Nairobi
è immersa
nella vasca da bagno, e con occhi socchiusi, tenta di rilassarsi.
Sa
bene quanto è
difficile farlo. Sono tre giorni che non vive in pace con se stessa,
tre giorni
di astio con suo marito, tre giorni di tensione emotiva…tre
dannati giorni
senza Ginevra.
E
pensare che fu
proprio in quell’idromassaggio che i gemelli vennero
concepiti! E Agata lo
ricorda come fosse ieri.
Per
di più, la
gitana si è sempre ritenuta soddisfatta della sua storia
d’amore con Bogotá,
specialmente quando Carmen Johnson lamentava l’assenza di
desiderio con Adam,
ricordando a Nairobi che la passione in una coppia di novelli sposi
è solamente
inziale. Via via tende ad affievolirsi fino a diventare solo un lontano
ricordo. E invece la Jimenez ha dimostrato l’esatto opposto.
Con suo marito il
desiderio non si è mai spento, rimasto intatto come il primo
giorno, anche a
distanza di dodici anni dal primo bacio.
Non
può dimenticare
le premure del saldatore che in occasione del secondo anniversario,
chiese a
Tokyo di prelevare Alba e lasciarlo solo in casa con la moglie. Si
adoperò, con
la dolcezza che lo contraddistingue da sempre, per regalarle una serata
speciale tutta per loro.
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“Non sbirciare, mi raccomando”
– le
sussurra, dopo averla bendata. Prendendola per mano, mira a condurla in
camera
da letto, lì dove, su suggerimento di Rio, crea una
suggestiva atmosfera.
Candele e petali di rose…l’immagine perfetta per
un incontro romantico. In
realtà il primo step è nel bagno degli ospiti,
dove fu montata, da pochi
giorni, la vasca idromassaggio. Sistema anche lì delle
candele profumate e dei
calici di champagne.
“C’è della musica!”
– nota Nairobi per
via del rumore di sottofondo.
La
canzone che
Bogotá sceglie, fa sorridere la gitana che, divertita dice
– “Chissà
perché ma sembra un genere fin troppo
da Rio!”
https://www.youtube.com/watch?v=8IUpxMR_LVI
“Ehm… confesso che sono stato aiutato”
–
ammette Bogotá, imbarazzato – “Se non ti
piace, cambio senza problemi”
La
donna scuote il
capo e inizia a muovere i fianchi a tempo di musica, sotto lo sguardo
estasiato
del marito.
“Ok, basta così”
– non resistendo alla
tentazione di baciarla, le toglie la benda dagli occhi mettendola di
fronte a
quello che aveva organizzato.
“Wow” – esclama lei,
piacevolmente
colpita. Si volta verso il compagno ed è lei a fiondarsi
sulle sue labbra.
Fermatisi
per
riprendere fiato, i due optano per un massaggio in acqua. Senza
esitare, si
liberano degli abiti e con indosso solo l’intimo,
s’immergono nella vasca
allietati da due calici di spumante.
“Cazzo, questo si che è il paradiso”
–
commenta il saldatore, placando così anche i bollenti
spiriti.
Ma
l’intenzione di
Nairobi non è certamente quella di rilassarsi e calmare la
passione.
La
gitana si pone a
carponi sul compagno, avvinghiandosi letteralmente al corpo di lui.
“Se volevi sorprendermi, ci sei riuscito
amore mio” – dice lei, sorseggiando
l’ultima goccia di drink.
Con
tenerezza, lei
accarezza ogni angolo del suo volto, con lo sguardo follemente
innamorato, ricambiato
da quello di Bogotá.
Mordicchiandosi
il
labbro, la Jimenez decide di fare la mossa decisiva.
Si
libera del
reggiseno, gettandolo sul pavimento, godendo dell’imbarazzo
dell’uomo.
“Sei bellissima, lo sai vero?”- la lusinga, non riuscendo
a staccarle gli
occhi di dosso.
“Nonostante le mille cicatrici?”
–
precisa lei, indicando l’esatto punto dove fu sparata e
successivamente operata
dai Dalì.
“Quelle cicatrici ti rappresentano e ti hanno
resa la guerriera che sei!” – aggiunge,
adagiando il capo sul seno scoperto
di Nairobi.
“Ti amo” – dice la
gitana, felice come
mai prima nella vita, e sempre più convinta di un sentimento
che può sfidare
qualsiasi cosa, un sentimento che in un modo o in un altro vince su
tutto.
Tra
confessioni
amorose, baci e carezze, i coniugi si concedono l’uno
all’altra, assaporandosi
a vicenda e regalandosi attimi di smisurato amore, coccolati
dall’acqua
massaggiatrice e dalla playlist musicale, non proprio romantica, di Rio.
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Quei
ricordi di una
forte attrazione fisica e di una notte magica, riaffiorano nella mente
di
Nairobi che non trova pace interiore.
“Cazzo,
inutile
mettere la storia in standby, se ogni cosa mi ricorda lui”
Afferra
l’accappatoio e lo indossa al volo.
Di
fronte allo
specchio, stabile alla parete, guarda il suo corpo, scrutandosi nei
dettagli:
occhiaie sotto gli occhi, sguardo cupo, poca cura verso la sua
persona…lei non
è mai stata tanto disattenta. Anzi, adorava curarsi come
meglio poteva e oggi
fatica a riconoscersi.
Indossa
l’intimo
pulito, mentre fissa le cicatrici che hanno martoriato il suo corpo.
“Sono
un rottame” –
commenta, sfiorando ciascuna di esse.
I
suoi figli, e persino
il saldatore, non perdevano occasione per complimentarsi con Nairobi,
ricordandole di avere “una pelle di ferro”, che non
si piega di fronte a
niente, neppure alle avversità della vita. E lei
scherzosamente gli rispondeva
che essere meticcia aveva tanti pro.
“Forse
questa
cicatrice che mi lacera il cuore, la porterò dentro per
sempre!” – dice ad alta
voce, riferendosi all’ennesima sofferenza che il destino ha
stabilito per lei
con la sparizione della piccola Ginny.
Improvvisamente
c’è
un unico spiraglio di razionalità e di luce che la sprona a
non abbattersi…ed è
esattamente la voce della sua piccolina scomparsa che le disse quando
trovò una
vecchia fotografia della gitana con indosso un abito corto di colore
blu – “Mamma
sei stupenda. Voglio diventare come te”.
Così,
intenzionata
a tornare a guardarsi come un tempo, corre verso la sua stanza, quella
dove alloggia
da ormai due notti.
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Mentre
i Dalì
organizzano il da farsi, Bogotá si estranea, sedendosi sul
divanetto in
veranda, per consumare uno dei suoi sigari.
Helsinki
è tra i
primi a notare l’isolamento del saldatore e gli siede accanto
pronto a
raccomandargli di badare allo stato emotivo di Nairobi.
“Non
lasciarla da
sola per favore” – sono le prime parole che
pronuncia.
“Che
dici? Non capisco!”
– è stranito il padrone di casa.
“Mi
riferisco a tua
moglie”
Bogotá,
infastidito
dalla questione, non risponde, concentrandosi soltanto sul fumo.
Il
serbo capisce al
volo di aver toccato un argomento delicato e, considerando Nairobi una
sorella
minore, non può non intervenire.
Con
fare brusco,
strappa il sigaro dalle mani del compagno di squadra e lo posiziona nel
posacenere adagiato sul tavolino.
“Che
cazzo fai?” –
gli tuona contro il saldatore.
“Agisco
per il tuo
bene”
“Senti,
Helsi non
ho voglia di discutere. Ne ho piene le palle ok?”
“E’
questo che vuoi
insegnare ai tuoi figli? A tirarsi indietro? Loro sono venuti fin qui,
si sono
buttati il passato alle spalle, un passato che sai bene quanto possa
averli
feriti. Essere cresciuti senza di te accanto, non sarà stata
una passeggiata. E
tu invece…”
“Lo
so che non sono
stato un padre modello! Non mi serve che sia tu a ribadirlo”
“Voglio farti
aprire gli occhi! Presta attenzione
a Nairobi”
E
sentendo quelle
parole come un attacco, Bogotá risponde con una risata quasi
beffarda.
“Perché
ridi
adesso?” – domanda, confuso, Helsinki.
“Non
sai un cazzo,
amico mio. Ho prestato attenzione a Nairobi, eccome se l’ho
fatto. E indovina?...puntualmente
lei mi allontanava. Sono stanco, le ho dato i suoi spazi”
“In
che senso le
hai dato i suoi spazi? Non mi dirai che vi siete lasciati?”
“Ci
siamo presi una
pausa. Niente sermoni, amico! Lasciami in pace, voglio fumare e
allentare la
tensione! Ne ho bisogno…” –
così dicendo, accende un altro sigaro e s’isola
dal
resto del mondo.
Nessuno
dei due
Dalì si è accorto che, dall’uscio della
porta scorrevole, c’è Emilio. Il ventisettenne
ha ascoltato, casualmente, il discorso tra i due, rimanendone provato.
Ciò
che sta
accadendo lo preoccupa realmente: se i suoi fratelli minori venissero a
sapere
il fatto, non osa immaginare quale potrebbe essere la loro reazione.
Solo
al pensiero,
gli si stringe lo stomaco.
Anche
lui da
bambino ha sofferto la lontananza dei genitori. Seppure vedere il padre
due
sole volte ogni anno lo rallegrava, il cuore ne soffriva tanto. E Alba
e Sebastìan
non meritano di patire per le medesime circostanze.
“Non
meritano tanto
dolore! Già soffrono per la sorellina! Non è
giusto, cazzo!” – pensa il
ventisettenne, mentre cammina nei corridoi del primo piano, senza una
precisa
meta.
La
seduta con il
Professore si è sciolta da qualche minuto e ogni
Dalì è alle prese con mansioni
affidategli in merito alla ricerca di Ginevra. Yerevan, invece, si
è dileguato
dal gruppo, appena udito lo sfogo del padre con Helsinki.
Preda
dei suoi
pensieri, si reca in una delle camere degli ospiti. Si chiude la porta
alle
spalle ed è allora che una voce lo fa sobbalzare.
“Che
ci fai qui?”
Di
fronte al
ragazzo c’è Nairobi, con indosso un abito di
colore blu conservato da anni e
che le ricorda quando, da giovane rapinatrice dei Dalì era
prossima alla
conquista della Zecca, e che indossò per un’uscita
segreta con Tokyo, Rio e
Denver.
La
bellezza della
donna è disarmante e Emilio, arrossendo, chiede perdono per
l’intrusione non
voluta e fa per uscire.
“Aspetta!”
– lo trattiene
Agata - “Sembri sconvolto. Che succede?”
– gli domanda, preoccupata.
“Nulla,
ho saputo
di te e papà!”
- confessa liberamente
Emilio.
E
quell’esternazione
lascia la gitana in
silenzio, con lo
sguardo fisso sul figliastro, visibilmente inquieto.
“Tu
come mai ti sei
vestita così?” – chiede lui, cambiando
discorso.
“Ehm…
diciamo che
ho voluto fare un esperimento. Anzi, direi una sfida con le mie
insicurezze. Ho
voluto rivedermi come la Nairobi di anni fa”
“E
funziona? Ti sei
rivista?”
La
Jimenez, si
volta verso lo specchio alla parete e si guarda per qualche secondo.
Respira
profondamente,
poi fa spallucce, non convinta di aver ottenuto la sicurezza che
avrebbe voluto
recuperare.
“Sei
bellissima, lo
sai vero?” – lo stesso tono di voce di
Bogotá, lo stesso modo di esprimersi… fa
sorridere la donna. Così la gitana si volta verso il
venezuelano e gli dice - “Grazie,
questo non è un bel momento per me purtroppo”
“Immagino!
Se vuoi
sfogarti, sappi che ci sono”
- si fa
avanti Yerevan.
Chi
l’avrebbe mai
detto!
Allora
i due, sedutisi
sul letto, a modi confessione, liberano i loro pensieri più
segreti, sfogandosi
e alleggerendo i propri cuori.
Probabilmente
entrambi
hanno trovato la medicina umana di cui necessitavano da un po'.