Alba
mette la famiglia al corrente
dell’arrivo del fratellastro, gridando euforicamente nei
corridoi, bussando a
tutte le porte delle varie camere. La prima ad essere svegliata
bruscamente dai
casini dell’undicenne è Nairobi.
“Cosa
succede?” – si chiede la donna,
stiracchiandosi.
Indossa
la vestaglia e, con i capelli ancora
in disordine, esce dalla stanza e, brontolando, rimprovera la bambina -
“Cos’è
questo baccano?”
E
la risposta della minore, le fa esplodere
il cuore.
“C’è
Axel”
Un
tonfo al cuore.
Agata
trema.
Non
ha parole…sente solo di dover correre il più
veloce possibile per appurare quanto detto da sua figlia.
Quando
raggiunge il salone, dove Axel è in
attesa, la gitana non riesce a crederci…il suo adorato
figlio, la luce dei suoi
occhi, l’amore della sua vita, il cucciolo che
partorì con dolore e che con la
medesima sofferenza le fu strappato dalle braccia, è adesso
a pochi passi!
Con
lo stomaco sottosopra e il battito cardiaco
accelerato, la gitana avanza verso di lui, che è di spalle,
intento ad
osservare l’immensità e la ricchezza di quella
villa.
“Figliolo”
– trova la forza per sussurrare
quella parola che sembra quasi magica.
Ed
è allora che anche Axel la sente…la voce
di sua madre, di cui aveva dimenticato il suono e, udendola, avverte
una strana
sensazione, piacevole ma a tratti anche estraniante.
“Mamma”-
risponde poi, voltandosi lentamente,
trovandosi così faccia a faccia con la persona che
l’ha messo al mondo.
Il
resto della famiglia raggiunge i due in
tutta fretta, rimanendo impressionata dalla somiglianza tra loro. Non
intenzionati a disturbare quell’incontro tanto atteso, i
sette giovani si
pongono in disparte ad osservare la scena.
Bogotá,
giunge per ultimo nel salone, mano
nella mano con i suoi due bambini.
“E’
lui?” – chiede Sebastìan
all’orecchio di
Alba.
L’undicenne
annuisce, elettrizzata dall’evento
unico e raro.
Il
saldatore, invece, non si pronuncia e,
come i suoi figli, si mette da parte, dando modo , ad Agata e al
giovane Jimenez,
di rincontrarsi e mettere da parte il dolore del passato. Impossibile
per il
capofamiglia non percepire la forte emozione che ora vive sua moglie.
In
fondo sa quanto lei desiderasse quell’incontro
e quanto avesse lottato per riavere con sé Axel.
Dimenticandosi
momentaneamente dei dissapori
di coppia, Bogotá si lascia andare all’emozione.
“Papà,
ma stai piangendo?” – domanda Alba al
genitore che è di fianco a lei.
“No,
avrò un ciglio nell’occhio” –
mente, non
volendosi mostrare come un piagnucolone.
Ma
è Ivana a fare una considerazione sul
padre – “La verità è che sei
sensibile!”
- e sorridendogli si accoccola al suo petto, ricevendo
dall’uomo una
dolce e tenera carezza.
Nel
frattempo, Nairobi e Axel si osservano
senza emettere un singolo suono, come se il silenzio fosse
indispensabile per
entrambi affinché si scrutassero e si studiassero a vicenda.
Ma è il
ventunenne a rompere finalmente il
ghiaccio. Ritrovando se stesso negli occhi dell’adulta, le
corre incontro e si
getta tra le sue braccia: mai come allora, sente di trovarsi nel posto
giusto e
con la persona giusta.
“Piccolo
mio” – sussurra la gitana,
riempiendolo di baci, cosa che avrebbe fatto volentieri anche dodici
anni
prima, quando Alicia Sierra glielo mostrò
all’esterno della Banca.
“Ti
giuro che quel giorno mi sarei
infischiata di tutto e tutti e sarei corsa fuori, da te, per stringerti
e non
lasciarti più” – confessa, commuovendosi.
“Se
avessi saputo che mi utilizzarono per farti
del male, avrei evitato” – aggiunge lui.
“Ora
sono qui, sana e salva e ho modo di
averti nella mia vita. Sappi che non ho alcuna intenzione di
mollarti” – gli
sorride, mentre le lacrime sembrano interminabili.
Solo
in tale momento, Agata si accorge di avere
dietro di sé l’intera famiglia e, felice come una
Pasqua, è lei a fare le
presentazioni.
“Vorrei
conoscessi qualcuno di speciale” –
dice al figlio, ed indica i sette ragazzi, invitandoli ad unirsi a loro.
“Ehi,
benvenuto fratello! A sentire Nairobi
che dice che non ti molla più, credo che per te sono
cominciai i guai seri” –
scherza Julian, stringendo la mano del nuovo arrivato.
Quella
battuta fa ridere Axel che riconosce nel
gruppetto di coetanei un senso di accoglienza, mai provato prima,
neppure con
persone con cui ha trascorso gran parte della sua vita.
Uno
ad uno i neo Dalì accolgono il ragazzo. È
solo Bogotá, volutamente isolatosi, a non essersi ancora
esposto. E di questo Agata
se ne accorge, costatando che il marito tiene vicini a sé
perfino Alba e
Sebastìan.
Spiazzata
da quel comportamento, la Jimenez
si avvicina e, non rivolgendogli parola, prende i bambini per mano
conducendoli
esattamente dal fratellastro.
Basta
poco e i minori, ormai abituatisi a
gente straniera che arriva e che entra in famiglia, si sentono a loro
agio. Con
la loro allegria e dolcezza permettono ad Axel si provare la stessa
sensazione.
“Seguici,
ti mostriamo casa” – dice
Sebastìan, mentre il resto dei giovani si divide. Chi
prepara la colazione, chi
si chiude in bagno per una doccia veloce, chi sistema la propria
stanza, e chi,
come i piccoli, fa da cicerone.
In
un battibaleno, gli unici rimasti nel
salone sono esattamente i coniugi.
“Avresti
potuto almeno avvicinarti e
presentarti” – commenta lei.
“Avrò
modo di farlo. Ho voluto che si
sentisse a suo agio prima con i miei ragazzi!”
“Credi
che lui possa avere problemi con te?”
– la domanda viene posta con tono decisamente brusco.
“Non
dico questo, è che ho preferito farmi da
parte” – ripete il saldatore.
Marito
e moglie si fissano per alcuni secondi,
ma senza esprimere altro. E’ Agata per prima ad allontanarsi,
sbuffando.
“Non
voglio rovinare un giorno tanto
importante” – borbotta ad alta voce mentre sale le
scale che la conducono
diretta al primo piano, nella camera dove alloggia, pronta a prepararsi
per
affrontare la situazione che sta vivendo e che, da adesso, affronta con
uno
spirito diverso.
In
cucina, invece, si trova Emilio, il quale,
dopo la nottata in dormiveglia, ha bisogno di abbondanti dosi di
caffè che
servono a dargli la carica per la nuova giornata.
Mentre
sorseggia il suo Espresso, Yerevan
tenta di rimuovere dai ricordi dei flash che continuano a balzargli
alla mente.
Sono degli scatti che hanno come protagonista il corpo di una donna che
lui
conosce solo da 24 ore e a cui sente di volere già molto
bene… forse, anche
troppo.
“Cosa
cazzo mi prende?!” – dice a se stesso,
rimproverandosi di comportamenti poco ragionevoli, da cui, lui in
primis, è
totalmente spiazzato.
A
distrarlo per un breve attimo è la comparsa
di Bogotá, sull’uscio della porta.
Non
sembra avere l’aria serena, dopo l’arrivo
di Axel in famiglia.
Con
in mano il giornale del mattino, raccolto
proprio allora davanti casa, il saldatore siede a capotavola, afferra
la
caffettiera e versa la bevanda, ancora fumante, in una tazzina.
Emilio
fissa suo padre, concentrato sulla
lettura del quotidiano, immerso nel suo silenzio e inconsciamente
avverte nei
suoi confronti un certo senso di colpa: ha sognato sua moglie,
dopotutto…
Ma
come può dirgli una cosa simile? Soprattutto
sapendo la crisi tra loro.
E
pensare che nella vita ha sempre seguito
una morale, inculcatagli da sua madre: non essere come
Bogotà! Non essere un
uomo che cede all’ormone, bensì uno che usa il
cuore, che non sfrutta la
fiducia e i sentimenti di una donna! Queste sono solo alcune delle
raccomandazioni
materne udite costantemente da Emilio.
Adesso,
però, Yerevan avverte un grosso peso
sul cuore che si chiama tradimento: tradimento mentale, sia verso sua
madre e i
suoi insegnamenti, sia verso suo padre, perché è
sua moglie che il venezuelano
sogna di notte, sia verso se stesso, divenuto ,non volendo,
l’esatta persona
che, a suo tempo, stabilì di non voler essere.
Teso
come una corda di violino, il
ventisettenne osserva, con la coda dell’occhio, il genitore
intento a fissare
pagine di giornale, mentre cerca di scacciare dalla mente i cattivi
pensieri. Difficile
farlo, soprattutto se c’è un assurdo caos
proveniente dal primo piano, ad opera
dei suoi fratelli.
“Ora
che ti sei sistemato, che conosci la casa, che sai qual è la
tua stanza,
possiamo passare alla fase due” – sostiene,
entusiasta, Yaris, dopo aver
condotto il coetaneo in giro per la villa.
“Cioè?”
- domanda Axel.
“Bisogna
battezzarti come nostro fratello a
tutti gli effetti” – aggiunge Julian.
“Mi
sto preoccupando” – interviene Erik,
temendo che i due più scalmanati della famiglia potessero
proporre cose
imbarazzanti o, peggio, pericolose.
“Volete
un patto fatto con il sangue?” –
ridacchia il figlio di Nairobi, stando al gioco.
“Pensiamo
che tu, per sentirti “di casa”,
debba rinunciare a qualcosa e sostituire questo qualcosa con
altro” – sostiene
il giovanotto greco.
“EH?”
– esclamano in
coro Alba e Sebastìan.
Interviene
subito Drazen, intuendo il tutto –
“Tranquillo, amico! Niente sangue, ma questi due scemi
vogliono che tu diventi
Dalì come noi”
“Un
Dalì?” – ripete, confuso, il ventunenne.
“Ebbene
sì, e per farlo c’è un requisito da
rispettare” -
aggiunge Quito.
**************************
Sono
passate da poco le dieci quando la Banda
raggiunge la villa della famiglia allargata.
“Hanna,
sei pronta per la tua missione?” –
chiede il Professore a Vienna, ricordandole di fare attenzione e di
servirsi di
una microspia per spiare chi incontrerà.
“Vedrai
ce non la noterà nessuno” – precisa
Stoccolma,
sistemando la cimice sulla giacca azzurra della ragazza, ben nascosta
da un
bottone.
“Sicura
di non volere che ti accompagniamo?” –
le ripropone Emilio per la centesima volta, preoccupato per la sorella.
Nairobi
sorride di fronte al lato protettore
di Yerevan e così gli si avvicina e, con una mano sulla sua
spalla, gli
sussurra all’orecchio di stare tranquillo.
Agata
è ignara che la sua vicinanza non fa
bene al venezuelano come lei spera. Anzi, alimenta solo pensieri che
lui cerca
di scacciare da ore ormai.
E
mentre la Banda congeda Hanna che lascia
casa, arriva in salotto Axel, scortato da Yaris e Julian. Dietro i tre,
ci sono
Erik e Drazen, arresisi alle manie protagoniste dei consanguinei
più scalmanati
del gruppo.
Tra
l’incredulità dei presenti, è Agata a
fare le presentazioni ufficiali.
Fiera
del suo adorato figlio, lo vanta e lo
mostra come un trofeo, un trofeo che le spettava di diritto da troppo
tempo e
che finalmente ha vinto.
Il
gitano viene abbracciato, stritolato dalle
braccia di Helsinki, sbaciucchiato da Tokyo in lacrime, accolto
teneramente da
tutti.
“E’
un onore averti nella squadra” – dice
Sergio, accennando un sorriso compiaciuto.
“L’onore
è il mio” – aggiunge il ragazzo,
sancendo l’amicizia con una stretta di mano.
Il
momento di conoscenza raggiunge l’apice
con la presa di parola di Bogotá.
Il
saldatore, finalmente , si avvicina al
ventunenne e dopo averlo osservato attentamente, occhi negli occhi,
dice – “Io
sono Bogotá… per me non è un onore
averti nel team…”
Quella
frase spiazza il gruppo, e pone
Nairobi in allerta.
Incredula
da quanto sentito, sta per
scagliarsi contro il marito.
Ed
è l’uomo stesso ad impedirlo, precisando
–
“Per me, invece, è un onore averti in
famiglia…. figliolo”
I
Dalì tirano un sospiro di sollievo e
perfino la Jimenez si rilassa quando li vede abbracciarsi.
“Adesso
sì che ci siamo tutti” – conclude il
saldatore, visibilmente commosso.
“Un
attimo” – interviene Yaris, alzando la
mano, come si è soliti fare a scuola per prendere parola.
“Piantala”
– lo rimprovera Ivana, dopo aver
udito dalla sua stanza tutti i discorsi dei fratelli con Axel.
“Che
succede, Mykonos?” – domanda Denver, incuriosito.
“Anche
Axel è un Dalì ormai… e cosa rende un
Dalì un vero rapinatore?”
Segue
il silenzio e gli sguardi confusi della
banda.
È
Sebastìan a gridarlo – “Il nome di
città”
“Promossooo”
– gli fa un applauso Julian,
generando allegria.
“Hai
ragione, sei libero di scegliere se
prendere o meno un’altra identità”
– precisa Marquina.
Axel,
stranito da quella proposta, apprezza l’idea
che non gli dispiace affatto.
Così,
senza esitare, comunica – “Non ho
bisogno di pensarci troppo! Ho già scelto un nome”
“E
quale?” – chiede, interessata, la gitana.
Un
po' di suspance…poi il ventunenne rivela -
“Avana!”
“Avana?”
– resta spiazzata Nairobi
- “Come mai? Ha qualche significato
speciale?”
“Si,
su quell’isola dei Caraibi sono
cresciuto ed è la terra che mi rappresenta!”
“Bene,
vada per Avana, allora! Benvenuto tra
i Dalì” – conclude il Professore.
A
quel punto tutto è pronto e Hanna, uscita
di casa da pochi minuti, è diretta verso la scuola dei
gemelli, con il cuore in
gola e l’ansia alle stelle.
Adesso
sì che la partita ha davvero inizio…