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Autore: GipsyK    19/05/2021    0 recensioni
La lettura delle ultime volontà di Frigga costringe Loki a ritrovarsi nella stessa stanza di Odin e Thor dopo anni di silenzio dal loro ultimo incontro. La situazione è inevitabilmente destinata a degenerare, soprattutto in seguito alla rivelazione del contenuto imprevedibile del testamento che metterà tutti di fronte alla resa dei conti con vecchi e nuovi conflitti.
Human AU. Thor, Loki e Odin non sono altro che membri di una benestante ma normalissima e disfunzionale famiglia americana.
Rating giallo per la presenza di tematiche quali disturbi mentali e tossicodipendenza, saranno presenti dei trigger warning più specifici all'inizio dei capitoli corrispondenti.
La storia è completa ed è composta da 4 capitoli, ha solo bisogno di una revisione, quindi i prossimi capitoli verranno aggiunti probabilmente a giorni alterni, ma verrà conclusa a breve.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Loki, Odino, Phil Coulson, Thor
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 1:

 

 

 

“Rivera, finalmente, sei riuscito a farmi bere quasi due tazze di questa merda che hanno il coraggio di chiamare caffè mentre aspettavo che ti degnassi a portare qui il tuo culo messicano. Non ti facevo un tipo da vendetta passivo-aggressiva” disse Odin, senza voltarsi a guardare l’uomo che prendeva posto sullo sgabello al bancone del bar accanto a quello occupato da lui. Poggiò una valigetta in pelle sul bancone e iniziò a frugare in fretta al suo interno, tirando fuori un taccuino.

“Sono arrivato il prima possibile, Borson, ma stamattina il traffico è asfissiante, per non parlare del capannello di giornalisti all’ingresso, non sai che cosa mi sono dovuto inventare per evitarli.” rispose Rivera, sfogliando le pagine del quadernino con urgenza.

“Eh, non dirlo a me, ho dormito sul divano del mio ufficio pur di non dover passare in mezzo a quel gruppo di avvoltoi stamattina. Allora, buone notizie? Abbiamo la giuria?” Odin si era deciso a voltarsi verso Rivera, e alternava lo sguardo fra il viso dell’uomo e il taccuino che quest'ultimo aveva poggiato sullo spazio del bancone condiviso dai due e che teneva aperto con l’indice e il pollice della mano destra.

“Direi di si, come vedi la maggioranza sarebbe incline a dichiarare l’imputato non colpevole. Gli unici due giurati che potrebbero darci problemi sono il numero 3 e il numero 5.” Rispose Rivera, grattandosi distrattamente il sopracciglio destro.

“Il 3 e il 5? Fa vedere… Barbie e Mr. Bean? Sul serio?” esclamò Odin, puntando un dito sulle due fotografie in primo piano e alzando le sopracciglia. La prima mostrava una giovane bionda con due occhioni azzurri impossibilmente grandi, l’altra un uomo magro e pallido, con capelli rossicci e una stempiatura importante, sfoggiava un paio di occhiali tondi dalla montatura spessa e una camicia a quadri con varie sfumature di marrone e di blu.

“Haley Ross e Matthew Smith, lei ha 22 anni, si sta laureando al Community College in letteratura inglese, ha partecipato a varie serate open mic in quel bar di hippy all’incrocio fra la Columbia e la 7th suonando la chitarra e cantando pezzi di Bob Dylan e ha la tessera come membro di un paio di quei circoli culturali a Bleeker Street. Lui insegna filosofia alla Weaver High, vive insieme alla madre invalida di cui si occupa da solo e gira con i libri di Dorothy Parker e Simone de Beauvoir sotto braccio” Il resoconto di Rivera non fece altro che incentivare il mal di testa che stava iniziando ad affliggere Odin. Poggiando un gomito sul bancone si strofinò gli occhi chiusi con le dita mentre ascoltava, poi si pizzicò la base del naso fra l’indice e il pollice e sospirò.

“Splendido. Ricapitolando abbiamo fra le palle Miss Che Guevara e il suo forte idealismo da millennial e scommetto pure che è il suo primo giro di giostra come giurata, perciò sarà più che entusiasta di poter mettere finalmente in pratica i suoi più cari valori di giustizia, verità e libertà che l’hanno tanto affascinata durante i suoi studi” guardò Rivera con un sopracciglio alzato, come in attesa di conferma. L’uomo strinse le labbra in una linea sottile e fece spallucce, una risposta abbastanza eloquente. “Certo. E poi abbiamo il signor Smith, un frustrato insegnante di liceo, un femminista col cognome più banale e noioso del mondo che è talmente altruista da occuparsi lui stesso della mamma invalida rinunciando alla possibilità di avere una qualsiasi vita sociale normale invece di abbandonarla in una casa di cura come fa il novanta percento delle persone che si trova sul groppone mammina malata. Semplicemente splendido.” sospirando Odin abbassò la mano a grattarsi la guancia coperta da una curata barba bianca, un espressione pensierosa sul volto.

Qualsiasi forma di risposta stesse per uscire dalla bocca di Rivera venne interrotta dall’arrivo di una donna che si era avvicinata ai due uomini con piccoli passetti corti e rapidi dei suoi piedi fasciati in un paio di eleganti décolleté, si fermò di fronte ad Odin con una postura rigida del corpo infilato in uno scuro tailleur, le sopracciglia corrugate in un espressione preoccupata. “Signor Borson?” disse, rivolgendosi ad Odin.

“Mi dispiace disturbarla, ha appena telefonato un certo signor Brooks chiedendo di parlare con lei, ho tentato di spiegare che non poteva essere reperibile per oggi, ma il signore ha insistito e-”

“Tranquilla Janet, signor Brooks? Andrew Brooks?” chiese Odin, alzandosi dallo sgabello del bar e voltandosi completamente verso la donna. Lei annuì e fece per continuare a spiegarsi, ma l’uomo la interruppe con un gesto della mano e girandosi a raccogliere il cappotto disse. “Va bene, torna su e dì al signor Brooks che parlerò con lui fra un momento, poi passa la chiamata nel mio ufficio. Rivera?”

Chiese poi girandosi verso l'uomo ancora seduto al bar dopo aver fatto qualche passo in direzione degli ascensori “Mi raccomando, occupati dei due giurati, li voglio fuori prima dell’udienza di giovedì.”

“Certo Borson, non c’è problema.” Rispose Rivera mentre infilava di nuovo il taccuino nella valigetta e raccoglieva le sue cose.

Finalmente ci siamo, pensò Odin mentre varcava la soglia del suo ufficio e si chiudeva la porta alle spalle. Si sedette alla scrivania, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, poi alzò la cornetta del telefono, premette un bottone e cominciò.

“Signor Brooks? Buongiorno, Odin Borson.”

“Ah signor Borson, sono contento di riuscire a trovarla finalmente. Mi dispiace doverla disturbare, sono sicuro che in questo periodo è decisamente impegnato.” Disse una voce distratta dall’altro capo del telefono, con un fruscio di carte e il rumore di una stampante in funzione in sottofondo.

“Già, beh non prenda troppo sul serio ciò che dicono i telegiornali” disse Odin, con una nota seccata nella voce.

“Eh, si figuri, so bene che non bastano un paio di prove circostanziali per metterla in difficoltà. Comunque non le ruberò molto tempo, volevo solo avvertirla che il testamento di sua moglie è stato finalmente autenticato ed è pronto per la lettura”

Odin si appoggiò sullo schienale della sedia, un gomito sul bracciolo e la mano a reggere la fronte. “Oh, certo, capisco. Ha già contattato mio figlio Thor?”

“No signore, volevo avvertire lei per primo. Se preferisce posso avvertire io Thor e Loki, ma dovremmo prima accordarci su una data e un luogo così che possa riferir-”

“No, non si preoccupi, parlerò io con Thor e le farò mandare un email da Janet, la mia segretaria, con i dettagli sull’incontro in giornata. Grazie signor Brooks.”

“Oh, va bene, come preferisce signor Borson, allora grazie a lei e buona giornat-”

Odin attaccò il telefono. Si alzò e si diresse verso la vetrinetta vicino alla libreria, l’aprì e tirò fuori una bottiglia di liquore ambrato e un bicchiere, poggiò entrambi sulla scrivania e ne versò una generosa quantità nel bicchiere. Si sedette di nuovo, poi guardò l’orologio da polso aggrottando la fronte.

Whisky liscio alle 10:34 di lunedì mattina. Che delizioso e promettente inizio settimana, pensò. Fece ondeggiare il liquido nel bicchiere osservando per un po' i giochi di luce prodotti dal raggio di sole che lo colpiva entrando dalla finestra, poi lo vuotò con un sorso solo e dopo aver alzato la cornetta del telefono la bilanciò tra la spalla e la guancia sinistra, cominciando a comporre il numero sul tastierino. La mano destra fu subito occupata a prendere di nuovo la bottiglia per versare un altro bicchiere, che sorseggiò lentamente nell’attesa di una risposta dall’altro capo del telefono.

 

 


— ♦ —

 


Thor era intento a osservare quei due campioncini di stoffa oramai da qualche minuto, grattandosi distrattamente la nuca.

“Allora? Quale dei due colori preferisci?” Gli chiese Jane infine, più che altro per rompere il silenzio probabilmente, perché Thor mostrava ancora un espressione confusa e indecisa sul volto.

“Tesoro, sono uguali” Si decise infine ad ammettere, una mano sul fianco e l’altra a indicare i due quadratini posati sul tavolo di fronte a lui con il palmo aperto.

“Ma che dici, questo è arancione cadmio, mentre quest’altro è più verso il melograno” Disse Jane, indicando prima l’uno e poi l’altro. “Hanno un effetto totalmente diverso sull’insieme, soprattutto considerando la luce del soggiorno. Secondo me il cadmio valorizza di più il divano.” decise infine, prendendo il quadratino e allontanando la mano verso la porta finestra del soggiorno, per avere una visione d’insieme.

“E cadmio sia allora.” Rispose Thor, posando entrambe le mani sulle spalle della donna e un leggero bacio sui capelli castani mentre osservava anche lui l’effetto che le tende di quel particolare colore avrebbero donato all’ambiente.

“Sai, quando mi hai chiesto di andare a vivere insieme non pensavo che intendessi dire Ti va di passare le prossime settimane a scegliere colori e arredi e trascorrere le domeniche pomeriggio da Ikea?” disse Jane, lasciando cadere il quadratino di stoffa sul pavimento e girandosi verso Thor, le mani sui fianchi e un sorrisetto divertito stampato sul volto.

“Sono un astrofisica, non un arredatrice d’interni”

“E io sono un avvocato, ma qualcuno dovrà pur occuparsene e visto che si tratta di casa nostra, quel qualcuno siamo noi” disse Thor, rubando un veloce bacio alla donna che dopo un sospiro aggiunse con un sorriso: “Mi piace come suona. Casa nostra”

Il salotto fu invaso dal suono improvviso di un’insopportabile canzone pop, i due si guardarono confusi per un momento.

“Non sono io” ci tenne a precisare subito Jane, ma Thor si stava già frugando nelle tasche dei pantaloni dopo aver alzato gli occhi al cielo e tirando fuori il cellulare disse: “Se quell’idiota di Fandral non la pianta di cambiarmi la suoneria ogni volta che ci vediamo giuro che… Pronto?” Jane si allontanò ridacchiando verso la cucina.

“Ciao figliolo.” Rispose una voce stanca dall’altro lato del telefono.

“Oh, ciao papà. Tutto bene in ufficio? Devo raggiungerti?” disse Thor avvicinandosi all’armadio all’ingresso, pronto a prendere il cappotto.

“No, qui è tutto sotto controllo, considerando la situazione in cui ci troviamo per lo meno. Ho parlato con Rivera, sarà bene che gli telefoni più tardi, così aggiornerà anche te. Io ho chiamato per un altro motivo”

“Che succede?” chiese Thor, che nel frattempo aveva cambiato traiettoria e si stava avvicinando al divano.

“Poco fa mi ha chiamato Andrew Brooks. Il testamento di Frigga è pronto” Ci fu un momento di silenzio. Thor si lasciò cadere sul divano e si passò una mano fra i capelli.

“Oh. Ho capito. Beh era ora, se l’è presa comoda Brooks. Ha detto quando ci vediamo per la lettura?”

“Ho detto che gli avrei fatto sapere io in giornata. Pensavo a venerdì pomeriggio a casa, non mi sembra pratico far venire tutti in ufficio con quella squadra di giornalisti sempre presenti all’ingresso.”

“Mmhh, si, va bene. Hai avvertito anche Loki? Verrà?” Jane fece capolino dall’ingresso della cucina e rivolgendosi al compagno formò con le labbra la parola Loki senza emettere alcun suono, con aria interrogativa e stupita. Thor le rispose con un gesto della mano destra ad alludere che le avrebbe dato delle spiegazioni in seguito.

“No, e non ho intenzione di farlo” disse Odin. Thor si coprì gli occhi con una mano strofinando piano.

“Papà, lo sai meglio di me che legalmente dovrà essere presente anche lui. Se preferisci posso chiamarlo io. Sempre se decide di rispondermi” mormorò l’ultima frase più a se stesso che al padre.

“Fai come ti pare. Per me quel ragazzino ingrato può anche non venire, al diavolo gli obblighi legali” Thor si lasciò sfuggire l’ennesimo sospiro.

“Sono passati più di due anni. Non potresti almeno provare a seppellire l’ascia di guerra? Anche solo per venerdì pomeriggio” Thor aspettò in silenzio qualche secondo ma non giunse nemmeno un verso in risposta da parte di Odin.

“Va bene, ascolta, ci penso io a Loki. Ci vediamo domani mattina in ufficio” concluse Thor con tono sconfitto.

“Ciao figliolo. E chiama Rivera prima di domani mattina” rispose Odin.

“Si, papà. Buona giornata” Thor attaccò il telefono, se lo rimise in tasca e si afflosciò sul divano sospirando, coprendosi gli occhi con entrambe le mani. Un movimento alla sua destra e una piccola mano delicata sulla spalla gli annunciarono che Jane lo aveva raggiunto.

“Tutto bene?” chiese lei, con aria preoccupata. Thor si posò le mani sulle ginocchia e si raddrizzò un pochino prima di rispondere.

“Il testamento di mamma è pronto. Venerdì pomeriggio ci vediamo col notaio per la lettura. E ovviamente tocca a me parlarne con Loki” disse con uno sbuffo. Tirò di nuovo fuori il telefono e fissò lo schermo nero. “Non ho sue notizie da quasi un anno” concluse con aria assorta. Jane lo guardò con un sorriso triste.

“Lo so. Mi dispiace. Ti lascio alla tua telefonata allora, se hai bisogno di me mi trovi di là” disse lei indicando la camera da letto con il pollice. Dopo un ultima stretta rassicurante sulla spalla del compagno Jane si alzò e si incamminò lungo il corridoio. Thor la guardò sparire nella loro camera e chiudersi la porta alle spalle.

Rimase a fissare le lettere luminose del contatto di suo fratello sulla rubrica del telefono per quella che sembrò essere un'eternità, senza avere il coraggio di pigiare il tasto “chiama”, con una sensazione sgradevole al centro del petto, come se improvvisamente il tessuto osseo del suo sterno si fosse tramutato in piombo. Poi il suo pollice decise di agire per conto suo, e poco dopo stava ascoltando gli squilli regolari del telefono, non sapendo se fosse più forte il desiderio di sentire di nuovo la voce del fratello per assicurarsi che fosse vivo o quello di sperare di essere ignorato per l’ennesima volta e risparmiarsi la telefonata, lasciando semplicemente un messaggio in segreteria.

La battaglia mentale fu interrotta da una serie di rumori metallici e un sibilo costante provenienti dall'altro capo del telefono.

“Oh merda, fantastico… ci mancava sol- cazzo!… si, pronto?!”

Appena la voce irritata di Loki gli giunse alle orecchie per poco non gli cadde dalle mani il telefono per la sorpresa. “Loki? Ma che stai facendo, c’è un rumore assurdo, stai bene?”

La serie di rumori metallici si interruppe di colpo e per qualche secondo Thor sentì solamente il leggero sibilo di sottofondo, poi un fruscio e subito dopo una serie di thud, thud, thud, come passi ovattati su un morbido tappeto.

“Thor?” una sola parola e dal tono suo fratello sembrava già incredulo, esausto ed irritato. Bene.


 

— ♦ —

 

 

Plin. Plin. Plin.


Loki aprì gli occhi di scatto e si girò di schiena sul materasso, scalciando le lenzuola e coprendosi gli occhi con un braccio, un sospiro frustrato gli uscì a forza dalle narici, le labbra strette in un unica linea tirata. Tastando alla ceca il pavimento alla sua destra riuscì a prendere il telefono e sbirciando con un occhio da sotto l’interno del gomito diede un’occhiata allo schermo. 11:07. Ho quasi dormito per ben 17 minuti. Dev’essere un nuovo record, pensò, abbassando la mano e il telefono sul materasso.

 

Plin. Plin. Plin.

 

Ci mancava anche questa insopportabile goccia cinese. Sicuro, dopo la televisione a volume assordante della signora Ramos, l’abbaiare incessante del jack russell della famiglia Bennett e le urla dell’ennesimo litigio della coppia di piccioncini innamorati del piano di sopra, questo nuovo suono che lo aveva svegliato era al confronto come un balsamo per le sue orecchie. Non era meno fastidioso però e in questo caso proveniva decisamente dal suo appartamento, quindi Loki si decise ad alzarsi per indagarne la fonte.

Si alzò e s’infilò il maglione verde bottiglia che aveva abbandonato la sera prima sul pavimento vicino al materasso, si diresse poi verso l’angolo cottura trascinando i piedi e soffocando uno sbadiglio aprì il rubinetto e bevve qualche sorso d’acqua direttamente dal getto. Mmhh, pensò chiudendo l’acqua e osservando il lavello, decisamente non viene da qui. S’incamminò quindi verso il bagno, si sciacquò il viso e evitando accuratamente di guardarsi allo specchio lo tuffò nell’asciugamano.

 

Plin. Plin. Plin.

 

Posando l’asciugamano di scatto si affacciò nel piatto doccia. Plin. Plin. Plin.
Bingo pensò, incrociando le braccia al petto e osservando il telefono della doccia con un ghigno sulle labbra. Allungò una mano verso le manopole del rubinetto, stringendo il più possibile il meccanismo. Plin. Plin. Plin.
Infastidito, strinse anche il punto di raccordo fra il tubo metallico e il telefono della doccia ad entrambe le estremità. Plin. Plin. Plin.
Incrociò di nuovo le braccia al petto e squadrò con odio il maledetto tubo.

 

Plin. Plin. Plin.

 

Con uno scatto fulmineo si girò in direzione del mobiletto sotto l’angolo cottura e attraversò la distanza in poche falcate risolute, prese la cassetta degli attrezzi e tornò in fretta di fronte alla maledetta doccia armato di chiave inglese. Dopo aver stretto con una forza esagerata qualsiasi bullone sul quale era riuscito a posare gli occhi si mise le mani sui fianchi e aspettò. Silenzio. Soddisfatto e con un mezzo sorriso compiaciuto stampato sul volto si chinò a rimettere al suo posto la chiave inglese e a recuperare la cassetta degli attrezzi, quando fu colpito alla nuca dal telefono della doccia e dal tubo di metallo ad esso saldamente collegato. Con un verso di dolore, sorpresa e rabbia alzò la testa, massaggiando con una mano la base del collo e fu accolto da un getto d’acqua gelata in pieno volto.

Era impegnato a tentare di bloccare il flusso d’acqua fredda con le mani, con il maglione che si era velocemente sfilato e tutti gli asciugamani che era riuscito a rimediare, calciando via furiosamente il tubo di metallo e il telefono della doccia abbandonati sul pavimento quando udì la vibrazione del suo cellulare, abbandonato sul ripiano del lavandino poco distante. Mentre con la mano destra teneva premuto il fagotto di asciugamani e maglione contro il getto incessante, si asciugò come poté la sinistra sui pantaloni bagnati del pigiama e allungandosi passò il dito sullo schermo dello smartphone per rispondere. Avanti, maledetto touch screen, pensò dopo il terzo passaggio, con una rabbia crescente. Al quarto, riuscì a rispondere e a pigiare anche il tasto del vivavoce, ma il cellulare cadde a terra nella pozza d’acqua che si stava rapidamente formando ai suoi piedi.

“Oh merda, fantastico… ci mancava sol- cazzo!… si, pronto?!” Rispose frustrato, mentre gli asciugamani e il maglione, sempre più bagnati, pesanti e inutili gli scivolavano dalle mani. Quell’idiota di Coulson aveva il potere di chiamarlo sempre nei momenti meno opportuni.

“Loki? Ma che stai facendo, c’è un rumore assurdo, stai bene?”

La voce del fratello maggiore lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Smise improvvisamente di calciare via il tubo di metallo, di tenere il fagotto di asciugamani premuto contro l’asse della doccia, di lanciare imprecazioni a tutte le divinità di sua conoscenza, di fare qualsiasi cosa in realtà. Rimase lì, immobile, a fissare il telefono in terra con occhi sgranati e le braccia abbandonate lungo i fianchi, come se l'oggetto potesse saltargli alla gola da un momento all'altro. Riacquistata improvvisamente la lucidità, probabilmente anche grazie al getto d’acqua fredda che ora aveva libero accesso al lato destro della sua testa, raccolse il cellulare da terra, tentò di asciugarlo il più possibile con l’unico asciugamano semi asciutto che gli era rimasto e si allontanò dal bagno con passi veloci, si lasciò cadere sulla sedia del tavolino in cucina vicino l’angolo cottura e si poggiò il telefono all’orecchio.

“Thor?” La sua stessa voce aveva un tono esausto, irritato e fastidiosamente colpito. Si annotò mentalmente di riprenderne il controllo. E di non dare più per scontata l’identità di chi lo avrebbe cercato al telefono in futuro, già che c’era.

“Ehi fratello. Disturbo? Come stai?” domandò Thor con un tono un po' preoccupato e un po' sinceramente incuriosito.

“No, figurati, sto una meraviglia” rispose Loki strizzandosi i capelli e sfregando un dito nell’orecchio destro inclinando la testa, con la speranza di riacquistare la piena funzionalità uditiva. Fortunatamente la sua voce sembrava collaborare di nuovo ed essere tornata al consueto tono sarcastico che riservava al fratello maggiore. “Non ho mai avuto così tanto tempo in vita mia da dedicare a me stesso e così poca forza di volontà per farlo. Tu, piuttosto, so che ne hai di novità da raccontare. Sulle migliori testate di gossip del mese scorso non si leggeva altro che del tanto atteso ritorno del figliol prodigo.”

“Sto facendo il praticantato allo studio di papà, si. Era esattamente questo il piano” rispose Thor, con un sospiro frustrato.

“Davvero? Era questa la tua aspirazione? Che buffo, ho ricordi un tantino contrastanti dei nostri gloriosi tempi di Yale, io che passo le giornate in biblioteca circondato da pile di tomi e manuali di giurisprudenza e te che le passi sul campo di football a dare il meglio di te per la squadra, implorandomi poi di aiutarti a superare gli esami finali. Forza Bulldogs!” concluse Loki in tono canzonatorio alzando un pugno in aria.

“Loki, ti prego. Possiamo tentare di avere una conversazione civile per cinque minuti? E da quando in qua leggi riviste di gossip, comunque?” Thor aveva un tono lievemente irritato. Ops.

“Penso che questi siano stati i cinque minuti di conversazione più civile che noi due ci siamo mai scambiati, Thor. Purtroppo sia nell’ufficio dell’agente di sorveglianza della polizia statale che nell’aula del gruppo di assistenza per tossicodipendenti i romanzi di Fitzgerald, Hawthorne e Hemingway erano già stati presi, che ci vuoi fare, mi sono dovuto accontentare di Vanity Fair” Loki riusciva perfettamente a immaginare Thor in quel momento come se ce l'avesse avuto davanti, sicuramente se ne stava seduto, il busto chinato, il gomito appoggiato al ginocchio e una mano sugli occhi, una posizione che gli aveva visto assumere in continuazione durante le loro amabili conversazioni in passato. L’immagine mentale gli fece assumere un ghigno soddisfatto. Chi l’avrebbe mai detto che una telefonata con suo fratello poteva rivelarsi tanto divertente. A saperlo avrebbe risposto molto prima. Volontariamente.

“Giusto, ho saputo che sei stato rilasciato in libertà vigilata. Potevi chiamare, ti sarei venuto a prendere”

“Si, beh, durante l’anno e mezzo che ho passato dentro mi sei venuto a trovare una volta e in seguito hai accettato solamente una mia telefonata. Puoi biasimarmi?” Di nuovo uscì fuori il tono ferito e irritato dalla sua traditrice bocca maledetta. Loki strinse la mano appoggiata sul tavolo in un pugno chiuso grattandosi ritmicamente il palmo con le unghie nel tentativo di calmare i nervi. Ecco qua, finito il divertimento.

“Non mi hai chiamato nemmeno per il funerale di mamma. Nessuno si è degnato di informarmi, l’ho dovuto leggere su un trafiletto di un quotidiano il giorno successivo di quanto la funzione fosse stata toccante, e di quanto le parole di commiato dell'amato figlio maggiore siano state colme di sentimenti e dotate di un’ incredibile espressività poetica nonostante l’evidente dolore. Dimmi Thor, chi è l’autore del tuo discorso di addio? Perché data una tale recensione critica piena di elogi, davvero non puoi pensare che io creda che sia tutta farina del tuo sacco.” Loki aveva sputato le parole citate dall’articolo di giornale che aveva imparato a memoria dopo aver letto le poche righe innumerevoli volte con un sarcasmo velenoso.

Thor ignorò completamente la domanda provocatoria. Forse stava finalmente imparando a tenere a bada la sua testa calda. Peccato. “Loki, ti prego. Sappiamo entrambi che fu papà a informarti a proposito del funerale e che tentò di farti ottenere un permesso per assistere alla funzione. Non è colpa di nessuno se la notizia della morte di mamma ti sconvolse tanto da provocarti, uhm… una ricaduta e che la richiesta per il permesso fu respinta. Non è successo a causa tua, ma sicuramente nemmeno mia o di papà.” rispose deciso.

Una ricaduta” scandì Loki con una risatina ironica, passandosi il palmo della mano sull’occhio destro. “Thor, davvero, dopo tanti anni non ti facevo ancora così ingenuo. Odin non mi rivolge la parola da quella maledetta notte di due anni fa, se sostiene il contrario mente. Certo, tecnicamente si prese il disturbo di informarmi, se vogliamo definire così una telefonata del suo cagnolino Rivera al carcere e una misera frase pronunciata da un secondino più interessato alla sua dose di caffè nero mattutino che alla notizia che fu incaricato di riportarmi. Diavolo, sono io quello con i circuiti del cervello collegati talmente male che il risultato di una risonanza magnetica somiglia più a una fotografia di Times Square a capodanno, ma perfino io mi rendo conto che non è il modo migliore per informare un figlio del decesso di sua madre. Sai, ultimamente sto iniziando a realizzare che forse la mia fama a proposito di bugie è mal indirizzata, sono stato l’oggetto di inganni e menzogne decisamente più spesso di quanto ne sia stato l’artefice.” concluse con un'altra risata ironica priva di allegria.

Ci fu un momento di silenzio in cui Loki sentì solo un lungo sospiro esausto da parte di Thor. Davvero, magari era ancora parecchio tonto e ingenuo, ma suo fratello aveva seriamente messo un coperchio su quel suo animo impetuoso.

“Ti ho chiamato proprio per parlarti di mamma. Il notaio dice che il testamento è pronto. Venerdì ci incontriamo tutti a casa di papà per la lettura.”

Loki sbatté più volte le palpebre e deglutì. “Mamma mi ha citato nel testamento. Per questo me lo stai dicendo, la mia presenza alla lettura è legalmente obbligatoria.” Non era una domanda. Questa volta Loki non si preoccupò di nascondere lo stupore.

“Te lo sto dicendo perché penso che sia giusto che tu sia presente. A mamma avrebbe fatto piacere. E anche a me” rispose Thor con tono velatamente speranzoso.

Loki annuì. Poi sembrò ricordarsi che Thor non poteva vederlo, quindi si sforzò di parlare. “Capisco. Beh non posso dire che sarà un piacere passare un pomeriggio insieme a Odin e a quel segugio del suo amico Rivera, che sicuramente si porterà dietro come rinforzo, ma scommetto che la cosa è reciproca. Ora che ci penso questo è sicuramente un incentivo per pensare di fare un salto”

“Dovrei interpretarlo come un assenso? Significa che verrai?” chiese Thor, più spossato che mai.

Loki aveva preso a tormentare il bordo della maglietta del pigiama sfilacciandolo distrattamente con le unghie. “Si, penso di si” decise infine.

“Bene, allora ci vediamo venerdì. Buona giornata, fratellino” Salutò Thor, interrompendo la telefonata. Loki posò lo smartphone sul tavolo della cucina con poca grazia, poi si alzò per tornare in bagno.

Raccolse gli asciugamani zuppi dal pavimento ormai allagato e si appoggiò con la spalla allo stipite della porta. Provava uno strano e alquanto irrazionale impulso di poggiarsi sulla testa il fagotto gocciolante, per sentire il freddo della stoffa bagnata sul viso e le goccioline d’acqua gelida farsi strada lungo il collo e la schiena. Invece prese una bacinella, ci strizzò dentro gli asciugamani e tornò in cucina per recuperare il telefono e chiamare un idraulico.

 

Note: Ecco qua il primo capitolo, funge un pò da fonte di contesto introduttivo, dal prossimo capitolo inizia la vicenda vera e propria.
Piccolo disclaimer: non sono un esperta in giurisprudenza, e anche se ho tentato di documentarmi al meglio sulla legge americana per rendere il tutto un minimo realistico, è possibile che abbia inserito delle stupidaggini, come ad esempio l'obbligo per gli eredi di essere presenti alla lettura del testamento. Ehm. Ma può essere considerata una licenza letteraria se lo confesso, giusto? Si, bene.
Ah, la scena di Loki che combatte con la doccia potrebbe o non potrebbe essere ispirata a fatti realmente accaduti alla sottoscritta. Nel dubbio comunque lasciate pure il contatto del vostro idraulico di fiducia nella recensione.

Ci vediamo nelle note del prossimo capitolo,
GipsyK

  
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