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Autore: margheritanikolaevna    22/05/2021    7 recensioni
Ann Leary ha i capelli viola, un segreto e una missione da compiere. La sua missione include portare via con sè il Bambino e lei non si fermerà davanti a nulla pur di completarla.
Un nuovo amore, un nuovo nemico, un nuovo finale.
Questo racconto è dedicato alla mia amica meiousetsuna, fantastica autrice qui su efp, le cui bellissime storie mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere qualcosa che mi facesse battere il cuore
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO UNDICESIMO
 


Paradise


 
“Sei ancora tutta intera?” domandò Mando, voltandosi verso il posto di Ann.
Saltò giù dall’aliante, appoggiato sull’erba e completamente inclinato su di un fianco; un istante dopo posava sul terreno il bambino, ancora profondamente addormentato. In cuor suo, era davvero contento che non si fosse accorto di nulla.
“Uhm…” replicò lei, massaggiandosi il collo “direi di sì, ma certo non grazie a te!”.
“Andiamo” disse il cacciatore di taglie, tendendole entrambe le braccia “ti aiuto…”
La ragazza si tirò su a fatica e si sporse in avanti; quando lui l’afferrò, la tenne stretta un istante di troppo prima che i suoi piedi nudi toccassero l’erba soffice.
E quando aprì le braccia non riuscì a evitare di squadrarla di nuovo, da capo a piedi.
Ann sogghignò, guardandolo dove pensava si trovassero i suoi occhi e pensando che quella faccenda dell’elmo cominciava seriamente a darle sui nervi.
“Immagino che tu e quel brutto mostro abbiate gusti simili in fatto di abbigliamento femminile…” disse, sorridendo.
Anche lui sorrise sotto il beskar e la ragazza lo capì, pure senza poterlo vedere.
“Come sta il piccolo?” domandò poi, avvicinandosi al bambino.
“Apparentemente meglio di me e di te” rispose lui “è solo molto stanco: gli succede sempre, dopo aver usato i suoi…poteri”.
Lei annuì e sorrise di nuovo.
“Bene!” disse, guardandosi intorno “la tua nave non è lontana, se non sbaglio. Raggiungiamola e andiamocene il prima possibile da questo posto”.
 
ooOoo
 
Il cacciatore di taglie emerse da sotto il motore di destra della Razor Crest e si guardò intorno, cercando con lo sguardo la ragazza che – immaginava – doveva essere rimasta lì vicino nella radura. Ma di lei non c’era nessuna traccia.
D’improvviso il suo cuore accelerò i battiti e si slanciò verso il portellone abbassato, in preda a un oscuro terrore: per fortuna, però, il piccolo era ancora dove l’aveva lasciato non molto tempo prima, adagiato nella sua amaca e tra le braccia di Morfeo.
Trasse un sospiro di sollievo e uscì di nuovo all’aperto.
Ma dove si era cacciata quella strana ragazza? Come le era venuto in mente di allontanarsi proprio quando avrebbero potuto ripartire?
La chiamò più volte, seguitando a guardarsi intorno, ma senza ottenere alcuna risposta.
Allora armeggiò per un istante con il suo elmo, attivando il sistema di visione che consentiva di rilevare le impronte, anche quelle non visibili a occhio nudo.
In quel modo, infatti, scorse una fila di impronte di piedi nudi che si inoltravano nel folto della foresta.
Per un momento rimase immobile, indeciso sul da farsi: aveva senso lasciare il piccolo da solo per andare a cercarla? O forse era tutto un piano di lei per attirarlo lontano dalla nave?
Scacciò con forza questi pensieri: niente nel comportamento di Ann, durante gli ultimi giorni, poteva dare fondamento ai suoi timori e anzi più volte gli aveva dimostrato che poteva fidarsi di lei, rischiando in prima persona per proteggere il Bambino.
Non poteva dimenticare il rischio che aveva corso facendosi catturare dal collezionista solo per guadagnare un po’ di tempo e trovarlo il più presto possibile.
E poi… ecco, doveva ammettere che non averla vicino gli dava una sensazione di vuoto, di tristezza, che non gli era capitato spesso di provare; l’idea di andarsene da lì senza di lei gli era insopportabile, dopo l’aiuto che gli aveva dato per sconfiggere l’orrendo gigante che aveva rapito il piccolo praticamente sotto i suoi occhi.
Scosse il capo.
Qualunque cosa le fosse passato per la testa e dovunque fosse andata, doveva trovarla!
Illuminando il percorso davanti a sé e seguendo le orme, s’inoltro così nella foresta.

 
ooOoo
 
 
Ann Leary si calò giù per l'ultimo tratto di roccia e ricominciò a farsi strada attraverso il fitto fogliame alla ricerca del posto che aveva visto, poco distante dalla Crest, mentre volavano a bordo dell’aliante.
Era l’ultima carta da giocare, l’unico modo. Forse.  
I veli scuri le stavano appiccicati addosso e i capelli le si erano come incollati sulla fronte; tutt’intorno a lei dal terreno umido, dai tronchi ricoperti di muschio, dalla spessa copertura verde che quasi nascondeva il cielo stillavano calore e un’insopportabile cappa di umidità, nonostante fosse ancora piena notte.
Procedeva a fatica alla tenue luce della luna, tra le piante rampicanti e i tronchi spezzati quando un uccello, una visione di rosso e di giallo, le saettò davanti con un grido da strega; a un tratto si appoggiò a un albero dalla cui sommità cadde crepitando una pioggia di gocce tiepide.
L’agente imperiale scavalcò un tronco spezzato e si trovò d’improvviso davanti a uno spettacolo straordinario: l’aveva trovato!
In piedi, una mano contro un albero grigio, strizzò gli occhi meravigliata.
Una frangia di mangrovie sorgeva ai margini di una piccola laguna scintillante: dritte o inclinate o per traverso, i tronchi che spiccavano contro il cielo con le loro piume verde-blu alte nell'aria.
Il suolo sotto di esse era ricoperto di erba e muschio, dappertutto c'erano alberi caduti, felci e piccoli fiori che non aveva mai visto prima.
L’aria era piena di profumi e al di là dell’acqua s’apriva il buio della foresta vera e propria.
Contro l’irregolare arco scuro della giungla, la laguna era ferma come un lago di montagna, con tutte le sfumature del blu, del verde, del viola.
Il terreno intorno era una sottile striscia umida e il caldo incombeva su tutto, quasi visibile.
Avanzò di qualche passo, senza fiato.
Era stanca, sudata, piena di fango. Si accorse che gli abiti pesavano e li tolse rapidamente, liberandosene come un serpente da una pelle vecchia e logora e restando con la sola biancheria addosso.
Poi tornò a guardare la laguna; rimase così per un attimo, immobile, a guardare l'acqua abbagliante.
Accarezzò un momento il tronco di una mangrovia e, costretta alla fine a credere alla bellezza che le si spalancava davanti, sorrise di nuovo di gioia.
Si avvicinò di più alla riva e guardò in alto, dove le foglie formavano come un tetto verdeggiante tutto illuminato, di sotto, dai mobili riflessi della laguna; poi volse verso l’acqua gli occhi eccitati, lucenti.
Era chiara fino al fondo, con chiazze vivaci di alghe e rocce.
 “Che meraviglia!” mormorò.
In quell’istante, però, i passi veloci del Mandaloriano alle sue spalle la fecero sussultare.
Prima di voltarsi, sorrise lievemente tra sé e sé.
Il cacciatore di taglie la raggiunse, guardandosi intorno con circospezione e studiando attentamente il perimetro della laguna, lunga una trentina di metri; l’esperienza con il lucertolone a sei zampe l’aveva reso ancor più cauto del solito.
Lei invece gli sorrise e poi fece un cenno col capo, indicando l’acqua.
“Non è bellissimo?” gli domandò.
Din Djarin spostò lo sguardo su di lei, splendente, a pochi passi dall’acqua.
“Perché sei venuta qui?” le domandò, senza smettere di guardarla.
Per tutta risposta, Ann gli afferrò una mano e lo trascinò verso la riva.
“Andiamo” disse “io ne ho assolutamente bisogno!”.
Lo guardò con un sorrisetto.
“Credimi, ne avresti bisogno anche tu…”.
“E’ una sciocchezza” replicò lui, resistendo “Dobbiamo andarcene da qui il più presto possibile: in fondo, non siamo nemmeno certi che quel mostro sia davvero morto… e poi non sappiamo se questo posto è sicuro: se ci fossero animali velenosi?”.
Ann sgranò gli occhi con esagerato timore.
“O magari una misteriosa lucertola gigante invisibile?”
Scosse la testa.
L’uomo la guardò torvo ma, prima che potesse replicare, la ragazza si sfilò anche la biancheria e, lesta come un gatto, percorse i pochi metri che la separavano dalla riva si tuffò.
Sulla sua pelle chiara si disegnarono le ombre verdi della foresta.
Lui si sorprese a notare che il suo corpo agile e forte svelava la sua abilità in combattimento, ma c'era come un contrasto nella piega dolce delle sue labbra.
La vide riemergere, sul viso un’espressione di godimento, e immergersi ancora e ancora nuotando verso il centro della laguna; i capelli lucidi, lussureggianti, le accarezzavano il seno, i fianchi, la schiena leggermente curva.
Rimase incantato a fissare quella visione per qualche minuto, in silenzio, incapace di sottrarsi al suo fascino e distogliere lo sguardo.
A un tratto, però, Ann lanciò un grido e si voltò verso l’uomo annaspando, improvvisamente in difficoltà.
Urlò ancora, mentre qualcosa pareva trascinarla giù nell’acqua.
Si dibatté tra gli spruzzi, fino a che non scomparve come inghiottita dal lago.
Senza riflettere né esitare, il cacciatore di taglie si tuffò a sua volta; nuotando quanto più velocemente gli permetteva la sua pesante armatura, fece appena caso al fatto che la temperatura dell'acqua era più alta di quella del suo corpo e gli pareva di essere immerso in un gran bagno caldo.
Raggiunse, ansimante, il punto dove la ragazza era sparita.
La chiamò una, due volte, guardandosi intorno preoccupato.
All’improvviso però Ann riemerse proprio davanti a lui, a pochi centimetri dalla sua testa: i capelli incollati alla testa, le ciglia grondanti, trasse un respiro profondo e subito iniziò a ridere senza ritegno.
L’uomo sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che si era presa gioco di lui per costringerlo a raggiungerla.
“Oh mio cavaliere dalla lucente armatura!” lo prese in giro “Sempre pronto a sfidare il pericolo per salvare una damigella indifesa da mostri invisibili”.
“Non vedo damigelle indifese da queste parti” replicò lui, tra l’offeso e il divertito “ma solo una pericolosa spia…”
Le si avvicinò con fare minaccioso, allungando le braccia verso di lei.
“…che ha assolutamente bisogno di vedere da vicino la carbonite!”.
Le balzò addosso d’improvviso, cercando di afferrarla mentre lei si dibatteva e annaspava mezzo soffocata dall’acqua e dalle risate.
Mentre nuotava, sentiva il corpo di lei premere contro il suo; era liscio, snello, eccitante. Ora si aggrappava a lui, respirando liberamente, e si lasciava trasportare abbandonata, senza più opporre resistenza.
Arrivati dove avevano piede, Din lasciò la presa e lei, invece di allontanarsi come lui si sarebbe aspettato, rimase immobile e gli rivolse un sorriso; erano uno di fronte all’altra, adesso, immersi nell’acqua tiepida che li accarezzava e li sosteneva.
“Speravo che almeno ti saresti tolto l’armatura” sussurrò “Non c’è il rischio che arrugginisca, vero?”.
A lui venne da ridere.
“No, non c’è questo rischio” rispose, senza allontanarsi da lei.
Ann fece una smorfia di disappunto.
“Peccato…”
Esitò un istante: la vita gli aveva insegnato a essere pragmatico, a non lasciarsi trascinare dalle situazioni e, in quel momento, proprio la sua parte razionale gli suggeriva di voltare le spalle a quell’allettante visione e di tenere Ann Leary a debita distanza.
Sapeva che quella che adesso si offriva ora ai suoi occhi coperta solo dai suoi capelli lucenti e dall’acqua era praticamente una sconosciuta, una sconosciuta che non esitava a usare armi sofisticate per raggiungere i suoi scopi criminali e che non molto tempo prima aveva tentato di ammazzarlo.
Ecco, questo era un pensiero perfettamente ragionevole, data la situazione, e del tutto degno di lui.
Eppure, non lo tradusse in azione: irresistibili quegli occhi ardenti, quel corpo flessuoso e l’acqua che lo accarezzava, nonostante il doloroso peso dell’armatura, risvegliando in tutte le cellule del suo organismo desideri sopiti.
S’immerse lui stavolta e la sfiorò, come per gioco, lottando scherzosamente con lei.
Scivolò tra le sue gambe, nuotò sott’acqua e riemerse dietro di lei, alle sue spalle.
Qua e là qualche fiato di vento spirava sulle acque lisce, sotto la nebbia del caldo, e faceva frusciare le foglie; pallide chiazze di luce lunare scivolavano su di loro e si muovevano nell’ombra come folletti lucenti.
Ann sollevò lo sguardo su di lui, fissandolo intensamente; nei suoi occhi luccicavano i riflessi della laguna, una striscia di luce pallida scherzava tra i suoi capelli.
Mando pensò che se qualcuno gli avesse detto solo poco prima che si sarebbe trovato in una situazione del genere, l’avrebbe senza esitazioni preso per pazzo.
Si avvicinò di più e l’abbracciò, coprendola interamente col suo corpo; l’acqua era accogliente e li sosteneva quasi con tenerezza. Ogni movimento indeboliva la sua resistenza e lo rendeva più consapevole di lei, del suo corpo, dei suoi movimenti e del suo desiderio.
Per un istante Ann, illanguidita, chiuse gli occhi e si abbandonò completamente a quell’abbraccio caldo nell’acqua tiepida.
Poi, all’improvviso, si staccò da lui e nuotò rapidamente verso la riva.
Lui la seguì, guardandosi intorno: l'orlo di sabbia era diventato una striscia di fosforescenza che avanzava adagio adagio col procedere delle piccole onde provocate dai loro movimenti; l'acqua scura specchiava il cielo scuro con tutte le sue strane, lucenti costellazioni.
La linea fosforescente si gonfiava intorno ai granelli di sabbia e ai ciottoli, li avvolgeva con una curva tesa, poi improvvisamente li assorbiva senza rumore e passava avanti.
Vicino alle rocce, dove l'acqua era più bassa, qua e là un masso più grande emergeva, ricoperto da uno strato di perle.
La luna aveva coperto tutto con una patina argentata.
Ann gli si avvicinò e, senza dire niente, gli sfiorò la mano e lui si volse a guardarla.
Era ancora sdraiata, con le gambe leggermente aperte e le braccia lungo i fianchi; la pallida luce trasformava in argento la sua pelle, i suoi capelli bagnati sembravano alghe marine.
Il cacciatore di taglie pensò che il suo corpo doveva avere il sapore della rugiada, dei fiori bagnati, delle foglie umide, dell’erba nel primo mattino.
Rapido, si sfilò i guanti e li gettò per terra.
Quando la toccò, la pelle era come seta sotto le sue dita.
Era ormai vicinissima, entrambe le mani sull’elmo freddo e liscio.
“N-non posso…” mormorò.
“Non importa” rispose Ann.
La sua voce era come la laguna che si stendeva davanti a loro, pensò lui. Ferma, ma ingannevolmente dolce nei contorni.
 “Non m’importa cosa c’è qui sotto…” sussurrò “m’importa cosa c’è qui dentro” aggiunse, facendo scivolare la mano all’altezza del suo cuore. Lui la tenne tra le sue per un istante.
Poi, senza dire nulla, Ann si chinò verso il mucchio dei vestiti di cui si era liberata e tornò verso di lui stringendo in mano uno dei lunghi veli neri con cui il collezionista se l’era immaginata, stecchita e in bella mostra nel suo personale palazzo delle meraviglie.
Non parlò, ma i suoi occhi dicevano tutto.
Gli diede le spalle, porgendogli i due lembi della striscia di tessuto scuro che aveva sollevato esattamente all’altezza dei suoi occhi.
Cosa avrebbe fatto?
Il cuore le batteva all’impazzata quando lui li prese dalle sue mani e vicinissimo, tanto che lei poteva sentirlo distintamente contro la sua schiena bagnata, le appoggiò il tessuto sugli occhi e annodò strettamente i due capi.
Ecco, adesso Ann non vedeva praticamente più niente e la cosa, anziché spaventarla, era terribilmente eccitante. 
Si lasciò cadere nuovamente sull’umida sabbia della riva, il cuore in gola per l’attesa.
Dopo un tempo che le parve infinito, lui l’abbracciò di nuovo, mentre l’acqua continuava a lambire appena i loro corpi come una muta carezza.
La guardò, immaginando i suoi occhi pieni di desiderio.
Fu trascinato da un impulso segreto, un impulso più forte della ragione, e obbedì a quell’impulso di cui non avrebbe mai saputo dare ragione.
La guardò ancora, la cinse con le braccia e la baciò. La baciò prima timidamente, poi quasi con violenza, schiudendole le labbra.
Seguitò a baciarle la bocca, a baciare l’acqua salata sul suo corpo, sui seni, sui capelli grondanti, fino a che non la sentì gemere.
“Aspetta…” le disse, ansimando.
Si chinò su di lei e, nell’oscurità, le sussurrò all’orecchio il suo nome.
Allora Ann lo attirò verso le sue labbra e lo baciò prepotentemente; lui avvertiva il suo respiro ansante, la sentiva abbandonata e fremente, piena di desiderio.
Chiuse gli occhi e si concentrò sulle sensazioni; sentiva il fresco della notte sulla schiena e il tepore dell’acqua intorno alle gambe. Ma soprattutto sentiva lei fremere contro il suo corpo e le sue unghie lunghe che gli si conficcavano nella schiena, lasciandogli segni quasi dolorosi.
Quante volte si era ripromesso di non oltrepassare alcun limite con lei! E invece adesso era sufficiente sentire il suo corpo bagnato premuto contro il proprio per abbandonare completamente ogni difesa.
Il suo corpo arrendevole, ma mai sottomesso.
I suoi occhi…non ricordava di essere stato mai guardato in quel modo da una donna, così profondamente da toccare i confini della sua anima.
Confusamente, si chiese cosa lo attraesse tanto in lei, dato come era cominciato il loro rapporto e considerato che fino a pochi giorni prima non aveva mai nemmeno pensato a lei come a una donna, ma solo come a una pericolosa nemica.
Certo era molto bella, seducente, e i suoi gesti svelavano che possedeva tutta l’esperienza necessaria - se e quando ne avesse avuto voglia - per far impazzire un uomo.
Sì, era quello ma non solo.
C’era dell’altro.
Ed era che Ann non aveva paura: la sua forza temibile, tutta la sua abilità di guerriero non la intimidivano.
Basta! Non voleva più pensare, non era necessario.
Eppure non ci riusciva: Ann Leary e il suo bizzarro senso dell’umorismo, la sua bocca e i suoi occhi stregati. Le sue mani.
Le sue mani.
Il fuoco sotto la pelle: fuoco che non brucia, ma riscalda.
Che non prende, ma da.
Fuoco non di morte, ma di vita.
I loro corpi erano percorsi da brividi, fremevano e sussultavano, strettamente avvinghiati, del tutto dimentichi del mondo intorno a loro.
Avvinti l’uno all’altra, rapiti dal godimento, i loro movimenti erano ritmici, oscillanti come quelli delle onde lievissime che rotolavano sulla sabbia nel luogo che non è più terra e non è ancora acqua.
Dove non esistono strade, né spiegazioni.
Dove le onde tutto cancellano e tutto nascondono.
Dove era come se non fosse mai passato nessuno, come se nessuna guerra fosse mai esistita.
Come se loro stessi non fossero mai esistiti.
Più tardi, mentre scivolava lentamente nel sonno, d si sorprese a domandarsi come sarebbe stato dormire accanto ad Ann nel fieno fresco in un fienile solitario, lontano dalle città, lontano dalle strade rumorose. Un fienile dietro una vecchia fattoria solitaria, accanto a un antico mulino a vento che vibrasse al suono degli anni che scorrevano via.
Starsene sdraiato tutta la notte così, tendendo l’orecchio ai mille suoni lontani - fremiti, sibili, lievi battiti d’ali - degli animali e degli alberi. Sussurri e fruscii, carezze, sensazioni mai neppure sognate.
Al suono regolare del suo respiro.
Avrebbe dormito così, tutta la notte, le labbra dischiuse in un sorriso leggero.
Al sicuro.
Lontano da tutto tranne che da lei, lontano dalla guerra, lontano dal mortale rombo dei reattori che laceravano il cielo, lasciando cadere sulla terra nuove strane stelle che mettevano in fuga il tenero colore dell’alba. 
 
 
Cari lettori, forse siete troppo giovani per ricordarlo ma nei mitici anni ottanta, quando la sottoscritta era una ragazzina, andavano tanto i film romantici di ambientazione tropicale (tipo “Paradise” o “Laguna blu”), nei quali l’ambientazione esotica di una natura stupenda non faceva solo da cornice alla storia d’amore, ma contribuiva essa stessa ad abbattere le barriere fisiche e mentali dei personaggi. Qui ho immaginato qualcosa del genere e spero che questo intermezzo romantico vi sia piaciuto.
Grazie sempre a chi legge, alla prossima!  
  
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