spero davvero che anche questo sia stato di vostro gradimento. L'avventura è solo agli inizi, ma già i nostri due Saiyan stanno incontrando non poche difficoltà.
Proprio come il Radish di Teo5Astor, anche questo Radish è un mandrillone di prima categoria che fa fare delle pessime figure al nostro principone xD
Nel finale si è visto un altro breve ricordo di Kakaroth, del suo modo di affrontare il lutto che lo porta a essere un poco OOC rispetto alla sua consueta giovialità. Però volevo ricordare che durante il Torneo del Potere, quando il Genio ha rischiato di morire, abbiamo visto che Goku ha reagito molto male: forse è stata la prima volta che l'abbiamo visto piangere in tutto l'anime... quindi mi è sembrato abbastanza credibile dargli questa caratterizzazione un poco sofferta. Del resto è morto uno dei suoi migliori amici, nel ricordo!
Grazie di nuovo di cuore a tutti per il supporto che mi avete dato in questo nuovo inizio :) Grazie soprattutto a Nemesis01 per l'aiuto con la traduzione e di nuovo a Teo5Astor per aver dato al fandom il suo Radish al quale mi sono ispirata <3
A domenica prossima!
Eevaa
 
  
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