La
giornata trascorre in apatia, tra delle
mura diventate una vera e propria prigione che alimenta
l’agonia di chi vi
abita.
Sebastìan
non abbandona la sua stanza, tanto
che Nairobi si vede costretta a lasciargli la cena a pochi passi dalla
cameretta, adagiando un vassoio su un piccolo mobile di legno
lì accanto.
Alba,invece,
indossa le grandi cuffie
regalatele al compleanno dagli adorati zii, Tokyo e Rio, e si isola nel
suo
mondo fatto di musica o cinema. Ama guardare film e serie tv, grazie ai
quali è
in grado di sognare di trovarsi in una
realtà diversa da quella che sta purtroppo vivendo.
Dal
canto suo, Agata, rimasta in cucina a
lavare le stoviglie, anche quelle già pulite, trova sfogo
alla sua frustrazione
nella pulizia e nel riordino di vecchi libri sulle mensole del salone.
È proprio
quando sistema raccoglitori vari, si imbatte, senza volerlo, in un
album dalla
copertina bianco perla, sulla quale si possono rilevare e palpare i
calchi di
due fedi nuziali.
La
gitana, nostalgica, lo apre vogliosa di
assaporare, tramite i ricordi, dei momenti di felicità
pura…una felicità
guadagnata dopo difficoltà che credeva insormontabili.
La
prima fotografia mostra, in un solo scatto,
l’amore che lega la donna a Bogotá, uomo che
inizialmente non apprezzava, se
non sul piano professionale.
“Non ti
toccherei nemmeno con un palo” – quella
frase rivolse anni addietro all’attuale
marito, dandogli un amaro due di picche, riecheggia nelle sue orecchie,
ricordandole quanto fosse stata scontrosa con un uomo che perse la
testa per
lei dopo solo qualche ora di conoscenza.
La
dolcezza del saldatore, all’apparenza un
casanova senza scrupoli, la conquistò e la cambiò
totalmente. Abbassò quelle
mura difensive che si era costruita dopo aver sofferto molto e si
aprì all’amore
vero.
“Ricordi
quando ti ho detto che non ti avrei toccato neanche con un palo?
Beh…ci sto
pensando” – anche quel momento si fece
vivido alla mente della gitana,
accendendo in lei un timido sorriso.
Sfiorò
la fotografia, come a voler assorbire
la gioia di quel giorno, impresso nella sua memoria. Delle nozze
organizzate in
maniera bislacca, come sono soliti fare tutto nella vita i
Dalì. E Nairobi
sapeva bene, quando accettò la proposta del saldatore, che
il matrimonio
avrebbe avuto dei limiti: niente chiesa addobbata di fiori e di un
lungo tappeto
rosso, niente ristorante con feste e numerosi invitati, nessun parente
… beh di
questo la Jimenez non soffrì sicuramente, visti i rapporti
inesistenti sia con
la madre che con il padre.
Mentre
scorre le pagine dell’album
fotografico, con le lacrime agli occhi, la gitana non può
non sentire il
desiderio di tornare a quei momenti speciali, quando Tokyo fu la sua
testimone
e Rio quello di Bogotá. Alba aveva due anni
all’epoca e indossava un vestitino
bianco di tulle, con un cerchietto di fiori tra i capelli,
già molto lunghi e
voluminosi, corposi come quelli della sua mamma.
Innamorata
di quell’immagine scattata alla
damigella, mano nella mano con Selene, la Jimenez nota una forte
somiglianza
tra la figlia e Bogotà. Hanno la stessa carnagione, lo
stesso colore di
capelli, persino lo stesso sguardo.
“Il
mio angioletto” – commenta ad alta voce,
riferendosi ad Alba seduta sulle gambe di Tokyo, durante la cerimonia.
Continua
la visione dell’album ed ecco che
torna a bloccarsi…stavolta davanti all’immagine di
un bacio che segnò un SI per
la vita, un bacio che aveva il sapore del tanto desiderato happy
ending.
Il
giorno più importante della sua vita,
Nairobi lo trascorse in condivisione con i suoi testimoni
nonché migliori amici
e due persone, ormai di fiducia, considerate protettrici delle
identità dei
quattro Dalì giunti a Perth: Carmen e Adam Johnson, lei spagnola, lui
australiano. Sono stati
proprio i due, conoscenze di Sergio Marquina, a dare ai Dalì
residenti a Perth
la giusta protezione, oltre che delle false
identità… per l’ennesima volta!
“Da
oggi in poi, qui in Australia sarete i
signori Sanchez!” – fu quello che venne comunicato
alla coppia, subito dopo la
celebrazione. Anche la loro prole avrebbe portato quel cognome.
La
gitana , fissa con lo sguardo sull’album,
non si accorge che Bogotá è rincasato.
L’uomo,
a passo lento, percorre i pochi metri
che lo separano proprio dal salotto dove la donna, seduta sul divano,
rispolvera vecchi ricordi.
L’ex
saldatore spia la moglie, osservandola
commuoversi. È spiazzato nel guardarla sfogliare
l’album del loro matrimonio, e
fingendo di non aver notato quel dettaglio, manifesta la sua presenza
lusingandola
- “Sei bellissima”
Non
resiste nel dirlo, vedendola talmente
splendida nella sua fragilità.
Quel
complimento fa sobbalzare Nairobi che,
si volta verso di lui e chiude subito l’album di foto,
nascondendolo sotto il
cuscino del sofà.
“Sei
tornato?! Cosa hai fatto fino a
quest’ora?” – il tono di rimprovero,
sminuisce l’apprezzamento sincero
dell’uomo alla sua compagna.
“Avevo
bisogno di stare da solo! Però guardandoti
lì, preda delle tue emozioni, mi sono accorto che non mi fa
stare bene la
solitudine…” – lento avanza verso la
consorte e le si siede vicino.
“Se
hai fame, c’è del pane e del
prosciutto…”
– commenta lei, alzandosi in piedi.
Fa
per andarsene, ma stavolta è Bogotà a
impedirle di farlo.
“Aspetta,
ti prego” – la prende per mano,
trattenendola.
“Cosa
vuoi? Ho sonno, lasciami andare a
dormire. Domani arriverà la squadra e dobbiamo essere in
forze! Starmene a casa
qui a non fare un cazzo mi fa solo più
male…almeno tra 24 ore daremo il via
alle ricerche. Abbiamo aspettato anche troppo…”
– così dicendo, allenta la
stretta del marito e si dirige nella stanza degli ospiti, la stessa
nella quale
ha pernottato la sera precedente.
“Per
quanto tempo pensi che dormirai in un
letto che non è il nostro?” – replica il
saldatore, costatando i fatti.
“Buonanotte!”
– Nairobi non ha voglia neppure
di replicare. Chiude la porta e si libera immediatamente della maglia
che ha
indosso.
Non
immagina che il marito avrebbe invaso la
sua privacy proprio in quell’istante.
“Nairo…ascolta”
– dice, piombando nella
camera.
“Ma
che cazzo…?!”
- esclama la gitana, arrabbiandosi.
“Scusami,
volevo solo chiarire che…”
“Ti ho detto che ho sonno. Voglio dormire, puoi uscire per
favore? Prima che mi
incazzi sul serio. Mi conosci, sai come divento quando mi arrabbio.
Adesso
esci…” – gli indica la porta.
E
quando è a pochi passi dall’uscita, il
capofamiglia scuote il capo, fortemente deluso dalla consorte
– “Se non mi ami
più, basta dirlo!”
“Che?!”
“Perché
cazzo guardi le fotografie del nostro
matrimonio se invece non provi più nulla?”
“Cosa
stai dicendo? Non capisco” – finge lei,
appurando che l’album che lei ha nascosto con premura per non
essere scoperta
nel momento di fragilità, è stato invece scoperto.
“Ti
ho vista prima! E conosco quell’album alla
perfezione. Lo guardo spesso anche io, sai? Mi ricordami di quando
eravamo
felici! Perché non vuoi più avermi
vicino?”
“Basta!”
– replica lei, non sopportando
parole che le appaiono assurde. Certo che lei ama Bogotà,
anche se il suo
comportamento dice il contrario.
“Basta
lo dico io! Se mi ami davvero, se
tieni a me, stanotte non dormi qui dentro. Dormi accanto alla persona a
cui hai
detto SI sull’altare. Io ho bisogno di averti accanto, di
sentire che ci sei.
Affrontare un momento così difficile da solo è un
suicidio. Sai che è così.
Siamo marito e moglie e i problemi li affronteremo uniti. Sbaglio o sei
stata
proprio tu ad insegnarmelo? Mi hai detto più volte che io
fuggivo dalle
responsabilità e dalle
difficoltà…bene, eccomi! Io ci sono, li sto
affrontando…sei tu quella che scappa…”
– lo sfogo di Bogotà paralizza Agata
che, rimane in silenzio, con gli occhi bassi.
“Se
mi vuoi ancora, sai dove trovarmi!” –
conclude lui, chiudendosi la porta alle spalle.
E
Nairobi, sola di fronte ad una stanza
vuota, si accascia a terra e scoppia a piangere.
Bogotá,
invece, torna in salotto e tira fuori
dai cuscini del divano l’album nascosto da Nairobi. Si getta
a fondo nei
ricordi, speranzoso che solo quelli possano placare il suo animo.
È
tarda notte quando il saldatore si corica,
costatando che il letto è vuoto.
Sua
moglie ha deciso ormai…e ha deciso di
fare a meno della sua presenza!
Affranto,
si libera della camicia, indossa i
pantaloni del pigiama e una canottiera nera, si sdraia nella sua
postazione
abituale, spegne la bajour sul comodino e chiude gli occhi.
Difficile
dormire, pensa tra se e se eppure
senza rendersene conto, cade tra le braccia di Morfeo, esausto
fisicamente,
psicologicamente ma soprattutto emotivamente.
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E’
quasi l’alba e Nairobi viene svegliata di
soprassalto da un incubo.
Due
occhi agghiaccianti e una voce inquietante
la fanno tremare
“Hei
meticcia, ti avrei detto che ti avrei
uccisa”
Sudata
e tremante, sobbalza dal letto,
pronunciando il nome di un essere mostruoso che la torturò,
voglioso di
toglierle la vita.
“Gandia”
- anche solo
menzionarlo sembra risvegliare
nel suo corpo l’ansia vissuta.
E
così istintivamente, i suoi piedi e la sua
testa la conducono in un’altra camera da letto.
Entra,
senza far rumore, proprio nella sua
stanza matrimoniale dove il marito dorme.
Avrebbe
potuto chiamarlo o chiedere conforto
tra le sue braccia. Eppure avverte, nuovamente, un freno.
Così,
trova un’altra soluzione. Raggiunge
Alba e si stende accanto a lei.
“Mammina,
che succede?” – domanda
l’undicenne, svegliata di soprassalto dalla figura materna.
“Shhh
torna a dormire!” – le sussurra,
accarezzandole il viso con dolcezza.
E
la bambina approfitta del momento,
accoccolandosi al petto della donna.
L’abbraccio
che la Jimenez cercava per
tranquillizzarsi le è servito a chiudere gli occhi di nuovo
e cedere al sonno.
*******************************
E’
tarda mattinata quando la Jimenez si
sveglia, di soprassalto, rendendosi conto di essere sola nel letto.
“Cazzo!”
– esclama, controllando poi la
sveglia sul comodino – “Ma è
tardissimo!”
Trova
un biglietto sul cuscino di Alba e lo
legge ad alta voce.
“Dormi
pure, mammina! Noi siamo con zia
Tokyo” -
a comunicazione serve a
tranquillizzarla circa l’assenza della figlia.
Così,
il più rapidamente possibile, indossa
le sue babbucce e corre in bagno per una doccia.
Questo
giorno è speciale: avrebbe
riabbracciato i Dalì e conosciuto finalmente i sette figli
di Bogotà…ma
soprattutto, rivedrà il suo adorato Axel.
Veloce
come la luce, raggiunge la cucina
mentre sistema una pinza tra i capelli.
C’è
del caffè caldo già pronto e una tavola ben
imbandita di cibo e bevande.
Si
siede e sgranocchia i biscotti preparati
la sera prima. All’improvviso viene attirata da alcune voci
in giardino.
Sbircia
dalla finestra e le basta poco per
riconoscere che a parlare con Bogotà sono persone fin troppo
familiari.
Gli
occhi di lei si illuminano e, senza
esitazione, corre fuori casa diretta proprio verso un gruppetto di
gente.
“Professore”
– grida di gioia, andandogli
incontro.
Sergio
Marquina, sempre uguale nel look e nel
portamento, tranne per alcuni capelli brizzolati, l’accoglie
in un abbraccio.
Sempre rigido come quando Nairobi lo conobbe la prima volta,
l’intellettuale
fratello di Berlino si emoziona nel rivederla.
E
ovviamente, come stabilito, non c’è solo
lui… Agata in un battibaleno si trova accerchiata da
Lisbona, Denver,
Stoccolma, Helsinki, Palermo…
“Siete
venuti tutti!” – piangendo, li
abbraccia uno ad uno, ringraziandoli di cuore per aver messo a rischio,
per
l’ennesima volta, la loro libertà.
“Scherzi,
vero? Sai che siamo venuti qui
perché ci mancavi da morire” – ridacchia
Denver, sdrammatizzando. Probabilmente
la sua presenza sarà fondamentale per smorzare la tensione
ogni volta che si
toccherà l’apice.
Tokyo
e Rio, assieme ai Johnson, raggiungono
il gruppo poco dopo.
Una
volta entrati tutti in casa, i Dalì si
trovano di nuovo di fronte a una missione e mai come in quella
circostanza,
sentono di dover dare il massimo.
“Ginevra
tornerà qui, state tranquilli. È una
promessa” – così Sergio conforta gli
amici.
“Hai
qualche idea su chi potrebbe essere
stato? Magari se qui vive qualcuno della polizia che vuole
catturarci!” –
chiede il saldatore al Professore.
“Dubito,
però bisogna scovare delle tracce.
Innanzitutto la prima cosa da fare è chiedere quanto
più possibile all’ultima
persona che ha avuto contatti con Ginevra…”
– sostiene il Marquina.
“Sebastìan!”
– afferma Bogotà, ricordando che
i gemelli erano assieme al momento della scomparsa.
“Deve
raccontarci ciò che sa! E’ un modo per
cominciare altrimenti rischiamo di perdere ancora del tempo
prezioso” –
aggiunge Lisbona, intromessasi nella conversazione tra i tre.
Nairobi,
presente ma di poche parole, sente
in cuor suo che nulla sarà facile come previsto. Il suo
bambino si è chiuso in
se stesso, non parla…come possono costringerlo a rivelare
dettagli utili alle ricerche?