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Autore: Eevaa    07/05/2021    9 recensioni
• One Shot scritta per il Mental Health Month 2021 •
Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.

Vegeta scosse la testa e scacciò via i pensieri. Erano due settimane che, casualmente e senza un nesso ben preciso, quelle parole risuonavano nella sottile membrana tra il sonno e la veglia.
Guardami, aiutami, sollevami. Quegli echi non avevano alcun senso per lui.
Eppure sarebbe stato meglio ascoltarli.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Disclaimer:
Questa storia non è scritta a scopo di lucro.
I personaggi usati e tutto ciò che fa parte dell'universo di Dragon Ball sono di proprietà di Akira Toriyama© e Toei Animation©.
Non concedo, in nessuna circostanza, l'autorizzazione a ripubblicare questa storia altrove, anche se creditata e anche con link all'originale.
I diritti delle immagini non mi appartengono.
 
NOTA INIZIALE:
Maggio è il mese della salute mentale.
Prendetevi cura della vostra mente, non trascuratevi, non sminuite quello che sentite.
Se siete in difficoltà non vergognatevi a chiedere aiuto.

AVVERTIMENTI:
Tw: Depressione.
Un personaggio potrebbe risultare OOC.
 


ZITTO E RESPIRA.




 

Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



Vegeta aprì gli occhi, palpebre pesanti e ciglia appiccicate. Scoprì di avere freddo, eppure era fine estate.
Si passò le mani sugli avambracci e percepì la pelle d'oca, l'eco di quelle parole ancora in testa.
Guardami, aiutami, sollevami. Non avevano alcun senso per lui.
Si guardò intorno nel buio alla ricerca di un appiglio famigliare a cui aggrapparsi, trovò Bulma ancora profondamente assopita accanto. Sembrava serena. Controllò la sua debole aura terrestre, sembrava anche stare fisicamente bene. Nulla di diverso, nulla di insolito.
Chiuse di nuovo gli occhi e vagò oltre le mura, oltre le porte. Trunks era sveglio sebbene fosse notte fonda, con tutta probabilità era di nuovo collegato a giocare ai videogiochi con il suo partner in crime. Avrebbe dovuto staccargli internet, ma non aveva voglia di litigare. L'avrebbe fatta pagare a tutti e due nella Gravity Room un giorno di quelli.
Vagò ancora un poco, Bra stava dormendo. La sua aura emanava un calore così zuccheroso, dolce come il miele, fanciullesco, eppure a soli due anni era già più intensa di quella della madre. Anche lei non aveva niente che non andava.
La sua famiglia stava bene. Non aveva niente di cui preoccuparsi.


 


Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



Vegeta scosse la testa e scacciò via i pensieri. Erano due settimane che, casualmente e senza un nesso ben preciso, quelle parole risuonavano nella sottile membrana tra il sonno e la veglia.
Sapeva solo che, ogni volta che accadeva, si sentiva strano per tutto il giorno.
Un dolore improvviso alla mandibola, forte, sordo. Si ribaltò all'indietro e cadde di schiena contro un albero di mele. I frutti caddero a terra, qualcuno gli cadde anche in testa, ma il suo pensiero fu rivolto immediatamente verso il labbro sanguinante.
«Ehi, sei distratto oggi!» la voce irritante di Kakaroth che ribadiva l'ovvio lo fece tremare di rabbia.
«Taci» gli rispose, piccato, rifiutando la mano che l'idiota gli porse per aiutarlo ad alzarsi.
Si sollevò e si asciugò il sangue con le nocche. Il guanto bianco si macchiò di scarlatto e sì, era solo il segno scritto della sua distrazione.
«Se non stai bene dovremmo interrompere» gli disse Kakaroth, senza nemmeno tentare di nascondere apprensione.
Vegeta trasalì. «Certo che sto bene, idiota! Pensi di avermi scalfito con un misero calcio in faccia?»
«Ok...». Un sospiro. Spallucce. Indifferenza.
Vegeta guardò Kakaroth storto. Nessun battibecco? Nessuna risposta irritante? Solo “ok”?
Non era esattamente ciò che si sarebbe aspettato. Quell'accondiscendenza lo irritò ancora di più, quindi fu il turno di Kakaroth per essere schiantato contro un albero di mele. Vegeta non si sarebbe più fatto distrarre.


 


Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



«... registrare in banca dati i progetti del nuovo super collisore di particelle e poi sono andata in centro e ho fatto sesso violento con un barista sul bancone di un pub».
«M-hm...» mugugnò in assenso Vegeta, rigirando il fondo del suo ramen con le bacchette. Ci impiegò qualche secondo per collegare la corrente delle sue sinapsi. «Aspetta, cosa?!»
Bulma scoppiò a ridere.
«Non mi stavi ascoltando, volevo vedere fino a che punto fossi distratto».
Vegeta si accigliò. Non era la prima volta che qualcuno gli diceva che fosse distratto. Kakaroth l'aveva accusato della stessa cosa... tre settimane prima? Era già passato così tanto tempo?
«C'è qualcosa che ti turba?» gli domandò poi Bulma.
Sì, mi turbano quelle voci che sento oramai quasi praticamente ad ogni risveglio, avrebbe voluto dirle.
«No» mentì invece.
Quello era il momento di sfogare i propri turbamenti in Gravity Room, magari addosso a quel demente di Kakaroth, visto che erano tre settimane che non lo picchiava forte.
Prese il telefono tra le mani e digitò il formale invito.


 
Hai voglia di farti prendere a calci in culo?


Nessuna risposta. Del resto erano anche le dieci di sera, probabilmente il demente era già nel mondo onirico a sognare montagne di cibo.
Avrebbe sfogato i turbamenti da solo.


 


Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



Oramai era un appuntamento fisso col risveglio. Quegli echi nella testa, i brividi di freddo e la sensazione di pesantezza allo stomaco. Ci aveva quasi fatto l'abitudine, ma se l'era tenuto per sé. Non era il caso di preoccupare Bulma con quelle scemenze, non era il caso nemmeno di parlarne con uno strizzacervelli. Anche il più bravo psicologo sulla faccia della Terra aveva dato forfait di fronte al casino mentale del principe dei saiyan, quando aveva provato ad andarci dopo il Torneo di Cell. Però era stato d'aiuto, lo erano state soprattutto quelle pillole calmanti che gli aveva dato per iniziare a ragionare.
Nemmeno il recente allenamento con Kakaroth l'aveva aiutato a distrarsi, tuttalpiù che Kakaroth sembrava non averci messo tutto se stesso nel combattere. Forse lui si era accorto di quanto fosse distratto, Kakaroth si accorgeva di quelle cose. Ma non gli aveva chiesto niente, si era limitato a combattere in modo altrettanto distratto e con decisamente poca poesia.
Irritante, secondo Vegeta. Così com'era spesso irritante che quel demente non gli rispondesse ai messaggi e si fosse degnato di combattere con lui solo dopo altre due dannate settimane.
Qual era il problema? Non era forse all'altezza? Le distrazioni rendevano Sua Maestà un avversario noioso? Che andasse su Vampa a lottare con Broly, allora!
«Ehi, pa'!»
«Ciao, zio!»
Le voci allegre dei due ragazzi lo fecero distrarre dai suoi pensieri incoerenti. Quale miglior modo per sfogare un po' di frustrazione!
«Fermi un po'» disse Vegeta, lapidario, prima che potessero tornarsene in camera dopo la merenda. «Filate in Gravity Room, subito».
Trunks e Goten si guardarono stupiti.
«Ma noi stava-» si apprestò a dire Trunks, ma Sua Maestà recise subito le radici della sterile protesta.
«Siete sempre attaccati a quei diavolo di videogiochi, razza di scansafatiche. Di questo passo anche Pan e Bra diventeranno più forti di voi!»
I ragazzi sbuffarono, invano, poi si diressero a testa bassa in Gravity Room. Avrebbe fatto loro il culo a strisce.
Adolescenti!


«Comunque ci sei andato giù pesante, sono tutto fracassato!» si lagnò Goten, dopo essere uscito dalla doccia.
Era stato un bel combattimento, ma quei due insieme non valevano un Kakaroth intero a livello di forza combattiva. Purtroppo.
«Ma per favore! Da quand'è che sei diventato una mammoletta?»
«Magari sei tu che sei diventato più forte, zio!» ghignò Goten, ruffiano.
«Non fare l'accondiscendente, moccioso. Non mi corrompi, lo dirò lo stesso a tua madre che passi le tue nottate ai videogiochi!» borbottò Vegeta, e Trunks scoppiò a ridere ad alta voce, giusto per rimarcare la gioia di non essere il solo ad andare in castigo.
«Uffaaa!» piagnucolò Goten, con la stessa voce e la stessa cadenza dello scemo di suo padre. Più cresceva e più gli somigliava. «A proposito, vado, prima che mamma mi mandi a letto senza cena. Ciao Trunks, ciao Vegeta!»
Sua Maestà, però, colse l'occasione.
«Già che ci sei, di' a tuo padre che ogni tanto il telefono se lo dovrebbe tirare fuori dal sedere» grugnì. Una volta avrebbe gioito per non avere Kakaroth costantemente intorno, ma erano oramai anni che aveva fatto pace con il fatto che i migliori allenamenti li facesse solo con lui. E che Kakaroth non fosse una presenza così scomoda, anche a livello umano, per quanto alcune cose ancora lo mandassero su tutte le furie.
Goten, però, divenne improvvisamente rosso a quell'affermazione. Abbassò lo sguardo e si torturò le mani.
«Uh... ehm, ok» farneticò. Poi, veloce come una scheggia, uscì dalla Gravity Room diretto a casa.
Quello era decisamente strano. Trunks non sembrava nemmeno averlo notato.


 


Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



Erano più di tre mesi, forse, che l'eco andava a trovarlo ogni mattina. L'estate aveva lasciato posto all'autunno, e l'inverno era oramai alle porte.
Quel pomeriggio Chichi, Gohan e Videl avevano portato Pan per giocare con Bra alla Capsule Corporation, mentre Goten ne aveva approfittato per un altro pomeriggio chiuso in camera con Trunks a giocare ai videogiochi. La famiglia Son al completo, insomma. Tutti tranne uno.
«E tuo padre dove l'avete lasciato?» domandò Vegeta a Gohan, fingendosi disinteressato. La verità era che quei raduni familiari lo annoiavano da morire e annoiavano Kakaroth allo stesso modo, quindi era abitudine abbandonare tutti dopo dieci minuti per andare ad allenarsi, in quelle occasioni.
«Oh, ehm, non ne ho idea. Mamma dice che è impegnato col lavoro!» fece spallucce Gohan, sincero. Sembrava convinto e convincente.
Un vero peccato che Vegeta non sentisse l'aura di Kakaroth nei campi e non la sentisse nemmeno vicina. Che fosse davvero andato ad allenarsi su un altro pianeta senza dirgli niente? Quel farabutto!


 


Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



Ne aveva abbastanza. Sentiva di aver raggiunto un limite della decenza umana. Non riusciva a sfogarsi a dovere e non riusciva nemmeno a uscire dal loop di paranoia per la quale Kakaroth stava raggiungendo nuovi livelli di potenza senza di lui. Non sopportava rimanere indietro e, da bravo maniaco del controllo, non sopportava non essere a conoscenza delle cose. Erano due mesi e mezzo che non si vedevano. Nel contempo, invece, Goten era quasi sempre alla Capsule Corporation, ma ogni volta che provava a chiedergli qualcosa del padre, il ragazzo sembrava evasivo.
Raggiunse il limite un tardo pomeriggio di gennaio.


 
Ehi, deficiente. Vieni subito qui ad allenarti o vengo a prenderti con la forza.

Non posso! Sto lavorando... facciamo un'altra volta.


Non solo raggiunse il limite, ma lo superò. A gennaio, con la neve e con il freddo, quanto avrebbe potuto essere credibile che Kakaroth stesse arando dei campi?
Decise che era il momento di andare a prenderlo con la forza e, se non l'avesse trovato, avrebbe chiesto a Whis di portarlo da lui e gli avrebbe fatto mangiare tutti i denti davanti. Come osava quel demente prendersi gioco del principe dei saiyan?
Uscì nella tempesta di neve e raggiunse i monti Paoz in un batter d'occhio e, come volevasi dimostrare, nei campi non c'era anima viva. Si fece prendere dalla rabbia, ma non avrebbe lasciato correre. Gliene avrebbe dette quattro.
Si presentò a casa Son con un cipiglio tutt'altro che amichevole e, sebbene fosse oramai istruito alle usanze terrestri di presentarsi a casa d'altri con gentilezza, quasi buttò giù la porta a furia di bussare.
Fu Chichi ad aprirgli ma, incredibilmente, sembrò tutt'altro che stizzita.


«V-Vegeta... ma che ci fai qui?» domandò, con gli occhioni neri spalancati.
«Dov'è quel buono a nulla?» ringhiò Vegeta. Niente saluti, niente convenevoli.
Chichi assunse le fattezze di una statua di sale.
«Goku non c'è» si limitò a rispondere, occhi bassi e gote rosse. Qualcosa non andava.
«E dov'è?» insistette Vegeta, e Chichi iniziò a torturarsi le mani.
Non era una reazione normale. Sembrava che si vergognasse, che temesse qualcosa, che ci fosse qualcosa da nascondere.
Che fosse successo qualcosa tra loro? Non che l'avrebbe stupito, erano forse la coppia più mal assortita sulla faccia dei dodici universi.
«Senti... non... non... meglio che tu vada» farneticò lei, sempre più rossa, con gli occhi quasi lucidi dal pianto.
Ok, c'era decisamente qualcosa che non andava, e non aveva nulla a che fare con gli allenamenti di Kakaroth. Vegeta si focalizzò meglio sull'aura e, talmente flebile che senza concentrazione non l'avrebbe nemmeno avvertita, la percepì. Era vicina.
Un terribile presentimento lo colpì dritto in faccia.
«Chichi... cosa è successo? Cos'ha Ka-Goku?» le domandò.
Lei si portò le mani sul volto e ci sospirò dentro poi, arrendevole, fece un passo dietro la porta per lasciarlo entrare. Eppure Vegeta ebbe come l'istinto di non volerlo fare. Rimase bloccato sulla soglia della porta in attesa di una forza che lo spingesse.
Guardami. Aiutami. Sollevami.
E se...?
Vegeta scosse la testa e avanzò, si guardò intorno ma non vide nessuno. Kakaroth doveva essere in camera. Ma, poco prima di raggiungere la zona notte, la voce di Chichi lo fece arrestare.
«Aspetta...»
Sua Maestà si immobilizzò, con la mano tesa sulla maniglia della porta e il cuore che gli martellava troppo forte nel petto. Aveva un terribile presentimento.
«Non devi dirlo a Goten. Lo sto mandando spesso da voi per proteggerlo» parlò Chichi, tesa. Tremava. Forse era Vegeta che tremava e vedeva tutto tremare.
«Ma che-»
«Promettilo» lo interruppe, lapidaria.
Vegeta non era avvezzo alle promesse, ma capì che quella era necessaria. Annuì e, dopo aver preso un grosso respiro, entrò nella camera.


Guardami guardami guardami.
Aiutami aiutami aiutami.
Sollevami sollevami sollevami.



Gli echi della sua mente si fecero di colpo più chiari, lì, dove tutto invece era terribilmente scuro. Tende tirate, persiane chiuse. Nessun raggio di luce entrava nella finestra, tutto era silenzioso, più silenzioso che i monti innevati lì fuori.
Rannicchiato sul letto, con le coperte tirate fino alle spalle, c'era il corpo di qualcuno che fece persino fatica a riconoscere. A occhio nudo la forma del suo fisico era più snella, meno prorompente. Sembrava incredibilmente minuscolo.
Gli echi erano stati presentimenti che non aveva ascoltato.
Lui e Kakaroth non comunicavano mai mentalmente, non sapevano come farlo, ma dopo la fusione c'era qualcosa che li rendeva incredibilmente percettivi l'un altro.
Quegli echi erano stati inconsce grida d'aiuto che Vegeta non aveva colto.
Si era preoccupato per la sua famiglia, ma si era dimenticato di preoccuparsi di un'altra persona importante della sua vita. Sua Maestà dovette trattenere qualche maledizione sulla punta della lingua, imprecazioni rivolte a se stesso.
«Kakaroth» soffiò Vegeta, ed egli sembrò tremare sotto le coperte al suono della sua voce.
Ci fu una lunga pausa prima di poter udire una risposta. Una risposta troppo flebile, troppo poco gioiosa.
«Non saresti dovuto venire».
Sarei dovuto venire prima, si disse invece mentalmente Vegeta.
Kakaroth mesi prima gli aveva detto “se non stai bene dovremmo interrompere”. Forse aveva voluto dirgli qualcosa, forse non aveva colto. Era lui che non stava bene.
Non stava bene, era evidente. E dire che Vegeta si era preoccupato che fosse da un'altra parte ad allenarsi, di essere lui stesso il problema. Quanto poteva essere egocentrico?
Troppo, decisamente troppo.
«Cosa ti sta succedendo?» domandò, con la lingua incredibilmente secca contro il palato. «Kakaroth, sei... sei malato?»
Solo dirlo gli fece ribaltare lo stomaco. Aveva già visto Kakaroth malato, una volta, per il virus cardiaco. Ma allora sapeva che se la sarebbe cavata, e soprattutto allora loro due non erano ancora... amici. Sì, lui e Kakaroth erano amici e ci aveva già fatto abbondantemente i conti contro quella crepa nell'orgoglio.
Pensare che fosse malato – così tanto malato, da così tanto tempo – lo fece trasalire. Era una cosa grave? Lo avrebbe... lo avrebbe ucciso? Vegeta strinse i denti, non voleva pensarci e non voleva nemmeno controllare l'aura per scoprirlo da solo.
«Non lo so...» esalò Kakaroth, infine. Gli dava le spalle girato su un fianco. «Il dottore ha detto che non ho nulla».
Vegeta sospirò di sollievo. Fisicamente stava bene, allora. Quella era già una buona notizia, ma questo non toglieva che ci fosse qualcosa di estremamente sbagliato.
Finalmente riuscì ad allontanarsi dalla soglia della porta e raggiungerlo, ma Kakaroth si tirò la coperta fin sopra gli occhi.
«Sono patetico, non guardarmi» mormorò, la voce ovattata sotto il lenzuolo.

Guardami guardami guardami.

Non ci sarebbe cascato un'altra volta. Vegeta si inginocchiò accanto al letto e, senza metterci nemmeno troppa forza, afferrò un lembo della coperta e la trascinò via dal volto di Kakaroth.
Per quel poco che riusciva a vedere in mezzo a tutto quel buio, era semplicemente terrificante. Non l'aveva mai visto conciato in quel modo, nemmeno durante la malattia cardiaca. Non sapeva cosa lo avesse portato a ridursi così, ma la situazione era grave.
Due profonde occhiaie gli solcavano gli occhi, le guance solitamente paffute erano smagrite, i capelli tutti in disordine – anche se quella non era una novità – e gli occhi tutt'altro che sorridenti. Era il peggior Kakaroth che avesse mai visto, ma ciò non gli avrebbe impedito di rimanere lì.
«Invece ti guardo. Non puoi impedirmelo, non puoi darmi ordini» rispose Vegeta, secco. «Da quanto stai così?»
Kakaroth si strinse ancora di più nelle spalle, nel completo imbarazzo, con occhi gonfi che non volevano incrociare lo sguardo di Vegeta.
«... settimane... mesi, non ricordo. Ultimamente è peggio».
Anche la sua voce era diversa. Debole, nessun tono allegro o stupido. Niente cadenza da idiota, niente risatine fuori luogo. Niente Kakaroth.
«Perché non mi hai detto niente?» chiese Vegeta.
Che domanda ingiusta. Con che coraggio gli chiedeva una cosa del genere? Lui era il primo a non parlare dei suoi problemi con Kakaroth, era il primo a essere sfuggevole, a chiudersi in se stesso, a trattarlo male ogni volta che questi provava ad avvicinarsi di più.
Il loro rapporto era sempre stato così, del resto. Parlavano poco, combattevano tanto, si prendevano in giro a vicenda. Avevano passato mesi ventiquattro ore su ventiquattro insieme sul pianeta di Beerus o nella Stanza dello Spirito e del Tempo per un anno, avevano anche avuto qualche piacevole conversazione su passato presente o futuro, ma quando si trattava di andare nel profondo Vegeta si era sempre tirato indietro. Mostrare le proprie emozioni non era mai stato il suo forte.
Quindi con che coraggio gli chiedeva il perché non avesse detto nulla a lui?
«Non volevo che mi vedessi in questo modo...» ammise però Kakaroth, strizzando gli occhi.
Non era la risposta che Vegeta si sarebbe aspettato. E avrebbe preferito di gran lunga un “non ci siamo mai parlati di niente del genere” rispetto a quello.
Kakaroth si vergognava... di lui? Si vergognava di farsi vedere debole per colpa di qualche malattia o qualunque cosa avesse? Forse Vegeta gli aveva fatto credere troppe volte di essere un duro stronzo senza cuore né sentimenti.
Era una cosa molto saiyan, del resto. Un tempo Vegeta non avrebbe fatto altre che convenire che piuttosto che farsi vedere in quello stato avrebbe dovuto impiccarsi. Ma Vegeta non era più così da un bel pezzo. Quanto poteva essersi comportato da stronzo per fargli credere che fosse ancora così?
Chinò il capo sotto al peso del senso di colpa e sospirò.
«Vegeta, per favore... vai via... voglio solo stare solo, non ho bisogno di aiuto» gli disse infine, supplichevole.

Aiutami aiutami aiutami.

No, non avrebbe affatto lasciato perdere. Sebbene Kakaroth dicesse il contrario, era più che evidente che i suoi occhi stessero gridando aiuto. E, anche se forse non era la persona più adatta per darglielo, ci avrebbe tentato.
Non era il caso di portare avanti ancora la pantomima del burbero stronzo, non di fronte a una persona vicina che stava male. Prese la propria maschera di orgoglio laccata cinismo e la poggiò un secondo sul comodino.
«Kakaroth... lo so che non sono il migliore degli ascoltatori, lo so che non sono mai stato un buon...» Vegeta si interruppe. Dire ad alta voce la parola amico era decisamente troppo anche per lui, maledizione alla sua incapacità emotiva. «Una buona persona per te. Lo so che magari non posso aiutarti, ma ho bisogno di sapere cosa ti sta succedendo. Non capiterà mai più che io ti chieda una cosa del genere ma... ora... parlami».
Per favore, aggiunse mentalmente. Ma anche le suppliche erano troppo per lui.
Kakaroth, per la prima volta in tutto quel tempo, gli lanciò una sfuggevole occhiata interrogativa. Era chiaro che non fosse abituato a sentir parlare Sua Maestà in quel modo. Beh, almeno erano pari! Nemmeno Vegeta era abituato a vederlo in quello stato.
Kakaroth sospirò, un respiro tremante e forzato, poi parlò.
«Non lo so... io... Chichi mi ha chiamato un dottore, ma ha detto che sto bene. Ho chiesto a Baba se fossi vittima di qualche maledizione, ma ha detto che sto bene. Ma io non sto bene, non ho più forza... non ho più... » balbettò Kakaroth, con voce rotta. Vegeta sperò con tutto il cuore che non scoppiasse a piangere di fronte a lui. Un po' per l'imbarazzo, un po' perché non sopportava i piagnistei, un po' perché non voleva fare i conti con la propria empatia che l'avrebbe portato senz'altro a provare dispiacere per lui. «Non ho più la forza di fare niente. Mi sento come se mi mancassero le energie, la voglia. Non ho nemmeno più voglia di mangiare».
Vegeta si irrigidì. Tutto quello gli ricordava qualcosa. Non esattamente in quel modo, ma non era la prima volta che sentiva una cosa del genere.
E non era bene, non lo era affatto. Soprattutto perché Kakaroth sembrava davvero ridotto all'osso da tutto ciò. Non era bene.
«C'è stato qualcosa di particolare che ha dato inizio a tutto questo?» gli chiese, ma Kakaroth si portò le mani in faccia per nascondersi.
«Vegeta...»
«Non ti giudicherò, Kakaroth» si affrettò a dire. «Posso giudicarti per molte cose, non per questa».
«Non lo so...» parlò lui, ancora con le mani sul volto e quella voce troppo rotta e troppo scura per essere sua. «Ho iniziato ad avere pensieri negativi. All'inizio il fatto che l'universo fosse grande era per me motivo di curiosità, poi ha iniziato a spaventarmi. Del fatto che ci sarà sempre qualcuno migliore che potrà... potrà mettere in pericolo tutti. E addirittura che sono io... che ho messo in pericolo tutti... con quella cosa del Torneo degli Universi. Ho messo in pericolo la mia famiglia, i miei amici e me ne sono infischiato. Un giorno, non so perché, ho iniziato a realizzarlo e ho pensato che forse la soluzione era smettere di fare qualsiasi cosa per evitare di fare danni. Ma più mi fermavo e più quei pensieri mi rapivano e sono arrivato a... avere paura, a sentirmi soffocare. A volte mi sembra di smettere di respirare e penso che forse sarebbe anche meglio, che almeno nessuno sarebbe in pericolo, poi penso che ci sono i miei figli, Chichi e non vorrei dargli dispiacere e quindi mi si blocca ancora di più il respiro... non riesco a respirare neanche adesso se ci penso, mi manca il fiato... mi sento-»
«Kakaroth...» Vegeta lo interruppe, fermo, lapidario. La verità era che fosse anche lui sull'orlo di smettere di respirare. Con una mano gli scacciò le sue dalla faccia e con l'altra gli afferrò la mascella brutalmente, per costringerlo a fissarlo dritto negli occhi.

Guardami guardami guardami.

«Guardami» gli ordinò perentorio, rude. Il respiro di Kakaroth era intenso, la sua pelle fredda e sudata allo stesso tempo. «Respira».
«V-Ve-»
«Zitto e respira» ripeté Vegeta e, con le poche capacità che aveva di manipolazione dell'aura, lasciò disperdere un po' del suo Ki al centro del petto di Kakaroth. Calore.
Questi lo guardò negli occhi e si concentrò di più, si focalizzò sul respiro.
Vegeta non era decisamente un esperto a gestire gli attacchi di panico, però li sapeva riconoscere. Come aveva perfettamente riconosciuto cosa stesse succedendo a Kakaroth, cosa avesse, cosa lo facesse stare così male. Non era bene, ma l'avrebbe aiutato. In qualunque modo.
«Questa cosa si può guarire» gli disse e, dopo essersi accertato che l'idiota avesse ripreso a respirare in modo più calmo, lasciò la presa sulla sua mandibola.
«Non so nemmeno cosa sia, non-» tentò di dire Kakaroth, ma Vegeta lo interruppe nuovamente.
«L'ho avuta anche io». Una confessione che non avrebbe mai voluto fare. Come l'ammissione di una debolezza, visto che i suoi retaggi culturali gli avevano imposto che fosse tale. Era stata Bulma a fargliela vedere in altro modo.
Kakaroth spalancò gli occhi.
«Cosa?»
«Dopo il Torneo di Cell. Ero... depresso» ed era un eufemismo, visto che era giunto persino a pensare che non avrebbe mai combattuto più in vita sua. Bulma l'aveva costretto ad andare da uno strizzacervelli e, quando aveva distrutto lo studio del primo, lo aveva costretto ad andare da un secondo e così via. Ci erano voluti mesi prima che si convincesse a seguire una terapia.

Se ti viene l'influenza - o cosa diamine avevate sul tuo pianeta di scimmioni - ti prendi una medicina e la curi. Per quanto riguarda la salute mentale è lo stesso! Hai una malattia, imbecille patentato. E la devi curare come faresti con qualsiasi altra”.

Bulma era stata ben più perentoria di lui. E aveva avuto ragione, dannazione a lei.
«È questo che hai, Kakaroth... si chiama depressione, e anche pesante. La stai trascurando da mesi, non è difficile credere che tu sia arrivato in queste condizioni» disse infine Vegeta. E, come avrebbe potuto bene immaginare, il panico tornò ad animare i tremori di Kakaroth. Del resto se in tutti quei mesi né lui né la donna che gli stava accanto avevano fatto un bel niente a riguardo, qualcosa stava a significare.
«Sono pazzo!? Oh, Kami, Chichi me lo aveva detto che forse era una malattia mentale... cosa diranno tutti, cosa diranno i miei figli? Mi vorranno rinchiudere? Vegeta io non vogl-»
«Queste false credenze ti rendono ignorante, mica pazzo» lo interruppe molto più rudemente. Chissà cosa diamine gli avevano messo in testa sua moglie e tutta quella gente druida che viveva in mezzo alle montagne. Trogloditi! «La depressione è una malattia, non è follia. Certo, un po' matto lo sei, ma non di certo per questo» tentò di buttarla infine sull'ironico. Giusto per calmarsi da quella rabbia interiore nei confronti di chi aveva trascurato quella cosa fino a quel momento. Lasciarlo per mesi in quello stato semplicemente per non affrontare quella cosa era da criminali, ma Vegeta avrebbe fatto i conti con Chichi dopo. Anche se il tentativo della donna era probabilmente stato quello di proteggere Goten – da cosa, poi? - o Kakaroth stesso.
«Ne sei sicuro?» domandò Kakaroth, incerto, ancora immerso nella sua bolla di panico.
«Se ti viene l'influenza ti prendi una medicina e la curi. Per quanto riguarda la salute mentale è lo stesso! Hai una malattia, imbecille patentato. E la devi curare come faresti con qualsiasi altra». Avrebbe ceduto a Bulma i suoi diritti d'autrice in seguito.
Kakaroth strizzò gli occhi e si obbligò nuovamente a respirare in modo decente.
«Puoi guarire...» ripeté Vegeta, nel tentativo di suonare meno duro e più convincente.
«Cosa... cosa dovrei fare? Io non... non ho la forza di fare niente...» soffiò lui.
Non era difficile crederlo. Nelle condizioni in cui versava in quel momento sembrava più prossimo alla morte per denutrizione che alla guarigione. Vegeta lo scrutò nel buio: Kakaroth era davvero, davvero uno straccio. Lui non si era mai ridotto in quelle condizioni, Bulma lo aveva aiutato ben prima di ridursi in quello stato e non erano nemmeno una coppia, all'epoca. Possibile che la moglie di quel decerebrato fosse stata così cieca e chiusa mentalmente da permettergli di ridursi così?
Una cosa era certa. Se Chichi non ci aveva pensato, lo avrebbe fatto lui stesso. Non avrebbe permesso all'unico essere umano che avesse mai considerato amico di buttarsi via in quel modo.
«Ci penserò io».
«Cosa?» Kakaroth sembrò sorpreso. Come biasimarlo.
«Ti porto con me in un posto. Ti ci porterò anche di peso, se dovesse servire» asserì Vegeta. Non era convinto di voler lasciare Kakaroth solo in un ospedale e, piuttosto, lo avrebbe tenuto con sé alla Capsule Corporation. I soldi per le cure domiciliari non mancavano, e Bulma sarebbe stata la prima a volere il suo migliore amico in salute. Anche se probabilmente sarebbe stato un percorso lungo e difficile, non lo avrebbero lasciato da solo.
«So che... Kakaroth, so che non sono stato spesso una persona buona con te. Ma vorrei che ora ti fidassi di me».
«Ti sbagli» gli rispose lui, con il tono di voce più sicuro rispetto a prima. «Mi sono sempre fidato di te».
Qualcosa nel petto di Vegeta scricchiolò. Forse perché in quel momento si ricordò che quel demente lo aveva salvato e si era fidato pure a lasciarlo andare quando era solo un assassino spietato. Forse perché un poco questo limava il suo senso di colpa.
«E allora vieni» disse Vegeta, porgendogli una mano. Kakaroth la guardò come se fosse uno strano fenomeno boreale mai visto prima d'allora. In effetti Sua Maestà era sempre stato riluttante verso qualsiasi contatto con lui.
Lentamente Kakaroth allungò le dita verso di lui. Tremavano come foglie, ma Vegeta le prese lo stesso e, come se fosse fatto di piume, lo aiutò a sollevarsi senza fatica.

Sollevami sollevami sollevami.

La coperta scivolò dal suo busto e ne svelò un corpo troppo poco muscoloso, smagrito, tremante. Vegeta lo ignorò. Continuò a trascinarlo verso di sé e lui, con estrema fatica, si sedette. Poi, sempre guidato, riuscì ad alzarsi. Le forze sembrarono mancargli sul serio, non solo a livello psicologico, ma Vegeta lo tenne saldo, lasciò che si aggrappasse a lui.
«Ti tengo» lo rassicurò, e Kakaroth annuì sull'orlo di un singhiozzo. «Ehi, idiota... guardami» mormorò, giusto in tempo per non farsi spezzare il cuore in quel modo. Kakaroth sollevò il capo e lo fissò con curiosità. «Non ti ci abituare. Dopo questa cosa tornerò a dartele di santa ragione, ok?» ghignò.
E, come se quello fosse il primo spiraglio di luce in mezzo al buio, Kakaroth sorrise debolmente. Niente a che vedere con quei sorrisi da clown che era solito elargirgli, ma era un piccolo passo.
Il secondo passo fu spostarsi lentamente, insieme.
«Vegeta...» lo chiamò Kakaroth, interrompendo l'andatura verso la porta d'uscita.
«Sì, Kakaroth?»
«Grazie» gli disse, sinceramente.
Vegeta chiuse gli occhi. Avrebbe dovuto farlo prima. Avrebbe voluto tornare indietro e ascoltare prima e meglio quegli echi. Era felice, però, che non li avrebbe più uditi. Non lo avrebbero più svegliato di notte. Il grido di aiuto inconscio di Kakaroth era stato finalmente ascoltato.
L'aveva guardato, l'aveva aiutato, l'aveva sollevato.
Ora doveva solo accompagnarlo fuori da quella porta e tornare a vedere il sole, nonostante il panico, nonostante la paura.
Così Vegeta gli rivolse uno sguardo beffardo e gli strinse una spalla. Non l'avrebbe lasciato solo.
«Zitto e respira».



 

ANGOLO DI EEVAA:
Buongiorno, gente!
Questa è una cosetta che ho scritto tempo fa in vista del mese della salute mentale. 
Lo so, Goku è molto OOC, proprio lui che siamo abituati a vedere sempre allegro, sempre stupido e senza preoccupazioni.
Ho scelto lui proprio per questo motivo: a volte l'altra faccia della depressione è proprio un gran sorrisone stampato sul volto.
E sì, so anche che la parola "zitto" può dar fastidio, non bisognerebbe mettere a tacere una persona, ma qui si sta parlando di Vegeta, una parvenza di IC avrei dovuto dargliela. E il suo intento era assolutamente buono. 
Volevo ringraziare Dulcinea del fandom inglese, che è sempre la prima a portare queste tematiche nelle sue fanfiction, alla quale mi sono ispirata per parlare di questa cosa.
Spero di non avere urtato la sensibilità di nessuno con questa storia, la tematica è molto importante e non volevo alcun modo sminuirla, anzi.
Il messaggio di sfondo che spero si sia capito è: non trascurate la depressione, vostra e degli altri.
La depressione è una malattia e come tale va curata. 
Un abbraccio a tutti!
Eevaa
 
  
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