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Autore: ClostridiumDiff2020    09/05/2021    0 recensioni
Nella grande casa gialla in soffitta Micaela aveva sempre visto una gran confusione, tanti mobili vecchi e tanta polvere. Non pensava che al richiamo di un tintinnante campanello potesse dischiudere e liberare una stravagante creatura, chiusa in un innocuo cassettone, qualcosa di imprevisto. A creature immaginarie che prenderanno forma e consistenza: folletti, demoni e cacciatori. Infinite realtà di cui fino a quel momento ignorava l'esistenza.
Genere: Angst, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Billy Russo, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11 – Nelle fiamme…
 
 


 
Sfiorò l’intreccio di fili, purpurei. Ogni filo legava, ingabbiava le loro anime.
Doveva proteggere quanto costruito, doveva celare quei cuori, quel legame. Il Cacciatore stava già muovendo i suoi pezzi sulla scacchiera, facendo leva sulla trama di William, il suo punto debole. Il suo background… Il canovaccio da cui era nato. Ma Pixie avrebbe agito di conseguenza.
Non avrebbe più provato quel doloroso senso di impotenza di fronte agli autori che dall’altro intessevano le loro ragnatele, imprigionando, ghermendo, strappando le ali a creature meravigliose.
William avrebbe avuto la sua possibilità di liberarsi da quella tela e Micaela…
“Sai che sono qua, eppure esiti… Non sei mai stato un tipo silenzioso o meditabondo”
Pixie deglutì, stringendo con forza quei sottili fili che si aggrovigliavano tra le sue dita. Poteva vedere le loro anime legate, intrecciate. Il timore di William svaniva e trovava nuove certezze, doveva stare solo lontano dalle grinfie dell’altro di quello smeraldino tentatore.
“Mi ignori, un’altra novità… Fa uno strano effetto percepire la tensione, la paura… Forse hai finalmente compreso…”
Pixie si voltò, il cacciatore gli sorrise divertito “Ed eccoti… posso vedere il tuo vero io, il burattinaio di anime… Il ragno che intesse la sua tela e gioca con le sue marionette… Li osservi correre nel tuo labirinto, quando ti stancherai di loro li farai a pezzi? Li taglierai quei fili?”
Il folletto strinse con forza quella matassa rossa.
“Perché sei qua? Non sei venuto per William… Non sei ancora pronto per dirgli la verità… Per cui perché sei qua…”
Le ali del cacciatore fremettero “Volevo vederti…”
I grandi occhi di cielo del folletto fremettero.
“Lo detesto, ti detesto… Ma non riesco a rinnegare questo bisogno… Ora che sei qua, di nuovo…”
Pixie chiuse gli occhi, non poteva concedersi di provare qualcosa, non di nuovo. Qualunque cosa dicesse, provasse lo avrebbe contrastato ancora, ferito. E avrebbe lottato con tutte le sue forze per distruggere tutto quello che stava cercando di costruire.
“Io li proteggerò…”
“A costo di sacrificare tutte quelle vite? Per questo li hai strappati alle loro storie? Per distrarmi dai tuoi protetti? Mi spiace che tutti i tuoi sforzi siano vani… William ti si rivolterà contro e senza neanche saperlo si condannerà a morte da solo…”
Pixie si voltò, non riusciva a osservare quell’occhio morto senza provare dolore.
“Se sai che ne sono a conoscenza, cosa ti fa credere che non trovi una soluzione?”
La risata del cacciatore echeggiò per la vuota soffitta, come un delicato scampanellio.
“So che stai cercando di legarlo a lei… La tua speranza si basa sul nulla, è solo una creatura d’inchiostro e immaginazione, non può uscire dalla traccia che è stata scritta per lui.. Potete chiamarlo William, far leva sulle sue… emozioni… Una mera illusione, alla fine lui verrà da me, perché è questa la sua natura. E dopo che mi avrà dato quello che voglio morirà, perché è solamente un errore, una delle tue aberranti mostruosità…”
Pixie si portò le mani al petto, il gomitolo stretto al petto, le loro anime ancora si sfioravano serene ignare della lotta che avveniva così vicino ai loro cuori.
“Perché mi dici questo…”
La fata attese, osservando le spalle frementi del folletto.
“Perché come ti ho detto… Per quanto ti detesti, non posso non provare dolore per la tua sofferenza… Volevo essere… Gentile, avvertirti che questa cosa non ha futuro, di non legarti troppo a loro…”
“William ti sorprenderà…”
“Io ne dubito…”
Un ultimo scampanellio e Pixie seppe che il Cacciatore se n’era andato.
Si allontanò dalla soffitta, la casa era avvolta dalla tenebra. Quasi poteva sentire il battito dei loro cuori. Dormivano assieme, intrecciati, lei nascosta tra le braccia di lui. Il folletto si avvicinò gli sfiorò il volto, adesso rilassato, sereno. William stava sognando? La sua mente si aggrappava a quelle sensazioni mentre Micaela lo ancorava a quel mondo, affondando le unghie in quello spirito.
 
 
 
Micaela osservò William indossare la giacca per poi scrollare le spalle. Lo faceva sempre quando si fermava a pensare un momento. Dava una piccola scrollata indugiando sulla spalla destra, come se potesse ancora fargli male dopo tutto quel tempo. Non se l’era rotta da un giorno, in realtà non era mai davvero accaduto, era parte del suo background e Micaela non era certa che se ne sarebbe mai davvero dimenticato. Non un dolore fisico, ma di certo la sua mente continuava a focalizzarcisi, come se potesse catalizzare tutto il dolore passato e futuro in quel piccolo quasi impercettibile movimento.
Micaela lo osservava, le grandi spalle che si sollevavano e poi si riabbassavano, che si sforzavano di mostrare sicurezza e tranquillità.
Ma lei poteva percepire la tensione malcelata, anche se non gli avesse stretto la spalla. Era così incordato da farle pensare che effettivamente sentisse dolore. I suoi muscoli erano tesi.  
“Sorridi, non dovrai passare una mattinata al centro prelievi a imprecare contro le vene malmesse…”
Lo sentì ridere nervosamente. Prima di sfiorarle la mano e alzarsi, scivolò via dalle dita. Lo osservò portarsi le mani al volto sollevando con le dita ai lati delle labbra in un sorriso simulato, prima di accennare un saluto ed allontanarsi.
Micaela sapeva cosa lo rendesse tanto nervoso, la paura che quel che avesse costruito fino a quel momento stesse per crollare. Avrebbe voluto dirgli che non ne aveva motivo, ma per quanto Samuel le avesse promesso che non avrebbe parlato Micaela non aveva controllo su di lui. Non avrebbe potuto risanare lo strappo che sia era andato creandosi tra lui e William.
A William era evidente quanto mancasse sentirsi parte di un gruppo, a capo del suo personale branco. Forse aveva anche pensato di averne trovato uno nuovo e ancora una volta si era sgretolato davanti ai suoi occhi.
Micaela voleva urlargli dietro di non abbattersi, ma si trattenne, sarebbe stato dannatamente infantile come cosa da fare.
Avere accesso ai pensieri di William così facilmente la faceva sentire una ladra ed era quasi grata che avesse delle porte chiuse nella sua mente a cui non potesse accedere, esattamente come lei. Delle parti dei suoi pensieri che le fossero preclusi. Avrebbe trovato ingiusto il contrario.
La cosa assurda è che lei oltre le sue porte tenesse anche cose che forse non necessitavano di protezione. Come parole che sentiva premere quando gli sfiorava la mano.
Lo osservò allontanarsi, aveva le spalle incurvate e quel passo spavaldo alle volte lasciava il posto a un andamento strascicato ed incerto. Come se parte di lui desiderasse incollarsi al suolo per non avanzare più.
 
 
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Samuel appoggiò la cartella sulla pila, non lo vedeva dalla grande rivelazione.
Forse era stato davvero più sgarbato di quanto pensasse, gli mancava il suo amico, anche se si era guardato bene di scriverglielo. Non era una fidanzatina lamentosa, ma si era abituato a vederlo comparire nel suo reparto con quell’espressione da schiaffi per proporgli una bevuta con lui e Hans.
Aveva molti colleghi, tante persone con cui scambiare una bevuta e qualche battuta ma nessuno era William e ora lo capiva. Era stufo di aspettare, Disse alla collega che si allontanava un attimo e uscì dalla corsia. Intravide William alla macchinetta del caffè, Hans. Soppesò come esordire ma ogni frase gli pareva una colossale scemenza.
Perché gli importava tanto? Stava per fare marcia indietro rinunciano ai propri propositi quando Hans lo vide e lo chiamò con la sua voce cavernosa lo raggiunse. Samuel imprecò e si stampò in faccia un sorriso fittizio. Evidentemente anche William aveva optato per la stessa strategia perché sollevò lo sguardo dal suo caffè e gli fece cenno di saluto con quel sorriso sghembo da gatto. Già ora che lo osservava bene lo aveva visto quel sorriso nella sua serie televisiva, era il sorriso paraculo che si stampava in faccia quando stava per dire una menzogna talmente palese che nemmeno lui ci credeva davvero. Della serie, sappiamo entrambi qual è la verità ma non te la ammetterò mai nemmeno sotto tortura.
Samuel avrebbe voluto stare al gioco, scambiare qualche battuta di farlocca ma sorprendendosi di se stesso si diresse da William e con una pacca alla spalla esordì con “vieni, stanno operando un tizio che ha abbracciato un cartello stradale con la macchina”
Hans alzò gli occhi al cielo “Questa vostra comune passione mi disgusta immensamente”.
William dette una scrollata di spalle, era sorpreso, ma non quanto Samuel lo era da se stesso.
Salutarono Hans e si avviarono, Samuel sentiva la sua mente fumare, straripante di pensieri.
William camminava molleggiante con le mani in tasca.
Maledetto, si disse Samuel, perché non provava lui a avviare una conversazione, e se non aveva voglia di parlargli… perché cavolo aveva detto di si e non si era inventato una scusa? Se era tutto cambiato definitivamente, che senso era. Avrebbe voluto picchiarlo, solo che era il doppio di lui, non sarebbe stata una scelta accorta. Non c’era nessuno studente a d assistere all’intervento. Forse perché era notte inoltrata, o forse perché non tutti avevano quella sua malsana passione.
Quando ancora si parlavano William era stato sempre piuttosto curioso di sapere ogni dettaglio e Samuel non avrebbe potuto esserne più entusiasta. Non sempre gli capitava di potersi andare a briglia sciolta con qualcuno, generalmente lo stoppavano ma non William. In effetti anche Micaela era sempre stata molto interessata. In effetti era una casa che condividevano tutti e tre.
Gli mancava, voleva resettare quanto appreso e tornare a prima, voleva solo vedere il suo amico di bevute, fare qualche battuta e non pensare ad altro.
“Non ci credo… ancora altri pezzi di cartello…” esclamò William avvicinandosi al vetro.
“Io non riesco a credere che con tutta la musica esistente al mondo riesca sempre a scegliere il brano peggiore… Poveri martiri quelli del suo staff…” borbottò Samuel.
“Magari se lo meritano…”
“Nessuno se lo meriterebbe mai… Ma ci pensi, con il cervello aperto chissà cosa può entrarci dentro… anche pessimi gusti in fatto di musica… Dovremmo proprio salvare quel poveretto...”
William sghignazzò divertito e Samuel sentì la tensione sciogliersi, forse poteva semplicemente far finta di nulla.
“Credevo che volessi farmi delle domande… Su…”
“No, decisamente…  Volevo solo farmi due risate e magari andare a vedere la partita a fine turno, ma se preferisci il terzo grado…”
“Diavolo no…”
Tornarono a guardare l’intervento.
Samuel riprese a parlare e William a commentare divertito.
Forse non era cambiato poi molto, forse quella nuova consapevolezza non poteva davvero guastare alcunché. Era sempre quello scemo di William, curioso, sarcastico e divertente, con cui bersi una birra davanti a fine turno e parlare di tutto.
 
 
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Micaela si concentrò sulla sua mano, una piccola fiamma vi apparve. Lei la osservò prima di ricacciarla indietro con un rapido gesto. Non le era più capitato di perdere il controllo del suo potere. Era strano chiamarlo così. Sospettava di dover ringraziare William. Tanto si era sentita smarrita all’addio di Cristina tanto William la rassicurava. Era serena, malgrado persistesse quella sottile insinuante paura che alla fine di tutto, William avrebbe preso il suo desiderio e sarebbe fuggito.
Lontano da lei, come facevano tutti.
I suoi genitori, Cristina…
Forse anche Pixie alla fine l’avrebbe abbandonata.
Pixie… Micaela non riusciva a inquadrarlo, non riusciva a credere fino in fondo che fosse sincero quando affermava di voler solo esaudire i suoi desideri.
Per gratitudine?
Qualcosa non le tornava, nell’espressione furente del cacciatore, cosa poteva aver fatto per meritare una condanna eterna? Una condanna peggiore della morte.
Micaela indossò la giacca e si caricò lo zaino in spalla.
William era andato con Samuel a prendere una birra e lei era felice che il suo rapporto con l’amico si fosse rassestato. Lei aveva anche deciso di rivelargli dei suoi poteri ipocinetici, non voleva rischiare di farglieli scoprire nel peggiore dei modi.
Mentre camminava si accorse di tremare, l’aria si addensava e il suo fiato improvvisamente formava nuvolette di ghiaccio.
Il lungo viale alberato era improvvisamente silente, non un rumore, non un sussulto. Come se il tempo stesso di fosse congelato. Micaela si strinse nelle spalle, ben consapevole di quello che stava per accadere. Ma non aveva i riflessi da combattente di William e quando la lancia di ghiaccio balenò nel suo campo visivo evocò le fiamme troppo tardi ed essa esplose troppo vicina a lei sbalzandola a terra.
Micaela percepì il suo battito accelerare all’improvviso, mentre il guerriero di ghiaccio emergeva dalla penombra in cui si era nascosto.
‘Perché diavolo fanno tutti così, si nascondono in piena vista e nessuno li vede mai…’
Quando l’uomo avanzò osservandola con i suoi occhi lattiginosi Micaela si ritrasse.
‘Perché non ho chiesto a William di insegnarmi qualcosa… Perché faccio sempre affidamento sul fatto che lui ci sia… Non può apparire sempre per coprirmi le spalle.’
Le fiamme erano tremanti e incerte, il freddo le penetrava nelle ossa e poteva percepire lo sguardo ostile e divertito del Cacciatore. Magari era stato lui a inviarle contro il Soldato di ghiaccio, stipulando un accordo. Non era una bambina, non era la creaturina bisognosa che Cristina aveva sempre visto.
Non voleva essere un peso per nessuno, nemmeno per se stessa.
Quando il Guerriero di Ghiaccio avanzò. Cercò dentro di sè la rabbia e le fiamme apparvero rigogliose avvolgendola come un abbraccio. Il suo potere, bramato, la sua forza dono inatteso e inespresso.
Micaela si lasciò andare e le fiamme esplosero. La sua furia eruppe in un oceano rosso.
Era come se di fronte a sé non avesse solo quella creatura di ghiaccio, ma anche quell’uomo che con impassibile determinazione aveva visto uccidere William infinite volte, quella donna e le sue parole sferzanti… E sì, anche quella donna dagli ipnotizzanti occhi neri. Voleva nutrirsi di quelle emozioni così nere, alimentare con esse le sue fiamme. Ed era finalmente forte e libera. Una risata le risalì in gola ma invece della sua voce udì un ruggito feroce.
Poi il suo sguardo si abbassò e si rivide specchiata nei grandi occhi scuri di William, nei quali splendeva un drago fiammeggiante.
Quando era apparso? Evocato da Pixie? Trascinato da lei contro la sua volontà da quel folletto dispettoso e impertinente?
L’espressione che lei vide nel volto di lui la fece vacillare, vi vide terrore, che mai aveva visto in William e che mai avrebbe pensato possibile vedere. Almeno non mentre la osservava. Non credeva di poter spaventare nessuno, ma William… Aveva paura che lei potesse fargli del male?
Le fiamme svanirono in uno sbuffo di fumo, rapide come erano arrivate, l’uomo di ghiaccio scomparso in una manciata di cenere azzurra.
Le forze sembravano abbandonarla come le certezze che l’avevano trattenuta in piedi.
Micaela avanzò un passo incerto mentre il cuore le sprofondava in petto di fronte ai grandi occhi sgranati di William.
Quando allungò la mano verso di lui lo vede ritrarsi all’istante.
Fu un istante e poi William si riscosse. “Scusami io…”
Ma Micaela non udì altro, aveva desiderato intensamente di sparire e il nulla l’aveva avvolta.
Cadde a terra con un stonfo e imprecò furente “Pixie maledizione! Quante volte ancora devo dirti di non decidere per me… Non ti ho chiesto nulla”
Il folletto fluttuò davanti a lei, evanescente come sempre. “No, ma lo hai desiderato. Con tanta di quella forza che è come se lo avessi urlato”
William si era ritratto davanti a lei, Lui alto e possente, forte, che non chiedeva mai aiuto e che non temeva niente, che mai aveva dimostrato di averne, era spaventato, da lei. Dalla sua incapacità di controllare quella forza che esplodeva con la sua furia. Non era lui quello che nel suo background non controllava la rabbia? Doveva esserci pure una traccia di quei ricordi, doveva comprendere… Si era sbagliata? Non erano davvero simili come immaginava.
In effetti da quando aveva lasciato la sua storia si era sempre dimostrato molto calmo e controllato. Mentre lei aveva completamente perso il controllo di un potere che le era arrivata dal cielo e di cui si era appropriata così facilmente, come se se fosse sempre stato suo. Era lui che non l’aveva fatta davvero entrare, era lui che la stava lasciando da sola, esattamente come Cristina. Scacciò le lacrime ma non riuscì a allontanare da se quel senso di dolore e delusione.
Micaela si guardò attorno, era al buio, seduta a terra, rannicchiata su se stessa.
“Dove sono?”
Il folletto si guardava attorno “Non so… Era il posto che desideravi raggiungere…”
Il posto che lei desiderava davvero raggiungere era il nulla, la forza di Fantasia che è in grado di cancellarti dalla realtà. Ma non si trovava nel Nulla, vi era un suolo a contatto con la pelle della sua mano. I suoi occhi si abituavano all’oscurità e dalle tenebre vide emergere una struttura in metallo che si elevava verso il cielo tutto attorno a lei, metallo e vetro, lo riconosceva. Era la grande serra che si intravedeva dall’ospedale. Ci aveva passeggiato giusto quella mattina assieme a William e Samuel. Doveva avergli detto come una scema quando da piccola si recava in quel posto cercando di nascondere i messaggi per le fate degli incavi degli alberi. Si era sorpresa di quella confidenza. Quando Samuel le aveva chiesto quale dei suoi genitori l’avesse portata al parco lei aveva cambiato bruscamente discorso. Aveva visto una strana luce negli occhi di William, sapeva bene quanto l’argomento genitori fosse un tasto dolente, nonostante tutto… Quei ricordi erano troppo radicati nella sua mente per poter andare oltre le proiezioni. Era stata una bella mattinata, di risate e battute stupide, le sembrava una cosa così lontana ormai.
Voleva sentire la sua voce, voleva sentire la sua dannata risata e ridere assieme a lui di qualcosa di scemo.
“Micky”
Micaela sollevò lo sguardo e una lacrima le rigo il volto.
“Micky dove sei?”
La voce di William ruppe il silenzio.
“Pixie non volevo che lo portassi qua di forza, non è un pupazzo, non puoi trascinarlo a giro per l’universo… Non importa cosa io desideri…”
Era vero, lo desiderava più di qualsiasi cosa, ma non in quel modo.
Il folletto scosse la testa prima di svanire “Io non ho fatto niente… Ha fatto tuto da solo…”
Lo intravide e poi emerse dall’oscurità come uno spettro. Pallido, i grandi occhi scuri sgranati come potessero assorbire la tenebra che li circondava.  Quando la vide le corse incontro e prima che lei potesse dire qualcosa la strinse a se con forza da mozzarle il fiato.
Mi dispiace, non volevo… Non… bruciami, mi lascerò divorare dalle fiamme ma non arretrerò mai più…
I suoi pensieri erano così forti che Micaela credette di averlo sentito urlare.
Chiuse gli occhi e ricambiò la stretta.
Posso restare stretta a te per sempre?
Non le importava che potesse sentirla, voleva aggrapparsi a lui con tutte le sue forze e chiedergli di non chiuderla al di fuori di troppe porte.  

 
   
 
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