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Autore: Farkas    13/05/2021    3 recensioni
Le sorelle Halliwell e i loro compagni hanno affrontato tante sfide nella loro vita, ma forse la più grande è l'essere diventati genitori.
Fare il genitore è molto più dura che che affrontare le forze del male, ma può dare molta più soddisfazione.
Una raccolta che presenta alcuni importanti momenti tra i figli delle sorelle e i loro genitori.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Paige Matthews, Phoebe Halliwell, Piper Halliwell, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Genitori e figli

 

Capitolo 11: La vera madre

 
“Una madre è come una sorgente di montagna che nutre l’albero alle sue radici, ma una donna che diventa madre del bimbo partorito da un’altra donna è come l’acqua che evapora fino a diventare nuvola e viaggia per lunghe distanze per nutrire un albero solo nel deserto” - Talmud.
 
 
 
 
A Julian fanno male le gambe e la schiena eppure si rialza ancora una volta.
Non può supplicare di avere un momento di tregua. Le suppliche fanno imbestialire nonna Elizabeth.
Julian ha solo otto anni ma è già molto più adulto di tanta gente.
Ha capito che la vita non gli darà mai felicità, e l’ha accettato.
Scaglia un fulmine e incenerisce una delle manticore, che la nonna ha imprigionato perché lui potesse fare esercizio con loro.
Le manticore sibilano e gli si scagliano addosso a super velocità ma vengono sbalzate in aria con la telecinesi, e impalate su due delle tante stalattiti che si trovano negli Inferi.
Altre tre lo gettano a terra grazie alle loro urla soniche, ma gli basta prendere il controllo di una di loro con la telepatia e indurla ad attaccare le compagne per distrarle, e incenerirle con una gigantesca fiammata.
-Non male- commenta la nonna. -Ora vediamo come te la cavi contro un Wendigo tenuto opportunamente a digiuno-.
Julian non protesta. Sa che ogni “Non ce la faccio più” o “Non ci riesco”, nel migliore dei casi viene ricompensato a sfere d’energia e urla soniche.
E’ solo quando ormai il ragazzino ha davvero bruciato ogni singola energia che Elizabeth Turner esclama: - Per oggi basta-.
-Tu mi servirai bene - commenta la donna al loro ritorno a casa. - Ti ho dato la vita, e mi sono occupata di te fino ad ora. Tu mi ripagherai, non tradirai la tua vera natura come quell’indegno fallito di tuo padre-.
Julian sa cosa intende la nonna. Elizabeth gli ha raccontato mille volte la storia di come sua madre lo abbia abbandonato, di come il suo potere abbia consumato quella stolta della Veggente, di come lei lo abbia inserito nel suo grembo con la magia appena in tempo.
Il bambino è lì lì per svenire, ma trova comunque la forza di mormorare: - Buonanotte- prima di andare a letto. La nonna tiene alle formalità, all’educazione.
Julian non ha mai pensato a come sarebbe stato non essere abbandonato dalla mamma, ma ha sempre desiderato di non essere stato salvato dalla nonna.
La morte non lo spaventa, la morte vorrebbe dire la fine del dolore, anche se a volte il dolore è quasi confortante per Julian. È la costante della sua vita, la sua sola certezza, il suo unico amico.
Alla fine di ogni giornata, quando è troppo stanco per far altro che accasciarsi sul letto, maledicendo la sua sorte e coloro che a tale sorte lo hanno condannato, Julian si ripete il suo unico progetto, la sua sola ambizione “Me la pagheranno. Me la pagheranno tutte e due!”.
 
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I bambini in genere sognano di diventare astronauti, esploratori, supereroi, ma non Julian Turner. Lui sognava di avere sulle sue mani il sangue di Phoebe Halliwell e di Elizabeth Turner.
C’era qualcosa nell’animo del ragazzino, che sarebbe stato risvegliato da una carezza o da una parola gentile … ma Elizabeth Turner non carezzava, e non diceva parole gentili. Puniva crudelmente ogni fallimento e disobbedienza, e premiava il merito semplicemente astenendosi dal punire. E questa fu la sua rovina. Perché se al bastone, avesse alterato di tanto in tanto la carota, il nipote avrebbe potuto sviluppare affetto e lealtà nei suoi confronti, anziché odio e desiderio di vendetta.
Dire che Julian non avesse mai dei momenti felici però sarebbe stato inesatto: c’erano delle volte in cui la nonna stava via per giorni interi, e in quei giorni otteneva un po’ di tranquillità. Un adolescente che ha la casa libera in genere organizza feste, o almeno sta in piedi fino a notte fonda, ma il giovane Turner in genere si limitava a gironzolare un po’ per la città.
Quand’era piccolo la nonna lo informava che sarebbe stata via e gli lasciava un'unica raccomandazione: -Lo saprò se vai a cercare quella donna… e so lo fai te ne farò pentire amaramente! -. Ma Elizabeth Turner non ebbe mai bisogno di dar seguito alle sue minacce, e col tempo smise di avvertirlo.
Andare a cercare Phoebe Halliwell! A Julian non passava nemmeno per l’anticamera del cervello di fare una cosa simile. Non avrebbe avuto la minima idea di dove andare a cercarla, poi per quale ragione avrebbe dovuto desiderare di conoscere quella puttana? Ammesso e non concesso che gli avesse creduto se lui le avesse svelato chi fosse, perché mai avrebbe dovuto aiutarlo visto come si era curata di lui in passato? Chi gli garantiva che non l’avrebbe ammazzato come aveva fatto con suo padre? Invece la nonna diceva sempre che voleva che lui la servisse. Per servirla però doveva per forza essere vivo, ergo, per lui era più sicuro stare con lei.
Questo però non implicava che gli piacesse essere picchiato e maltrattato in continuazione… o che non sognasse di torcere il collo alla nonna e di essere libero di fare ciò che gli pareva per tutto il resto della vita, invece che per i pochi giorni in cui Elizabeth aveva di meglio da fare che badare a lui. Semplicemente se al mattino svegliandosi non la trovava in casa, Julian intuiva che avrebbe avuto un giorno di vacanza. Una volta era stata via per tre settimane di fila, tanto che il ragazzo aveva sperato che non sarebbe più tornata, ma poi una mattina se l’era ritrovata in salotto pronta a sottoporlo a una nuova sessione di allenamenti o meglio di tortura.
Poi c’erano le volte in cui la nonna lo picchiava per il semplice gusto di sfogarsi. Quand’era più piccolo Julian credeva che lo facesse perché aveva fatto qualcosa di sbagliato, ma alla fine aveva compreso che lo menava semplicemente per divertimento e per ricordagli chi comandava. Certe volte Elizabeth ci andava giù così pesante che il nipote pensava che l’avrebbe ammazzato. La cosa triste era che più che fargli paura l’idea gli dava una vaga sensazione di speranza… cosa che lo faceva vergognare e deprimere ancora di più.
Un giorno mentre stava per rincasare dopo una delle rare giornate di libertà, una voce lo chiamò e di fronte a lui comparve tramite una spirale blu, un uomo biondo sulla quarantina, smilzo, con occhi castani e un sorriso furbo.
-Ciao, Julian-.
-Tu chi sei? E che vuoi da me? -.
-Il mio nome è Tremotino- rise l’uomo. - E voglio farti un’offerta vantaggiosa-.
-Sarebbe? - chiese il moro diffidente.
-Sarebbe levarti di torno tua nonna. Vedi io la conosco molto bene… e dubito fortemente che ti piaccia stare con lei-.
-E mi aiuteresti così per puro altruismo? Ci credo poco-.
-E fai bene: in questo mondo nessuno fa nulla per nulla. Vedi tua nonna e io a volte abbiamo lavorato sia insieme, che l’uno contro l’altro e per me è diventata una vera spina nel fianco. Il guaio è che è furba e non riuscirei mai a prenderla di sorpresa, ma tu potresti aiutarmi, così saresti libero da lei… e in cambio potresti lavorare per me per ... diciamo… dieci anni? -.
Julian considerò l’offerta. Non voleva neanche pensare a quello che gli avrebbe fatto Elizabeth se lo avesse scoperto, ma d’altra canto l’idea di farle da schiavo per sempre non lo allettava minimamente.
- Cosa dovrei fare per aiutarti a eliminarla? E lavorando per te, i miei compiti quali sarebbero? -.
- Basterà che tu le lanci addosso l’incantesimo di tracciamento che ora ti svelerò. Vedi io sono a capo di un’organizzazione che si occupa di radunare oggetti magici, e fornire servizi di mercenari, pronti un po’ a tutto… sia per il bene che per il male. Sono certo che lo troverai un lavoro eccitante, stimolante… e forse anche divertente. Allora accetti? -.
-Sì. E di preciso cosa speri di ottenere con la tua organizzazione? -.
-Lavora per me abbastanza da guadagnarti la mia fiducia e lo saprai. E adesso stabiliamo una connessione telepatica. Per chiamarmi dovrai solo pensare il mio nome, attivando i tuoi poteri mentali-.
-Un momento, prima chiariamo una cosa: io obbedirò ai tuoi ordini, ma non aspettarti che ti chiami “Mio signore”, mi metta in ginocchio, o cose del genere. Non sono mai stato e non diventerò mai il lecchino di nessuno io-.
-Ma certo. Sarei uno sciocco a pensarlo. E non mi sarei mai sognato di chiederti di tenere un comportamento del genere- rise il mago prima di mettersi al lavoro.
 
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-E quella la chiami una scossa elettrica? Sei un incompetenteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee- urlò Elizabeth scagliando sul nipote un urlo sonico.
Il quindicenne cadde a terra raggomitolato su sé stesso, sopportando il dolore.
-Mi dispiace, nonna…-  boccheggiò appena la demonessa ebbe finito di strillare. Una raffica di calci sulla faccia del demone-stregone, fu la successiva azione di Elizabeth.
Quando alla fine la nonna si fu stancata di picchiarlo lanciò un altro urlo… non rendendosi conto del fatto che il nipote avesse approfittato del fracasso per lanciare l’incantesimo insegnatogli dal mago.
“Questa è stata l’ultima volta che mi hai preso a botte” pensò tutto soddisfatto l’adolescente mentre si rialzava.
 
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Al mattino successivo la nonna lo aspettava in salotto.
È l’ultima volta che la vedo”, si disse. E quel pensiero gli diede forza.
-Starò via per due giorni. Al mio ritorno mi aspetto che tu sia migliorato nell’elettrocinesi. Devi produrre più elettricità e per più tempo-.
-Mangio qualcosa e mi metto al lavoro-.
Elizabeth gli lanciò un’occhiata sdegnosa: - Già, tu devi mangiare, ogni tanto- concesse. - Spicciati però. Qui non c’è niente, va a cercartelo altrove-.
Julian annuì e un attimo dopo la nonna scomparve in un luccichio.
Ovviamente avrebbe potuto lasciargli dei soldi, ne aveva a bizzeffe* ma preferiva che si procacciasse il cibo da sé, in modo da impratichirsi con la magia… e con i furti.
 
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Julian era troppo nervoso per mangiare. Trascorse l’ora successiva fuori casa, in giro, cercando di convincersi che sarebbe stato libero dalla nonna dal giorno dopo in poi. Alla fine però, decise lo stesso di procurarsi qualcosa da sgranocchiare, se non altro per occupare la mente con qualcosa di diverso.
C’era un bar dall’aria carina. Sarebbe entrato, e avrebbe arraffato qualcosa con la telecinesi, approfittando del primo momento di distrazione dei baristi.
C’erano solo due clienti, un uomo dai capelli neri e una donna dai lunghi capelli castani. La donna si voltò per dire qualcosa all’uomo e il ragazzino rimase raggelato. Conosceva quella faccia. Elizabeth gliel’aveva fatta conoscere e l’aveva odiata da quando era stato abbastanza grande da capire che se la sua vita era un enorme concentrato di dolore e disperazione, la colpa era di quella donna e della sua stupidità.
Con l’arrivo dell’adolescenza, Julian aveva cominciato a diventare davvero molto simile a Cole fisicamente. Se Phoebe si fosse voltata e lo avesse visto, forse si sarebbe accorta di qualcosa. Se Julian l’avesse chiamata, e le avesse spiegato tutto, la sua storia sarebbe stata diversa. Ma Phoebe non si voltò. E Julian non la chiamò. Girò i tacchi e si allontanò più velocemente che poteva e quando fu sufficientemente lontano, si mise addirittura a correre. Stava per liberarsi di una parente che odiava, non voleva ritrovarsene subito un’altra tra capo e collo. Prima o poi avrebbe dato il benservito anche a lei, ma adesso non era il momento giusto.
 
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Le ore passarono sempre più lente e angoscianti. Julian rincasò e si esercitò con l’elettrocinesi. Che altro avrebbe potuto fare? La notte non portò riposo. Il ragazzino a ogni scricchiolio, temeva che fosse Elizabeth che veniva a punirlo schiumante di collera.
La giornata successiva fu anche peggiore. Ma alla fine passò.
Il giorno in cui la nonna sarebbe dovuta tornare Julian lo passò a guardare l’orologio col cuore in gola.
Verso le sei del pomeriggio aveva cominciato a sperare di essersene liberato per sempre, quando la madre di Cole gli comparve di fronte.
Un attimo dopo apparve anche Tremotino.
-Pazzo! Non so come riesci a seguirmi, ma qui ho tutte le mie armi e un alleato! - fece la vedova di Benjamin… quando il nipote la centrò in pieno con un fulmine.
-Bel colpo ragazzo! Insieme! -.
I due centrarono in pieno la donna con una scarica elettrica e un’esplosione di energia, facendola finire a bocconi sul pavimento.
-Infame! Mi hai tradito dopo che ti ho salvato e mi sono occupata di te per tutta la vita?! Solo per quel poco che può averti offerto quest’imbroglione? -.
-Certo nonna. Proprio come mi hai insegnato tu- rispose tranquillamente il quindicenne, prima di incenerire la donna che lo aveva cresciuto, con fiammata che andò a combinarsi con quella lanciata da Tremotino.
Stranamente nei suoi ultimi istanti di vita, Elizabeth si sentì quasi fiera del nipote. Per la prima volta in assoluto, si era comportato proprio come un demone.
Un attimo dopo con un urlo di vittoria Julian saltò sulla cenere e prese a ballarci su.
-È morta! È morta! È MORTA! - esultò il quindicenne, euforico per la prima volta in vita sua.
-Bene. Ora possiamo andare- commentò l’uomo.
-Dove? -.
-Dove io ho bisogno che tu vada. Sei alle mie dipendenze per un decennio, no? -.
-Ah, certo… ma devo cominciare adesso? -.
-E cosa vorresti perdere tempo a fare? Prendi qualche vestito e qualunque cosa voglia portarti dietro e poi raggiungimi all’ingresso. Ah, già ti servirà questo- sbuffò Tremotino facendogli comparire in mano uno zaino.
Sorridendo Julian corse in camera sua. Mentre riempiva lo zaino si chiese se sarebbe mai tornato lì. No, si disse. Non se lo poteva evitare.
 
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Il cambio di padrone si rivelò un buon affare per il giovane Turner. Certo il lavoro era duro e pericoloso, ma almeno adesso gli erano riconosciuti i diritti fondamentali, e non veniva più picchiato in continuazione…  e poi combattere gli era sempre piaciuto e continuava a piacergli, tanto che quando non era obbligato a farlo, non era affatto raro che andasse in giro a cercare la rissa.
Gli allenamenti di Elizabeth e gli incarichi di Tremotino finirono per mettere Julian su un piano superiore rispetto ai parenti.  Dovendo lottare così spesso per la vita, il ragazzo finì per sviluppare al massimo tutte le sue capacità fisiche, mentali e magiche. Divenne sempre più forte, più rapido, più astuto… ma anche più spietato, più solitario, più feroce.
Non che dipendesse da lui: erano tutte caratteristiche che era geneticamente predisposto a sviluppare e per quanto il carattere sia qualcosa d’innato, molto dipende anche dal modo e dall’ambiente in cui si cresce. Se Julian fosse cresciuto con Phoebe, sarebbe diventato un individuo molto più gentile e aperto e sarebbe stato quello di strega il suo lato dominante. Se Julian fosse stato cresciuto da Cole, avrebbe ricevuto l’amore incondizionato di cui tutti noi abbiamo bisogno, e avrebbe almeno avuto qualcuno con cui condividere il peso di essere un mezzodemone… ma purtroppo nessuna delle due ipotesi si era avverata: Julian era stato cresciuto da Elizabeth senza ricevere da lei altro che sofferenza, e quando era riuscito a liberarsene ormai il suo carattere si era in buona parte già formato, in quello di un essere che non era malvagio… ma che a conti fatti era molto più simile a un demone che a una strega.
E le sue prime occasioni di socializzare Julian le ebbe dagli altri membri dell’organizzazione, con cui lavorò e si addestrò.
D’altronde molti dei servitori di Tremotino erano brava gente: certo c’era chi si era unito a lui per avidità, o per sete di potere… ma perlopiù erano poveri disgraziati, a cui la vita aveva dato una serie impressionante di carte schifose e che avevano visto nel mago, l’unico modo di cambiarle con delle carte vincenti. Julian finì inevitabilmente per affezionarsi ad alcuni di loro, ma ci vollero tre anni prima che potesse trovare un posto da chiamare casa, e che incontrasse qualcuno che sarebbe stato per lui una vera figura genitoriale.
 
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Julian camminava per Boston alla ricerca del suo contatto, una strega di nome Reyna Lopez. L’idea di collaborare con una strega non gli piaceva per niente. Le streghe non gli avevano mai procurato altro che guai. Quella troia di Phoebe Halliwell gli aveva rovinato la vita, e ne aveva affrontate due in Russia, che per poco non avevano tolto la vita a un suo compagno. Era riuscito a salvarlo per miracolo… e chissà quando lo avrebbe visto di nuovo. Già non alzarsi nel suo alloggio di Mosca quel giorno, lo aveva messo di cattivo umore. Sarebbe mai riuscito a trovare una vera casa? Gli piaceva viaggiare, ma avrebbe voluto anche avere un posto in cui tornare di tanto in tanto. E qualcuno con cui stringere un minimo legame. Non che gli dispiacesse la solitudine, anzi, ma avrebbe voluto anche avere qualche presenza fissa nella sua vita oltre a Tremotino. Non provava affetto per il mago. Lo rispettava e la cosa era reciproca, ma Julian sapeva benissimo che per lui non era altro che un dipendente. Utile certo, e molto bravo nel suo lavoro ma tutto lì. E gli altri membri dell’organizzazione con cui era più in confidenza certo non avevano mai cercato di fargli da genitori. Sì, alcuni lo avevano guidato in momenti difficili e altri ancora contribuito ad addestrarlo ma… lui voleva di più.
Raggiunto il luogo indicatogli vice una donna dai lunghi capelli marroni, e la pelle olivastra, vestita interamente di rosso. La descrizione corrispondeva, pertanto Julian le si avvicinò e disse in tono cordiale: -Vi saluta Julian-.
-Quale Julian? -
-Il farmacista, naturalmente-.
Sentita la parola d’ordine la donna lo squadrò sorpresa: - Ma quanti anni hai? -.
-Diciotto tra sei mesi -.
-Diciassette cioè. Voi americani guardate troppi teen drama. Vi credete tutti Percy Jackson*-.
-E chi è? E poi tu non sei americana? -
-Messicana pura da quattro generazioni! Ma vivo qui da qualche anno ormai. E cosa saresti, se posso chiedere? -.
-Un mezzodemone-.
-Strano, perché Tremotino mi aveva detto che dovevo insegnarti a sfruttare al massimo le capacità tipiche delle streghe e non vedo come possa servire a un mezzodemone-.
Il ragazzo sbuffò: - Ok. Sono un demone-stregone-.
La bruna lo fissò sorpresa: - Non sapevo esistessero-.
-Io sono l’unico a quanto ne so-.
-Be’ mia figlia è per metà angelo nero se t’interessa- commentò la messicana. - Comunque qui ci sono degli stregoni che vendono incantesimi e pozioni piuttosto rari al miglior offrente-.
-Rovinando gli affari a Tremotino. Che vuole che li facciamo sparire e che c’impossessiamo dei loro artefatti- completò l’unigenito di Cole.
La donna annuì: - Prima vanno raccolte informazioni-.
-Sono bravo a non farmi notare-.
-Bene. Dormirai a casa mia. Però per favore, non dire a mia figlia cosa sei. Senza offesa, ma è meglio non s’interessi troppo a te-.
 
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La cosa che all’inizio si era presentata come semplice si rivelò ben più complessa del previsto. Gli stregoni in questione lavoravano con un gruppo di demoni per la realizzazione di uno scopo comune e avevano creato una vera e propria organizzazione molto difficile da sorvegliare. Attaccare in massa, sarebbe stato assurdo senza sapere neanche il numero dei nemici, quindi Julian finì per passare mesi a casa Lopez.
Bisognava ammettere però che la messicana aveva davvero tanto da insegnargli, e che aveva un grande talento per l’insegnamento.
-Sembri avere una notevole predisposizione per la magia- fu il commento di Reyna dopo la prima lezione di pozioni.
-Sì, me l’hanno detto- borbottò il figlio di Cole. Almeno centomila volte, gliel’avevano detto e sinceramente la cosa gli importava poco. Quella che sapeva fare gli piaceva, ma certo non aveva contribuito a rendergli la vita migliore o più facile.
-Agli incantesimi passeremo durante il viaggio-.
-Quale viaggio? -.
-Crescere una figlia costa, e Tremotino non mi paga poi tanto, quindi faccio la camionista. Su non farmi perder tempo. E scordati di guidare! -.
-Io mi teletrasporto, perché mai dovrei darmi la pena d’imparare a guidare? -.
-Fare colpo sulle ragazze? -.
-Ho ben altro per la testa io! - sbottò irato il moro prendendo la giacca*.
 
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Dopo tre ore di viaggio i due si fermarono in una stazione di servizio e Reyna porse al ragazzo una tortilla di mais unta nel sugo, ripiena di carne di manzo, formaggio fuso, insalata e soprattutto limone verde e foglie di coriandolo.
-Questa roba i chicos…- fece lui a metà del suo.
-Tacos- corresse la strega.
-Quello che è. Mi piacciono un sacco-.
-Ti farò provare anche il burrito- ridacchiò la messicana. -Davvero non li avevi mai assaggiati? -.
-Non è che abbia bisogno di mangiare poi tanto o tanto spesso io-.
-Qui non si tratta di bisogno. Si tratta di piacere- rise la bruna.
-Non ne ho mai avuto granché in vita mia. Non so dove andare a cercarmelo-.
-Immagino… be’ la felicità può arrivare anche dalle piccole cose-.
 
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In breve Julian prese ad accompagnare Reyna sempre più spesso, non solo quando doveva. A volte passavano ore intere senza parlare… semplicemente si godevano il viaggio.
Reyna era anche appassionata di film e qualche volta lo trascinava a qualche proiezione pomeridiana o gli faceva vedere qualche DVD. Dal canto suo Julian, aiutava in casa come poteva e malgrado all’inizio Reyna non ne fosse entusiasta, finì per permettergli di legare con Bay e anche di dirle cosa fosse per metà. Malgrado la differenza d’età i due andavano abbastanza d’accordo.
Ogni tanto Reyna gli parlava del Messico e lo descriveva con tanto amore nella voce che Julian si chiedeva perché lo avesse lasciato. Lui le raccontava dei viaggi fatti per Tremotino e delle cose che aveva vissuto. Riusciva ad aprirsi con quella donna, una cosa niente affatto da lui. D’altronde si era sempre trovato bene con gli adulti: non aveva niente da spartire con i ragazzini del liceo fissati con lo sport, o videogiochi, le ragazze, i social e tutte quelle scemenze. Aveva dovuto subire troppo ed era stato costretto a crescere troppo presto. Reyna lo percepiva e cercava di dargli un assaggio di vita normale
-Sai cosa mi manca molto? - disse un giorno mentre rincasavano dopo aver ripreso Bay a scuola. Le spiagge del mio paese-.
-Ma se il mare c’è anche qui! -.
-Vuoi mettere il mare di qui con le spiagge da sogno del Messico? -.
-Se ti manca tanto, posso portatici. È lontano, ma col teletrasporto…-.
-NO! -urlò la donna. - Cioè… no grazie. Magari in futuro, ma adesso… no-.
-Scusa. Non volevo metterti a disagio-.
-No, no, no- assicurò la strega. - Il tuo è stato un pensiero molto gentile. È che… -.
-Se non vuoi rincontrare qualcuno potremmo nasconderci con la magia-.
Reyna esitò, poi si rivolse alla figlia: - Ti piacerebbe vedere il posto dove è nata la mamma? -.
-Tantissimo! -.
Fu così che il giorno seguente, i tre si ritrovarono a Vera Cruz.
-La mia città… da quanto tempo ne ero lontana- sussurrò Reyna.- Quello è il castillo di San Juan, quella la chiesa di nuestro Cristo del buon Jiave, no aspetta forse è quella dell’Assun…-.
-Non c’è bisogno che tu mi faccia da Cicerone: la tua città natale è comunque molto bella, per quel poco che posso capirne-.
Girarono per Vera Cruz tutto il giorno. Fecero anche delle foto tutti insieme e quando Reyna s’imbatté in una festa dove si ballava il Lilongo* non riuscì a impedirsi di partecipare. Con la magia Julian trasformò i suoi vestiti in quelli usati per la danza.
Dopo una cena veloce (il chioschetto della vecchia Josefa c’era ancora) il trio tornò a Boston.
-Non so come ringraziarti. Io…-.
-Sono mesi che abito a casa tua. Mi pareva il minimo-.
Reyna lo abbracciò di colpo. Il ragazzino s’irrigidì ma poi ricambiò.
-Un po’ come abbracciare un'asse… devi proprio fare pratica- rise la messicana.
Dopo quasi un anno di coabitazione, si era quasi pronti ad attaccare i Sommi (così si chiamava la lega di esseri malvagi) quando Bay, la figlia di Reyna, sparì. La donna e Julian fecero di tutto per trovarla, ma niente. La messicana ormai alla disperazione, si rivolse agli altri membri dell’organizzazione stanziati a Boston, e le provò tutte ma niente. Non si accorse nemmeno che il demone-stregone era scomparso a sua volta, se non dopo un giorno e quando accadde si sentì travolgere dal rimorso. Era solo un ragazzino dopotutto. Finito chissà dove… proprio come la sua bambina… Reyna era sul punto di crollare. Poi mentre urlava inferocita contro la sua superiore Ellen, delle fiamme si sollevarono dal nulla e comparvero Julian e Bay. Sporchi, infangati, ma illesi.
Reyna si precipitò ad abbracciare la figlia urlando: -Tu me l’hai salvata! Tu me l’hai salvata! Ma come hai fatto?!-.
-Ho pensato che potesse averla rapita un vampiro. Avevi scoperto che ce ne sono parecchi a Charlestown e mi sono infilato nel loro nido. Lavorano anche loro con quegli stregoni. Ho aspettato che uscissero per andare a mangiare, ho preso l’ultimo che è uscito e l’ho torchiato fino a che non mi ha detto tutto. Volevano che ci attirassi in una trappola in cambio di Bay. A proposito gli ho estorto anche le informazioni che ci servivano per preparare l’attacco. Le comunico al capo-.
L’attacco portato a segno con le debite forze fu un successo: stregoni, demoni e vampiri vennero eliminati, e tutti gli artefatti dei prelevati dai servi di Tremotino.
Ma uno stregone si era reso invisibile ed era ben deciso a liberarsi di quel maledetto ragazzino che stava svuotando il caveau. Non aveva più il suo athame, perso nello scontro, ma poteva ancora contare sulle sue sfere d’energia.
Reyna che era tornata indietro ad aiutare Julian per poterlo ringraziare come si deve, vide il colpo in arrivo e non pensò. Si lanciò contro l’adolescente spostandolo dalla traiettoria e prendendo il colpo al suo posto.
Individuato il nemico con la mente Julian lo incenerì con una scarica elettrica e poi corse al fianco di Reyna.
-Fortuna che ti ha colpito solo di striscio, potevi rimanerci! -.
-Ti devo tutto il mio mondo. Era il minimo- rispose la messicana, mentre il nipote di Elizabeth si precipitava alla ricerca di soccorsi.
 
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Ormai era chiaro che la sua presenza lì non fosse più necessaria, ma Julian seguì comunque Reyna a casa dopo che fu curata e lei non fece obiezioni. Preparò la cena anche per lui, e un paio d’ore dopo gli suggerì di andare a letto.
Il giovane Turner era già sotto le coperte, quando mormorò debolmente -Reyna… posso restare qui anche domani? -.
-Sì-.
-E dopodomani? -.
-Sì-.
-E… dopodopodomani?-.
-Tutto il tempo che vuoi- rispose tranquillamente la strega.
Il “Per sempre” era nell’aria ma nessuno dei due lo pronunciò. Ci avrebbe pensato il tempo a renderlo chiaro.
Ci fu tuttavia un argomento che non toccarono mai: il passato. Julian non disse mai una parola sui suoi genitori o su sua nonna, e dal canto suo Reyna fu altrettanto laconica sul perché si fosse trasferita dal Messico a Boston, e su chi fosse il padre di Bay. E nessuno dei due fece mai domande (a Bay la madre impose di non farne). Un tacito accordo che comunque funzionò.
Certe volte Reyna si chiedeva se davvero avesse voluto fare una buona azione, dando una casa e un po’ d’affetto a un povero ragazzo solo, o se visti i poteri di cui Julian era dotato, non avesse semplicemente visto una buona occasione cogliendola al volo. Il ragazzo l’avrebbe salvata da un’infinità di pericoli negli anni a venire e viceversa.
Julian invece non si pose mai quesiti del genere. Certe volte Tremotino gli appioppava incarichi che lo tenevano lontano da Boston anche per molto tempo … ma adesso c’era qualcuno ad aspettarlo, e questo faceva tutta la differenza del mondo. Ed era una cosa che lo faceva sentire stranamente bene. Non avrebbe scambiato le mattine in camion con Reyna, o i pomeriggi in cui doveva badare a Bay per nulla al mondo. Aveva sempre saputo delle tre figlie di quella là, ma non aveva mai provato la minima curiosità nei loro confronti.  Invece la piccola Lopez era l’essere più simile a lui che avesse mai incontrato, e si sentiva stranamente interessato a lei. Era strano vedere come sembrasse una semplice bimba di otto anni, pur essendo per metà Angelo Nero.
“Se avessi avuto Reyna per madre, io alla sua età sarei stato così. Avrei avuto una vita come la sua” si diceva spesso Julian.
Anche per Bay era stato strano trovarsi vicino a un essere così simile a lei -Hai detto di essere anche tu un mezzodemone…- mormorò la bimba il mattino dopo che Julian aveva avuto il permesso di rivelarglielo. - Io non avevo incontrato mai nessuno… -.
-Nemmeno io- ammise il ragazzo. - È un po’ strano… ma piacevole- aveva borbottato il moro, quasi imbarazzato.
-Ti va di… farmi vedere i tuoi poteri? -.
E così era cominciata. Sparando fiammelle, e piccole scosse elettriche per farla ridere, o magari sollevandola in aria con la telecinesi, sotto lo sguardo intenerito di Reyna.
Certo tutto questo non fu che l’inizio. Ma una mattina Reyna Lopez si svegliò avendo due figli, Julian Turner avendo una madre e una sorella, Bay Lopez avendo un fratello.
Julian aveva fantasticato per anni di uccidere Phoebe, ma col tempo prese a pensare alla donna sempre meno, fino a dimenticarla completamente. Aveva una vita troppo bella e troppo piena a Boston, per rovinarla in nome della vendetta.
 
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Era davvero patetica quella puttana. Ogni volta che lo vedeva prendeva a piagnucolare. Era il loro terzo e sperabilmente ultimo incontro avvenuto a Portland. Julian era lì per lavoro, Phoebe per presentare uno dei suoi libri ed entrambi si erano imbattuti nel membro di una coppia di vampiri superstiti di quel famoso nido, che voleva vendicarsi di Julian. Quest’ultimo se n’era liberato senza problemi, ma purtroppo quella strega incompetente, si era fatta chissà come l’idea che avesse combattuto per salvarla, mentre semplicemente lui voleva liberarsi di due nemici in modo permanente.
-Senti odiami quanto vuoi, me lo sono meritato… ma io sono tua madre. Lo sarò sempre. E se tu provassi a ignorare il fastidio… a superare l’odio… io… potrei ancora accompagnarti per un pezzo di strada…-.
Julian la fissò incredulo. Ora quella troia che lo aveva abbandonato, pretendeva di prendere il posto di Reyna? Di Reyna che gli aveva dato una casa, che gli aveva dato tutto senza chiedere mai niente, che era arrivata a fare turni di lavoro massacranti per garantire un tetto sulla testa a lui e a Bay, che aveva rischiato tanto per lui tante volte?
-Tu non sei mia madre, non lo sei mai stata, e non lo sarai mai. Sei indegna di esserlo. E sei l’ultima persona, che vorrei mi accompagnasse in qualunque luogo -.
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime.
-Sempre pronta ad aprirli quei rubinetti, eh? - sbuffò. - Con me le lagne non attaccano-. Non aveva mai visto Reyna piangere, o lamentarsi di fronte a un’avversità. Lei si rimboccava le maniche e cercava di risolverli i problemi, non sbatteva i piedi fino a quando non otteneva ciò che desiderava o qualcuno non veniva a renderle la vita più facile. Girò le spalle e si preparò ad andarsene.
-Mia figlia ha avuto una figlia mezzodemone- boccheggiò Phoebe mentre il ragazzo veniva avvolto dalle fiamme.
-E allora? Tutti i mezzidemoni del mondo, secondo te sono automaticamente miei alleati? Miei amici? -.
-Lei è la tua famiglia! Anch’io lo sono! -.
-E non c’è cosa di cui mi vergogni di più- Julian Turner non si voltò neppure mentre lo diceva. Reyna lo stava aspettando per la serata film. Da quando Bay era andata al college, si sentiva sola e quindi cercava di dedicarle più tempo che poteva. 
Che ci pensassero le figlie di quella bagascia o il suo marito leccapiedi a consolarla. Sua madre lo stava aspettando.
 
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Sorridendo Julian si avvicinò alla casa in periferia. Nel vedere la luce accesa sorrise ancora di più. Gli scaldava sempre il cuore, vedere quel posto.
-Sono in ritardo? Una scocciatrice mi ha fatto perdere tempo-.
-No. Stasera tocca a me scegliere. Che ne dici di Avengers Endgame?
-Andata-.
-E per il film che sorridi? -.
-No. È che è bello essere a casa-.
La messicana sorrise: - È per me è bello averti qui-.
Madre e figlio si sedettero vicini sul divano. Avevano vissuto entrambi delle vite pieno di ombre, ma alla fine erano riusciti a trovare la luce e avevano imparato ad affrontare il buio insieme.
 
 
 
 
 
 
  • Il padre di Cole, Benjamin, era un membro dell’Assemblea di stato di fine ‘800, per cui doveva essere molto ricco.
  • Protagonista di una saga letteraria urban fantasy da cui sono stati tratti due film non molto fedeli e da cui verrà presto tratta una serie tv sceneggiata dallo stesso autore dei libri.
 
  • Dato che sua nonna ha ucciso suo nonno, e sua madre ha ucciso suo padre, e che tutte e due gli hanno rovinato la vita Julian non è mai stato molto sensibile al fascino femminile. Poi però ha incontrato la ragazza giusta, come si vede nel capitolo 8.
 
  • Ballo tradizionale messicano tipico di Vera Cruz.
 
 
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE

 
E ora sapete come ha fatto Julian a sopravvivere e chi l’ha cresciuto. Della madre di Cole non si sa nulla, eccetto che ha ucciso il marito, quindi perché non avrebbe potuto crescere suo nipote? Visto che era sia un demone di livello superiore, che una sua parente, Julian si è trovato meglio nel suo grembo che in quelli di Phoebe e della Veggente e non le ha dato problemi.
Quanto alla scelta del nome… be’ è semplicemente quello dell’attore che ha interpretato Cole. Avevo pensato di pubblicare questo capitolo per secondo, ma poi mi sono detto che era meglio mantenere il mistero il più possibile.
Per Tremotino invece mi sono ispirato a Once Upon a Time. In quella serie ho molto apprezzato il suo personaggio.
Inizialmente il mago non era previsto, e Reyna era semplicemente una strega che continuava a combattere il male anche se avendo avuto una figlia con un angelo nero non aveva più il suo angelo bianco e l’appoggio degli Anziani, e che avrebbe inseguito Elizabeth fino in casa sua eliminandola grazie a Julian decidendo poi di adottarlo. Ma sinceramente mi pareva una trama troppo semplicistica, così col tempo ho deciso di aggiungere Tremotino e la sua organizzazione.
Forse il capitolo è un po’ lungo, ma dato il tema della storia dovevo pur presentare un po’ Reyna e parlare di come è nato e si è sviluppato il suo rapporto con Julian.  
Finisce qui la prima parte di questa storia. Dal prossimo capitolo in poi si parlerà dei padri, quindi ci sarà di nuovo Julian sulla scena e dividerà il palco con Cole.
Spero di riuscire a fare nella seconda parte un lavoro all’altezza o superiore di quello fatto nella prima, e che voi lettori continuiate a sostenermi e a recensire.
Alla prossima luna piena!
  
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