Sono
le tredici in punto quando la campanella
segna la fine della giornata scolastica.
“Ricordate
che lunedì ci sarà la prova di
matematica. Vi voglio in gran forma, studiate per bene in questo fine
settimana, mi raccomando” – ricorda
l’insegnante agli studenti, una classe
numerosa di ben ventidue bambini di sette anni, euforici per
l’inizio del
weekend.
Salutandoli
uno ad uno, la
docente torna a sedersi alla cattedra, decisa
a trattenersi una mezz’ora in più rispetto
all’uscita solita per la correzione
di alcuni esercizi svolti dagli allievi.
Nota,
però, che in aula è rimasto qualcuno.
“Ginny,
tesoro, hai bisogno di qualcosa?” –
le domanda, visto che la bambina tarda a lasciare la scuola.
“Volevo
solo dirle, maestra, che alla fine ho
seguito il suo consiglio” – racconta la piccola,
sistemandosi lo zaino sulle
spalle.
La
donna, confusa, non capisce. E la sua
espressione stranita viene percepita da Ginevra che le spiega subito
dopo – “Mi
riferisco al diario!”
“Ah,
certo! Il diario segreto…e dimmi, ti sta
aiutando averne uno su cui annotare tutto?”
“Certo.
Ho scritto tanto..” – comunica la
bambina, entusiasta.
“Sono
contenta, scommetto che migliorerai
anche nella scrittura”
“Posso
chiederle una cosa?”
“Dimmi
pure”
“Sono
libera di scrivere tutto, giusto? Proprio…tutto
tutto?”
“Quello
che ti fa stare bene. Usalo come se
fosse un’amichetta a cui confidi ogni tuo segreto.
Quest’amichetta non ti
giudicherà mai, ma ti ascolterà ogni qualvolta tu
avrai bisogno di sfogarti!” –
ribadisce l’adulta, dopo aver raccontato, durante la
ricreazione, giorni
addietro, della bellezza di un diario così.
Fu
la passione con cui raccontò di quando lei
stessa ne scrisse uno, ad intrigare Ginevra e a convincerla a prendere
un
quaderno e a utilizzarlo come scrigno segreto.
“Puoi
scrivere cosa fai durante le giornate…puoi
raccontare di te…insomma, pensa che quella che hai davanti,
non è una pagina di
carta, ma una persona che ti vuole conoscere e che può
custodire segreti senza
spifferarli a nessuno!”
Quell’idea
piace molto a Ginny che,
elettrizzata, ringrazia la maestra per l’ennesimo
suggerimento.
In
quell’istante, la conversazione tra le due
viene interrotta dall’arrivo del bidello, il simpatico signor
Lucas, entrato
nell’aula con l’intenzione di lucidare i pavimenti.
Il
tizio, i cui baffi lunghi e neri hanno da
sempre divertito i bambini di quella scuola, sobbalza notando la
presenza della
docente e della studentessa.
“E
voi cosa fate ancora qui? Sapete che oggi
è venerdì, vero?”
“Stavamo
andando via!” – si scusa la maestra,
cambiando i programmi. A quel punto, avrebbe sistemato le sue faccende
scolastiche
durante il pomeriggio, tra le mura domestiche.
“Buon
fine settimana, signorina Jones” –
aggiunge l’uomo, apprestandosi a pulire l’intera
stanza.
“Lucas,
non dimenticare che i miei alunni mi
chiamano maestra Honey!” – precisa la donna,
sorridendo.
“Hanno
ragione, è la dolcezza in persona” –
si complimenta il tizio.
Dopo
rapidi saluti, l’adulta, assieme a Ginevra,
esce dall’istituto.
“Possibile
che sei la solita ritardataria?” –
brontola Sebastìan, rimasto davanti l’uscio della
scuola ad attendere la
gemella.
“I
migliori si fanno sempre attendere, non lo
sapevi fratellino?”- risponde
lei, con tanto di
linguaccia.
Il
bambino alza gli occhi al cielo, arresosi
di fronte alla quotidiana modestia della sorella.
“A
lunedì, maestra!” – dice la piccola,
rivolgendosi all’insegnante che, di fianco a lei,
è alle prese con una
telefonata.
“A
lunedì, bambini!” – risponde
rapidamente, e
con un cenno di mano li saluta, dedicandosi poi alla persona che
l’ha
contattata.
I
gemelli, mano nella mano, percorrono il
viale e raggiungono i parcheggi delle auto.
Tra
quelle che sostano lì a quell’ora, molte
appartengono a genitori in attesa dell’uscita da scuola dei
propri figli. E adesso,
il solo mezzo ancora presente è quello su cui i gemelli
salgono a bordo.
“Come
mai tanto ritardo?” – domanda Bogotá ai
piccoli, sedutisi nei sedili
posteriori. “Scommettiamo che Ginevra è la
responsabile?” – la punzecchia Alba,
seduta, invece, alla postazione accanto a quella di guida.
“Ho
dovuto parlare con la mia maestra!” – si giustifica
la moretta, giocando con le treccine realizzate da Nairobi con cura
quella
mattina.
“Ah
si? Come mai? Qualche compito non è
andato bene?” – chiede il saldatore, accendendo il
motore del veicolo, pronto a
raggiungere casa quanto prima, visto il brontolio allo stomaco per la
fame.
“Nulla
d’importante, cose mie” – risponde la
piccola, cambiando subito argomento –
“Lunedì abbiamo la verifica di
matematica”
“Ok,
quindi oggi pomeriggio lo trascorriamo
tra i libri” – afferma Bogotá, deciso.
Eppure
si sa, con lui non funziona mai e
infatti anche i bambini, ridacchiando, lo prendono in giro –
“Con te, papi, al
massimo facciamo un pomeriggio di pacchia!” – a
parlare è il maschietto, che
con quella battutina fa ridere tutti, incluso suo padre.
Anche
il saldatore, infatti, è cosciente di
essere poco autorevole con i suoi figli quando si parla di compiti da
fare. E così
arreso all’evidenza precisa – “Allora
sarà vostra madre a tenervi legati alla
sedia, oggi! Fossi in voi, mi preoccuperei”
Percorrono
i pochi chilometri che li separano
dalla villetta, tra prese in giro, risate e leggerezza. La radio
trasmette
musica spagnola, dando il via al momento nostalgia per una famiglia
che,
seppure costruitasi in Australia, soffre la lontananza dalla terra
natia.
Con
il volume in modalità fiesta, i quattro
si dilettano a cantare a squarciagola, fino a quando Alba chiede al
padre – “Quando
potremo andare in Spagna?”
Domanda
di cui sa bene la risposta e che vede
Bogotá stesso dispiacersi nel ribadirle –
“Non si può, non ancora. Quando diventerai
adulta, avrai la tua libertà, potrai recarti dove vorrai. In
fondo, nessuno sa
della vostra identità. Perciò, come vi abbiamo
detto tante volte, solo allora
potrete girare il mondo”
“Io
non voglio andare in Spagna” – precisa Ginny,
quasi disprezzando quel posto.
“Scherzi?
È casa nostra” – risponde Alba.
“Casa
mia è Perth!” – la reazione della
bambina spiazza anche il capofamiglia.
“Tesoro,
lì potrai scoprire le tue radici!”
“Axel vive a Madrid, lo ha detto la mamma!”
– la puntualizzazione di Sebastìan,
desideroso di conoscere suo fratello, irrita Ginevra che
però non replica, ma
borbotta a bassa voce – “Appunto per questa ragione
non voglio recarmi lì. Io quello
non lo voglio vedere…mai nella vita”
Giunta
a casa, i tre vengono accolti da Tokyo
che è seduta in soggiorno a chiacchierare con Agata.
E
una volta congedata la tenera zia, i
piccoli si sistemano a tavola pronti per il pranzo.
Ma
prima di servire il pasto, la Jimenez con
il cuore in gola, emozionata come non le capita da tempo, comunica ai
presenti –
“Ho ricevuto una lettera da Axel!”
C’è
euforia tra i presenti e soprattutto tanta
curiosità di sapere cosa il ragazzo, ormai ventunenne, ha
scritto loro.
L’unica,
totalmente indifferente alla
notizia, è Ginevra, rimasta seduta al suo posto, con
l’aria di chi avrebbe
voglia di chiudersi in camera ed evitare di ascoltare i soliti paragoni
con un
fratello lontano e che non ha la minima intenzione di conoscere.
Approfittando
dell’attimo di distrazione dei
genitori così come di Alba e Sebastìan, la
bambina si allontana. Va in camera,
apre un cassetto e afferra il suo diario segreto.
È
quello il giorno che scrive della sua
difficoltà e del disagio emotivo che nutre ogni qualvolta ci
si dimentica di
lei in quanto Ginevra, e scatta automaticamente il confronto con Axel,
figlio
che Nairobi ha visto strapparle dalle braccia e della cui lontananza
soffre
ancora oggi.
Ma
c’è un particolare che Agata, nella
lettura integrale del diario, non ha potuto costatare.
Quel
dì, Ginny ha scritto - “Mamma mi dice
sempre che assomiglio a mio fratello maggiore. Si chiama Axel, io non
so chi
sia, non l’ho mai visto. Però non mi piace questa
cosa, io sono Ginevra, non
sono Axel. Sono stanca che mamma mi ripete
“Sei come lui, hai gli stessi
occhi, gli stessi capelli”. Uffa. Lei mi guarda e non vede
me, lei vede lui!...”
– eppure il discorso
della bambina
non si è concluso così… - “ Oggi
è arrivata una lettera, probabilmente ci
dirà che verrà qui! Ho paura che sia davvero
così, non sopporterei di vederlo
di persona. Forse sarebbe meglio se sparissi per un
po'…chissà, magari solo
così qualcuno si accorgerebbe che io esisto come
Ginevra” – queste ultime
righe, sono state scritte e successivamente cancellate.
Se
solo la gemella
di Sebastìan avesse mantenuto intatto lo sfogo emotivo
riportato su carta!! E invece
ai Dalì resta niente, solo tanti FORSE, tante incertezze e
indizi senza fondo,
apparentemente studiati a tavolino per incasinare le loro idee.
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E’
mattino quando
la casa della “famiglia Sanchez” viene risvegliata
dal suono del campanello.
Ad
aprire la porta
è Alba, già sveglia e pimpante come al solito.
“Chi
sei?” –
domanda, trovando di fronte a se un giovane più che ventenne.
Le
basta poco per
capirlo – “Axel?”
“Ciao”
– saluta lui,
accennando un sorriso fin troppo simile a quello di Nairobi.
Rimasta
di sasso,
l’undicenne è folgorata dalla somiglianza tra la
persona appena entrata nella
villa, sua madre e perfino Ginevra.
“Siete
fatti con
lo stampino” – commenta, indicandogli una
fotografia alla parete.
E
mentre, euforica,
corre su per le scale per avvisare i genitori del lieto arrivo, Axel
fissa l’immagine
alla parete, quella di tutti e cinque insieme, scattata mesi prima e
incorniciata a dovere. Foto di famiglia che rappresenta
l’emblema della
felicità.
Axel
non conosce
bene Agata Jimenez, se non tramite qualche stampa di giornale o
internet, per
via delle due rapine passate alla storia.
Eppure
in quella
donna rivede se stesso e in un battibaleno gli sembra che accettare
quella
missione sia stata la decisione più giusta e più
sensata mai presa in tutta la
sua giovane vita.