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Autore: FairyCleo    18/05/2021    1 recensioni
Dal capitolo 1:
"E poi, sorprendendosi ancora una volta per quel gesto che non gli apparteneva, aveva sorriso, seppur con mestizia, alla vista di chi ancora era in grado di fornirgli una ragione per continuare a vivere, per andare avanti in quel mondo che aveva rinnegato chiunque, re, principi, cavalieri e popolani".
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Goku, Goten, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ambasciator non porta pena?

Trunks e Goten avevano supplicato le guardie di far vedere loro Vegeta, ma non c’era stato modo per i bambini di poterlo fare.
Dopo il pestaggio subito e dopo essere stato costretto ad assistere alla tremenda esecuzione della donna che lo aveva salvato, Vegeta era stato riportato nella sua cella, in fin di vita, abbandonato completamente a se stesso.
Goten aveva provato a essere gentile, Trunks aveva mostrato una maggiore decisione, ma non c’era stato verso: nessuno aveva voluto dirgli quale sorte fosse toccata al principe dei saiyan, né il perché si rifiutassero di farglielo vedere. Amareggiati e stanchi, dopo un intera giornata di suppliche, dopo aver visto fallire anche Joruno e Josuke che avevano provato a fare pressione grazie al nome altisonante dei genitori, i bambini erano tornati a casa con la coda tra le gambe, sfiniti, con il cuore rabbuiato e un avvilente senso di sconfitta.
Quello che non avrebbero mai potuto sapere era che dietro quel rifiuto così netto da parte delle guardie non c’era stato un ordine impartito da un giudice o da un loro superiore, ma un misterioso accordo stipulato con qualcuno che aveva fatto loro la promessa di una forza e un vigore che avrebbe fatto tremare qualsiasi altro essere presente sulla faccia della Terra.
Se fosse stata una donna, a fare una simile proposta, state pur certi che si sarebbe trovata a bruciare sul rogo senza possibilità di appello. Ma quelle parole così seducenti non erano uscite dalla bocca di un membro appartenente al gentil sesso, bensì da quelle di un uomo, e non di un uomo qualsiasi, ma di colui che si era miracolosamente ripreso dall’aggressione messa in atto proprio dal poveraccio che se ne stava accovacciato sul pavimento della lurida cella dei sotterranei.
Le cose erano cambiate in maniera sorprendentemente piacevole, per quell’uomo apparentemente così insignificante e debole. Leon aveva detto alle guardie di essere miracolosamente guarito grazie all’intercessione di una creatura divina che aveva avuto pietà di lui, uomo giusto che aveva dovuto subire la violenza di quel pazzo sicuramente guidato da qualche spirito maligno.
Vegeta non ne aveva idea, ma Leon si era goduto la scena del suo pestaggio da spettatore nascosto nell’ombra. In un primo momento, avrebbe voluto partecipare, ma poi aveva scoperto di provare un piacere maggiore nell’osservare tutto da lontano, comodamente seduto con le gambe accavallate mentre beveva un bicchiere di vino sottratto dall’otre che aveva donato alle guardie sue complici.
Era stato splendido: il bastardo che aveva puntato sin dal suo primo giorno di lavoro non aveva neanche provato a difendersi. Era stato estremamente divertente vedere il processo che lo aveva condotto a togliersi dalla faccia quel sorriso impertinente: da spavaldo e spocchioso, era diventato più disgustoso e insignificante di a una larva. E quale gioia aveva provato nel vedere la sua espressione durante l’esecuzione della donnetta per cui era finito in quella situazione! Era stato tutto stupendo! Mai, prima di allora, si era sentito così forte, così sicuro di sé! E dire che, fisicamente, in lui non c’era niente di diverso. Il cambiamento era avvenuto dentro di sé, ed era stato doloroso, seppur rapido, ma ne era valsa sicuramente la pena. Ancora non si era dato una vera e propria spiegazione, ma quello che aveva ottenuto era stato abbastanza da fargli accettare l’idea che non potesse trattarsi di una cosa negativa. Lui era deciso, ora, sicuro di sé, e si sentiva molto più forte adesso rispetto a quando sferzava la sua frusta sulle schiene di quei patetici pezzenti che si spezzavano le ossa per la fatica di lavorare nei campi.
Adesso che aveva testato la fedeltà delle guardie, non restava che dare loro ciò che aveva promesso, e non vedeva l’ora di cominciare a farlo.
 
*
 
Trunks non riusciva a prendere pace. Da quando aveva deciso di provare a disfarsi del quaderno le cose non aveva fatto altro se non precipitare.
Il bambino non aveva messo in atto un piano preciso: aveva deciso di non sfogliare mai più quell’oggetto maledetto e aveva provato a ripensare con esattezza a tutto quello che aveva fatto per aprire quella sorta di portale che lo aveva condotto nella strana caverna delle meraviglie. Dopo una lunga serie di tribolazioni, però, era arrivato alla conclusione che non fosse capace di riaprirlo perché non poteva verificarsi una condizione simile a quella che aveva vissuto in quel preciso istante. Niente sfere sottratte, niente Junior, niente cuore spezzato. O meglio, il cuore infranto c’era eccome, ma non era sufficiente a riaprire quel passaggio in cui avrebbe volentieri gettato quell’abominio.
Si era spremuto le meningi il più possibile per cercare di trovare una soluzione rapida e facilmente applicabile, ma non c’era riuscito, e questo aveva fatto precipitare il ragazzino in una sensazione di sconforto talmente forte da portarlo a credere che, quella volta, non ci sarebbe stata via d’uscita.
Si sentiva solo, Trunks, solo e abbandonato da tutti, e l’ultimo colpo subito dopo l’arresto di suo padre era stato la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Era perfettamente consapevole di avere Goten al suo fianco, sapeva che il suo fratellino acquisito sarebbe stato perfettamente in grado di dargli una parola di conforto, una spalla su cui piangere, che non lo avrebbe lasciato da solo, ma lui proprio non riusciva a pensare di coinvolgerlo in quella situazione che aveva creato, e questo non aveva fatto altro se non portarlo a isolarsi ulteriormente, ad alienarsi da quella realtà così crudele.
La tentazione di aprire il quaderno e sfogliarne le pagine era stata immensa, ma per la prima volta la sua forza di volontà aveva avuto la meglio, e la battaglia contro quel diavolo tentatore l’aveva vinta lui.
Si era deciso a non volerlo più tenere in casa. Si rifiutava di tenere ancora quel coso maledetto sotto il suo letto, si rifiutava di esporre Goten, suo padre – quando sarebbe tornato – Josuke o Joruno all’influsso maligno di quell’immondo oggetto. Era stato uno stupido a non porsi le giuste domande, prima di confidargli i suoi più intimi segreti. Non era stato un caso se si fosse trovato al posto sbagliato al momento sbagliato, se fosse capitato proprio a lui di rintracciarlo e portarlo via da lì. Aveva sempre ricacciato indietro quel pensiero, ma era stato ugualmente sciocco nel pensare di essere stato fortunato come Aladino e aver trovato la lampada magica che, dopo essere stata sfegata, liberava un Genio capace di esaudire tre desideri.
Quel coso non aveva esaudito i suoi desideri, anzi: li aveva manipolati, facendogli credere di avergli dato tutto quello in cui aveva sperato, di averlo reso felice quando la verità era che non era felice, non era felice per niente.
 
“Mi manca la mia mamma. Mi mancano nonno e nonna. Mi mancano zia Chichi e Gohan. Mi manca la mia casa, la mia scuola, i miei giochi. Mi mancano gli allenamenti con papà. Mi manca la mia vita prima. Volevo che Goten diventasse a tutti gli effetti mio fratello, volevo che fossimo una vera famiglia, ma non volevo portargli via tutto per dargli solo me e papà. Non volevo sottrargli i suoi affetti per donargli solo il nostro. Non volevo… Ho rovinato ogni cosa. E adesso, forse, non sono più capace di amare”.
 
Erano state parole dure quello che avevano preso forma nella mente del bambino, ma non c’era scampo. Prendere coscienza di ciò che aveva fatto era stato il primo passo per provare a liberarsi di quel peso che lo schiacciava, ma saperlo non aveva fatto altro che farlo sentire peggio.
 
Alla fine, il bambino aveva scavato una buca a mani nude: aveva camminato tanto prima di scegliere il posto più adatto, un posto che conosceva solo lui e che sarebbe stato facile da riconoscere e raggiungere. Il luogo prescelto era stato uno spiazzo accanto fiume dove crescevano i narcisi gialli. Con estrema attenzione, evitando con cura insetti velenosi e pericoli vari ed eventuali, aveva scavato con le mani, rompendosi le fragili unghie e ferendosi con i piccoli sassolini nascosti nel terreno. Il lavoro era durato parecchi minuti, ma non era stato faticoso. Al contrario, aveva fatto fatica nel lasciar andare quell’oggetto maledetto, nel restituirlo alla terra, in un certo senso.
 
“Non avrai un altare dove essere sfoggiato, ma finalmente avrai un posto dove marcire. Mai nessuno dovrà trovarti, mai nessuno dovrà fare danni usandoti. Nessuno saprà che sei mai esistito”.
 
Aveva ricoperto la buca con attenzione, cercando di ricomporre persino i fiori che vi stavano sopra. Il suo compito era stato portato a termine. Ora, solo lui sapeva dove fosse sepolto quell’affare. Quel segreto sarebbe finito nella tomba con lui. O almeno, questo era quello che sperava Trunks. Ma non sapeva che, persino quella mossa, facesse parte del disegno di quel mostro.
 
*
 
Era stanco di fare la spola tra casa, scuola e la prigione. Gli avevano insegnato a perseverare, che credendo fermamente in quello che faceva, prima o poi avrebbe raggiunto i risultati tanto auspicati. Eppure, nonostante la tenacia, nonostante la voglia di portare a termine ciò che si era prefissato, Goten non era riuscito a vedere i frutti del suo impegno. Non c’era modo di vedere Vegeta, né di sapere dove fosse, né di avere notizie in merito al suo stato di salute.
Aveva tentato innumerevoli volte di convincere le guardie, aveva persino provato a muoverle a pietà, ma i suoi sforzi erano stati vani.
Subito dopo l’arresto di Vegeta, aveva iniziato a contare i giorni e, se avesse potuto, avrebbe contato persino i minuti e i secondi che lo separavano dal principe. Il pensiero della sorte che poteva essergli toccata non faceva altro che tormentarlo, soprattutto dopo aver scoperto quale atroce fine avesse fatto la povera Marilyn. Aveva pianto amaramente per lei. Era sempre più convinto che quel mondo fosse ingiusto e crudele, che le persone buone e generose finissero per scontare pene che non meritavano, mentre chi si comportava male non faceva altro se non continuare a vivere la propria vita con tranquillità.
Goten sentiva di essere alla deriva, perso non in mare, ma nel bel mezzo dell’oceano, e di essere in balia delle onde. Più volte aveva avuto la sensazione di annegare, di non riuscire in nessun modo a venire a galla. Aveva sperato di poter contare sull’aiuto di qualcuno, di poter ricevere al più presto se non una mano, almeno un salvagente, ma non era accaduto niente del genere. Trunks poteva anche essere lì fisicamente, ma la sua mente e il suo cuore si trovavano chissà dove, persi in chissà quale posto spaventoso e a lui completamente inaccessibile. A nulla era valso provare a chiedere un invito, aveva fallito ancora di più nel momento in cui aveva provato a forzare quel portone chiuso a doppia mandata e, a quel punto, aveva perso ogni speranza, capendo di essere completamente solo.
Vegeta era in prigione, mentre il suo migliore amico, anzi no, suo fratello, si trovava in una prigione mentale.
Temeva che non li avrebbe mai più riavuti indietro. Temeva che dopo la sua mamma, dopo Gohan, dopo Bulma, dopo Ouji, avesse perso anche l’unica e sola famiglia che gli era rimasta, quella che aveva desiderato, ma non a discapito di quello che aveva avuto fino a poco tempo prima.
Il punto era che, in qualche misura, Goten aveva cominciato a sentirsi in colpa per tutto ciò che era capitato. Non riusciva a comprenderne il motivo, l’essenziale continuava a sfuggirgli, ma qualcosa, in lui, sussurrava al suo orecchio di essere la causa di quel cambiamento, di quel dolore che sembrava impossibile anche solo da contemplare.
La notte aveva spesso dei terribili incubi che lo facevano svegliare di soprassalto sudato e impaurito, ma non riusciva mai ad averne un ricordo chiaro. La confusione provata durante quei momenti, sommata allo smarrimento vissuto durante le lunghe giornate in cui provava a fingere di vivere una vita normale lo avevano prosciugato. Il momento più difficile era sopraggiunto nell’attimo in cui si era reso conto che non fosse rimato praticamente nulla dei risparmi di Vegeta. A quel punto, come avrebbero fatto a mangiare e andare avanti?
 
“Non abbiamo più denaro” – aveva esordito, cercando di attirare l’attenzione di Trunks – “Sono rimasti solo pochi spiccioli. Non so come fare la spesa, Trunks… Non ho idea di come fare per comprare da mangiare”.
 
Aveva cercato di mantenere un certo contegno, ma non gli era venuto naturale. Si sentiva perso, provava paura e una profonda vergogna per quello che aveva dovuto dire, questo sempre a causa del senso di colpa che lo stava divorando. Avrebbe voluto piangere, Goten. Se ci fosse stata ancora la sua mamma sarebbe corso da lei, lasciandosi cullare e baciare, coccolare e amare come solo lei sapeva fare. Ma la sua mamma non c’era, e non c’era neppure Vegeta. C’erano lui e Trunks, lì, solo loro due. E, in qualche modo, avrebbe fatto in modo di riavere con sé il bambino che lo aveva accompagnato a recuperare quell’uovo, il fratello che lo aveva spinto a superare se stesso e a raggiungere lo stadio di super-saiyan.
 
“Io… Non so che dirti”.
“Come sarebbe?”.
 
Temeva di ricevere una simile risposta, ma doveva smetterla. Trunks non poteva più permettersi di assumere quell’atteggiamento insopportabile! Capiva che avesse alti e bassi, che quella situazione spaventasse anche lui, ma come poteva aiutarlo ad aiutarsi se si rifiutava di comportarsi da persona normale? La voglia di piangere era aumentata.
 
“Trunks… Se non sappiamo come fare ad andare avanti non potremo aiutare papà… Volevo solo una mano… Un consiglio… Non chiudermi la porta in faccia, ti prego”.
 
Il bambino dai capelli color lillà non era stato capace di reggere il suo sguardo e aveva chinato il capo, mostrandosi stanco e pentito, ma soprattutto estremamente vulnerabile.
 
“Che cosa pensi di fare?”.
“Dobbiamo sapere di papà, Trunks… Dobbiamo sapere che fine ha fatto”.
 
Papà. Goten, ormai, si rivolgeva a Vegeta con quell’appellativo, ma Trunks non sarebbe mai stato capace di spiegare a parole come ciò lo facesse sentire. In ogni caso, aveva ragione, di nuovo.
 
“Vorrei tanto che qui con noi ci fosse un adulto, sai?”.
“Sì… Lo vorrei tanto anche io… Ma non credo che riusciremo a trovare qualcuno che possa aiutarci… Anche volendo chiedere un aiutino a Josuke e Joruno, io… Non me la sento, ecco… Stanno già facendo tanto per noi… Non voglio gravare su di loro e sulla loro famiglia. Voglio solo sapere cosa è successo. E voglio riportare a casa papà”.
“Anche io… Ma tornare in prigione a cosa può servire? Non ci dicono niente… Mi sento preso in giro. Anzi, ci prendono in giro. Li odio. Odio questo maledetto posto! Certe volte, vorrei chiudere gli occhi, addormentarmi e…”.
“Svegliarti nel mondo di prima? Posso capirlo benissimo”.
 
Trunks aveva visto una profonda tristezza farsi spazio negli occhi neri di Goten. Era tutto così ingiusto, tutto così sbagliato. Ma non trovava le parole per poterlo consolare. Come avrebbe potuto farlo, se lui era il primo a voler essere consolato da qualcuno? Se lui era il primo ad averne un disperato bisogno?
Ed eccola lì, quella sensazione maledetta, quella voglia di prendere la penna, mettersi nascosto e porre un milione di domande alla creatura nascosta nel quaderno. Perché, se aveva appurato che non volesse aiutarlo, continuava ad avvertire quel dannato bisogno? Perché continuava a fare sempre lo stesso, stramaledetto errore?
 
*
 
Aveva percorso centinaia di chilometri nel tentativo di raggiungere la fonte del potere che tentava di celarsi ai suoi occhi.
Genio era stanco, sfinito a dir poco, ma sapeva di non potersi concedere un minuto di riposo. Sapeva perfettamente che ogni istante perso, ogni ora trascorsa, esponeva il mondo intero a un pericolo inimmaginabile.
Era deciso a porre fine a quella vicenda nata in circostanze così sconvolgenti, anche se, in cuor suo, temeva di non riuscire a trovare la forza necessaria.
Sapeva, però, di non potersi tirare indietro: dal suo successo dipendeva non solo la vita del suo pupillo, ma il destino del mondo intero.
I dubbi continuavano ad assalirlo: la sua schiena curvata dagli anni sarebbe stata capace di sopportare quel peso? Non era in grado di rispondere, ma se fosse caduto sotto il peso di quella responsabilità lo avrebbe fatto solo dopo aver compiuto il suo dovere. Il quaderno, e ciò che conteneva, dovevano essere fermati.
 
“Dove ti nascondi? Chi starai provando a traviare con il tuo animo deviato? Con quei tuoi modi silenziosi ma efficaci, con i tuoi enigmi, con le tue bugie? Vorrei essere in grado di poterti leggere dentro… Forse, se ci riuscissi, potrei provare a salvarti”.
 
Era uno sciocco a pensare di poterlo fare. Era veramente uno sciocco se pensava di poter trarre in salvo quell’anima perduta. La prigionia, l’isolamento, la privazione di un corpo fisico, vitale, non avevano fatto altro se non accrescere la sua ira, il suo desiderio di vendetta. Ma quella era la punizione che gli Antichi avevano stabilito per i traditori dell’Ordine. La morte non era un’opzione contemplabile. Non a quei tempi, non per chi poteva fregiarsi del titolo di Maestro. Ma se la morte, se la liberazione dell’anima, sarebbe stata l’unica soluzione, avrebbe potuto applicarla?
 
“Vorrà dire che, a quel punto, mi sacrificherò: alla fine, io morirò con te”.

 
*
 
Di nuovo.
Gli avevano negato di nuovo la possibilità di vedere il padre.
Quella volta, però, non avevano fatto i “bravi bambini”. Quella volta avevano messo in atto un piano ben congegnato, un piano che prevedeva un diversivo e una vera e propria missione stealth. Non avevano i loro poteri, era un fatto assodato, ma questo non significava che avessero perso la capacità di far funzionare il cervello.
 
“Signore, per favore… Voglio solo vedere il mio papà… Non ho più sue notizie. E non ho più da mangiare. Mi cacceranno di casa e non potrò più andare a scuola… Che fine farò se non saprò leggere e scrivere? Se non imparerò un mestiere?”.
 
Goten aveva sfoderato la sua migliore espressione da angioletto e si era praticamente gettato ai piedi della guardia che presidiava l’ingresso ai sotterranei. L’energumeno, un omone alto almeno un metro e novanta, pelato, con un paio di baffoni che avrebbero fatto invidia ai gangsters messicani, nel vedere il bambino incollarsi ai suoi stinchi si era a dir poco pietrificato. Odiava i marmocchi, e odiava ancor di più quelli che se ne andavano in giro piagnucolando con il moccio al naso. Che poteva farci lui se il padre era un delinquente? Aveva ricevuto disposizioni ben precise da parte dei suoi superiori: nessuno doveva vedere il prigioniero. Neanche lui sapeva in quale cella fosse stato rinchiuso, tra le altre cose, né gli interessava saperlo. Quei bastardi erano tutti uguali per lui. Che marcissero pure lì sotto!
 
“Senti, ragazzino, vedi di levare le tende! Non posso farti vedere tuo padre, ho perso il conto delle volte in cui te l’ho detto, e sto perdendo la pazienza! Sto lavorando, non ho tempo da sprecare dietro a te e a quel mentecatto! SPARISCI!”.
“Ma, signore, come può non avere pietà di me? Morirò di fame se non lo riavrò! Morirò di dolore! Voi non avete figli, signore? Cosa farebbero i vostri figli se non vi vedessero tornare, la sera? Se non sapessero quello che vi è capitato? Vi prego… Ho tanta paura… E ho tanta fame”.
“Che vuoi che mi importi?? Senti moccioso, smamma o giuro che ti… EHI! MA CHE FAI??”.
 
Goten aveva iniziato a strillare e gli si era attaccato alla gamba destra a mo’ di cozza sullo scoglio, provocando nella guardia un moto di disgusto misto a rabbia e senso di impotenza.
 
“TI HO DETTO DI MOLLARMI! MOLLA-LA-PRESA!”.
 
In meno di un minuto, si era creato un gran trambusto: le guardie avevano cominciato a ridere della sventura capitata al collega, mentre i visitatori avevano assistito alla scena indignati, schierandosi – per quello che potevano – dalla parte del bambino.
Era stato proprio nel momento in cui Goten lo aveva lasciato e aveva provato a correre verso le scale che conducevano al piano superiore che Trunks si era mosso con circospezione e rapidità, imboccando indisturbato il corridoio che lo aveva condotto presso la cella di suo padre qualche tempo addietro.
Doveva fare presto. Per quanto fossero stati attenti a non dare nell’occhio, a non far capire che fossero arrivati insieme, il pericolo di essere fermato da qualcuno era reale.
 
“Spero che tu possa cavartela, Goten. Adesso, devo trovare papà”.
 
Gli alti e bassi che stava vivendo il bambino lo stavano portando a pensare di essere diventato completamente pazzo, talmente pazzo da fare una cosa estremamente rischiosa come quella.
 
“Devo fare presto. Questa potrebbe essere l’unica occasione che ho”.
 
*
 
Lo avevano buttato fuori a calci, letteralmente. Il povero Goten aveva battuto violentemente il deretano sulle pietre dello spiazzale antistante la prigione, ma era convinto che il dolore provato stesse supportando non solo una buona causa, ma una causa vincente! Non erano risuonati allarmi e non aveva sentito ulteriori schiamazzi, il che poteva voler dire solo che Trunks non era ancora stato scoperto. In verità, aveva sperato di poter trattenere le guardie fino a vederlo tornare indietro, ma dopo qualche minuto dalla messa in atto del suo diversivo, si era reso conto di quanto fosse impraticabile quel proposito. Sperava solo che Trunks riuscisse a uscire da lì indenne, e che potesse dargli notizie sul povero Vegeta.
 
“Ahi! Che botta… Mi farà male per una settimana… Che maniere… E ora che faccio? Aspetto Trunks qui fuori? Ma dove? Mi hanno detto che se mi faccio vedere ancora qui attorno arrestano anche me. Che situazione…”.
 
“Ti sei fatto male, piccolo?”.
 
Un uomo mai visto prima lo aveva avvicinato, porgendogli la mano con il preciso intento di aiutarlo ad alzarsi da terra. Il bambino era parso incerto. Sua madre gli aveva raccomandato un’infinità di volte di non dare confidenza agli sconosciuti, ma quel signore sembrava non avere niente di strano. Era stato gentile, dopotutto… Tra tanti, era stato l’unico a farsi avanti e offrirgli un po’ di aiuto.
 
“Io… No, grazie…”.
 
Convinto di essere nel giusto, Goten aveva accettato l’aiuto offerto e aveva afferrato la mano ancora tesa, lasciandosi issare da terra.
 
“Ecco qui, giovanotto! Sei di nuovo in piedi! Allora, perché hai fatto tanto arrabbiare la guardia?”.
 
Goten era trasalito.
 
“Avete visto tutto?”.
“Oh, ti chiedo scusa. Non volevo sembrarti indiscreto. Non sono affari miei, hai ragione…”.
“No, non è questo… Anzi, grazie per aver chiesto”.
“Sono proprio intrattabili, vero? Pensano di avere sempre ragione e di poter fare quello che vogliono…”.
 
Era rimasto di stucco. Quell’uomo era così… Strano. O meglio, il suo aspetto fisico era a dir poco comune, ma il suo modo di fare aveva qualcosa che non riusciva a comprendere pienamente. Era solo gentile, o c’era sotto qualcosa che non riusciva a cogliere? Forse, tutto quel tempo trascorso in solitudine lo aveva reso più sospettoso di quanto non servisse.
 
“Alcune sono prepotenti, è vero…”.
“Spero che tu non sia in guai seri, piccolo… I tuoi genitori non ci sono?”.
“È proprio per questo che mi trovo qui… Papà… Ecco, lui si trova lì dentro…”.
“Hanno arrestato il tuo papà? Deve aver fatto qualcosa di grave per essere stato messo in carcere!”.
“Papà non ha fatto niente di sbagliato, invece! È solo che, in questo maledetto posto, le cose non fanno altro che funzionare al contrario rispetto a come dovrebbero essere!”.
 
Si era pentito di averlo detto un istante dopo. Aveva parlato troppo, ne era sicuro. Se lo avesse insospettito in qualche modo? Se, dicendo quello che aveva detto, gli aveva dato modo di capire che sapesse di più di quello che voleva dare a vedere? Che sapesse la verità su quel posto? La sua fronte si era imperlata di sudore e aveva iniziato a respirare affannosamente. Era certo di aver commesso un errore irreparabile.
 
“Non ti arrabbiare, piccolo… Tuo padre deve essere una brava persona… E tu devi essere molto coraggioso”.
 
Che fare? Mai, prima di allora, avrebbe voluto essere altrove.
 
“Io… Devo andare... Grazie ancora per l’aiuto”.
“Figurati! Spero che tuo padre possa uscire al più presto!”.
“Sì…”.
 
Si era allontanato cercando di mantenere un’andatura non troppo rapida. Non voleva dare nell’occhio, ma non aveva potuto fare a meno se non tirare un respiro di sollievo nel sapere che l’aveva scampata. Ma il sangue gli si era raggelato nelle vene nel momento in cui si era sentito chiamare.
 
“Ehi! Piccolo! Fermati!”.
 
“Oh mio Dende! Mi ha scoperto! Ha scoperto tutto e sono fregato!”.
 
“Sì?” – era madido di sudore e scosso da fremiti incontrollabili. Era certo che presto sarebbe svenuto.
 
“Ti è caduto questo!” – gli aveva detto l’uomo, porgendogli un oggetto che non aveva mai visto prima di allora, un quaderno sgualcito dalla copertina nera come la notte – “Stai più attento…” – gli aveva detto, sorridendo – “Sarebbe un vero peccato se non riuscissi più a trovarlo”.
 
Continua…

 
Ragazzi/e,
Come va? Io sono super raffreddata… Non so che tempo ci sia dalle vostre parti. Qui, in Calabria, è un susseguirsi di tre giorni di caldo africano a tre di gelo polare. Non se ne può proprio più!!
Ma torniamo a noi.
Io non ho molto da aggiungere su questo capitolo, se non CHE PALLE, STO QUADERNO HA ROTTO. XD
E meno male che è un oggetto inanimato, perché se fosse stato altro, ci troveremmo in guai molto seri. Porca zozza… Che succederà, ora che si trova nelle mani di Goten?
GENIO, VUOI DEGNARTI DI ARRIVARE??
 
A presto!
Un bacino,
 
Cleo

 
   
 
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