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Autore: NPC_Stories    25/05/2021    4 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Non tutti i confronti sono battaglie


Hinistel ripiegò la lettera, soddisfatta di quanto aveva scritto. L’avrebbe portata da lord Fisdril per sottoporla a un ultimo controllo, poi il capoclan l’avrebbe spedita a Tazandil mediante un falchetto messaggero. Non era sicura che sarebbe riuscita a finire prima di sera, invece quando uscì dalla sua stanza si accorse che il cielo era ancora rischiarato dalla luce del tramonto.
Presto sarebbe calato il buio, perché la foresta era fredda e l’inverno alle porte. Le giornate erano brevi e la notte calava improvvisa. Meglio avviarsi subito.
“Jaylah, andiamo a trovare zio Fisdril” chiamò la nipotina, invitandola con un cenno della mano. “Metti le scarpe e il mantello pesante, fa freddo.”
La piccola obbedì, ripescando le sue scarpe che aveva disseminato per la stanza e poi andando a prendere il mantello. Era un bel mantello verde di fattura elfica; quello che le aveva dato sua madre era troppo semplice e troppo rozzo, gli altri bambini l’avrebbero presa in giro - l’avevano presa in giro - quindi Jaylah aveva smesso di usarlo.
Le sue dita elfiche, sempre meno paffute di mese in mese, riuscirono senza sforzo ad allacciare la chiusura ad alamaro. “Nonna, sono pronta!” Annunciò con orgoglio, agitando le braccia e facendo oscillare il mantello. “Sono a’bastanza dinnitosa per lo zio?”
Hinistel notò con piacere che Jaylah si stava sforzando sempre di più di scandire bene le parole.
“Sei bella come una principessa. Su, andiamo” le porse la mano, aspettando che la bimba la prendesse.

Saeron era turbato e stanco. Aveva vissuto l’inusitata esperienza di scusarsi con qualcuno e aveva deciso che ‘per oggi basta così’. Troppe stranezze in un giorno solo: prima Belegron che aveva dimostrato un eccezionale acume leggendo oltre la sua maschera (e con quanta villaneria lo aveva fatto), confessandogli nel frattempo un semi-interesse nei suoi confronti con un tono - così sbagliato - di rabbia e rammarico; poi Amyl che lo aveva trattato con condiscendenza, come se non fosse stato un vero adulto ma una specie di ragazzino troppo cresciuto.
C’era una cosa sola che poteva fare per pacificare i suoi nervi: isolarsi da quel marasma di gente e rifugiarsi nella musica. Suonare lo rilassava sempre. Per molti minuti si lasciò cullare dal flusso della melodia del suo flauto, e riuscì in parte a ritrovare la pace.
Era così catartico. C’era lui, c’era l’ispirazione, c’erano i suoni ben ordinati come in una poesia senza parole. Nient’altro.
Tranne quel giorno, a quanto pare.
Quel giorno c’era anche una bambina.

“Ciao” lo salutò lei, prendendosi quella fastidiosa confidenza che era tipica dei piccoli.
Saeron non si prese la briga di rispondere, ma smise di suonare. Forse, se fosse rimasto zitto e immobile, quella se ne sarebbe andata. Non era così? Non erano i bambini ad avere la vista legata alla percezione del movimento?
“Che cosa fai?” Insistette quella, e Saeron capì che no, non se ne sarebbe andata, e che forse stava confondendo i bambini con qualche altro animale.
L’elfo allontanò il flauto dalle labbra. “Sto suonando. Non è ovvio?”
La piccola sembrò un po’ presa in contropiede. “Sì ma che cosa suoni?”
“Un’antica canzone elfica che s’intitola ‘ballata tragica di un bardo che voleva stare solo’.”
“Ah” quel suono uscì con più h che a, come se fosse l’inizio di una risata. “No’ ci credo. Zio Daren dice che nessun bardo vuole ss-tare solo.”
A questa menzione, Saeron guardò con più attenzione la bimba. I grandi alberi le facevano ombra, ma l’elfo fece un cenno per invitarla ad avvicinarsi. Nella luce del sole morente, sì, era più evidente: una bambina mezzadrow.
“Con tutto il dovuto rispetto” ribatté l’elfo, in un tono che di rispetto non ne faceva trasparire nemmeno una goccia “tuo zio non sa un bel niente dei bardi. Ho sentito parlare di lui: la musica non gli piace nemmeno. Quindi che può saperne, eh?”
La bimba si strinse nelle spalle. “Glielo chiedo quando torna, poi ti dico! Adesso no’ c’è. Ss-ta facendo la guardia nella foresta co’ mio papà.”
Questo dettaglio riaccese all’istante l’interesse di Saeron.
L’elfo scuro non c’era. La sua piccola ingenua nipotina era sola, non c’era nessuno in vista.
Era un’occasione semplicemente troppo perfetta.

“Zia Hinistel” Freya salutò la veggente con un sorriso allegro. “Che bello vederti, come stai?”
“Bene, grazie tesoro” la donna più anziana porse le mani alla più giovane e si strinsero vicendevolmente gli avambracci, in quella che era la versione elfica di un abbraccio fra persone adulte. Era il modo giusto di tributare Freya da quando era uscita dall’adolescenza, ma Hinistel sentiva un po’ la mancanza di un contatto più informale con la sua giovane nipote. “Sono venuta per parlare con tuo padre, devo consegnargli una lettera.”
“È impegnato… ha rapito mia moglie per studiare insieme a lei un modo per mascherare le nostre comunicazioni con la magia.” Lo disse sbuffando, perché non era contenta di essere separata da Aphedriel.
“Cara, è giusto che anche Aphedriel faccia la sua parte. È quello che ci aspettiamo da ogni membro della comunità, e lei si è legata niente meno che alla figlia del capoclan. È importante che tua moglie coltivi il suo prestigio sociale.”
“Sì, lo so… ma mi manca” Freya si lasciò cadere su un divanetto di giunchi, stravaccandosi in modo poco dignitoso. “Quando Aphedriel non è con me, mi manca. Anche se è solo nella stanza accanto.”
“Sembra che il thiramin ti abbia colpito con la forza di una bastonata in testa” scherzò la zia.
Freya si lasciò andare in un lungo sospiro consapevole. "Aphedriel dice che è sempre così. Anche sua madre sentiva il thiramin, e stando ai suoi racconti non riusciva a pensare a nient'altro che al suo amato. Io però non credo che la mia condizione sia del tutto normale. La madre di Ariel era così ossessionata perché non era ricambiata. Io e mia moglie invece ci amiamo, e io credo che il thiramin stia imponendo il suo tributo a ciascuna in modo diverso. Lei fatica a concentrarsi sui suoi studi quando ci sono io. Invece io fatico a concentrarmi su qualunque cosa se lei è lontana. Se Aphedriel è con me, posso anche riuscire a dare il meglio nei miei studi sulla manipolazione della magia, oppure nei miei esercizi di tiro con l'arco, perché desidero farle una buona impressione. Ma se lei non è con me, è come se mi mancasse la motivazione. Certo d'altra parte quando siamo insieme è molto difficile non cedere alla tentazione di… be', avrai capito."
Hinistel si era accomodata su una poltrona mentre la nipote parlava, e adesso stava annuendo con un sorriso leggero. "Mia cara Freya, io penso che non ti serva davvero una scusa per essere distratta e incostante" azzardò in tono scherzoso.
L'elfa più giovane si adombrò e si sedette più compostamente, come se all'improvviso volesse dimostrare qualcosa.
“Sei ingiusta, zia, sono migliorata negli ultimi tempi. Aphedriel mi ha davvero dato un senso. Ora che ho lei… io so chi sono. Prima non lo sapevo.”
Hinistel distolse lo sguardo. Aveva inteso scherzare, ma Freya si era offesa. Forse senza volerlo aveva toccato un tasto dolente.
“È vero, ho sentito dire che sei migliorata” concesse “purtroppo ormai ci vediamo meno di quanto vorrei, altrimenti l’avrei constatato in prima persona.”
Questo scucì a Freya un accenno di sorriso. “Giusto. Io sono impegnata con la mia nuova vita, con la casa che stiamo costruendo, e tu… anche tu hai una nuova vita a cui pensare, no? E ti sei presa anche l’incombenza di occuparti di Jaylah… a proposito, non è con te?”
“No” Hinistel guardò la porta da cui era entrata, come se potesse vedere attraverso il legno e rintracciare la nipotina. “Mentre venivamo qui ha sentito una musica soave ed è andata a cercarne la fonte. Quando avrò finito di parlare con tuo padre andrò a cercarla, lei sa che non deve allontanarsi.”
“Non è giusto che il compito di badare a lei ricada interamente su di te” Freya si adombrò. “Andrò io a cercarla, tu non devi sforzarti più del necessario. E se desideri puoi portarla qui ogni tanto. Se hai bisogno di una pausa o qualcosa del genere.”
“Grazie, cara, ma mi sento più tranquilla se posso tenerla d’occhio. Jaylah non è esattamente una bambina come le altre, non è ancora una di noi e mi sto occupando della sua educazione. Ti confesso che mi inquieto un po’ quando non è sotto il mio sguardo, e questo mi ricorda…” l’espressione di Hinistel si fece preoccupata. “Di recente ho scoperto che sua madre viene a trovarla in sogno.”
Questo succulento dettaglio reclamò subito l’attenzione di Freya. La giovane elfa si sedette più composta, sporgendosi inconsciamente verso la zia. “Sua madre, la drow? La sorella di Daren?”
“L’unica madre che ha” Hinistel ridacchiò in modo nervoso. “La drow. La strega.” Lo disse in un tono strano, dubbioso.
“E questo in qualche modo ti preoccupa” indovinò Freya.
“Sì… cioè, non proprio, ma in un certo senso…” prese un profondo respiro e si fermò, per fare ordine nella sua mente. “In verità non so bene che cosa sia a preoccuparmi. Forse non mi piace che qualcun altro possa rivendicare Jaylah. Non mi piace che mi si ricordi che ha una madre. Mi sento come se il nostro tempo con Jaylah fosse limitato, e lei è la mia nipotina. Il mio tesoro. Ma allo stesso tempo anch’io sono una madre e immagino quanto sia penoso per questa donna essere separata dalla sua figlia più piccola. Io non mi sarei mai separata da Johel quando aveva quell’età. So che è giusto che prima o poi Jaylah torni da sua madre, ma vorrei che quel giorno non arrivasse mai. E a questo, aggiungi anche il fatto che è una drow che non conosciamo.”
“Ma è la sorella di Daren, e anche Johel si fida di lei.”
“Sì, ma non la conosciamo.” Tornò a ripetere. “È una persona… al di fuori della nostra conoscenza e del nostro controllo. Per di più appartiene al mondo fuori” guardò Freya con occhi febbrili, implorandola con lo sguardo di capire. “Non solo fuori dalla foresta ma anche fuori da qualunque comunità elfica. Ci è aliena e non so cosa pensare di lei. Inoltre, venendo a trovare Jaylah in sogno, chissà cosa avrà scoperto su di noi.”
“Su di noi? Ma zia, che dovrebbe farsene di queste informazioni? Vive a centinaia di miglia di distanza e Johel dice che non era interessata a venire qui. Non penso nemmeno che sia una cattiva persona o che sia in combutta con altri drow, Daren lo saprebbe. Per quanto mi stia sulle ghiande…”
“Freya, modera il linguaggio” la rimbrottò Hinistel automaticamente.
“Per quanto non apprezzi il suo carattere e la sua compagnia” rettificò Freya con una punta di sarcasmo “non sarebbe in buoni rapporti con sua sorella se lei fosse una persona malvagia.”
“Sono tutte cose a cui ho pensato anch’io, ma mi fa bene udirle anche da qualcun altro” la veggente emise un lungo sospiro e si appoggiò allo schienale della poltrona. “Nonostante tutto, però, mi sentirei più tranquilla se potessi entrare nei sogni di Jaylah. La scorsa notte ci ho provato, ma il mio controllo sul sonno e sull’esperienza onirica lascia molto a desiderare. Come tutti gli elfi, di solito medito anziché dormire.”
“Hm, hai ragione, sono due cose molto diverse” la più giovane si strinse nelle spalle. “Ma posso aiutarti, se vuoi. Nei primi anni della mia adolescenza, quando i miei poteri hanno iniziato a manifestarsi, soffrivo di improvvisi attacchi di sonno. Un momento prima ero piena di energie, un momento dopo quasi cadevo a terra addormentata.” Raccontò, agitando le mani come per scacciare il fastidio che aveva provato per quella mancanza di controllo. “O più spesso, cadevo addormentata dopo aver dato sfogo involontariamente ai miei poteri. Erano attacchi troppo improvvisi perché potessi entrare in meditazione, quindi mi coglieva il sonno come accade agli umani o ad alcuni di noi quando sono malati. Ho una certa esperienza in fatto di sogni.”
Le due elfe rimasero a parlare per molto tempo, e alla fine fu proprio l’atteso lord Fisdril a interromperle. Hinistel realizzò che era quasi volata un’ora, e che non si era accorta dello scorrere del tempo; le nozioni di cui aveva discusso con Freya erano complesse, per lei, e adesso aveva molto su cui rimuginare.
Consegnò in fretta la lettera che aveva scritto per Tazandil e uscì per cercare Jaylah. Freya si offrì di nuovo di aiutarla, ma l’anziana elfa era già a metà del ponte verso il prossimo albero e non si guardò neppure indietro.

Hinistel lasciò la casa di Fisdril in tutta fretta, fiduciosa che la sua lettera avrebbe preso il volo entro sera. Avrebbe trovato Jaylah, e poi… era finalmente ora di tornare a casa e riposare.
Benedetta bambina, dove si sarà cacciata? Si chiese, tenendosi una mano sul ventre. Ormai non poteva più camminare velocemente ed era facile preda del mal di schiena.
Cercò di fare mente locale, rammentando i loro spostamenti. Avevano lasciato la casa sull’albero per andare dal capoclan, ma a metà strada Jaylah era stata distratta dalla melodia dolce e acuta di un flauto e aveva preso una passerella in discesa per andare a cercare la fonte del suono. La nonna l’aveva lasciata fare: non c’erano pericoli a Myth Dyraalis.
Tornò fino al bivio fra le passerelle, dove si erano separate, e si sforzò di sentire ancora quel flauto; la melodia bella e triste non c’era più, ma udì qualcos’altro al suo posto. Qualcosa di non altrettanto aggraziato. I suoni acerbi e stentati di una specie di fischietto.
Hinistel non era sicura di quel che stava udendo, ma era la sua unica traccia, quindi cercò di rintracciare la fonte del suono.

Jaylah teneva tra le piccole mani un oggetto di terracotta dipinto di azzurro. Aveva una forma difficile da descrivere, vagamente a goccia, ma con un’imboccatura su un lato. Era uno strumento musicale, decorato con grazia con incisioni che ricordavano le onde di un fiume, se visto in un certo modo, oppure certe grandi foglie se visto da un’altra angolazione.
Era bellissimo. L’elfo dai lunghi capelli neri le aveva dato una dimostrazione su come suonarlo, traendone una musica celestiale. Lei aveva provato a imitarlo ma aveva ottenuto solo qualche sgraziato fischio.
A quel punto l’elfo, che all’inizio le era sembrato un tipo altezzoso che stava sulle sue, le aveva rivolto un sorriso incoraggiante.
“Non è tanto difficile imparare a suonare l’ocarina, ma ci vuole pratica. Devi solo continuare a esercitarti.”
Jaylah si era rigirata fra le manine il grazioso strumento musicale. “Ma io non ce l’ho una carina”.
“Non importa. Possiamo vederci al pozzo nella radura piccola, ogni pomeriggio, e ti insegnerò a suonare. Se diventerai abbastanza brava, come premio ti regalerò la mia ocarina.”
La bimba si illuminò. “Davvero? Me lo prometti?”
Saeron sorrise, e Jaylah era troppo ingenua per notare la malizia in quel sorriso. “Ma certo. Per un bardo è sempre una gioia insegnare agli altri come fare della buona musica.”
In quel momento Jaylah udì dei passi che conosceva. Era Hinistel, che appesantita dalla gravidanza non riusciva a essere silenziosa come un tempo.
“Nonna! Ho trovato un altro Maestro!” Sollevò l’ocarina verso il cielo con aria di vittoria. “Imparerò a suonare la carina!”
La veggente trasse un respiro profondo. Altri impegni, altri luoghi in cui accompagnare Jaylah ogni giorno.
Oh, be’. Merildil ha sempre detto che camminare mi fa bene. Pensò, rassegnata.
“È magnifico, tesorino” disse invece, mentre la sua espressione si apriva in un sorriso stanco. “E chi è questo elfo gentile che dobbiamo ringraziare?”
Il bardo si alzò dalla sua posizione seduta, si pulì le vesti dal terriccio e rivolse a Hinistel un inchino formale. “Saeron, dal villaggio di Amonsiire” notò subito che l’elfa non aveva mostrato segni di riconoscimento al nome del villaggio, quindi cercò un altro modo per identificarsi. “Sono un cugino di Amaryll, la cameriera della Casa degli Scapoli.”
A questa menzione, Hinistel s’illuminò. “Oh, conosco bene Amaryll. Una bravissima ragazza. È sempre gentile con Jaylah” affermò, accarezzando con una mano la testa ricciuta della bambina. “Spero che farete altrettanto, è una bambina che richiede pazienza. Se dovessero sorgere problemi, parlatene pure con me.”
La donna non accennò nemmeno a ricompensarlo per le lezioni di musica, perché non era così che funzionava fra gli elfi di Myth Dyraalis. Si dava semplicemente per scontato che ognuno facesse la sua parte per contribuire alla comunità, ed educare i bambini faceva parte dei compiti degli adulti.
Jaylah si avvicinò al bardo e gli restituì con delicatezza l’ocarina. “Il pozzo davanti alla taverna?” Chiese, per conferma. “Domani pomeriggio?”
Saeron riprese il suo strumento e annuì con aria solenne. “Mi aspetto impegno da te, ragazzina. In cambio cercherò di rendere divertenti le lezioni. Se mi ascolterai, diventerai così brava che nessuno saprà resistere alla bellissima musica che farai.”
E in quella promessa c’era di nuovo una punta di malizia.

“Tutto sistemato!” Annunciò Saeron, entrando con passo trionfante nella cucina della casa sull’albero che divideva con il fratello e l’amico.
“Non so di cosa parli, ma hai sempre un ottimo tempismo nel tornare all’ora di cena” commentò l’elfo dai capelli rossi, intento a rimestare una zuppa dal profumo invitante.
“Io so di cosa parla” intervenne Belegron “ma ci credo poco.”
“Ah! Elfo di poca fede” Saeron gli puntò contro un dito accusatore. “L’avevo promesso e l’ho fatto, mi sono scusato con Amaryll.”
“Per tutti i Seldarine” Vialaer sussultò così forte che per poco non si lasciò sfuggire di mano il cucchiaio. “Questo è un giorno da celebrare. E lei ha accettato le tue scuse?”
“Ancora con questa storia dell’accettare le scuse?” L’elfo bruno aggrottò la fronte. “Mi pare di sì, ma la cosa non mi tange.”
“Ah ecco. Ora mi sembri di nuovo tu” ridacchiò il gemello.
“Perdona il mio scetticismo, Saeron” intervenne il carpentiere in tono amaro “ma se non è per il balsamico potere del perdono ricevuto, mi spieghi come mai sei così di buon umore? Pensavo che doverti abbassare a porgere le tue scuse a qualcuno ti avrebbe lasciato l’amaro in bocca, e non credo che tu abbia avuto una miracolosa conversione in un pomeriggio.”
“Ormai l’ho superata, sto già guardando al futuro” il bardo dissipò le obiezioni dell’altro con un cenno della mano. “Quel dannato drow, ad esempio. Ha tentato di umiliarmi, e io ho trovato un modo per vendicarmi!”
Vialaer stava per dire qualcosa come ‘È riuscito ad umiliarti’, ma si trattenne, perché il fratello era già in vena di vendetta. Meglio non aggiungere altra legna sul fuoco.
“Oh, ti prego, esponici questo tuo piano suicida” commentò Belegron in tono sarcastico, perché di pazienza, per quel giorno, non ne aveva più.
“Stasera un fortunato incontro mi ha suggerito l’idea perfetta. La piccola nipote del drow è rimasta affascinata dalla mia musica e mi sono offerto di insegnarle a suonare…”
Belegron s’irrigidì, colto dal terrore. Vialaer questa volta lasciò cadere il cucchiaio per davvero e si girò verso il fratello.
“Non vorrai farle del male?!”
“È una bambina!” Sbottarono quasi in contemporanea.
Saeron per un momento rimase senza parole, preso in contropiede da questo attacco su due fronti.
No! Per i nove inferi, che cosa vi dice il cervello? Sarebbe rivoltante!” Sul suo volto solitamente impassibile si dipinse una genuina espressione di sconcerto e disgusto. “Quale elfo farebbe mai… è questo che pensate di me?”
I due elfi si scambiarono uno sguardo, senza sapere che dire, sospesi in quell’atmosfera di sollievo e vergogna.
“No… scusami, fratello. No, non penso che ti abbasseresti a fare una cosa del genere.” Concesse Vialaer. “Ma quando hai nominato la bambina… ecco, sappiamo tutti quanto tu sia vendicativo.”
“C’è una sottile differenza fra una vendetta e una faida, per tutte le stelle!” Saeron si passò una mano fra i capelli, ancora corrucciato. Il gesto gli riuscì molto melodrammatico. “E voi due siete troppo grezzi per capire l’arte della vendetta. Deve essere elegante, deve essere sottile, ma allo stesso tempo deve essere significativa. Fare del male fisico a qualcuno è una cosa volgare. Fare del male a qualcuno che non ti ha fatto nulla, solo per connessione con la persona che odi, non è solo volgare ma anche da codardi. Quella bambina non è l’oggetto della mia vendetta, ne è soltanto il mezzo.”
Gli altri due si scambiarono un’altra occhiata perplessa.
“Temo che il tuo elegante piano sia al di là della comprensione delle nostre menti semplici” concesse Vialaer, ma quello che intendeva davvero era che nessuno di loro aveva mai in animo di progettare vendette, quindi non capivano la sua logica.
“Ebbene, state al passo. Tutti sanno che il drow ama la sua nipotina. Ma tutti sanno anche del suo odio per la musica. Ora, se la piccola Jylla dovesse…”
“Jaylah” lo corresse Vialaer.
“Ho la faccia di uno a cui importa?” Ribatté Saeron senza battere ciglio. “Se la piccola mezzadrow dovesse appassionarsi alla nobile arte bardica, se io riuscissi a convincerla che è davvero portata per la musica e che suonare le riesce proprio bene, a quel punto non avrei necessità di muovere un dito contro il drow. Agli occhi di tutti, io sarei il bardo gentile che ha aiutato una misera mezzelfa a padroneggiare un’arte così importante per la nostra cultura, e lui sarebbe l’insensibile stronzo che non approva la vocazione e la crescita personale di sua nipote.”
Vialaer e Belegron accolsero la sua spiegazione con un silenzio molto consapevole.
“Questo è davvero un piano sofisticato” si complimentò Belegron, dopo qualche secondo di riflessione. “Mi piace. La piccola apprenderà delle importanti conoscenze per il suo retaggio elfico, e il drow… uhm…”
“Ne sarà di sicuro molto infastidito” Vialaer venne in aiuto dell’amico. “Ma non potrà prendersela con te. Una bella pensata.”
Saeron si illuminò. “Lo credete anche voi, eh?”
“Hai tutta la nostra approvazione” gli assicurò Belegron con un sorriso un po’ legnoso.
“Bene, bene.” Saeron annuì a se stesso, fiero della sua idea geniale. “Sono felice che noi tre siamo di nuovo d’accordo. Vado a lavarmi le mani, spero che la cena sia pronta quando tornerò” annunciò, rispolverando il solito tono di pretesa.
Per i suoi amici fu molto difficile restare seri mentre il bardo usciva, ma quando finalmente fu fuori dalla portata d’orecchio i due elfi si concessero una lunga risata. Entrambi sapevano che Saeron mal sopportava i bambini. Ai loro occhi, la sua complicata vendetta avrebbe portato incomodo soprattutto a lui.

           

   
 
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