Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ice_chikay    19/04/2021    2 recensioni
MikasaxLevi
A due anni dalla fine della guerra, Mikasa e Levi si ritrovano insieme ad affrontare le cicatrici e le ferite che la guerra ed i giganti hanno lasciato nelle loro vite. Mentre l'inverno è alle porte, il loro rapporto cambia per sempre... In un mondo popolato di memorie di amici caduti, riusciranno a guarire insieme?
Una storia introspettiva sui miei due personaggi preferiti, ideata e in larga parte scritta prima dell'uscita del capitolo 131, quindi ormai in parte off canon.
Contiene spoiler per chi segue solo l'anime.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Ciao! Ecco il capitolo numero 13!
Come vedrete, è un po' diverso dal solito...la narrazione della storia si interrompe un po', riprenderà nel prossimo capitolo...
ma credo che vi piacerà ;) 
Altre note in fondo.


 
XIII




 
«Cosa stai facendo?»
 
La sua voce gli arrivava da dietro le spalle. Mikasa non distolse lo sguardo dal registro che stava continuando a consultare da diverse ore. Lo sapeva seduto sulla branda, dietro di lei, alla sua sinistra. Sentiva il suo sguardo penetrante addosso, sapeva che la stava osservando ormai da un po’, in silenzio.
 
«Tu che cosa dici?» rispose infine senza girarsi. Afferrò il pennino e lo intinse nell’inchiostro, pronta a scrivere qualcosa sul suo foglio di appunti.
 
«Fermati»
 
La sua voce era imperiosa, le stava dando un ordine.
 
Mikasa non si prese la briga di rispondere, anzi posò la punta della penna e iniziò a scrivere.
 
Lo sentì alzarsi, ma tenne lo sguardo incollato sulle pagine davanti a sé. Sentì che le si avvicinava, poggiando le mani sullo schienale della sua sedia.
 
«Ho detto di fermarti» ripeté lui, questa volta abbassando la voce, con le labbra vicine al suo orecchio.
 
Mikasa sollevò un angolo delle labbra, ma continuò a scrivere.
 
«Visto che non prendo più ordini da te, penso che finirò quello che sto facendo»
 
Lo sentì chinarsi lentamente e trattenne il fiato, immaginando cosa sarebbe venuto dopo.
«Che mocciosa seccante…» sussurrò lui, con le labbra accostate al suo collo. Mikasa rabbrividì impercettibilmente, ma non lasciò ancora la penna.
 
Levi le posò un bacio sul collo. Poi un altro, mentre la circondava con le proprie braccia, infilando le mani sotto i due strati di maglioni. Mikasa chiuse gli occhi, cercando di non dargliela ancora vinta.
 
«Ti ho detto…» un altro bacio «…di smettere…» le accarezzò il collo «…di scrivere»
 
Mikasa cercò di scostarlo, mentre sentiva il proprio battito accelerare. «Di questo passo non finiremo mai il lavoro!» provò quindi a protestare.
 
La voce di Levi risuonò, bassa e roca, vicino al suo orecchio:
 
«Non me ne frega un cazzo del lavoro»
 
Mikasa sentì la pelle d’oca risalirle sulle braccia e sulla nuca. Sentì Levi sorridere, perché sapeva che ormai lei si era arresa.
 
«Prova solo a rimproverarmi domani e vedrai…» mormorò quindi, mentre si voltava lentamente verso di lui.
 
Lo vide stringersi nelle spalle, mentre un sorriso sghembo gli attraversava le labbra. Mikasa rimase per un istante senza fiato.
 
«Se saprai soddisfarmi…»
 
Mikasa gli assestò un colpo sulla spalla. Riuscì solo a mormorare «che stronzo…», prima che le labbra di lui raggiungessero le sue.
 
 


 
***
 



Mikasa chiuse gli occhi e sospirò lentamente, mentre l’acqua calda della sorgente termale faceva rallentare lentamente il battito del suo cuore. Stare a mollo nella fonte bollente circondata dalla neve era un piacere che non avrebbe mai saputo descrivere. Non si era mai sentita così rilassata in tutta la sua vita.
 
Riaprì gli occhi, distratta dall’imprecare sotto voce di Levi, che si stava sfilando i vestiti in fretta e furia.
 
«Dannazione, fa un freddo cane!» borbottò lui, mentre lanciava gli abiti nella cesta sul bordo della vasca e compiva i due passi che lo separavano dall’acqua calda.
 
Mikasa ne osservò il corpo nudo. Era ancora un fascio di muscoli, ma era dimagrito rispetto agli anni del Corpo di Ricerca. Le cicatrici lasciate da Zeke – che partivano sul fianco sinistro e scendevano fino a sotto il ginocchio – risaltavano violacee sulla pelle diafana, insieme a una miriade di altri segni che la ragazza non poteva riconoscere altrettanto facilmente. Sapeva che quelle ferite gli avevano lasciato un dolore cronico costante, ma non era ancora riuscita a capire di che tipo di intensità si trattasse.
In corrispondenza dei punti dove per tanti anni avevano scivolato le fibbie di pelle del meccanismo di movimento 3D, la pelle era più lucida, segnata probabilmente in modo indelebile.
 
Levi si immerse trattenendo il fiato. Mikasa chiuse di nuovo gli occhi. Lo sentì avvicinarsi ed infine sedersi accanto a lei, spalla a spalla.
 
Per qualche minuto rimasero in silenzio. Levi posò distrattamente la propria mano sinistra sulla sua coscia, appena sopra al ginocchio, e la carezzò leggermente con il pollice. Mikasa distese gli angoli delle labbra, poi posò la mano su quella di lui.
 
«Come hai trovato questo posto?»
 
Non glielo aveva mai chiesto, le era semplicemente sembrato il luogo perfetto per lui. A pensarci bene, non avevano mai parlato molto di quello che era successo a entrambi dopo la guerra. A grandi linee sapevano cosa l’un l’altro aveva fatto, ma adesso il fatto che fossero stati separati per più di due anni le sembrò inverosimile.
 
«Intendi la fonte termale?»
 
«Intendo tutto questo posto…la radura, il bosco, la fonte…»
 
Levi si strinse nelle spalle: «Cercando»
 
«Per una volta potresti provare a essere meno elusivo?»
 
«Non saprei, sei divertente quando ti innervosisci»
 
Mikasa gli lanciò un’occhiataccia, poi si alzò le sopracciglia con fare superiore e smise di guardarlo: «Va bene nonnetto, tieniti pure i tuoi segreti»
 
Levi sospirò. «Ero qui con i coloni che hanno costruito Ludlow, il paese qui vicino. Ho trovato questa radura per caso…»
 
Mikasa si sistemò meglio, piegando le gambe e passandole sopra la sinistra di lui. Levi le cinse le ginocchia con il braccio sinistro senza smettere di parlare.
 
«Non pensavo di sistemarmi qui. A dire la verità non avevo ancora idea di cosa avrei fatto…una volta finita la missione, intendo. Ma poi ho trovato questa fonte e ho pensato “‘fanculo, voglio restare qui per un po’”» Si concesse un sorrisetto, lanciandole uno sguardo complice.
 
Mikasa annuì: «Non posso che condividere…»
 
Levi la guardò negli occhi: «Era questa la domanda?»
 
Lei aggrottò la fronte, senza capire.
 
«La domanda che mi avresti fatto…se io avessi perso la scommessa, voglio dire»
 
Mikasa scosse il capo. «No, ti avrei chiesto quando è il tuo compleanno»
 
Levi sollevò le sopracciglia. «Tra tutte le domande che avresti potuto scegliere, vuoi sapere quand’è il mio fottuto compleanno?»
 
«Comunque ho perso, per cui puoi anche non dirmelo»
 
«Il venticinque dicembre»
 
Mikasa alzò un sopracciglio. «Il venticinque dicembre è la festa delle Mura»
 
«Accidenti, sei perspicace…»
 
«Il venticinque dicembre di quale anno? Il 650?»
 
«Mi stai chiedendo quanti anni ho?»
 
«Ma no…lo so che oltre una certa età è maleducazione!»
 
Levi sbuffò e le spinse via le gambe. Abbassò lo sguardo e qualcosa nello stomaco di Mikasa si contrasse.
 
«Sono troppo vecchio per te»
 
Le sue parole le scatenarono sentimenti contrastanti: sapeva che lui riteneva vero ciò che aveva appena detto – che per qualche motivo non si sentiva adatto a lei – eppure allo stesso tempo era la prima volta che si avvicinavano a parlare di quello che stava succedendo tra loro e la cosa le fece accelerare impercettibilmente il battito cardiaco.
 
«Probabilmente» disse infine, lasciando che un sorriso ironico le distendesse le labbra. Levi schioccò la lingua, mentre le lanciava un’occhiataccia, ma Mikasa sapeva che era il suo modo di lasciar perdere il filo accidentato dei suoi pensieri.
 
Rimasero in silenzio di nuovo e la ragazza gli si riaccostò. Levi le passò il braccio dietro la schiena e lei appoggiò la testa sulla sua spalla, mentre i vapori dell’acqua calda li avvolgevano.
 
«Bene, direi che è il mio turno» disse lui, dopo essersi schiarito la voce.
 
Mikasa si voltò di scatto, mentre sul volto si formava un’espressione incredula: «Vuoi chiedermi quand’è il mio compleanno?»
 
«Non essere ridicola, mocciosa, so benissimo quand’è il tuo compleanno»
 
La ragazza spalancò gli occhi, completamente stupita. Poteva giurare di aver visto lo sguardo del capitano raddolcirsi per un istante davanti a quella sua inaspettata reazione infantile.
 
«Sono stato il tuo superiore per anni, ricordi? Ho letto il tuo fascicolo» spiegò lui con tono seccato. Mikasa sospirò appoggiandosi di nuovo alla sua spalla, in un certo senso delusa, ma senza capirne fino in fondo il motivo.
 
 
«Perché non sei rimasta a Hizuru?»
 
Mikasa rimase in silenzio, soppesando le sue parole. Era una domanda che si era posta tante volte, quando era stata lì in viaggio dopo la guerra, con Hanji e Connie. Kiyomi le aveva chiesto ufficialmente di trasferirsi lì, in quanto discendente del clan Shogun. Levi prese ad accarezzarle lievemente il fianco su cui si posava la sua mano, lasciandole il tempo per riordinare i suoi pensieri.
 
«Non era il mio posto» mormorò infine.
 
Sentì Levi fare un respiro profondo, ma rimanere in silenzio, per lasciarle il tempo di continuare a elaborare.
 
«Kiyomi mi ha offerto una vita da ambasciatrice, ricchezze…forse per qualcun altro potrebbe sembrare un sogno, ma semplicemente… non è ciò che sono»
 
Si azzittì d’improvviso, sperando con tutto il cuore che Levi non le chiedesse allora chi fosse, perché si accorse di non averne idea. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, adesso giunte in grembo. Lentamente avvicinò le ginocchia al petto e le cinse con le proprie braccia.
 
Levi restò in silenzio per qualche istante, continuando ad accarezzarla lentamente. Poi si voltò e le posò un leggero bacio sulla fronte.
 
«Per ora resta qui» sussurrò poi.
 
A Mikasa sembrò che tutto il tumulto dei suoi pensieri si placasse in un istante.
 



 
***




 
«Levi»
 
«Levi, svegliati!»
 
Lo scosse con forza. Lui le dava le spalle, steso sul fianco sinistro, e stringeva il bordo del letto con così tanta forza che le sue nocche erano completamente bianche. Aveva la fronte imperlata di sudore e alla ragazza sembrava di sentirlo tendere tutti i muscoli del suo corpo. Ne osservò la fronte corrugata e l’espressione sofferente, mentre un mormorio di dolore gli sfuggiva dalle labbra socchiuse.
 
«Svegliati!»
 
Lui spalancò gli occhi all’improvviso, quando lei lo tirò per farlo stendere a pancia in su. Prese aria con foga, quasi boccheggiando, mentre spostava lo sguardo attorno a sé cercando di mettere a fuoco dove si trovasse. Mikasa allontanò di scatto le proprie mani, d’improvviso incerta su come agire. Lesse nei suoi occhi dolore e sgomento. Levi ansimò ancora, poi finalmente la riconobbe e un po’ della paura scomparve dal suo sguardo.
 
Lo sentì espirare e vide il pomo d’Adamo muoversi sulla sua gola. Gli accarezzò una spalla, poi posò la mano sul suo petto, dove sentì il ritmo imbizzarrito del suo cuore.
 
«Va tutto bene, era solo un incubo…» sussurrò dolcemente, cercando di calmarlo.
Levi la scostò malamente e si mise a sedere sul bordo del letto, dandole le spalle. A Mikasa non sfuggì il fatto che stesse tremando. Lo vide passarsi una mano sul viso e poi tra i capelli, prima di incassare il capo tra le spalle, guardando per terra.
 
«Non era un incubo, era un ricordo»
 
Parlò lentamente, senza voltarsi a guardarla. Lei gli si fece più vicina, osservando la camicia inumidita dal sudore che si tendeva sulla sua schiena incurvata.
 
Gli si accoccolò accanto, carezzandogli lentamente le spalle. Levi non fece niente per allontanarla, ma rimase con lo sguardo basso, mentre stringeva i pugni per impedire alle sue mani di continuare a tremare. Espirò lentamente, con esitazione. Mikasa sapeva benissimo che stava ancora cercando di scacciare le immagini che aveva visto in sogno dalla sua testa.
 
«Sono qui, se vuoi parlarne»
 
Levi si voltò verso di lei, senza il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare il suo. Un brivido gli percorse la schiena, vibrando sotto il palmo che Mikasa aveva lasciato tra le sue scapole.
 
«Non voglio parlarne…» mormorò infine e dopo un istante aggiunse – con la voce ancora più bassa - «Vorrei solo riuscire a non pensare»
 
Finalmente sollevò lo sguardo verso i suoi occhi e Mikasa sentì che il cuore le saltava un battito. Nella sua espressione lesse una supplica, un bisogno, che le fece stringere le viscere. Sollevò la mano destra per spostare la ciocca di capelli che gli era ricaduta disordinatamente sulla fronte e poi proseguì carezzandogli la guancia ed il collo, prima di posarsi sulla sua clavicola.
 
Si sporse in avanti. «Bene allora…» mormorò, quasi sfiorando le labbra di lui con le proprie.
 
Levi allora si mosse di scatto, afferrandole il viso tra le mani e avventandosi addosso a lei con un’irruenza che Mikasa riconobbe immediatamente come disperazione.
 
Si ritrovò distesa sul letto di schiena, con il peso di lui che la teneva ferma, mentre le sue labbra si muovevano ansiose sulla sua bocca, sul suo collo.
 
Una scarica di adrenalina le attraversò il corpo, mentre sentiva le sue mani che le accarezzavano le gambe, sollevandole la camicia da notte.
 
«Sei bellissima…» mormorò lui, quasi sovrappensiero. Il cuore di Mikasa spiccò il volo: non le aveva mai detto niente del genere prima di allora. L’emozione venne sostituita in un istante dal desiderio, non appena lui ricominciò a baciarle il collo.
 
Senza esitare, lo strinse tra le braccia capovolgendo la situazione, fino a ritrovarsi seduta sopra di lui.
 
Gli afferrò i polsi, bloccandoli ai lati della sua testa. Levi ansimò, in attesa, con le guance più colorate del solito. Poi si morse il labbro inferiore.
 
Mikasa si prese un altro attimo di tempo per rimanere a guardarlo, cercando di imprimersi nella memoria quel momento. Poi si chinò verso di lui, lentamente.
 
«Adesso ti farò scordare tutto»




 
***
 



 
Mikasa sospirò lentamente, alzando lo sguardo dal libro che stava leggendo per spostarlo verso la finestra della cucina, quella che dava verso il sentiero nel bosco.
L’orologio sopra il camino ticchettò per il cambio dell’ora.
Quella mattina si era svegliata più tardi del solito, da sola per la prima volta dopo diversi giorni.
L’assenza del cavallo del capitano e una serie di impronte sulla neve fresca verso il paese le avevano dato abbastanza informazioni per immaginare dove Levi si trovasse.
 
La mattinata era trascorsa lentamente ed ora la ragazza aspettava inquieta che lui tornasse, mentre sentiva il proprio stomaco che cominciava a brontolare. Sbuffò innervosita e si alzò per mettere un altro paio di ciocchi di legna nel camino.
 
Riprese a leggere, sicura di non riuscire a concentrarsi a sufficienza.
 
E invece dopo quello che le sembrò un istante – ma che doveva essere almeno una buona mezz’ora – sentì la porta della stalla che si chiudeva e poi i passi di lui sulle scale del portico.
 
La porta si spalancò, lasciando entrare Levi, completamente bardato contro il freddo invernale. Il capitano le lanciò uno sguardo e un cenno col capo, prima di accingersi a togliere il giaccone e gli stivali sporchi e innevati, facendo attenzione a non bagnare il pavimento immacolato più del necessario.
 
«Ehi» lo salutò lei, mentre lo osservava appendere il giaccone e la sciarpa sull’attaccapanni accanto alla porta. «Dove sei stato?»
 
Lui prese un piccolo involucro dalla tasca del giaccone e glielo lanciò tra le mani. Nonostante fosse distratta, i suoi riflessi non la tradirono e la ragazza riuscì a prenderlo al volo.
 
«In paese» rispose infine lui. Poi accennò col mento al pacchetto che ora lei teneva in grembo. «Quello è per te»
 
Mikasa sollevò le sopracciglia interdetta, osservando il pacchetto prima di spostare il suo sguardo stupito di nuovo verso di lui.
 
«Mi hai fatto un regalo?!» esclamò incredula, prima di sogghignare. «Che galantuomo…»
 
Levi la fulminò con lo sguardo, prima di voltarsi un po’ troppo velocemente per raggiungere il tavolo, dove poggiò la bisaccia stracolma che aveva con sé.
 
«Non essere ridicola» borbottò mentre svuotava la borsa «Ti ho solo preso una cosa che ti serviva»
 
Mikasa sorrise tra sé, riportando l’attenzione sull’involucro tra le sue mani. Si sentiva stranamente emozionata mentre scioglieva il nodo di spago che teneva insieme il pacchetto. Procedette con cautela, per paura di rompere qualsiasi cosa vi fosse all’interno.
 
Lanciò un’occhiata a Levi prima di proseguire. Lui la stava osservando, ma corrugò la fronte non appena si vide scoperto e distolse nuovamente lo sguardo.
 
Il pacchetto conteneva alcuni rocchetti di fili colorati, un ditale, alcuni aghi da cucito.
 
«Parlavi sempre dei ricami che facevi da ragazzina…» borbottò lui a mo’ di giustificazione, aggrottando ancora di più le sopracciglia quando si accorse di essere arrossito.
 
Sul viso di Mikasa si spalancò un sorriso così luminoso che Levi per un attimo temette di restarne abbagliato. La vide accarezzare i rocchetti con la punta delle dita, con quello stesso sorriso smagliante sempre stampato sul volto.
 
Mikasa si voltò verso di lui, osservandolo con dolcezza. Si sentiva felice, completamente felice. Si accorse di non sentirsi in colpa per questo. Sentì il proprio cuore battere veloce. Era un miracolo. Cercò di riprendere il controllo di sé, cercando di non far trasparire tutta l’emozione che quel semplice gesto le aveva provocato, non voleva metterlo a disagio più di quanto già non fosse.
 
«Levi, grazie»
 
Lui per tutta risposta si voltò dandole le spalle e iniziando ad armeggiare sul piano della cucina.
 
«Sono solo degli stupidi fili, non farne tutta questa grande storia» protestò a bassa voce.
 



 
***
 



 
«Non smettere»
 
«Di fare cosa? Di accarezzarti i capelli?»
 
Mikasa era seduta sulla branda e stava leggendo un vecchio libro di poesie che aveva trovato in fondo all’armadio. Levi era avvoltolato in una coperta di lana che aveva visto giorni migliori e sonnecchiava accanto a lei, con la testa appoggiata sulla sua coscia destra.
 
Si era preso un grosso raffreddore da quando, due sere prima, avevano dovuto liberare il tetto dalla troppa neve. Da allora non aveva fatto altro che tossire, starnutire, soffiare il naso e lamentarsi, finché qualche ora prima – vinto da qualche linea di febbre – si era steso accanto a lei.
 
Mikasa abbassò lo sguardo su di lui, sorridendo impercettibilmente prima di spostare la mano destra dalla sua nuca alla fronte, per controllarne la temperatura. Levi teneva gli occhi chiusi, con la coperta che lo avvolgeva fino a sotto il naso, lasciando intravedere le guance arrossate.
Senza aspettare che lui lo chiedesse di nuovo, riprese ad accarezzargli la nuca rasata. Levi sospirò.
 
«Mia madre lo faceva spesso»
 
La sua voce era appena un mormorio, ma lei lo sentì come se avesse gridato. Colta di sorpresa dalle sue parole, distolse l’attenzione dal libro.
 
«Come si chiamava tua madre?» osò chiedere un attimo dopo, posando il retro della mano sulla guancia destra di lui, appena sotto l’occhio, per rinfrescarlo.
 
«Kuchel»
 
Mikasa non disse niente. Riprese ad accarezzargli la testa, ma chiuse il libro e lo posò alla sua sinistra. Alzò lo sguardo verso il camino, dove un paio di grossi ciocchi di legna scoppiettavano quietamente.
Non sapeva nulla della sua famiglia, fino a pochi istanti prima non gliene aveva mai neppure accennato. Ipotizzò che dovesse essere vissuta nella Città Sotterranea, ma neanche di quello poteva essere certa.
 
«Doveva volerti molto bene…» bisbigliò, sperando di non star commettendo un errore.
 
Levi sospirò, sempre senza aprire gli occhi. «Sì, è così…»
 
Mikasa si fece di nuovo silenziosa. Voleva chiedergli altro, ma sapeva di star camminando su una china molto ripida e non voleva interrompere quello strano momento di confidenze. Decise che l’unico modo per farlo aprire, fosse di condividere qualcosa anche lei:
 
«Anche la mia. E Carla Jaeger. Erano due donne amorevoli. A volte…mi mancano ancora, dopo tutti questi anni»
 
«Quale delle due ti ha insegnato a ricamare?»
 
La sua domanda la soprese. Lanciò uno sguardo distratto verso la tovaglia nuova di zecca che ricopriva il tavolo. Mikasa ci aveva ricamato un motivo floreale lungo tutti i bordi. L’aveva terminata proprio due giorni prima.
 
«Mia madre. Era bravissima»
 
«E ti somigliava?»
 
La ragazza rifletté per qualche istante, aggrottando appena le sopracciglia nel tentativo di ricordare meglio.
 
«Direi di sì. Di certo non somigliavo molto a mio padre…era biondo!» esclamò poi, lasciandosi sfuggire una risata appena accennata.
 
«Davvero?!» esclamò lui aprendo gli occhi per un istante, prima di venire scosso da qualche colpo di tosse. Mikasa istintivamente iniziò ad accarezzargli energicamente la schiena, per riscaldarlo ancora di più.  
 
Levi si mosse per accoccolarsi meglio nella coperta. Chiuse di nuovo gli occhi.
 
«Credevo che tutti gli Ackermann fossero bruni come noi…» borbottò poi, con una punta di risentimento nella voce, che la fece sorridere.
 
«Sarebbe improbabile, non trovi?» propose, cercando di non soffermarsi su come l’avesse fatta sentire l’ascoltarlo pronunciare la parola “noi”.
 
«Anche che ci siano persone con forza e abilità straordinarie e capaci di non avere il cervello fottuto dai cavolo di giganti, eppure eccoci qua…» protestò Levi, con la voce roca.
 
«Non hai tutti i torti…»
 
«E tu ancora che te ne stupisci…»
 
Mikasa riprese a grattargli la nuca delicatamente. Levi si lasciò sfuggire un mugolio soddisfatto dalle labbra nascoste nella coperta. Alla ragazza venne in mente un vecchio gatto randagio e diffidente con cui aveva fatto amicizia a Shiganshina, dal quale alla fine era riuscita ad ottenere pure delle fusa. Sorrise tra sé pensando a quella evidente somiglianza.

«E Kenny?»
 
Lo sentì irrigidirsi alla sua domanda. Lo vide aprire gli occhi ed immaginò che stesse guardando verso il camino, anche se non poteva esserne certa perché poteva osservare solo il profilo destro, con l’occhio sfregiato.
 
«Kenny cosa?»
 
Il suo tono era secco, all’erta. Durante il periodo in cui avevano dovuto affrontarlo – quando Historia ed Eren erano stati rapiti dalla famiglia Reiss – il suo legame con Kenny Ackermann era sembrato evidente a tutti, ma tutto ciò che il capitano aveva condiviso con la squadra era stato il metterli in guardia, spiegando che avrebbero combattuto con qualcuno che condivideva le sue stesse abilità. Mikasa, come molti altri, si era domandata se Kenny fosse suo padre ma – come tutti gli altri – non aveva mai osato chiedere nulla, nonostante la curiosità derivante dalla scoperta di condividere il loro clan.
 
«Era tuo…»
 
Levi la interruppe: «No».
 
Lo sentì muoversi irrequieto, innervosito, per mettersi di nuovo più comodo. Lei rimase in silenzio. Infine, lui sospirò di nuovo e chiuse di nuovo gli occhi.
 
Proprio quando Mikasa pensò che l’argomento fosse definitivamente chiuso, Levi parlò di nuovo:
 
«Era il fratello di mia madre»
 
La curiosità le ardeva dentro, sempre più forte, ma la ragazza sapeva bene che con delle domande dirette non sarebbe arrivata da nessuna parte. Si sentiva come se stesse approcciando ad un animale selvatico da addomesticare: doveva procedere con cautela, dimostrando di non essere una minaccia. Si chiese d’improvviso se Hanji o Erwin Smith sapessero ciò che lei aveva appena scoperto o se fosse la prima a cui lui ne parlasse.
 
«Oh…» si lasciò sfuggire dalle labbra.
 
«L’ho scoperto solo quando l’ho visto l’ultima volta… non me l’aveva mai detto»
 
Una punta di rimpianto gli accese la voce. Mikasa si chiese quale fosse stato il rapporto tra i due. Lo sentì espirare lentamente. Riprese ad accarezzargli i capelli. Mille altre domande le affollavano la mente. Vorrei sapere tutto di te…
 
 
 
«Mikasa?»
 
«M-hm?»
 
Levi si voltò lentamente per incrociare il suo sguardo. La vide sorridergli incoraggiante. Tirò fuori dalla coperta la mano sinistra e le prese la sua destra, prima di risistemarsi di nuovo di lato, infilando anche la mano di lei dentro l’involto di coperte. Mikasa sentì il battito accelerarle quietamente. Si sorprendeva sempre quando lui agiva così spontaneamente. Non avevano mai parlato di quello che stava succedendo tra loro e a volte la naturalezza con cui lui agiva la sconcertava. Sentiva dentro di sé un calore costante, che cresceva quieto, come quello delle braci di un camino. Niente e nessuno in tutta la sua vita l’aveva fatta sentire così. Strinse la presa sulle dita di lui, mentre aspettava che riprendesse a parlare.
 
«Raccontami di dove sei cresciuta…» chiese lui, quasi sussurrando. La ragazza si chiese se si stesse lentamente addormentando.
 
«Va bene, Capitano»
 
«Ti ho già detto mille volte di non chiamarmi così…»
 
«Non mi sembrava ti dispiacesse così tanto, l’altra sera a letto…»
 
«Tsk»
 
La ragazza ridacchiò appena tra sé, prima di parlare ancora:
 
«Era una baita in un bosco. Proprio come questa. C’erano tantissimi alberi…e un bellissimo giardino di fiori…»
 
«Sembra bello…»
 
Mikasa sorrise, prendendo a carezzargli il dorso della mano col pollice. Stava per riprendere, ma lui la precedette:
 
«Potresti piantare dei fiori anche qui…»
 
Non sapeva spiegarsi il perché, ma sentì il formarsi delle lacrime. Se le asciugò velocemente, sperando che lui non se ne accorgesse.
 
Una casa. Levi le stava dando una casa.
 



 
***
 



 
«Che accidenti è quella roba?»
 
Mikasa avvampò fino all’attaccatura dei capelli.
 

 
 
Era tutto il pomeriggio che Levi tirava a lucido la casa come un forsennato. Per sfuggire alle sue grinfie, la ragazza si era rintanata in camera da letto non appena lui aveva finito di sistemarla e per impiegare il tempo, stava risistemando i vestiti e le coperte nell’armadio.
 
Da un sacchetto dimenticato sotto una pila di maglioni grigi e marroni, era risbucata la sottoveste di seta rosa che la sarta di Ludlow le aveva regalato, mesi prima. Mikasa se ne era completamente dimenticata e comunque anche ricordandosela il gelo e la neve che avvolgevano la baita non le avrebbero certo suggerito di usarla.
 
Tuttavia, incuriosita dal ritrovamento, aveva deciso di concederle un tentativo e di provarsela indosso. Superando la pelle d’oca che le ricoprì gambe e braccia non appena si sfilò dai suoi vestiti caldi, si lasciò scivolare l’indumento da sopra la testa.
 
La seta era così morbida che sembrava un velo d’acqua, ed il colore rosa si sposava perfettamente con la sua pelle candida. La sarta in effetti sapeva il fatto suo.
 
Era ancora intenta ad accarezzare la stoffa liscia e perlacea che la avvolgeva, quando Levi spalancò la porta, alla ricerca di uno scopettino che aveva lasciato su uno dei ciocchi che fungevano da comodini accanto al letto.
 
Non appena la vide con quella sottoveste addosso, il suo sguardo impassibile si trasformò. Aggrotto le sopracciglia e Mikasa fu certa di capire come si dovesse sentire una preda davanti allo sguardo implacabile di un falco che scendeva in picchiata.
 


«Questa?» balbettò, distogliendo lo sguardo dal suo volto e portandolo sulle proprie mani, ancora ferme all’altezza dei suoi fianchi.
 
Non si accorse neppure che lui si fosse mosso, ma l’istante dopo si ritrovò incollata con le spalle al muro, il corpo di Levi premuto contro il suo, i suoi gomiti appoggiati ai lati della sua faccia. Un brivido di eccitazione la percorse come una miccia accesa.
 
«Cazzo, Ackermann…» sussurrò lui a mezzo centimetro dalle sue labbra, con quella sua voce roca che le accese un immediato calore nel basso ventre «…vuoi farmi impazzire?»
 
Mentre il suo braccio sinistro rimase piegato sul muro accanto alla sua testa, con la mano destra cominciò ad accarezzarle il fianco, la gamba, poi risalì sul suo ventre piatto, fino a raggiungerle il seno. Mikasa si lasciò sfuggire un gemito leggero dalle labbra.
 
«Forse…» rispose poi cercando di suonare ammiccante, ma lui aveva cominciato a baciarle il collo, poi la clavicola e le sembrava che il suo cervello si stesse scollegando dalla sua capacità di emettere frasi di senso compiuto.
 
«Da dove salta fuori questa roba?» chiese lui, sogghignandole addosso, mentre spostava anche l’altro braccio per stringerla, pronto a sollevarla contro la parete.
 
«Un regalo…» sospirò lei, sperando ardentemente che lui la smettesse una buona volta di parlare.
 
Invece la sua risposta lo fece bloccare all’istante. Si allontanò da lei quel tanto che bastava per fissarla di nuovo negli occhi, questa volta con un’espressione dura, minacciosa.
 
«Un regalo di chi?»
 
Lei per un attimo non capì la sua reazione, poi la realizzazione le illuminò il volto di un sorriso selvaggio, quasi vittorioso. Il capitano era geloso.
 
Fu tentata di provocarlo ancora, ma poi le sembrò una perdita di tempo inaccettabile. Allungò la mano e gli strinse il bavero del maglione, tirandolo a sé per baciargli le labbra violentemente. Levi la lasciò fare, ma rimase in attesa della risposta.
 
«Della sarta di Ludlow…» mormorò quindi lei, iniziando a posare dei baci languidi, aperti, sulla sua gola «…credeva che avresti apprezzato…»
 
«Ricordami di…» provò a rispondere lui, interrompendosi l’istante dopo per lasciarsi sfuggire un suono a metà tra un gemito e un sospiro quando lei raggiunge il punto specifico sotto la sua mascella sinistra «…ringraziarla quando la incontro»
 
«Che ne dici di…» riprese lei, trasalendo quando lui le strinse una coscia con forza, portandosela sul bacino «smettere di parlare e di scoparmi, Capitano?»
 
Si guardarono per una frazione di secondo. Lui aveva gli occhi lucidi e il tono della voce di lei, così autoritario e volgare gli accese un brillio nello sguardo che le fece attorcigliare lo stomaco. Non poteva resistere un secondo di più. Lo tirò di nuovo verso di lei per baciarlo, mentre lui la sollevava, spingendola di nuovo verso il muro.
 
«Ai tuoi ordini»
 



 
***
 




«Si può sapere che hai da fissarmi?»
 
«Non ti sto fissando, ti sto guardando. È diverso»
 
«Se lo dici tu…» borbottò Levi prima di riprendere il suo lavoro.
 
Era nel piccolo gabinetto della casa, davanti al lavabo di porcellana sul quale era appeso un piccolo specchio rettangolare senza cornice. Era a torso nudo e si stava rasando la nuca e sistemando le ciocche di capelli.
 
«Vuoi una mano?»
 
«Ti sembra che abbia bisogno di una mano?»
 
«Non lo so, a me non manca nessun dito…»
 
Levi schioccò la lingua senza risponderle.
 
«Perché sei qui comunque? Non hai del lavoro da fare?» riprese lui senza guardarla, curvandosi ancora di più per avvicinarsi allo specchio. Mikasa seguì il movimento delle vertebre che si palesavano premendosi contro la pelle bianca della sua schiena. Come al solito provò l’impulso di allungare la mano e toccarlo, ma invece rimase con le spalle al muro ed incrociò le braccia.
 
«Ti ho preparato una cosa da assaggiare, sbrigati a finire qui» Detto questo, si voltò e si allontanò verso la cucina.
 
 
Levi la raggiunse pochi minuti dopo, rivestito di tutto punto. Storse il naso non appena entrò nella stanza.
 
«Cos’è questo odore
 
«Si chiama “caffè”. È una specie di tè forte. A Marley lo bevono tutti.» spiegò lei, posando davanti a sé due tazze piene a metà di un liquido scuro e denso. Levi la guardò diffidente.
 
«E cos’avrebbe che non vada il tè, tutto d’un tratto?»
 
Mikasa sbuffò, sbattendo con troppa forza la zuccheriera sul tavolo, prima di sedersi. «Il tè non ha niente che non vada. Era per farti assaggiare una cosa diversa»
 
«Hmpf» Il capitano si sedette con calma e prese a roteare la tazza, ignorando come al solito il manico.
 
La ragazza aggiunse una cucchiaiata di zucchero nella propria tazza e poi prese il primo sorso.
 
«A me piace» annunciò alzando le sopracciglia, con tono di sfida.
 
Levi sospirò, con un’espressione platealmente rassegnata, come se stesse cedendo solo ed esclusivamente per accontentarla. Poi prese un sorso anche lui.
 
Il suo viso si contrasse immediatamente in un’espressione schifata. Mikasa, pur innervosita, non riuscì a evitare di scoppiare a ridere.
 
«Ma è amarissimo!» sbottò lui, lanciandole uno sguardo quasi offeso.
 
«Te l’avevo detto che è forte!»
 
«Puah…e questa schifezza a Marley la preferiscono al tè? Non mi stupisce che siano dei selvaggi» continuò, allontanando subito la tazza sul tavolo.
 
Mikasa continuò a ridacchiare. Levi poggiò il gomito sul tavolo ed il mento sulla propria mano.
 
«E sentiamo, cosa avresti pensato di fare per farti perdonare questo tentativo di avvelenamento?»
 
«Farmi perdonare? Sei tu che devi ringraziarmi… per fortuna che ci sono io ad aprirti a nuove esperienze»
 
Si pentì immediatamente della propria scelta di parole, perché lo sguardo di Levi assunse subito una connotazione maliziosa.
 
«E a quali altre nuove esperienze vorresti aprirmi?»
 
Mikasa sospirò con aria drammatica «Ah se solo l’avessero saputo, tutti quei soldati che ti veneravano: il Capitano Levi Ackermann della Squadra Operazioni Speciali è un pervertito»
 
Levi sorrise, prima di alzarsi per andare a lavare le due tazze.
 
«Ero una persona rispettabile, prima che arrivassi tu»


 

Eccoci qua! 
Spero vi siate divertiti a leggere queste sorte di one-shot che vi raccontano un po' della vita di Levi e Mikasa dopo la notte nell'affumicatoio. 


Tra l'altro credo che - finita la storia - scriverò una one-shot tipo spin off approfondendo la storia di Levi malaticcio e Mikasa che lo accudisce...ho dovuto resistere tantissimo per impedirmi di allungarla troppo, era quasi irresistibile (ma sarebbe stata troppo sproporzionata rispetto agli altri episodi). 

Non temete, dal prossimo capitolo la storia tornerà a seguire un ritmo più canonico, ma è stato divertente per me "staccare" un po'!

Ultima cosa: Ho scritto "a Hizuru" e "a Marley" anche se immagino sia più corretto dire "In Hizuru" e "In Marley" essendo dei paesi e non delle città, però mi suonava malissimo! 

Fatemi sapere come al solito cosa ne pensiate!


Chikay :) 
 
   
 
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