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Autore: Dama delle Comete    15/05/2021    0 recensioni
Dragon Trainer/Le 5 Leggende | Hiccup/Jack | Twilight!AU (sì, seriamente)
"Allora chiedimelo, e io risponderò sinceramente" dichiarò serio. Un tono che non ammetteva ulteriori indecisioni.
Hiccup dovette deglutire per sbrogliare il nodo alla gola che stava bloccando la fatidica domanda. Dopodiché sarebbe cambiato tutto, sentiva, nel bene e nel male.
"Siete vampiri."
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Astrid, Hiccup Horrendous Haddock III, Stoick
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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XV

Ferita / Trasformazione
 
 
Una serie regolare di bip lo svegliò, riportandolo alla realtà.
Hiccup aprì lentamente gli occhi, infastidito dalle lampade bianche al neon sul soffitto. Si accorse subito che quello non era il letto di camera sua, era troppo largo e il cuscino troppo scomodo. L'ambiente asettico suggeriva che si trovasse in una stanza d'ospedale.
Percepì l'odore amaro di disinfettante e medicine, e constatò che respirare gli procurava delle piccole fitte a un fianco. Sbatté le palpebre, cercando di recuperare la piena lucidità, ma aveva la mente annebbiata e non si sentiva le gambe. Poi gli tornò tutto alle mente in un flash.
E così non era morto.
Gli si tolse un peso dal petto: se lui era vivo, significava che avevano vinto, che Jack ed Eret avevano fermato Pitch.
A proposito, Jack. Hiccup girò piano la testa, sperando di trovarlo al suo capezzale, invece vide suo padre, seduto su una seggiola troppo piccola per la sua stazza, con la faccia nascosta tra le mani. Addormentato o disperato, era difficile dirlo.
"Papà" chiamò lui con voce impastata.
Stoick si scoprì il volto stravolto e lo fissò sorpreso, come se non potesse o non volesse credere ai suoi occhi. Era irriconoscibile.
"Hic" farfugliò avvicinandosi. "Come ti senti?"
Era talmente ansioso, talmente preoccupato, da sembrare un bambino che ha perso la mamma, pensò Hiccup ridacchiando. Ouch.
"Come se fossi caduto da un grattacielo... Che giorno è?"
Non aveva considerato di poter essere rimasto incosciente per chissà quanto. "Mercoledì. Tranquillo, sei rimasto fuori gioco per neanche dodici ore."
"Dov'è Jack?" chiese allarmato. Non sarebbe stato tranquillo finché non lo avesse visto in carne e ossa.
Stoick assunse un'aria di disapprovazione molto familiare. "Da qualche parte in ospedale. Si è staccato da te solo perché il padre lo ha trascinato via, altrimenti sarebbe ancora qui."
Lo disse come per far intendere che aveva passato ore in quella stanza, e che lui non ne era felice. A Hiccup tornò in mente il suo progetto per la serata precedente, prima di cambiare improvvisamente programmi.
"Senti, papà, ho capito che lui non ti piace, e che anche la nostra relazione non ti piace, ma non ho intenzione di smettere di vederlo, ti vada bene o no."
"Come?" disse lui, confuso, prima di essere attraversato da un lampo di comprensione. "No, no… Non è per quello, io sono… Mi vergogno di non essere arrivato da te prima di loro, tutto qui."
Era il turno di Hiccup di essere smarrito. "Ah. Allora… Riguardo a quello…"
"Mi dispiace, Hic" sospirò Stoick. "Per tutto."
In diciassette anni, quella fu la prima volta che sentì suo padre scusarsi con lui. Stoick Haddock era determinato, orgoglioso, ma soprattutto testardo come un caprone.
"Ammetto che è strano che tu esca con un ragazzo, ma non è quello che mi preoccupa" continuò lui. "Sono le persone. Forks è una città piccola, i pettegolezzi girano, e la gente è diffidente per tutto. Non volevo che avessero un pretesto per trattarti male, mi capisci, vero?"
"Più o meno."
"Ma adesso ho capito cosa conta. Tu stai bene, il resto non importa" Stoick trasse un respiro tremante e si stropicciò gli occhi. "Dio, ho avuto così tanta paura, pensavo che sarei morto per lo spavento."
Hiccup ripensò agli avvenimenti appena precedenti il suo svenimento. "Non ricordo bene cos'è successo."
Non era sicuro di quanto ne sapesse lui. Di certo i Frost non gli avevano raccontato che un vampiro pazzo voleva farli fuori, ma probabilmente avevano ricostruito una storia credibile.
"Ah, certo, devi essere confuso. Dopo che quei due criminali ti hanno portato nel loro nascondiglio a Goat Rocks, hai cercato di scappare, ma sei caduto in un dirupo. Hai fatto un bel volo… Sei finito dritto sulle rocce, anche se non hai battuto la testa, per chissà quale caso fortunato."
Hiccup si toccò il punto che gli doleva a ogni respiro con attenzione. "È per questo che mi sento come mi avessero trafitto il fianco?"
Non avrebbe potuto scegliere termine più appropriato. Sembrava che fosse stata un'altra persona a pugnalarlo, invece di sé stesso, ma dopotutto era disperato.
"Sì, grazie al cielo ti hanno trovato i Frost, altrimenti saresti rimasto lì fino al nostro arrivo. Ti hanno prestato soccorso e hanno chiamato aiuto" disse suo padre.
Non aveva parlato di Astrid e Moccicoso, forse erano stati esclusi dalla bugia. Hiccup sperava che fossero tornati in città senza problemi.
"Che fine hanno fatto quelli che mi hanno rapito?"
Stoick indurì l'espressione furente. "Morti. Il loro rifugio ha preso fuoco. Un incidente strano, in effetti, ma è successo al momento migliore e peggiore insieme. Bruceranno all'inferno e io non potrò mai interrogarli."
Hiccup si agitò sotto le lenzuola rigide, nervoso. Eret non aveva subìto davvero quella sorte, giusto?
"Dimenticali… Ahi."
Aveva le gambe irrigidite e formicolanti. Camminare non sarebbe stato divertente per un po'.
"Tutto bene?" chiese suo padre apprensivo.
"Fa male, ma almeno sono tutto intero." Avrebbe dovuto ringraziare Jack per avergli salvato la vita di nuovo.
Suo padre mutò espressione almeno dieci volte, dalla rabbia, alla preoccupazione, dalla tristezza, alla colpevolezza.
"Sei precipitato su dei massi appuntiti, è un miracolo che tu sia sopravvissuto" disse lentamente. Aveva l'aria di essere una doverosa premessa, prima dell'annuncio di una brutta notizia.
"I Frost hanno fatto quello che potevano" continuò. Okay, una pessima notizia.
Lo sguardo di Stoick si spostò involontariamente sul lenzuolo candido, e Hiccup non ebbe bisogno di altre spiegazioni. Il ricordo della sensazione terribile di ossa, legamenti e muscoli piegati in modo innaturale e doloroso era per sempre impressa nella sua mente.
Sollevò un lembo della coperta, trattenendo il fiato, ignorando le proteste di suo padre, e vide quello che temeva.
Non c'era. La sua gamba sinistra finiva appena sotto il ginocchio fasciato. Hiccup non era pronto a guardare meglio, e rimise a posto il lenzuolo senza commentare. A dire il vero, le emozioni contrastanti nella sua testa erano ovattate dallo stesso spaesamento che non era sparito da quando si era svegliato. Sedativi? Shock?
Inspirò ed espirò con calma. Stoick era teso, aspettando un qualche verdetto da parte sua.
"Dev'essere la mia gamba sfortunata. È la stessa di quando mi sono slogato la caviglia il primo giorno di scuola" disse Hiccup per sdrammatizzare, senza sapere bene perché. Non c'era tanto da ridere, ma forse così sarebbe parso meno importante, meno penoso.
"Sei stato molto coraggioso a tentare di fuggire da quei pazzi pericolosi" disse Stoick. "Sono fiero di te."
L'ennesima sorpresa. Hiccup ne era lieto, però cominciava ad avere l'impressione di avere i giorni contati, suo padre si stava comportando in modo troppo gentile.
Lui si schiarì la voce e batté le mani sulle ginocchia, visibilmente imbarazzato. "Direi che è ora di chiamare l'infermiera. Anche tua madre, prima che scoppi per l'ansia."
"La mamma è qui?" chiese Hiccup stupito.
"Certo, è saltata sul primo aereo disponibile in piena notte. Dovrebbe arrivare tra poco."
Hiccup annuì. Non vedeva l'ora di incontrarla, dopo secoli di lontananza; il loro litigio ora appariva talmente sciocco…
Una piccola parte di lui, tuttavia, non poté fare a meno di pensare 'voglio vedere Jack' in tono capriccioso. Chissà se sarebbe passato presto a trovarlo.
L'infermeria chiamata da suo padre eseguì qualche controllo, decretò che fosse in condizioni stabili e spiegò, insieme a un dottore gentile, la riabilitazione che avrebbe dovuto seguire per riprendere la sua vecchia vita di sempre. Hiccup ascoltò senza sapere esattamente come doveva reagire: era come se stessero parlando di un estraneo, e poi la sua vita aveva smesso di essere normale da un mese.
Dopo che se ne andarono, raccomandandogli un sonnellino, Hiccup domandò a suo padre se qualcuno avesse riferito a Jack del suo risveglio.
"Se ha continuato a tormentare chiunque lavora in questo reparto come ha fatto ieri, allora lo avrà scoperto. Come mai sei così impaziente di vederlo?" brontolò Stoick.
Per tutta risposta, Hiccup arrossì, guardò altrove e si morse la lingua per tutta la mattinata, ogni volta che aveva l'impulso di chiedere. Mangiò obbedientemente l'insapore cibo dell'ospedale e ascoltò il telegiornale dalla TV posta in un angolo della stanza. Non parlarono dell'incidente, per quel giorno.
Sua madre arrivò in ospedale dopo pranzo, irrequieta e vestita troppo leggera. Senza degnare Stoick di uno sguardo, corse subito ad abbracciare Hiccup delicatamente e pretese un resoconto dettagliato degli ultimi avvenimenti.
"Non avrei dovuto lasciarti da solo" pianse sfiorandogli le guance con le dita sottili. Hiccup la trovò più abbronzata, oppure era lui ad aver perso colore.
"Non ero da solo" replicò lui. "Ero con papà."
Lei sbuffò e scosse la testa. "È colpa mia se ti è successo tutto questo, adesso mi odierai."
"No, mamma, e non è colpa di nessuno. Forks non è poi tanto male, sai?"
"Non dire così per farmi stare meglio, ti prego. Ci ho pensato, e penso di aver trovato qualcosa da fare che non mi costringa a spostarmi fuori città" disse con un sorriso incoraggiante. "Che ne dici, ti piacerebbe tornare a vivere insieme?"
Hiccup doveva riprendersi dallo sbigottimento per tre motivi. Primo, sua madre viveva per il suo lavoro, era la sua più grande passione e gioia, restare sempre nello stesso posto le avrebbe tolto tutto questo. Secondo, per quanto suo padre stesse facendo del suo meglio per non mostrarlo, si stava torcendo le mani in apprensione, come se temesse quello che lui potesse rispondere.
Terzo, se Hiccup avesse avuto la stessa occasione un mese prima, avrebbe accettato con entusiasmo e sarebbe tornato immediatamente a casa di sua madre, ma in quel momento non si sentì affatto travolto dalla felicità.
"...Vorrei restare qui" disse, con sua stessa sorpresa.
I suoi genitori erano il ritratto dello sconcerto.
"Ma non ci volevi nemmeno venire" protestò Valka ragionevolmente.
"Lo so, ma non posso andarmene adesso" rispose lui. "Mi mancano solo due anni di scuola, e lascerei qui i miei amici."
Alla parola 'amici', lei inarcò le sopracciglia. Be', Hiccup non poteva darle torto, detta da lui era un ossimoro.
"Se è quello che vuoi, per me va bene" disse sua madre, sconfitta.
"Sdentato ne sarà contento" commentò Stoick raggiante. "Adesso è da Skaracchio. Credo che vadano molto d'accordo, ma sono certo che gli manchi."
Suo padre che parlava serenamente di Sdentato come se fosse un membro della famiglia, proprio lui che aveva fatto di tutto per ignorarlo? Hiccup stava sognando.
"Chi è Sdentato?" chiese Valka.
"Il gatto che ho portato a casa" spiegò lui. "Potrai conoscerlo appena potrò uscire da qui."
"Val, andiamo a mangiare qualcosa" disse suo padre. "Non hai pranzato, in aereo, vero?"
Uscirono dalla stanza, uno con la mano sulla spalla dell'altra, chiacchierando fittamente. Hiccup non li vedeva parlare tranquilli da quando era piccolo.
Dopotutto, Forks non aveva fatto altro che migliorare la sua vita, pensò mentre sbadigliava e chiudeva gli occhi, lasciando che i gli antidolorifici lo portassero nel mondo dei sogni. Chi l'avrebbe mai detto.

*


"Jack" sussurrò una voce al suo orecchio. Qualcuno gli diede una gomitata nel fianco.
Lui smise di fingere di dormire, ingobbito sulla scomoda sedia di plastica blu della sala d'attesa.
Era stato costretto a chiudere gli occhi e starsene immobile per non far notare di essere rimasto in piedi per otto ore, salvo quando era uscito per indossare il cambio di vestiti portato da Toothiana. Aveva interrogato con zelo tutte le persone che andavano e venivano dal reparto dove era ricoverato Hiccup, senza ricevere però informazioni soddisfacenti.
"Che c'è?" bisbigliò ad Aster, seduto accanto a lui, che indicò un uomo in camice che camminava a passo spedito in mezzo a un certo via vai.
"È quello che ha operato Hiccup" disse. "Dev'essere successo qualcosa."
Jack si raddrizzò svelto sulla sedia cigolante. "Si è svegliato?"
"Può darsi, ma dovremo aspettare per saperlo— Dove credi di andare?!"
Jack non ne poteva più di quella sala d'attesa, era frustrante restare fermo e all'oscuro della situazione.
Aster gli afferrò il braccio e tirò in basso, spingendolo a tornare seduto. "Ti cacceranno di nuovo" sibilò.
"Non mi hanno cacciato, è stato Nord a portarmi via" ribatté lui. Ricordava con fastidio le grosse mani dell'uomo che lo portavano fuori dalla stanza, insistendo che doveva riposare. 'Riposare'? Era un vampiro, non ne aveva bisogno da ottant'anni!
"Come ti pare, ma adesso sta' fermo, se fai una scenata ci manderanno via dall'ospedale."
Jack eseguì l'ordine svogliatamente, infilando le mani nella tasca della felpa e battendo nervosamente il piede sulle piastrelle opache del pavimento.
Aspettarono per un'eternità, o forse un'ora, finché Jack non intravide il padre di Hiccup, che spiccava per la sua imponenza, diretto al bar della struttura accompagnato da una donna.
Sfuggì agilmente dalla vigilanza di Aster e si avvicinò a Stoick.
"Come sta Hiccup?" chiese impaziente.
"Abbastanza bene, è sveglio da un po' e non vede l'ora di tornare a casa" rispose lui. Per la prima volta dopo il giorno prima, aveva perso il tono disperato che aveva colto Jack alla sprovvista, quando aveva parlato con Astrid al telefono. Dopo quella conversazione lo aveva completamente rivalutato.
Perciò Hiccup si era ripreso senza difficoltà. Che sollievo.
La donna si sporse da dietro Stoick per vedere meglio Jack. "Sei un suo amico?"
Lui la guardò meglio. Era alta e snella, con lunghi capelli castani striati di grigio e occhi azzurri che si affacciavano sugli zigomi alti. A Jack ricordò molto Hiccup.
"Mi chiamo Jack Frost" annuì.
"È il ragazzo di Hic" precisò il signor Haddock. "È stato lui a trovarlo per primo, insieme alla sua famiglia. Brava gente."
Quale delle voci elencate spinse la donna a stringere Jack in un abbraccio commosso era un mistero, e lui si lasciò stringere senza protestare, impacciato, mentre veniva ricoperto di ringraziamenti.
"Sono Valka, la madre di Hiccup" si presentò lei dopo aver essersi ritratta. "Ora è un po' più chiaro perché vuole rimanere qui, lo avrei fatto anch'io se avessi avuto un fidanzato così bello."
Lo studiò con lo stesso sguardo profondamente affascinato del figlio, ignorando le parole sdegnate dell'ex marito, che stava sostenendo con orgoglio quanto fosse attraente in gioventù.
"In che senso 'vuole rimanere'?" chiese Jack.
"Ha rifiutato la mia proposta di tornare ad abitare da me" disse Valka con appena una traccia di rammarico nella voce.
Doveva andare subito da lui, pensò Jack col cuore pieno di gioia. Non aveva considerato la possibilità che Hiccup potesse andarsene, anche se aveva senso che la madre lo volesse portare via, dopo quello che era successo.
"Voglio vederlo" disse ai due adulti fremendo per l'agitazione. "È possibile?" Stoick si lisciò la barba. "Credo di sì, ma non aspettarti di avere chissà quale conversazione. Sta dormendo."
Per Jack era più che sufficiente. "Grazie."
Indirizzò un cenno ad Aster, che aveva osservato la scena da lontano, e si infilò nel corridoio che portava alla stanza di Hiccup. Voleva dirgli quanto fosse felice che stesse bene e che volesse vivere a Forks pur avendo rischiato la vita, e che lo amava.
Come da avvertimento, il ragazzo disteso sul grosso letto con le sbarre aveva gli occhi chiusi. Jack poteva sentirne il respiro calmo e il battito regolare, accompagnato dal debole bip del cardiogramma. Trovò il suo odore sbagliato, o comunque leggermente diverso, forse per una trasfusione.
Hiccup si destò non appena lui si accomodò sulla seggiola vicina al letto e appoggiò i gomiti sul materasso. "Ehilà."
"Scusa" si affrettò a dire Jack. "Riposa pure, sembri esausto."
Lui si mise in una posizione più diritta, strizzando gli occhi. "No, tranquillo, dormirò dopo. Sospetto che avrò un sacco di tempo per farlo… Ahia."
Jack si alzò di scatto, ma agitò inutilmente le mani per paura di fargli ancora più male toccandolo, e non gli restò che tornare a sedersi. "Vacci piano."
"Già, ho avuto una brutta caduta, eh?" tossì Hiccup facendogli l'occhiolino. "Bella storia, a proposito, ma la parte dell'incendio è piena di buchi."
"Ehi, c'era poco tempo per pensarci ed eravamo sotto pressione, abbi pietà."
Lui rise e trasalì, toccandosi il fianco. "Okay, okay, allora raccontami cos'è successo davvero."
Jack non era proprio entusiasta all'idea di ripercorrere gli avvenimenti traumatici del giorno prima, tuttavia non avrebbe mai potuto rifiutare una sua richiesta.
Gli riferì nel dettaglio dell'inseguimento di Astrid e Moccicoso, di come si erano incrociati per strada e del tragitto fino a Goat Rocks.
"Pitch ci avrebbe ammazzati, se non fosse stato distratto da qualcuno…" concluse.
"Per fortuna ha funzionato, era un piano rischioso" commentò Hiccup.
"Rischioso?" esclamò Jack, indeciso se ridere o arrabbiarsi. "Hai cercato di ucciderti!"
"No" replicò lui serio. "Se l'intenzione fosse stata quella, avrei mirato al cuore. Non mi sono pugnalato a casaccio, sai" aggiunse ironicamente.
Jack sospirò e si arruffò i capelli sulla nuca. "Guardati. Sei ridotto così, costretto su un letto d'ospedale per colpa mia. La tua gamba…"
"È andata, ma sono vivo" Hiccup posò la mano calda sulla sua e la strinse. "Sono vivo, Jack, ed è soprattutto grazie a te."
Lui annuì, eppure non poteva impedirsi di pensare che sì, quella storia poteva finire decisamente peggio, ma non era la prima volta che Hiccup rischiava tutto, e non sarebbe stata nemmeno l'ultima, proprio a causa sua. L'intromissione prepotente di Jack nella sua vita umana l'aveva fatta diventare una roulette russa.
"Devo dirti una cosa."
"L'ultima volta che me l'hai detto ho ricevuto una confessione."
Jack accarezzò un lieve callo da penna sul dito di Hiccup. "Ad essere sincero dovevo dirtelo molto tempo fa, ma ho lasciato perdere dopo che tu hai cominciato a blaterare di maglioni."
"Guarda che hai iniziato tu!"
"Certo, certo" sospirò. "Ci sarebbe un… un modo per renderti meno vulnerabile. È estremo, e non ti farebbe comunque recuperare la gamba, ma così non saresti sempre a un passo dalla morte."
Hiccup guardò assorto le proprie ginocchia, nascoste sotto il lenzuolo bianco. "Intendi la trasformazione?"
Jack era di fronte a un bivio. Era ancora in tempo per gridare che fosse tutto uno scherzo, e riderci su, oppure dire la verità e lasciargli la scelta che gli spettava di diritto, come aveva spiegato Nord. Nello stesso modo in cui si era arreso sulla montagna, decise di accettare qualunque risposta.
"Sì. Tre giorni in cui ti sembrerà di andare a fuoco, e poi sarai la creatura più forte nel raggio di chilometri, anche più di noi, per un intero anno."
Quelle ore in cui Hiccup avrebbe gridato, urlato di spegnere fiamme immaginarie e implorato di ucciderlo, sarebbero state interminabili. Jack si morse il labbro: prima di allora non ci aveva pensato.
"No."
Lui lo fissò interrogativo.
"Voglio dire" Hiccup si grattò la testa, pensieroso, "sembra fantastico… La forza sovrumana, la resistenza, le ore libere senza dormire e l'idea di non essere un peso, ma non so se sono pronto. Da quello che ho visto direi che è un grosso sacrificio, no? Dovrei stare lontano dagli umani per un po', compresi i miei genitori, e anche dopo sarebbe tutto diverso. In più" sorrise nostalgicamente, "mi dispiacerebbe mancare l'occasione di passare un anno di scuola in tranquillità."
"E perderesti tutte le lentiggini" suggerì Jack, sentendo un peso sollevarsi dalle sue spalle. "Saresti freddo e pallido come noi. La gola ti brucerebbe costantemente. In effetti non è proprio uno spasso."
Hiccup ridacchiò e alzò gli occhi al cielo.
"Le lentiggini no, per carità!" disse in tono esageratamente drammatico. "No, grazie per l'offerta, ma per il momento sono a posto. Sempre che non ti dispiaccia togliermi dai guai."
Jack gli pizzicò il naso, sicuro che quel punto non gli dolesse. "Certo che no, ma non provare mai più a farti del male, o avrai cinque vampiri arrabbiati alle calcagna!"
"Anche Eret?" chiese Hiccup allarmato. "Mio padre è convinto che sia morto con Pitch."
"È a casa nostra, Nord e Sandy lo tengono d'occhio" lo rassicurò Jack. "E gli altri?"
"Aster è tornato al lavoro, mentre Toothiana è a scuola e mi ha mandato SMS per tutta la notte, mi sa che si è presa un bello spavento. Anche Astrid, perché mi ha chiamato all'alba per chiedere come stai."
"È carino da parte loro essere tanto in pensiero per me. Sono sulla bocca di tutti, si direbbe" disse Hiccup.
"Non sai quanto" sogghignò Jack. "Deve essersi sparsa la voce che sei stato rapito, perché a sentire Toothiana sei improvvisamente, inspiegabilmente diventato il ragazzo più popolare della scuola."
Non che ci volesse molto, in realtà. Il liceo di Forks aveva tanti studenti quante giornate di sole.
"Oh, no!" si disperò lui.
"L'hai presa bene, vedo."
"Sono inconsolabile e nulla potrà darmi gioia, tranne…" Hiccup rifletté per qualche secondo. "Tranne una cosa che mi neghi da quando ci conosciamo."
"Cosa?"
"Il sole. Mi piacerebbe sapere perché non potete stare alla luce, è da giorni che me lo chiedo."
Jack si alzò dalla sedia e andò alla finestra. "Non ti fa dormire la notte, eh?"
Hiccup si strinse nelle spalle con un'occhiata di scuse, mentre lui esitava davanti alle persiane chiuse. Non sentiva visitatori o medici in arrivo, quindi tirò la cordicella.
Il sole pallido del primo pomeriggio di fine settembre investì la sua pelle, che la catturò rimandandola all'esterno, divisa in un milione di riflessi di diamante. I suoi occhi di vampiro potevano intravederci l'intero arcobaleno, e doveva fare un effetto impressionante anche per un umano, perché Hiccup lo stava ammirando a bocca aperta, con gli occhi pieni di meraviglia che specchiavano lo spettacolo.
"Wow" boccheggiò senza distogliere lo sguardo. "È bellissimo."
Jack si guardò il dorso delle mani. Non si sarebbe mai definito 'bellissimo', in passato, ma Hiccup riusciva a farlo sentire così. Era disarmante.
Chiuse le tapparelle con uno scatto frusciante e tornò da lui.
"Io ti…" cominciò, prima di udire dei passi in avvicinamento. Non erano quelli decisi di Stoick. "Sta arrivando il dottore."
Hiccup si aggrappò alle mani di Jack facendo una smorfia. "È l'ora di iniziare la riabilitazione."
"Metticela tutta. Sei forte."
Jack, essendo ancora in piedi, approfittò per scostargli i capelli e stampargli un bacio in fronte. Hah. Dolce vendetta.
"Ci vorrà un po', temo" disse Hiccup accennando alla gamba mancante. "Mi aspetterai?"
"Per sempre" giurò Jack. Indietreggiò e uscì di soppiatto.
Questa promessa sarebbe stata la prima che avrebbe mantenuto davvero, poco ma sicuro.



Note
Siamo quasi alla fine, manca l'ultimo capitolo. Chiedo perdono se ho scritto qualche sciocchezza riguardo l'amputazione o simili, fortunatamente non me ne intendo. Comunque sono rimasta apposta sul vago.



  
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