Libri > Eragon
Segui la storia  |       
Autore: PrincessintheNorth    30/04/2021    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
KATHERINE
 
Se ci fosse stata una competizione per premiare la migliore madre dell’anno, ero sicura che sarei finita ultima in classifica. Insomma, in un anno avevo collezionato una sfilza di insuccessi clamorosa; Belle era quasi morta di polmonite, mi ero persa mesi e mesi di vita di tutti i miei figli, ne avevo fatta nascere una in condizioni più che precarie e, dulcis in fundo, avevo terrorizzato a morte Killian perché non ero in grado di gestire un minimo di sconvolgimento. Ah, e ovviamente c’era voluto l’intervento di entrambi i miei genitori, re e regina, perché riuscissi almeno a smettere di frignare come se fossi una dannata bambina col pannolino.
Nemmeno Vicky sarebbe stata così infantile, sibilai, disgustata da me stessa e dal mio comportamento ... o mancanza di controllo su di esso. E lei ha tutti i diritti di essere infantile.  
«Kate?» mia madre mi chiamò, accarezzandomi la guancia. Fu in quel momento che mi resi conto di essere ancora fra le sue braccia, e sebbene quell’abbraccio mi facesse sentire tremendamente bene, come se fosse l’unica cosa che mi stava impedendo di rompermi in mille pezzi, me ne svincolai.
«Sto bene» risposi, sforzandomi di mantenere un tono di voce il più calmo possibile. «Non era niente».
Niente?, Antares sibilò oltraggiata. Come puoi dire che quello non era niente?
Proprio così. Non era niente. Visto?, sbuffai.
Non ti permetterò di sminuire quello che hai passato un’altra volta!, ruggì. Non ti permetterò di annegare in questo dolore!
Antares, non ho alcuna intenzione di dire in giro che rivedere Killian mi ha fatto venire in mente … mi fermai, colpita da un’ondata di nausea mentre, per un secondo, la confortevole camera in cui ero venuta al mondo si trasformava in quella dove ogni mia dignità era venuta meno. Le mie orecchie si riempirono della risatina malevola e perfida che Galbatorix faceva mentre mi torturava …
«Kate!»
Il grido di papà mi riportò immediatamente alla realtà, e fu a quel punto che mi resi conto che Antares aveva ragione; non potevo fingere di non avere niente. Per qualche motivo, i traumi della mia prigionia non mi avevano toccata mentre ero in quella sorta di aldilà con Murtagh; persino mentre ero con Vicky, prima, non avevo avuto altri pensieri all’infuori di lei, e delle cicatrici scomparse. Ora, però, tutti gli orrori che avevo subito in quella stanza e al di fuori di essa si dispiegavano di fronte a me, ridendo di quanto fossi stata debole, consapevoli del fatto che non potevo far nulla per mandarli via.
Quando la mamma mi abbracciò di nuovo, non la mandai via.
Passò un’altra buona mezz’ora prima che potessi dire con assoluta certezza di sentirmi meglio. Almeno non piangevo più come una fontana e respiravo in maniera più o meno normale. La colazione arrivò proprio in quel momento, e l’accolsi con tutti gli onori. Mi serviva qualcosa su cui concentrarmi che non fossero i miei ricordi orribili o gli sguardi tristi dei miei genitori.
Pensa al bacon, Katherine, feci, sgranocchiandone una fetta prima di rendermi conto di quanto idiota sarei sembrata se avessi detto quelle parole ad alta voce.
«Te la senti di parlare un attimo di quello che è successo?» la mamma mi chiese con un sorriso gentile.
«Sappiamo di ciò che il re ti ha fatto» papà aggiunse. «Le torture fisiche, mentali e tutto il resto. Quindi non pensare di doverti nascondere o mostrare forte. Siamo i tuoi genitori – sappiamo cosa c’è nel tuo cuore, sempre».
Quella frase l’avevo sentita tante volte durante la mia crescita, ma solo ora che avevo anche io dei figli la capivo davvero. Un genitore, istintivamente, sapeva che cos’aveva il proprio figlio, e lo provava centuplicato in potenza; la felicità del figlio era l’euforia del genitore, e la tristezza l’angoscia.
Tuttavia, non riuscivo a dargli una risposta. Ce l’avevo, ovviamente – solo che mi rimaneva strozzata in gola.
«Non è necessario che tu lo faccia ora, tranquilla» proseguì papà. «Anzi … penso che ciò di cui tu abbia bisogno ora sia una distrazione».
Un sorrisetto gli incurvò le labbra, e sospirai. Stava avendo una delle sue idee.
«Non ho tempo di distrarmi» brontolai. «Ho quattro bambini e si dà il caso che debba …»
«Ciò che devi fare lo decidiamo noi» la mamma ridacchiò posandomi un bacio sui capelli. «E poi non sei nelle condizioni di gestire i piccoli, ora. Non è forse meglio aspettare qualche ora ed incontrarli quando non avrai altri pensieri per la testa?»
Io odiavo quando avevano ragione, ma soprattutto odiavo quando la cosa su cui avevano ragione mi impediva di fare qualcosa che volevo fare, come rivedere i bambini. Sì, avevo accidentalmente terrorizzato Killian, ma ciò non voleva dire che non fossi stata immensamente felice di riaverlo fra le braccia!
Eppure, sapevo che aspettare era la scelta giusta; non sarebbe stato corretto, negli stessi confronti dei piccoli, incontrarli con la mente ancora così turbata. Meritavano una mamma presente e che pensasse esclusivamente a loro.
«D’accordo» sbuffai.
 
 
La grande idea dei miei genitori era stata quella di spedirmi a caccia con Alec. Non sapevo perché avessero scelto quella particolare attività; quando andavamo a caccia insieme la competizione (benché impari, visto che lui era considerato il miglior cacciatore del Nord) era sempre altissima, e tornavamo sempre a casa discutendo su chi avesse preso il maggior numero di prede (ovvero Alec).
Diedi un po’ di gambe alla giumenta che stavo montando e lei saltò agilmente un albero caduto, correndo nella scia dello stallone di mio fratello, che ovviamente era di un bel pezzo avanti a me. Da quando ero finita ad Uru’Baen non avevo avuto occasione di cavalcare, ragion per cui ritornare in sella era stato più difficoltoso del previsto; per fortuna, però, stavo recuperando la mia vecchia abilità abbastanza velocemente.
«Se non ti muovi farò l’aceto!» Alec urlò, e sbuffai. Dopo ventotto anni di vita condotta più o meno placidamente aveva deciso proprio quel giorno di fare l’impaziente?
Incredibile.
Antares, fammi un favore – vienimi a prendere, brontolai. Questo principino ha bisogno di una lezione.
Mmmh … no, non mi va, lei fece.
Come, non ti va?, feci sconvolta. Potevo percepire distintamente quanto volesse tornare a volare insieme a me; cosa la frenava?
Penso sia meglio per te restare un po’ con la tua famiglia, lei rispose. Con altri esseri umani, intendo … e poi ora ho da fare. Voleremo dopo, che ne dici?
Va bene, sbuffai. Quando vuole lei, signora.
“Signora” è un appellativo umano e dunque profondamente inadatto ad un drago, lei saltò su.
Fidati, ti calza a pennello.  
Spronai la mia cavalla al massimo e raggiunsi Alec in pochi minuti, non certo perché la mia monta fosse più veloce della sua; si era semplicemente fermato, come suo solito, a raccogliere i frutti di bosco, di cui era tremendamente goloso.
«Vuoi fare un’indigestione come l’altra volta?» ridacchiai dall’alto della mia sella. Era strano guardare uomini alti come Alec e Murtagh da una prospettiva diversa dal solito.
«Ti ricordo, mia cara» lui fece lanciandosi una mora in bocca. «Che quella volta siamo stati male in due».
Alzai lo sguardo verso il cielo e controllai la posizione del sole; dovevano essere circa le undici. Sospirando, smontai da cavallo ed iniziai ad aiutarlo a raccogliere le bacche, mangiandone qualcuna nel frattempo.
Sorprendentemente, quell’uscita stava davvero ottenendo i risultati sperati; a poco a poco, la natura che mi circondava e la familiarità di quella situazione mi stavano riportando alla tranquillità. Mi resi conto che concentrarmi sulle cose belle aiutava parecchio: forse non avrebbe guarito del tutto le mie ferite (ci sarebbe voluto un po’ di tempo per quelle) ma di certo mi stava aiutando.
«Ah, devo dirti una cosa» Alec aggiunse, tra una bacca e l’altra. Ormai avevamo entrambi la bocca sporca di succo. «Per tua immensa gioia, non diventerai regina del Nord».
«Mi sembra ovvio che non lo diventerò» brontolai. «Per tutte le cose che ho fatto come minimo mi decapiteranno. Non l’hai ancora capito che la mamma e il papà ci hanno spedito qui per permetterti di goderti gli ultimi giorni con la tua sorella preferita?»
Alec alzò gli occhi al cielo. «Fino a prova contraria è April la mia sorella preferita …»
«EHI!»
«… e poi, non verrai decapitata. Sei la principessa del Tridente, la seconda donna più ricca del Nord, la Regina dei Pirati … papà ha già provveduto a tutto» fece scrollando le spalle. «Non abbiamo più un Congresso dei Nobili».
Quello mi lasciò a bocca aperta.
«Cos’è che non abbiamo più?» feci sconvolta.
«Il Congresso» lui ripeté, tranquillissimo. «Sai quell’istituzione simile ad una tigna che volle il nostro trisnonno perché pensava che l’avrebbe aiutato a capire meglio i bisogni specifici degli abitanti di ogni ducato e contea? Andata. Adesso a governare il Paese ci siamo solo noi e i ministri di nostro padre. Una volta ogni due mesi riceveremo i delegati delle città e dei villaggi e risolveremo le dispute direttamente con loro … cosa resa molto più facile da cinque Cavalieri che possono spostarsi a dorso di drago e che, dunque, possono controllare come vanno le cose in ogni luogo».
Per un po’, non seppi davvero cosa dire. La struttura politica in cui ero nata e cresciuta e con cui avevo imparato a misurarmi non esisteva più. Papà sarebbe stato l’unico con il potere di legiferare, non avrei dovuto più rendere conto al Congresso delle mie decisioni … non sarei morta decapitata.
Né sarei diventata regina.
Cos’era, un regalo di compleanno in ritardo?
Lentamente, un sospetto iniziò a formarsi nella mia mente.
«Se non diventerò regina ma non perché non sarò decapitata …» riflettei ad alta voce. Fu a quel punto, quando vidi il sorriso luminoso sul viso di Alec, che mi resi conto che il mio sospetto era realtà. «STO PER AVERE UN NIPOTINO?»
Lui scoppiò a ridere, annuendo. «Fra cinque mesi» annunciò, la voce colma di orgoglio. «Papà, Morzan e Selena hanno già stabilito che è un maschio».
Ero talmente felice di quella notizia che mi sarei messa a piangere, e non solo per il fatto che né io, né i miei figli saremmo dovuti, un giorno, salire al trono; era perché sapevo quanto sia Alec che Audrey avessero cercato quel bambino, più per ragioni d’amore che dinastiche, e quanto avessero sofferto dopo che il loro primo figlio maschio era stato ucciso.
Invece di piangere, ad ogni modo, preferii abbracciarlo, stretta che lui restituì venti volte più forte.
Sarò zia di nuovo! I piccoli saranno contentissimi di avere un cuginetto in più …
«Adesso ci sarà un bambino in più a chiamarti tata» ridacchiò.
«Con tutti quelli che ho dubito che potrò fare anche da balia a tempo pieno ai tuoi» gli ricordai ridendo mentre scioglievo l’abbraccio. Finita la raccolta di frutti di bosco e discutendo su quale nome fosse più adatto ad un futuro re, rimontammo in sella e procedemmo attraverso il bosco.
«Brendan potrebbe starci» Alec rifletté.
«Assolutamente no» replicai. «Dopo due generazioni di re con nomi non propriamente del Nord, ci vuole un nome autoctono».
«Allora Rijkaard».
«L’ha già usato il nonno».
«Ragnar».
«Era il capo della rivoluzione dei contadini cinquant’anni fa».
Alec sbuffò. «E che mi dici dei tuoi, di bambini? Nessuno di loro ha un nome “autoctono”».
«Fino a prova contraria, Victoria e Killian sono nomi molto popolari nella zona di Winterhaal» commentai. «E poi non dovranno governare il Paese».
In quel momento un urlo squarciò la quiete del bosco.
«BELLE, PORCA MISERIA! TI HO DETTO DI FERMARTI!»
Due secondi dopo, un pony incredibilmente veloce ci tagliò la strada, galoppando su un sentiero secondario e scomparendo nella boscaglia; Murtagh comparve l’attimo seguente, in sella ad un cavallo un po’ più grande. Cavaliere e destriero ansimavano come se corressero da ore.
«L’avete vista?» fece, tra l’orgoglioso e il disperato. «Avete visto quella sciagurata?»
«È andata di là» risposi immediatamente, spronando Windmist (questo il nome della mia giumenta) nella direzione in cui Belle era corsa. Ero ancora parecchio sconvolta, perché in fin dei conti avevo appena visto mia figlia di quattro anni tagliarmi la strada e far mangiare la polvere a suo padre, ma non c’era tempo da perdere. Lei poteva non rendersene conto, ma era una situazione pericolosa.
Murtagh ed io ci lanciammo all’inseguimento del pony e di Belle, cosa che, in effetti, richiese ben più tempo di quello che credessimo. Quel pony resistette parecchio, ma non poteva competere in alcuna maniera con uno stallone adulto ed una giumenta di razza, e alla fine li recuperammo.
«Belle, amore, tira le redini» le dissi.
«Ma è divertente!» lei protestò. A quel punto intervenne Murtagh, palesemente stufo di inseguire la nostra nanerottola e ferito nel proprio onore per essere stato seminato. Si chinò verso di lei e prese in mano le redini del pony, fermandolo subito.
Belle gli lanciò un’occhiataccia piena di veleno; Murtagh, che fino a qualche mese prima si sarebbe ritrovato spiazzato di fronte ad uno sguardo simile da parte della bimba, lo sostenne tranquillamente, finché Belle non cedette.
«Avevamo un accordo» Murtagh le ricordò, tirandola su sulla propria sella. «Te lo ricordi, vero?»
«Sì papà» lei brontolò.
«E cosa diceva, questo accordo?»
«Che non dovevo scappare via con Silver … sennò niente più caramelle per una settimana. Però … volevo andare dalla mamma …»
Di fronte ad una dichiarazione del genere, che Belle aveva accompagnato con uno sguardo triste verso di me, si sarebbe sciolto chiunque. O almeno, chiunque non conoscesse Belle abbastanza a fondo.
Conoscevo benissimo le sue strategie; benché nelle sue parole ci fosse un fondo di verità, era chiaro che era scappata da Murtagh per il puro gusto di farlo. Dallo sguardo che mi rivolse, era chiaro che lo sapeva bene anche lui.
«Belle» le dissi avvicinandomi con Windmist al cavallo di Murtagh. «Tu lo sai da quanto tempo io e il papà ti conosciamo?»
Lei scosse la testa.
«Da quando eri piccola così» Murtagh le spiegò, avvicinando il pollice e l’indice il più possibile per farle capire quando grande fosse quel “piccola così”. «Questo significa che lo sappiamo benissimo, quando dici le bugie».
«Ma non era una bugia!»
«Allora non sei scappata solo perché volevi fare la monella?» le chiesi a bruciapelo. Di fronte alla domanda diretta, il suo viso si aprì in un sorrisetto colpevole.
«Non è colpa mia se papà è lento» osservò mentre la facevo salire sulla mia sella. Non appena la ebbi fra le braccia, mi sentii immediatamente meglio; la reazione che avevo avuto con Killian non osò nemmeno mostrarsi, per cui mi godetti l’abbraccio con la mia Belle nella maniera in cui si meritava. Da parte sua, lei mi serrò le braccia al collo con così tanta forza da strozzarmi, per poi riempirmi la faccia di bacini umidi. «Sono proprio contenta che sei tornata mamma» sorrise mentre spronavo Windmist a tornare sulla strada principale. «Papà sei stato mooolto bravo a riportarla a casa».
«Lo so» Murtagh commentò con una punta d’arroganza che, lo sapevo, serviva a mascherare la commozione per le parole di Belle.
«Allora» le chiesi dopo un po’, mentre si smangiucchiava tutti i miei frutti di bosco. «Che ne pensi della tua nuova sorellina?»
Il suo sorriso estatico la diceva lunga su cosa ne pensasse. «Sono contentissima che è una bimba come me!» esclamò. Aveva gli occhi luccicanti, pieni di amore e meraviglia. «E ha anche un bel nome mamma!»
Murtagh sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Ovviamente, Belle lo notò.
«Non ti piace il nome della sorellina papà?» domandò stranita.
«Non è che non mi piace» lui brontolò. «È che secondo me è stupido».
«Oh, andiamo» sospirai. Era da tutta la mattina, in fondo, che protestava; non mi piace per questo, non mi piace per quello … stava diventando esasperante. Né io né lui potevamo farci nulla, ormai! Il nome era già stato registrato sulle raccolte araldiche, sui proclami che annunciavano la sua nascita, e tutti ormai la conoscevano come Victoria Kirk, nome che, per inciso, non suonava nemmeno male.
«Il suo nome significa vittoria» lui proseguì imperterrito. «E se un giorno perdesse una gara, una scommessa o qualcos’altro? Questa bambina sarà condannata ad essere presa in giro ogni volta che sbaglierà qualcosa!»
«Con due Cavalieri come genitori ed il titolo di Principessa reale?» sbuffai scettica. «Non credo proprio».
«Ma è un bel nome papà» Belle aggiunse timidamente, guardandolo con un cipiglio preoccupato. «Si chiama Victoria perché tu e la mamma avete vinto … è una cosa bella, no?»
Belle aveva preso le proprie doti strategiche da Murtagh; sapeva sempre che genere di arma usare per far capitolare qualcuno. Con me usava i capricci e le urla, perché sapeva che facevano stare peggio me che lei; con Murtagh si fingeva preoccupata e spaurita, quando era tutto tranne che quello, per stimolare il suo istinto di protezione; con i suoi nonni … beh, con loro non aveva bisogno di fare niente. Erano talmente pronti a viziarla ed a concederle tutto quello che voleva che le bastava chiedere.
«Suppongo di sì» Murtagh cedette infine, pur di accontentarla.
Suoni di voci, di grida e di divertimento iniziarono a riempire l’aria, mentre sui volti di Murtagh e Belle si disegnava lo stesso sorriso complice; pochi secondi dopo, il sentiero che stavamo seguendo si aprì su una radura illuminata dal sole, il prato un mosaico di colori dati dai fiori di campo. Era tagliata in due da un torrente, che i bambini si divertivano a saltare, ridendo ancora più forte se per sbaglio ci finivano dentro.
L’odore della brace riempiva l’aria, e mi mise immediatamente fame; mi resi conto solo in quel momento che era stato preparato un picnic, e che intenta a ridere, scherzare, giocare e cucinare c’era tutta la famiglia.
«Ma che diavolo …» mi ritrovai a mormorare, esterrefatta, mentre Belle, agilissima, scendeva da cavallo per andare a giocare con i suoi fratelli.
«Questa, nel caso tu non lo sapessi, è una festa» Murtagh mi spiegò, prendendomi in giro. «Quando qualcuno vince, o partorisce, o rimane incinta di un erede, è usanza celebrare l’evento».
«Sai di Audrey anche tu?»
Lui annuì, ridacchiando. «Non si parla d’altro».
«Comare».
«Ho semplicemente due orecchie!» lui protestò. «Non puoi darmi della …»
«Murtagh, tu sei una comare tanto quanto Alec» risi. «Mi ricordo di quando hai messo in giro la voce che Lady Thornton avesse le piattole».
«Ce le aveva davvero, le piattole» lui replicò impassibile, cosa che riuscì a lasciarmi di stucco.
«E come diavolo fai a saperlo, questo? Eravamo già sposati quando hai messo in giro quella diceria!»
«Non ci sono andato a letto io» precisò. «Ma il mio stalliere. Evidentemente gli piacciono le vedove mature e sole …»
«Il tuo stalliere aveva sedici anni all’epoca. Che schifo» commentai disgustata.
«Piantala di fare la bacchettona e fammi finire» Murtagh brontolò. «Ad ogni modo, un bel giorno mi stavo godendo un fantastico bagno rilassante alle terme … sfortunatamente privo della tua compagnia, che avrebbe reso la situazione molto più eccitante …»
«Finisci la tua storia» questa volta fu il mio turno di brontolare. Potevo capire che avesse certe voglie – per gli dei, ne avevo anche io! – ma non era il caso di aggiungere certi dettagli quando tutta la nostra famiglia era presente.
«Sissignora, signora principessa … dunque, Jarsha arriva tutto imbarazzato, rosso come un peperone … non è stato difficile capire cos’avesse, soprattutto dopo che mi ha fatto vedere la … situazione. Era una storia troppo succulenta per non essere messa in giro» un sorrisetto perfido e compiaciuto gli spuntò sulle labbra. «Soprattutto quando Lady Thornton si vanta della propria purezza».
Ridendo, smontammo e lasciammo i cavalli al pascolo, per poi avviarci verso il picnic.  
Ad accoglierci ci fu un vero e proprio sussulto di sorpresa; nessuno ci aveva notati, perché eravamo rimasti seminascosti nella boscaglia.
«MAAAMMAAA!!!»
Nel giro di un secondo, avevo addosso sia Killian che Evan, stretti a me come scimmiette su un albero. Quando – nuovamente – mi resi conto che non provavo nulla se non un’immensa gioia nell’averli fra le braccia, la felicità ed il sollievo furono tali che mi sarei messa a piangere, proprio come quando avevo riabbracciato Belle. Così, li strinsi più forte a me, riempiendoli di tutti i baci e le coccole che non avevo potuto dargli durante la nostra separazione. Quando anche Belle si unì all’abbraccio, mi sentii, finalmente, di nuovo in grado di respirare.
«Ehi, piccoli …» sussurrai, tirando su col naso per ricacciare indietro le lacrime. «Ma come siete cresciuti …»
Tutti e tre loro erano incredibilmente cambiati, mi resi conto; l’avevo notato quando li avevo divinati da Lionsgate, ma era una cosa totalmente diversa vedere quel cambiamento così da vicino. Belle – per gli dei, Belle andava a cavallo. Ora che la paura per la sua fuga improvvisa stava finalmente iniziando a scemare, mi rendevo conto di quanto fosse stata brava nel domare e gestire quel pony, di come i suoi movimenti fossero stati naturali. Killian aveva fatto dei progressi enormi dal punto di vista del linguaggio ed il viso, sebbene fosse ancora quello di un bambino, diventava sempre più simile a quello di Murtagh; ed Evan, santo cielo, era quello che era cambiato più di tutti. Era identico a suo padre in tutto, dall’aspetto al modo di porsi, ed era diventato molto più alto dall’ultima volta in cui l’avevo visto. Pur essendo più piccolo di Belle, la superava già in altezza.
«Anche tu sei un po’ divessa» Killian osservò con cipiglio inquisitorio.
«È vero» Evan gli fece eco. «Mamma, dov’è la cicatrice? Quella che avevi qui?» domandò, toccandomi la tempia destra.
«Ehm …» iniziai a temporeggiare, cercando una scusa. Non potevo certo dirgli che ero tornata da un luogo a metà fra il mondo terreno ed ultraterreno; che ero praticamente morta e che i loro avi avevano ben deciso di togliere ogni cicatrice dal mio corpo, persino le smagliature delle gravidanze, cosa che oggettivamente mi dispiaceva. «Non mi piaceva più» dissi poi. Il sospiro esasperato di Murtagh fu il più rumoroso della storia dei sospiri, ma lo ignorai. «Così l’ho tolta».
La spiegazione fu più che sufficiente per i bimbi, che infatti scrollarono le spalle, sorrisero e mi trascinarono a vedere la meravigliosa casetta per le fate che avevano realizzato ai piedi di una quercia. Quando eravamo piccoli, le facevamo anche Alec ed io, con i nonni d’estate e con i nostri genitori il resto dell’anno. Era una sorta di tradizione, al Nord – un modo per far giocare i bambini e al contempo insegnargli il rispetto e la devozione per gli spiriti della natura.
Il loro entusiasmo era come acqua fresca durante un giorno qualunque dell’estate surdana; meraviglioso e rinvigorente. Vederli così felici ed estatici era quanto di più bello potessi sognare.
Il pomeriggio passò splendidamente; potei riabbracciare mia sorella, tutte e quattro le mie bellissime nipotine, i miei suoceri, Idril – che era assolutamente adorabile. Lei e Victoria avevano subito stretto amicizia, e passavano ore ed ore a parlarsi in bambinese. Tra giochi, ottimo cibo e chiacchiere in quantità, il sole fece in fretta a calare; e quando rientrammo a Lionsgate, il sogno si interruppe e la realtà tornò a bussare alla nostra porta.
«Lord Morzan, Lord Murtagh, Principessa Katherine, c’è un messaggero della Regina Nasuada che vi attende» Maya, che sostituiva Marlene come governante, disse. «L’ho fatto accomodare nella sala di ricevimento».
«Grazie» Morzan fece. «Voi due – con me. Maya, per piacere, dà disposizioni perché venga preparata la cena. Qualcosa di leggero sarebbe meglio».
«Certo, milord».
Che può volere da noi un messaggero di Nasuada?, domandai a Murtagh, preoccupata.
Non lo so, amore, ma la cosa puzza anche a me.
Antares non era di diverso avviso. La mente del messaggero era risultata impenetrabile anche a lei, che essendo però un drago era riuscita a percepire un paio di cose da non sottovalutare; tristezza e odore di morte. Il cipiglio preoccupato sul volto di Murtagh si approfondì quando lo misi a parte delle osservazioni della dragonessa.
Ho un pessimo presentimento, sospirai.
Non dirlo a me, lui brontolò. E io sono uno che non crede ai presentimenti.
Ciononostante, mi prese la mano in una stretta rassicurante prima di entrare nella sala del trono.
«Lord Morzan, duca di Lionsgate, duca di Wickard, Cavaliere di Dracarys! Lord Murtagh, duca di Northern Harbor, Cavaliere di Castigo! Sua Altezza Reale Katherine di Winterhaal, principessa del Tridente, duchessa di Northern Harbor, Cavaliere di Antares!» un valletto ci annunciò all’unico uomo presente nella sala; un tizio alto, allampanato, sulla cinquantina, avvolto in un mantello da viaggio grigio, che si voltò non appena ci vide.
Antares aveva ragione; il volto di quell’uomo esprimeva un profondo cordoglio.
Con passi lenti e marcati camminò verso di noi, con l’aria grave e solenne di chi ha un compito importante da portare a termine.
Rimase fermo di fronte a noi per qualche secondo, guardandoci con un viso ora impenetrabile, per poi cadere in ginocchio di fronte a me e a Murtagh.
«Lunga vita alle loro Maestà, l’Imperatore e l’Imperatrice di Broddring».


--

Ciao a tutti ragazzi! Scusate il nuovo immenso ritardo, ma tra l'uni e Dreame sono veramente presissima. Vi è piaciuto il capitolo? Fatemelo sapere! 
Un bacione a tutti!

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Eragon / Vai alla pagina dell'autore: PrincessintheNorth