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Autore: All_I_Need    24/05/2021    7 recensioni
John ha un incidente nel laboratorio della struttura militare di Baskerville. Mentre aspettano che gli scienziati trovino una soluzione, lui e Sherlock devono riesaminare la natura della loro amicizia mentre si destreggiano nella vita quotidiana e nel Lavoro, il tutto cercando di rispondere alle domande veramente importanti: va bene accarezzare il tuo coinquilino se al momento è un cane? E come chiedi esattamente le coccole a un autoproclamato sociopatico?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 8 

La mattina seguente vide John liberato dalla benda, il taglio superficiale sulla zampa era guarito a sufficienza da non causargli più alcun problema. In retrospettiva, suppose che la propria iniziale incapacità di camminare fosse stata dovuta per lo più allo shock e al fatto che non fosse ancora del tutto abituato a camminare su quattro gambe, tanto meno si era sentito abbastanza a suo agio da passare a usarne solo tre.

In ogni caso, era contento di essersi liberato sia della benda che della ferita, e Sherlock sembrava altrettanto contento di vederlo saldamente di nuovo sui piedi, o sulle zampe, per così dire. Andarono a fare una breve passeggiata nel parco in modo che John potesse occuparsi dei suoi affari e poi si affrettarono a tornare a casa. Sherlock sembrava impaziente di muoversi e John si chiese quanto di ciò fosse dovuto al fatto che il suo amico desiderava evitare altre donne che cercavano di flirtare con lui.

"Allora, visto che sei tornato in azione, che ne dici di andare a vedere cos’ha combinato Lestrade?"

Sherlock stava quasi saltellando sui piedi e John fu felice di accontentarlo. Questo era ciò che facevano, dopotutto, e un cane che accompagnava la polizia non era certo niente di speciale.

Fu felicemente sorpreso quando Sherlock iniziò a preparare una borsa a tracolla che doveva aver dissotterrato dalla scorta semidimenticata in uno degli armadietti della cucina.

"Non ho idea per quanto tempo saremo lì, quindi suppongo che sia meglio che prendiamo alcune cose per te,” disse mentre John lo guardava preparare una grande bottiglia d'acqua, una ciotola, la pallina da tennis e il lanciatore di palline, un altro osso da masticare e - John scodinzolò - una piccola busta di dolcetti per cani.

"Questi li ottieni solo se te li meriti," gli ricordò Sherlock. "Sono sicuro che gli imbecilli allo Yard cercheranno di farti fare ogni sorta di acrobazie. Cerca di ricordare che sei un cane molto ben addestrato."

John annuì e andò a cercare il suo guinzaglio mentre Sherlock s’infilava il cappotto e si metteva sulla spalla la tracolla della borsa.

"Pronto?"

John abbaiò.

Presero un taxi per lo Yard e Sherlock ignorò magistralmente gli sguardi curiosi che ricevettero mentre entravano nell'edificio.

La corsa in ascensore fino al piano di sopra ricordò sgradevolmente a John i suoi primissimi minuti in questo corpo, quando tutto era stato sopraffacente e spaventoso. Anche ora, il macchinario continuava a sbattere e tintinnare troppo forte per i suoi gusti, ma lui rimase calmo,

Quando le porte si aprirono, si ricordò di seguire il detective a mezzo passo di distanza, dato che Johnny il cane non era mai stato prima allo Yard e quindi non conosceva la strada.

Sherlock era una vista familiare su questo piano, quindi la gente gli prestava a malapena attenzione quando arrivava. Oggi molti alzarono lo sguardo al rumore della porta che si apriva e diedero una rapida occhiata per vedere chi fosse solo per finire a fissare John.

Lui si sentì addosso i loro sguardi mentre seguiva Sherlock nell'ufficio di Lestrade e faceva un deciso tentativo di evitarli.

"Ah, Sherlock! Mi chiedevo quando ti saresti fatto vedere," lo salutò Lestrade appena furono entrati. Fece un cenno verso John. "E vedo che hai portato il tuo... uh... amico."

"Non posso lasciarlo solo nell'appartamento tutto il giorno,” disse Sherlock, salutando Donovan, che al momento stava appuntando le stampe del loro ultimo caso sulla bacheca di sughero, con un cenno del capo. "Gli piace masticare le cose e non vorrei che John tornasse a casa e trovasse il nostro tavolo da cucina a corto di una gamba o due."

Lestrade sbuffò. "Pensavo che distruggere l'appartamento fosse il tuo lavoro."

"Anche quello," ammise Sherlock, chinandosi per sganciare il guinzaglio dal collare di John.

John andò a salutare Donovan sfiorandole il ginocchio con il naso, scodinzolando mentre lei si chinava per accarezzargli la testa con un "Ehi, ma ciao!" in tono di lieta sorpresa.

Dopodiché, attraversò l'ufficio verso Lestrade. Nel caos generale della sua improvvisa trasformazione, aveva a malapena prestato attenzione a quell’uomo.

"Ehm, cosa devo fare?” chiese Lestrade.

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Tendi la mano perché lui ti annusi e si rilassi. Non morde. Sembra che gli piaccia essere accarezzato, o forse è solo quando lo fanno le donne, quindi magari provaci."

John girò la testa e gli lanciò un'occhiataccia prima di annusare la mano che Lestrade gli aveva teso. Calore, fermezza, silenziosa competenza, nicotina e stress e troppo caffè: Lestrade aveva esattamente l'odore che John si sarebbe aspettato. Dette una leccata amichevole alla sua mano, desiderando poter ridere del sorpreso "Ehi!" che ottenne, e poi andò a sdraiarsi in una chiazza di sole che filtrava dalla finestra.

"Ora che è fatto,” disse Sherlock, l'impazienza chiara nella voce, "ti andrebbe di dirmi tutto quello che hai riguardo al nostro duplice omidicio?”


*****


John si perse gran parte della conversazione che seguì. Non poteva comunque contribuire, a parte forse rincorrendo attivamente il colpevole una volta che Sherlock gli avesse detto dietro a quale persona andare. Sapendo che Sherlock sarebbe stato impegnato per un bel po’ di tempo, John decise di fare le sue indagini.

Alla prima occasione, seguì Donovan fuori dall'ufficio di Lestrade. Lei tornò alla propria scrivania e si sedette, così lui prese posizione al suo fianco. Non ci voleva un genio per sapere che la sergente era qualcosa di più che solo la donna che si arrabbiava con Sherlock per il semplice fatto di esistere. John sospettava che avrebbe potuto sentirsi allo stesso modo se qualcuno senza una laurea in medicina fosse entrato nella clinica dove lavorava e avesse cercato di dirgli come fare il suo mestiere.

"Ehi, Johnny,” gli disse la donna quando si accorse che aveva deciso di unirsi a lei. "Stai cercando di allontanarti da Sua Altezza per un po’? Non posso biasimarti."

Si chinò e gli accarezzò la testa. "Hai un ottimo aspetto per qualcuno che ha trascorso diversi giorni in sua compagnia. Ti tratta bene?"

John uggiolò in tono affermativo, anche se non aveva idea se lei avrebbe capito.

"Ehi, Donovan, da quando hai un cane?" gridò qualcuno.

"Da quando hai smesso di usare gli occhi, Perkins!" gridò lei in risposta. "Appartiene al mostro. Non li hai visti entrare mezz'ora fa?"

In pochi istanti, furono circondati da quasi tutte le altre persone di quel piano, altri sergenti e poliziotti che si ammassavano per dare una bella occhiata al cane.

A John piaceva essere al centro dell'attenzione, per una volta. Non era il ruolo in cui si trovava di norma, non quando Sherlock era in piedi accanto a lui ed era geniale, e questo andava bene. Non voleva il tipo di attenzione che riceveva Sherlock. Ma non disdegnava lasciare che la gente lo ammirasse.

"Siamo sicuri che non abbia la rabbia?" chiese qualcuno.

Donovan alzò gli occhi al cielo. "Perché non lasci che ti morda e lo scopri?"

Arruffò la pelliccia di John. "Non preoccuparti per questi idioti. Sei perfettamente educato. Non è colpa tua se devi convivere con Holmes, tra tutta la gente."

"È adorabile,” disse una giovane agente bionda, chinandosi in avanti e tendendo una mano a John. Lui la spinse con il naso e lei ridacchiò. "Oh guarda, le sfumature di colore sul suo muso sono perfettamente simmetriche.”

"Sa fare qualche trucco?" domandò qualcun altro.

"Perché non glielo chiedi?” chiese Donovan, esasperate. "Forse ti scriverà una dannata lista."

John avrebbe voluto ridere, ma invece scodinzolò. Se solo Sherlock avesse saputo che Donovan aveva poca pazienza per gli idioti quanto lui. Ma conoscendo Sherlock, probabilmente lo sapeva già.

"Qualcuno ha qualche dolcetto?" chiese il sergente Perkins.

"Perché, sì, certo, tengo sempre una scorta di dolcetti per cani nella mia scrivania nel caso in cui qualcuno porti un cane in ufficio,” disse la giovane poliziotta scuotendo la testa. Non smise di accarezzare John nemmeno per un momento, però, e lui ansimò felicemente.

"Come si chiama, comunque?"

"Johnny,” disse Donovan e John si voltò prontamente a guardarla, le orecchie dritte come avrebbe fatto qualsiasi cane sentendo il suo nome.

"Sul serio? Il mostro ha preso un cane e lo ha chiamato come il suo coinquilino?"

Donovan spiegò la faccenda dei genitori di Sherlock.

John pensava che tutto sembrasse ragionevole, ma si chiedeva perché nessuno pensasse che fosse strano che due persone che avevano chiamato i propri figli Mycroft e Sherlock avessero poi chiamato il loro cane Johnny.

"Possiamo fargli fare qualche trucchetto?"

Qualcuno esclamò: "Johnny! Seduto!"

John si guardò intorno in cerca della persona che cercava di dargli ordini. Perkins, ovviamente.

"Seduto,” disse lui di nuovo.

John non mosse un muscolo. Sherlock gli aveva detto di ricordare che era un cane ben addestrato e i cani ben addestrati non ascoltavano chiunque avesse dato loro degli ordini.

Tra gli agenti serpeggiarono delle risate quando non successe niente.

"Ho detto 'Seduto', stupido cane!" sbottò Perkins, cercando d’imporre alla propria voce il suono dell'autorità.

John fece uno sbadiglio dimostrativo e si voltò altrove.

"Questo cane non è affatto addestrato,” disse Perkins, chiaramente agitato.

Proprio in quel momento, ci fu il suono di una porta che si apriva e poi la voce di Sherlock.

"Johnny! Al piede!"

John si spremette attraverso le gambe di almeno quattro persone prima di spostarsi al fianco di Sherlock.

Sherlock allungò un braccio verso il basso e gli grattò l'orecchio. "Seduto."

John si sedette.

"I cani ascoltano quelli che rispettano e tu non hai fatto nulla per guadagnarti il rispetto di Johnny, Perkins,” disse Sherlock, con aria vagamente divertita. "Donovan, Lestrade ha detto che devi accompagnarci alla Bart. Devo dare un'occhiata più da vicino ai corpi."

Lei sospirò e si alzò, molto meno riluttante del solito, pensò John.

"Vieni, Johnny,” disse Sherlock e si diresse verso l'ascensore. John si tenne vicino al suo fianco, sfiorando di tanto in tanto il Belstaff.

Sherlock aspettò che le porte dell'ascensore si fossero chiuse prima di voltarsi e sorridergli.

"Bravo ragazzo."


*****


Entrarono nell'ospedale della Bart dalla porta sul retro, quella più vicina all'obitorio.

"Non ha senso fargli fare storie,” disse Sherlock. "La gente si agita irragionevolmente per i cani negli ospedali.”

"Sì, quanto è irragionevole non volere peli di cane e chissà cos'altro in un ambiente sterile," tagliò corto Sally, alzando gli occhi al cielo.

Non era esattamente entusiasta di essere bloccata con il mostro in questo viaggio, ma Lestrade aveva voluto che lei accompagnasse Sherlock all'obitorio, argomentando sul fatto che Holmes sarebbe scappato subito dopo un indizio mentre avrebbe dovuto riferire in merito. Di solito, era John a inviare a Lestrade un breve messaggio su quello che stavano facendo o su ciò che Sherlock aveva scoperto se il mostro non poteva darsene la pena, ma John non era lì. Era quindi l'opzione sensata avere qualcuno che lo accompagnasse e avvisasse lo Yard delle sue scoperte. E poiché Lestrade era impegnato in una più lunga conferenza telefonica con il sovrintendente capo su quest’ultimo omicidio, l'ingrato compito toccò a Sally.

Be', non così ingrato come al solito, pensò, guardando il cane accanto a Holmes. Il mostro non si era preoccupato di un guinzaglio e Johnny non sembrava averne bisogno, camminando semplicemente accanto a lui come se non gli venisse in mente di essere altrove.

E davvero, quel cane era ridicolmente adorabile con la sua pelliccia rossastra e il petto bianco, una fiammata bianca e le orecchie flosce. Sembrava un po’ una volpe, pensò, e decise di cercare la razza non appena ne avesse avuto l'opportunità.

Per ora, però, era rimasta bloccata a fare la mostro-sitter.

Holmes spalancò la porta dell'obitorio ed entrò a grandi passi come se fosse il proprietario del posto, con Johnny alle calcagna e Donovan che lo seguiva con riluttanza.

La giovane patologa, una donna timida che Sally aveva visto in giro di tanto in tanto, si voltò quando entrarono e quasi lasciò cadere la sua cartellina per la sorpresa. Armeggiò goffamente per prenderla e arrossì prontamente di un rosa acceso.

"Sherlock! Ciao! Io, uh, non sapevo che saresti arrivato oggi."

S’infilò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, arrossendo ancora un po’.

"Oh mio Dio," pensò Sally.

"Molly," Sherlock salutò la giovane donna. Non diede segno di essere in alcun modo consapevole della sua evidente cotta per lui. "Devo dare un'occhiata ai corpi che sono arrivati due giorni fa. Padre e figlio, assassinati l’uno poco dopo l'altro."

"Uh, certo, aspetta, è un cane?!"

Fissò Johnny, che si era seduto accanto a Sherlock e stava annusando il suo cappotto.

"Questo è Johnny," lo presentò Sherlock.

"Johnny?!" ripeté lei, chiaramente divertita. "Non è il nome del tuo am..."

"John è in Scozia, al momento,” disse Sherlock, con tono infastidito. "Nel frattempo, mi occupo del cane dei miei genitori. Il cui nome è Johnny. Possiamo passare ai cadaveri, adesso?"

"Uh... sì, certo, scusa," balbettò Molly. "Solo... uh... assicurati che non tocchi o lecchi niente. O esca da questa stanza. Non credo che sarebbe il benvenuto in nessun'altra parte di questo edificio."

"Per fortuna, ho solo bisogno di accedere all'obitorio e al laboratorio," le disse Sherlock.

"Stavo per iniziare l'autopsia del figlio, se vuoi vederla,” si offrì Molly. "Siamo stati piuttosto oberati, ultimamente, o l'avrei fatta prima."

"No, ora andrà bene. Non ho nient'altro in ballo al momento."

Sherlock si rivolse a Donovan. "Sally, potresti badare a Johnny per un po’? Non avrò nulla per Lestrade finché non avrò visto entrambi i corpi, quindi non ha davvero senso che tu stia semplicemente qui ad aspettare. Prendi questa borsa." Si tolse la borsa a tracolla dalla spalla e gliela porse. "Qui dentro ci sono dell'acqua e una ciotola, un osso da masticare, il guinzaglio e dei giocattoli. E una manciata di dolcetti per cani, se ti senti generosa. Perché non lo porti a fare una passeggiata al Postman's Park dietro l'angolo?"

Sally sbatté le palpebre. "Cosa, io? E come ti aspetti che lo faccia, visto che lui non sembra ascoltare nessuno che non sia tu?"

"È una questione di addestramento,” disse Sherlock e si voltò verso il cane. "Johnny, questa è Sally. Sally è al comando." La indicò mentre lo diceva.

Il cane uggiolò, spostando lo sguardo da Sherlock a Sally e viceversa.

"Dagli un ordine," suggerì Sherlock.

Sally fissò il cane con aria dubbiosa. Lui la stava di nuovo guardando. "Johnny, al piede."

Immediatamente lui venne al suo fianco.

Sally non riusciva a decidere se fosse contenta o semplicemente sorpresa. Sherlock stava sogghignando. "C'è qualcos'altro? No. Bene. Ama inseguire le palline da tennis. C'è un lanciatore di palline lì dentro così non ti slogherai l braccio. È improbabile che si scontri con altri cani, ma cerca di tenerlo lontano dai gatti. O da donne che fanno jogging. Per qualche motivo, hanno attaccato bottone con noi ad ogni singola passeggiata che abbiamo fatto.”

Sally lo guardò a bocca aperta. Oggettivamente parlando e quando teneva la bocca chiusa, Sherlock Holmes era un uomo attraente in un cappotto costoso con un cane adorabile. E davvero non aveva idea del perché le donne continuassero a parlargli? Oh, ragazzi.

"Bene,” disse, decidendo di girare molto al largo da quella particolare gatta da pelare. "Ma se scappa, non mi prendo nessuna responsabilità."

"Non lo farà," le disse Sherlock con assoluta sicurezza. "Johnny sa a chi appartiene."


*****


Sherlock era in piedi vicino al tavolo dell'autopsia, guardando Molly che estraeva il fegato del paziente.

"Allora, per quanto tempo farai il dog-sitter?” chiese lei mentre metteva l'organo sulla bilancia.

"Finché i miei genitori me lo chiedono."

Lei annuì. "E per quanto tempo John sarà via?"

Sherlock inclinò la testa, cercando di capire se lei avesse un secondo fine per chiederlo. Ma questa era Molly; dubitava che avesse mai avuto un secondo fine in vita sua.

"Non lo so," decise di dire. "Vuole ‘esserci’..." fece una smorfia al termine "per sua sorella mentre è di nuovo in riabilitazione. John crede che la sua presenza sarà un'influenza stabilizzante e che l'aiuterà a mantenere la sobrietà."

"E a te sta bene?”

"Non posso certo affermare che non abbia ragione, dal momento che la sua presenza sta effettivamente influenzando la mia sobrietà."

Molly gli sorrise mentre allungava le braccia per estrarre lo stomaco. "Sei molto più rilassato quando lui è nei paraggi."

"Non sono sicuro che sia una buona cosa," ammise Sherlock. Era strano il modo in cui a volte si trovava ad aprirsi con lei. Forse era perché non c'era pericolo che lei lo dicesse a qualcun altro.

"Tutti gli altri sembrano pensarlo,” disse Molly. "Non c'è da vergognarsi nel godersi la compagnia di qualcuno."

Sherlock scelse di non rispondere a questo. Aveva il forte sospetto di aver ormai superato il godimento e non gli piaceva il pensiero che qualcun altro se ne accorgesse.

Fu salvato da ulteriori conversazioni su John da Lestrade, che fece capolino nella stanza e disse: "Ehi, dov'è andata Donovan?"

"Le ho chiesto di portare Johnny al parco,” disse Sherlock con calma. "Non posso tenere un cane in un ospedale, Lestrade. A quanto pare è contro le regole."

"Giusto." Lestrade si schiarì la gola, facendo del proprio meglio per evitare di guardare il corpo scoperto sulla lastra. "Senti, posso scambiare due parole con te?"

Sherlock sospirò. "Adesso?"

"Non preoccuparti, non arriverò a niente di interessante in questa autopsia ancora per un po’,” lo rassicurò Molly. "Non ti perderai nulla uscendo per un paio di minuti."

Rassegnato a una conversazione che era sicuro di non voler avere, Sherlock lasciò la stanza con Lestrade dietro di sé.

Aspettarono che la porta si chiudesse alle loro spalle e di essere sicuri di avere il corridoio tutto per loro.

"Be’?” chiese Sherlock. "Pensavo fossi impegnato in una telefonata."

Lestrade sembrava imbarazzato, cosa che non era mai quando si trattava del Lavoro, quindi questa sarebbe stata una conversazione personale. E Sherlock non aveva bisogno di nemmeno un quarto del proprio QI per capire di cosa si sarebbe trattato.

"Ho finito presto. Io, uh... John sta bene?"

"Sta perfettamente bene,” disse Sherlock. "Tanto bene quanto chiunque possa stare nel corpo sbagliato. Ho progettato un questionario per lui in modo da poter controllare il suo stato mentale ogni sera."

Lestrade sbatté le palpebre. "L’hai fatto?"

"Sì, certo. Non si sa cosa potrebbe fare questa trasformazione. Forse è solo fisica. Forse influenzerà lentamente il suo cervello e lui perderà la consapevolezza di sé e diventerà sempre più canino."

L’idea sembrò far inorridire Lestrade, anche se Sherlock sospettava fortemente nemmeno la metà di quanto facesse inorridire lui. "Pensi che sia possibile?"

"Non lo so!" scattò Sherlock. "Ecco perché sto cercando di trattarlo come un cane in pubblico, così nessuno s’insospettirà, e come una persona in privato, così non dimenticherà chi è. Sai com'è passare ventiquattrore al giorno con un cane e dover ricordare a te stesso che non dovresti accarezzarlo perché a) il tuo coinquilino non è il tipo affettuoso e b) trattarlo come un cane potrebbe fargli dimenticare che in realtà non dovrebbe essere un cane?"

Lestrade sembrò completamente sorpreso dallo sfogo improvviso. "Io... non ne avevo idea."

"Be’, non è certo una sorpresa," gli ringhiò Sherlock. "Sai quante linee di pensiero seguo in un dato momento? Sono in piedi proprio qui, ho questa noiosa conversazione con te e allo stesso tempo non sono in grado di fare nulla per riportarlo al corpo in cui dovrebbe essere, mentre devo anche risolvere il tuo dannato omicidio e l'unica cosa che posso fare è guardare una fottuta autopsia e inviare John fuori al parco con Donovan. Ed eccoti qui, a chiedermi se lui sta bene!"

Chiuse la bocca con un clic udibile, il petto che si sollevava.

"Ti senti meglio, adesso?” chiese Lestrade e il suo sarcasmo mancò completamente il bersaglio.

"Per niente."

"Lo pensavo."

Condivisero un sorriso ironico.

"Hai già sentito qualcosa da Mycroft?” domandò Lestrade. "Ha almeno una stima?"

Sherlock scosse la testa. "Sorprendentemente, questa è la prima volta nella mia vita in cui desidero davvero che mi chiami. È anche la prima volta che non riesce a farmi pesare le sue connessioni superiori e non riesco nemmeno a godermelo.”

"Mi viene da piangere solo a sentirlo," ringhiò Lestrade. "Ma non hai ancora risposto alla mia domanda. Come sta John?"

"Bene," sospirò Sherlock. "Sta mangiando bene, sta bevendo abbastanza acqua, lo porto a fare una passeggiata almeno due volte al giorno, continua a fare il prepotente per costringermi a mangiare e dormire e so che la signora Hudson gli ha portato dei dolcetti alle mie spalle. Sembra abbastanza felice, ma ovviamente preferirebbe essere di nuovo se stesso.”

"Comprensibile. Starà bene. Ma Sherlock..." Lestrade esitò.

"Sì?"

"Penso che tu stia dimenticando qualcosa."

"Oh?"

Lestrade sospirò. "Guarda... tu e John avete una relazione decisamente unica. Siete intimi. E in gran parte è perché vi parlate tutto il maledetto tempo. Non state zitti, mai, nessuno dei due. Ma ora lui non può rispondere. Senti, da quello che ho visto, voi ragazzi funzionate perché lui ti segue nelle tue folli avventure e tu lo ascolti quando ti dice di essere ragionevole."

Sherlock ci pensò su per un secondo, ma non riuscì a trovare nulla di evidentemente sbagliato in quell'affermazione. "E?"

"E in questo momento quell'equilibrio di potere è seriamente disturbato. Lui dipende da te per dargli cibo, esercizio, intrattenimento. E non può restituire nulla. Quindi ti costringe a mangiare e dormire, ma quello lo fa sempre. E non può fare nessuna delle altre cose che fa di solito. Non può risponderti, non può fare nulla per impedirti di precipitarti a capofitto nel pericolo. L'unica cosa che i cani possono fare è essere affettuosi. E tu gli stai negando quello sfogo."

Sherlock sbatté le palpebre. "Hai incontrato John? Non è un tipo affettuoso."

"Di solito, sorride alle persone e ti mantiene ragionevolmente ragionevole e rattoppa le strane ferite qua e là. Non dirmi che non hai notato che le persone si rilassano quando è nei paraggi. Ha un modo grandioso di trattare coi pazienti. E ora non può farlo, quindi quello che invece fa è lasciare che le persone lo accarezzino e le rende felici. Alla gente piace accarezzare i cani, se per caso in qualche modo hai mancato di notarlo. Ci sono studi e tutto il resto.”

"Così ho sentito,” disse Sherlock, senza prendersi la briga di dire che li aveva letti tutti.

Lestrade si strinse nelle spalle. "Eccoci, allora. John è affettuoso nell'unico modo in cui può esserlo in questo momento. E tu lo stai bloccando rifiutandoti di accarezzarlo più del necessario. Questo vi mette entrambi in agitazione. E che tu lo accarezzi o meno, non farà differenza per la possibilità che la sua mentalità diventi più simile a quella di un cane quando ha già tutti gli altri che lo accarezzano ad ogni possibile opportunità."

Sherlock dovette ammettere che in questo c'era qualcosa di vero.

"Bene. Lo prenderò in considerazione."

Lestrade annuì. "Bene."

"C'era qualcos'altro?” chiese Sherlock con cautela.

"No, tutto qui. Torna alla tua autopsia e dì a Donovan quello che tu e la dottoressa Hooper avete trovato, okay? Non scappare via e basta."

"Se lo facessi, John potrebbe rintracciarmi solo seguendo l’odore," fece notare Sherlock. "Di certo ne ha inalato abbastanza in questi ultimi giorni."

"Comunque, non c'è bisogno di rischiare."

Si salutarono a vicenda con un cenno del capo e Lestrade si voltò e si allontanò, lasciando Sherlock da solo nel corridoio con alcune nuove idee interessanti su cui riflettere. Forse era ora di usare quel pettine e quella spazzola che gli uomini di Mycroft avevano messo nella scatola.


*****


Postman's Park non era molto lontano dall'ospedale del St. Bart. Inoltre non era molto grande, ma Sally sapeva che non c'erano altri parchi nella zona e che sarebbe andato abbastanza bene per far fare esercizio a un cane. Qualsiasi cosa era meglio dell'ospedale, dopotutto.

Sorrise a Johnny, che sembrava abbastanza felice di essere in giro e non sembrava preoccuparsi di averla all'altro capo del suo guinzaglio.

Tuttavia, si fermò a diversi metri nel parco e si voltò per guardarla con aspettativa.

"Volevi qualcosa?” chiese Sally, perplessa. Lo sguardo del cane era fisso sulla borsa che Holmes le aveva dato.

"Non riceverai nessun dolcetto per aver semplicemente camminato,” gli disse.

Le sbatté le palpebre.

Sally aprì la borsa e vi frugò dentro. Non era del tutto sicura riguardo al togliergli il guinzaglio, ma doveva esserci qualcosa che poteva fare per intrattenerlo.

Non ci volle molto perché le sue dita indagatrici si curvassero attorno a un breve pezzo di corda spessa e annodata. Quando lo tirò fuori, Johnny scodinzolò con evidente entusiasmo, le sue orecchie si drizzarono e la lingua ciondolò.

Lei sorrise. "Va bene, allora."

Giocarono al tiro alla fune per un po’, finché le braccia non le fecero male e sentì di non poter tenere la corda per un altro momento.

"Sei instancabile," ansimò, ridendo mentre Johnny scuoteva vigorosamente la testa, la corda ancora stretta tra i denti.

Continuarono per la loro strada,

Sally trovò molto rilassante passeggiare senza meta, con il cane accanto a sé e il sole che le riscaldava la schiena. "E pensare di essere pagata per questo,” commentò, sogghignando. "Comincio a pensare che il mostro non dovrebbe mai darti via, Johnny. Anche se il vero John probabilmente non ti ringrazierà se dovrà ripulire dietro Holmes e te."

Johnny le uggiolò.

La donna si chinò e afferrò di nuovo la corda. "Lascia andare."

Lui lo fece e lei la rimise nella borsa. "Okay, penso che abbiamo bisogno di farti fare più movimento. Holmes mi ha detto di lasciarti giocare, quindi presumo che tornerai quando ti chiamo. Non farmene pentire."

Lui rimase perfettamente immobile mentre lei sganciava il guinzaglio e in seguito rimase al suo fianco, sebbene si allontanasse un po’ di più ogni volta che un profumo interessante attirava la sua attenzione.

Sally si prese il tempo di rovistare nella borsa alla ricerca del lanciatore e della pallina da tennis. Li tirò fuori entrambi in modo piuttosto trionfante.

"Che ne dici di questo, Johnny?" chiese. Immediatamente, tutta l’attenzione del cane fu su di lei e sull'aggeggio che aveva in mano.

Sally gli sorrise. "Prendi!"

La palla volò in aria e il cane partì, correndole dietro a una velocità impressionante.

Sally lo guardò trovare la palla e correre da lei, le orecchie che svolazzavano e la coda scodinzolante, e decise che quella era probabilmente la migliore giornata lavorativa che avesse mai avuto.

 

 



NdT: Grande Greg!!! Vediamo se la spintarella basterà a sbloccare infine il detective? 😉
   
 
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