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Autore: Urban BlackWolf    14/05/2021    3 recensioni
Possono i desideri personali, l’ambizione insita in ognuno di noi, la latente frustrazione che comporta il ritrovarsi a tirare parzialmente le somme della propria vita vedendo quanto si è dovuto rinunciare per aver fatto scelte diverse, oscurare l’amore che fino a pochi istanti prima si considerava il punto di forza di tutta la propria esistenza?
Questo Michiru non lo sa, ma lo scoprirà presto.
Sequel dei racconti:
”l'Atto più grande”
“Il viaggio di una sirena”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Lampi dal passato

 

 

Per tirar su quella vecchia serranda si fece dare una mano da uno dei ragazzi della sicurezza, perché dopo anni che quel box preso a noleggio non veniva più aperto da nessuno, aveva già del miracoloso che la serratura fosse ancora sufficientemente ingrassata per poter essere aperta. Michiru ringraziò perciò di cuore quell’inaspettato aiuto, che dopo un rapido saluto si dileguò verso il gabbiotto posto all’ingresso dell’area recintata di uno dei grandi complessi di container che si estendevano sull’hinterland bernese.

Un sospiro nell’aria polverosa del corridoio e premendo con forza sull’interruttore posto al lato della serranda, la donna accese l’unica luce presente in quei quaranta metri quadrati. Ed eccolo li il suo passato, o almeno una piccola parte di esso, fatto di oggetti che non vedeva ormai da un’eternità, per lo più ingombranti, come del mobilio, alcune ceramiche andine che mal s’intonavano alla casa della sua famiglia, alcuni oggetti orientali ed un paio di voluminosi tappeti indiani protetti dall’attacco della polvere da spessi teli di plastica trasparente. In un angolo, appoggiate al muro come per essere riprese a breve, le canne da pesca di suo padre e l’attrezzatura che usavano per le immersioni. Michiru sapeva che sarebbe stato tosto, ma non capì quanto fino a quando lo sguardo non si posò su quelle Daiwa di carbonio nero che tanto mandavano fuori dai gangheri sua madre quando Victor gliele lasciava in giro per casa.

Aggirando un tavolo posto al centro del box, raggiunse le canne sfiorandone una con la punta delle dita ed un’immensa tristezza s’impadronì di lei. Pensava spesso a suo padre, ma non più con la stessa frequenza di prima del suo viaggio in Grecia. Forse avrei dovuto tenere meglio le sue cose, si disse ritirando lentamente la mano per poi serrarla in un pugno avvolto dal palmo dell’altra.

“Non sono qui per questo.” Disse dopo un attimo come se stesse parlando con qualcuno.

Voltandosi si guardò intorno scrutando le scaffalature di metallo ancorate alla parete opposta. Scatoloni ben sigillati ognuno con la sua bella etichetta scritta in tedesco. Ognuno con il suo carico di ricordi. Il servizio che Flora usava per le poche feste natalizie che Michiru e suo padre avevo potuto passare con lei prima o dopo una qualche nuova turnè, vasellame, vinili non più ascoltati da anni, qualche vestiario. Poi, accanto all’ultima scaffalatura, posati su un pallet di legno per evitare qualsiasi contatto con il pavimento di linoleum, una trentina di tele tutte più o meno della stessa grandezza, riparate da una striscia di lenzuolo bianco.

Stringendo le labbra si fece avanti fino a raggiungerle per liberarne un paio. “Cerchiamo di far presto.”

Quanto avrebbe voluto avere Haruka al suo fianco e quanto avrebbe dovuto impegnarsi per cercare di farle comprendere quello che stava provando da quando Kristen le aveva chiesto un portfolio delle sue opere giovanili. Afferrando la prima tela la studiò andando sotto la luce del neon.

“Niente male.” Rimirò sincera usando l’occhio critico che aveva affinato in anni di carriera nel campo delle Belle Arti.

Non ricordando molto di quelle pennellate briose proprie di una ragazza di vent’anni, Michiru si concesse un po’ di tempo cercando di richiamare alla memoria dove e quando le avesse stese e così fece per ogni tela tirata fuori da quella specie di macchina del tempo. Alcune le aveva fatte in Giappone e lo rivelavano i colori, chiari e temperati come la cultura di quella terra, altri in Cile, dove le cromie erano più forti ed i contrasti cento volte più netti. Quei due paesi, raggiunti dalla sua famiglia dopo aver lasciato per sempre la Grecia e con lei la sua speranza di diventare una violinista, erano stati per Michiru una vera e propria ispirazione, un moto perpetuo che l’aveva spinta ad esprimere con il colore quello che non poteva più esprimere con la musica.

Usando il tavolo, la donna li fotografò uno ad uno, evitando di chiedersi il perché l’Astrattismo coloratissimo di quelle pennellate fosse incomparabilmente diverso dal Paesaggismo che invece aveva iniziato ad adottare dopo la morte di suo padre. Mettendoci più del previsto restò in quel box per gran parte della giornata, ritrovandosi esausta all’arrivo delle ombre del tardo pomeriggio.

 

 

Quando suonò il campanello della casa di famiglia in Postgasse, a Michiru sobbalzò un po’ il cuore, perché era una vita che non vi metteva più piede, anni nei quali tante cosa in lei erano cambiate. Quel grande palazzone in stile che si affacciava su una delle strade del centro città, l’era sempre sembrato un’esagerazione anche quando da ragazzina ci aveva vissuto con i suoi nonni materni, figuriamoci ora che lo usavano solamente la madre, il compagno e i tre domestici che vivevano con loro.

Alla morte di papà sono praticamente scappata, ricordò alzando il mento per perdere lo sguardo al contrasto tra la facciata dallo scialbo color panna racchiuso dai cornicioni in pietra ed il cielo serale di quel lunedì pomeriggio. E non vi aveva più fatto ritorno se non per le sporadiche visite alla madre durante i pochi periodi di libertà che Flora aveva come concertista.

Fino a due giorni fa tutto mi sarei immaginata tranne di bussare a questa porta, pensò sbirciando il suo riflesso in uno dei vetri colorati che abbellivano il portoncino d’ingresso. E men che mai avrei pensato di farlo mentendo ad Haruka, aggiunse tornando ad avvertire nel petto quel senso di pesantezza che l’aveva oppressa per tutto il viaggio. Già, mentito. Michiru lo aveva fatto senza quasi rendersene conto e questo l’indomani, a mente fredda, dopo aver fatto l’amore con la sua donna ed essersi addormentata sfinita tra le sue braccia, l’aveva lasciata tanto sconcertata che la mattina dopo aveva fatto una gran fatica nel cercare di apparire il più normale possibile di fronte a lei, che ignara di tutto, l’aveva salutata lasciandole il solito bacio seguito da un occhiolino ed un guida piano.

Michi, la china che stai prendendo non mi piace per niente, si disse severa mentre l’anta si apriva lasciando che i suoi occhi riconoscessero il bel viso di un uomo sulla sessantina.

“Buonasera.”

“Signora?!” Tra l’interdetto e lo stupito il domestico la guardò di rimando.

“Salve Gustav. Posso entrare?” Rispose sorridendo.

“Ma certo. Ci mancherebbe.” Celere le prese il bagaglio a mano che Michiru stava stringendo in entrambe le mani per poi lasciarla entrare in quello che era l’ingresso.

“Signora Michiru, sa che sua madre e il signor Maiers non ci sono, vero?”

“Sono a Milano, lo so.” Disse mentre gli occhi si spostavano da quelli del domestico alla prima porta che si affacciava sull’ingresso; ovvero quello che era stato lo studio di suo padre e che ora ospitava una piccola biblioteca privata.

Cercando di non pensare a quanto strano le facesse tornare a guardare quelle ante di noce scuro sapendo che dietro non avrebbe più trovato Victor chino sulla sua scrivania a scartabellare qualche documento, rivelò all’uomo brizzolato ancora molto disorientato dalla sua comparsa, che fosse a Berna per lavoro. “Dovrei rientrare a Bellinzona domani, perciò ho pensato che avrei potuto approfittarne per tornare un po’ a casa. La mia stanza è sempre li?”

“Certamente. Primo piano, terza porta. Pulita e in ordine come vuole la signora Kaiou.” Flora che mai mancava di lasciare anche un vaso di fiori freschi in quella che a larghi tratti era stato il nido della figlia.

La spontaneità con il quale quel bavarese le rispose la fece ridere. Non lo conosceva molto, perché aveva iniziato a lavorare per sua madre molto dopo il suo essersi allontanata da casa, ma le rare volte che lo aveva visto gli aveva sempre fatto una buona impressione e anche questa volta non mancò di lasciarle addosso una sensazione positiva. Michiru sapeva che i tre domestici a servizio erano una famiglia composta dai genitori ed una figlia, ecco spiegato perché nonostante Flora fosse spesso all’estero con il suo compagno, quel palazzetto tutto sembrava tranne che freddo o abbandonato. Nel bene o nel male, padrona di casa o meno, ci vivevano stabilmente almeno tre persone che lo custodivano, lo rendevano vivo e gli davano un senso di famiglia.

“Meglio la sua stanza che un albergo! Ha fatto bene. Venga, venga. Non credo abbia ancora cenato, giusto?”

“Giusto.” Rispose seguendolo su per la prima rampa di scale.

“Gradirebbe qualcosa di speciale?”

“No Gustav, grazie. Andrà benissimo quello che sua moglie starà preparando per voi.”

“N’è sicura?” Chiese voltando leggermente il busto mentre raggiunto il pianerottolo si fermava per lasciarla passare.

“Sicurissima, anche se vorrei chiederle la cortesia di mangiare in camera. Sono molto stanca.” Non aveva alcuna voglia di mangiare servita e riverita.

“Va bene. Alle diciannove e trenta?”

“Perfetto.” E riprendendo il bagaglio attese che l’uomo le aprisse la porta immergendosi nuovamente nel suo passato.

 

 

Come al solito l’indomani pomeriggio, Haruka e Stefano si fiondarono dalla scuderia Ducati all’officina Astorri per coccolare la loro Winchester.

“Occhio al forcellone. Se ti scappa dalle mani ci arriva dritto dritto in faccia.”

“Astorri… Evita di portare rogna e stai concentrato. - Rimproverò la bionda cercando di far forza sulla testa della molla. - Dai bellina di casa tua, forza. Entra.” Ma quella niente.

Inalando nervosamente un boccone d’aria, provò allora a cambiare posizione sistemandosi meglio sullo sgabello così da poter far leva con la gamba buona.

“… Ciccina…, su.” Neanche per sogno.

“Haru…, ci provo io?”

“Con quelle salsicce che chiami dita? Ma vedi di fare il serio.”

Facendo forza su entrambi i pollici Haruka cercò di spingere ancora di più non sentendo però nella molla alcun movimento. “Brutta porca. E dai!” Sbottò.

Vinto, Stefano si arrese alzandosi dalla tanica di latta che stava usando come seduta mentre l’amica prendeva a riempire l’ambiente d’improperi. “Ma vaffanculo…”

“E’ inutile che continuiamo ad ostinarci con un pezzo non originale. Non entrerà mai!”

“Lo so Stè, ma almeno dovevamo provarci.” Scoraggiata, ma non vinta, Haruka svitò con rapidità l’unica parte della molla che erano riusciti ad inserire, rigirandosela poi fra le dita.

Se l’avessero modificata il valore di mercato della loro Winchester sarebbe sceso. Tanto valeva aspettare di trovare un forcellone originale.

“Così ci metteremo una vita.” Sentenziò lui prendendo dal piccolo frigo seminascosto sotto un bancone due bottiglie di birra.

“Non abbiamo fretta.”

“Tu forse, ma a me quei soldi servono. - Rivelò mentre toccando la spalla dell’altra con il fondo di una delle due chiare l’invitava a voltarsi. - Tieni. Beviamoci su.”

“Per tua sorella?”

Rimettendosi seduto ed attaccandosi al collo della bottiglia, ingoiò un paio di sorsi annuendo. “Si. Adesso che si sposa vorrei aiutarla con il mutuo.”

“Che bravo fratellone.”

“Tu non lo faresti per Giovanna?” Chiese scherzando.

“Il nostro rapporto è completamente diverso da quello che hai tu con tua sorella, ma si. Credo di si.”

“La mia sorellina che si sposa. Nostro fratello è completamente andato.”

“Lo immagino. Lei è la più piccola della famiglia e con due maschi gelosi come voi la vedo e la piango.”

“Non siamo gelosi.”

“No…, siete opprimenti.”

“Come tu lo sei con Giovanna. Ti ricordo che una volta hai sbattuto il nostro secondo pilota al muro solo perché gli aveva guardato il culo.”

“E’ diverso.”

Facendo una smorfia lui cambiò radicalmente discorso perché tanto con quella testa quadra non l’avrebbe mai spuntata. “Sabato le abbiamo dato il nostro regalo di nozze e devo dire che la sorpresa è stata graditissima.”

“La versione deluxe del Kamasutra che vi avevo consigliato con le immagini tutte colorate e le spiegazioni a piè di pagina per i più arditi?”

“No. La tua idea faceva schifo. Invece ho chiesto aiuto alla tua donna che di queste cose ne capisce più di te.”

Alzando le sopraciglia Haruka prese un altro sorso aspettando che Stefano proseguisse. “Devi sapere che mia sorella e il suo compagno si sono conosciuti durante un festival di musica classica e una volta dettolo a Michiru, lei non ha avuto dubbi. Un abbonamento per la stagione concertistica!”

“Qui da noi?”

“No, a Milano. E pura casualità, il primo concerto che andranno a vedere sarà quello di un’artista che tu conosci molto bene, anche se di classica non ne sai un emerito… La grande Flora Steiner Kaiou.”

Nel sentir pronunciato quel nome, il liquido le andò di traverso procurandole una serie di violenti colpi di tosse.

“E che cazzo, Tenou!” Sbottò lui vedendosi bagnata la camicia.

“Scusa.”

“Ma scusa che! Guarda qui che casino!”

“E che avrò fatto mai! Dimmi piuttosto, per quando sarebbe questo concerto?”

“Domani. E’ una prima alla Scala di Milano! Da Bellinzona ci metteranno un attimo. Con mio fratello ci siamo svenati, ma vuoi mettere…”

“Flora Kaiou è a Milano?”

“Si, da due giorni. Per le prove. Credevo lo sapessi, ma forse gli spostamenti della madre della tua donna non sono una tua priorità.” Disse mettendosi a ridere.

Ma Haruka non lo seguiva più. Se Flora era a Milano, perché Michiru le aveva detto di volere andare a trovarla a Berna?”

Mi ha mentito! Quel pensiero le folgorò le tempie procurandole una scossa dolorosa. Il primo impulso che Haruka ebbe fu quello di afferrare il cellulare per chiamarla, ma una volta avutolo nel palmo della mano si bloccò. Cosa le avrebbe detto? Cosa le avrebbe chiesto? Michiru era già scappata una volta, ma in quella occasione con lei era stata molto chiara non nascondendole nulla, anzi cercando in tutti i modi di farle capire cosa le stesse passando per la testa, di cosa necessitasse il suo spirito.

“Haruka che c’è? Hai cambiato colore.” Una mano sulla spalla e lei si rianimò scattando in piedi.

“Devo andare.”

“Ma che ti prende!?”

“Nulla! E’ tardi. Ci vediamo domani al lavoro.” E senza aggiungere altro, la bionda guadagnò l’uscita dell’officina e zoppicando leggermente si diresse verso la sua Panigale che quel giorno aveva testardamente usato per spostarsi.

 

 

Le prime luci della periferia di Bellinzona le comparvero davanti agli occhi poco prima dell’imbrunire. Con il suo carico di pensieri, Michiru accese la freccia di destra uscendo dall’autostrada. Si sentiva fisicamente esausta. Una volta entrata nella stanza che era stata sua ed abbandonato vicino al letto il bagaglio, si era seduta iniziando ad osservare avidamente ogni oggetto presente, come se non fosse stata lei l’artefice di quella disposizione. Una giovane Kaiou aveva arredato quell’ambiente con cura, creando davanti alla finestra una piccola zona per dipingere ed una dalla parte opposta dove studiare. Per il vestirsi ed il lavarsi, il padre anni addietro aveva fatto ricavare dalla metratura originale della camera, una cabina armadio ed un piccolo bagno privato. Completamente ignorata la prima, Michiru aveva quasi subito usufruito del secondo, rinfrescandosi per poi attendere che le venisse portata la cena. In quell’arco di tempo aveva chiamato Haruka sincerandosi di come fosse andata la sua giornata e soprattutto, di come stesse la gamba. Ma una volta giunta l’ora di coricarsi, letteralmente assalita dai ricordi, non era riuscita a chiudere occhio ritrovandosi l’indomani mattina a combattere le occhiaie a suon di trucco.

Uscita prestissimo si era concessa una giornata tutta per se e spegnendo il cellulare era tornata a calpestare i selciati del cento della città, pranzando poi in un piccolo bistrò proprio vicino all’appartamento dove aveva vissuto prima di mettersi con Haruka ed infine, imbevendo la sua rinnovata smania d’arte moderna, aveva visirato un paio di mostre ed una galleria. Era stata così in compagnia di quella che era stata la sua città, quell’agglomerato di storia e tradizioni che lei stessa fino quando ci aveva vissuto non aveva mai considerato troppo familiare, ma che mai come in quel periodo sembrava tanto interconnessa al suo animo. Forse sua madre aveva ragione quando la fine dell’inverno appena trascorso era piombata a Bellinzona sbattendole in faccia il suo scetticismo nel sapere la figlia a vivere in una cittadina tanto modesta rispetto alle metropoli alle quali Kaiou era stata abituata da ragazza. I ritmi calmi del Ticino avevano come assopito Michiru e questo Flora l’aveva capito ancor prima dell’altra.

Ma a Berna o da qualsiasi altra parte non ci sarebbe Haruka, pensò decelerando fino a fermarsi ad un semaforo per guardare verso la collina dove sorgeva il loro comprensorio.

Cercando in rubrica il numero della compagna, attivò il viva voce attendendo. L’avrebbe rivista meno di mezz’ora più tardi, ma voleva sentirla ugualmente. Al decimo squillo però, dovette arrendersi. Questo non la preoccupò, infatti spesso e volentieri Tenou era solita dimenticarsi di riattivare la suoneria dopo averla tolta per partecipare a qualche riunione.

“Non importa. La vedrò a casa.” Disse ingenuamente non potendo certo immaginare che la bionda non soltanto aveva sentito la suoneria, ma che ora stava seduta al tavolo della penisola a braccia conserte fissando il cellulare con sguardo omicida.

 

 

Nel silenzio Haruka sentì salire l’ascensore fino al primo piano, poi al secondo, ed infine al terzo. La tavola apparecchiata, l’acqua sul fuoco, la televisione al minimo, ma accesa. Tutto come sempre. Tutto come se non fosse successo nulla.

“Amore, sono a casa. - Disse Michiru appena aperta la porta. - Ci sei?”

“Sono qui.” Rispose da uno degli sgabelli della penisola.

Una volta toltesi le scarpe e salutato Tigre, l’altra fece capolino da dietro il muro sfoderando un bel sorriso. “Ciao!”

“Ciao.”

Vedendo l’I Phon sul piano proprio davanti a lei, le fece notare di avere la suoneria al minimo. “Ti avevo chiamata per dirti che stavo arrivando e di metter su l’acqua per la pasta, ma vedo che ci hai già pensato tu.”

“Trovato traffico?” Chiese accogliendo un veloce bacio sulle labbra.

“Assolutamente no.”

“Com’è andata la mini vacanza?”

“Bene. - Rispose usando il sapone accanto al lavabo per sciacquarsi le mani. - Oggi sono andata per musei e ho pranzato in quel piccolo bistrò vicino al mio vecchio appartamento. Te lo ricordi?”

Ad Haruka non sfuggì il suo usare il singolare così iniziò il suo logoramento ai fianchi. “ Come sta tua madre?”

“Sicuramente meglio di me.”

“Cos’è? Avete discusso dopo il primo giorno?”

“No.”

Alzando le sopracciglia chiare si finse stupita. “Allora perché non avete pranzato insieme?”

Michiru rimase per una frazione di secondo con la mano sulla maniglia del frigo cercando poi di svicolare senza però dover’essere costretta a mentire ancora. “Mi sono presa qualche ora per me. Tutto qui.”

“Strano. No, te lo chiedo perché solo quarant’otto ore fa smaniavi per stare un po’ con lei e ora mi dici che hai fatto tutto l’opposto.”

“Era solo un pranzo…”

“E delle mostre? Mi domando perché non ti abbia voluto accompagnare in uno dei tour culturali che tanto mi rimprovera di non farti fare abbastanza da quando abiti qui.” Tagliò, ma non ebbe risposta.

“Cosa vuoi mangiare per secondo?”

“Non ho fame.”

“Devi prendere l’antinfiammatorio.” Disse voltandosi e finalmente si guardarono negli occhi e quello che vide fu rabbia.

Una ruga sempre più marcata andò a solcare la fronte di Michiru mentre le chiedeva cosa avesse.

“Non lo immagini? E no. Come potresti.”

A quelle parole l’altra ebbe un’intuizione. Capì che la bionda sapeva della sua menzogna.

“Parla chiaro Haruka.” Fronteggiò pronta all’onda di Zunami.

“Per darti l’imbeccata? NO. - Appoggiandosi allo schienale continuò a fissarla freddamente. - Sto aspettando Michiru.”

“Cosa vuoi sapere?”

“Perché mi hai detto di volere andare da tua madre se Flora è a Milano per un concerto!”

“Come diamine fai a… Lasciamo perdere.”

“Allora?”

“Allora niente. Volevo stare un po’ per conto mio!” Ammise e questa cosa ferì Haruka molto più di un gancio alla mascella.

“Fammi capire …, mi hai detto una balla solo perché volevi stare da sola?” Non reggeva.

“Io vorrei tanto che tu capissi che questo è un periodo… confuso per me e che ho la necessità di riflettere su molte cose.”

“Posso avere mille difetti, ma ti ho sempre lasciato i tuoi spazi!”

“Si…, lo so.”

Alzandosi lentamente Haruka cercò di mantenere il controllo, ma non ci riuscì. “E allora se lo sai, perché andare a trovarli a centocinquanta chilometri di distanza da qui!”

“Le cose non sono così facili …”

“Kaiou…, che CAZZO ci sei andata fare a Berna?!” La voce alterata di Haruka inondò la quiete dell’appartamento, ma Michiru non rispose e neanche la bacchettò come al solito sul parlare pulito. Cosa quest’ultima che mandò la bionda nel panico, perché allora si trattava di una cosa seria.

“Michi… - Ma la vide solo chinare il capo così proseguì. - Questa mattina sulla gazzetta locare c’era scritto che Kristen Kocc non è più a Bellinzona. E’ vero?”

“Ssssi, ma che cosa c’entra questo?! - Poi rialzando la testa ebbe un'epifania. - Tenou! Non penserai...."

“Prima di sapere che Flora non era a Berna non avevo collegato la cosa, ma adesso che so della tua balla… Dimmi che non eri con lei.”

“Ma cosa diavolo ti viene in mente! Certo che non ero con lei! Kristen è a Stoccolma.”

“Giuramelo…”

“Giurartelo?! - Questa volta fu Michiru ad alzare la voce. - Ma dico…, stai scherzando?! Pensi davvero che sarei in grado di fare l’amore con te ed otto ore dopo mettermi in macchina per raggiungere un’altra donna ?! A fare cosa poi?”

Haruka strinse le labbra ingoiando a vuoto e l’altra le si fece sotto come un pugile a pochi istanti dal gong. “Credi che ti stia tradendo?”

“No…” Ma la voce le uscì talmente incerta e sottile da stupire entrambe.

Afferrandole con forza le mani Michiru cercò allora di calmarsi e capire. “Cos’è questa storia? Non sei mai stata gelosa di lei.”

“Come tu non mi hai mai mentito.”

“E’ vero. Hai ragione. Forse è il caso che inizi a darti delle spiegazioni.”

 

 

 

NOTE: Salve. Non volevo lasciarvi proprio sul più bello, ma il capitolo sarebbe stato troppo lungo rispetto agli altri così spiegherò molte cose nel prossimo. E parola d’onore cercherò di scriverlo velocemente.

Per coloro che non mi seguono e che volessero saperne di più, troveranno agganci sulle one shot “Elona Gay” e “la prima di mille notti”, contenute nella raccolta “una vita,tante storie.”

A presto

Ciauuu

 

 

 

   
 
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