Le ore di scuola
sembravano non passare mai. Dopo aver preso quattro in filosofia, cosa
non da lei, data la sua particolare devozione per le materie
umanistiche, la professoressa la chiamò in privato
chiedendole spiegazioni. Valeryn spostò lo
sguardo stanco verso la porta della classe di Angelina, di fronte a
lei. Per un attimo desiderò barricarsi lì dentro
per sfuggire alla prof e ai suoi compagni rumorosi. Le scoppiava la
testa e sentiva le gambe tremare ogni volta che si alzava.
«Valeryn»
incominciò la professoressa apprensiva «mi chiedo
come mai tu non abbia studiato. Eppure sapevi che ti avrei interrogata
oggi. Cos’è successo?»
Valeryn evitò
accuratamente di guardarla, concentrandosi su alcune ragazzine del
primo che sghignazzavano. Anche lei avrebbe voluto essere felice. Anche
lei avrebbe voluto ridere come loro. Sospirò. Per quanto
volesse dire qualcosa, seppur una scusa idiota, non ci
riuscì.
La professoressa di
filosofia si rivolse nuovamente a lei.
«Allora, dimmi,
se c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi sai benissimo
che puoi farlo»
La prof la fissava
aspettando un suo qualunque segnale o parola. Valeryn non sapeva che dire. Per
un attimo, un dannatissimo attimo che le sembrò
un’eternità, pensò di spifferarle
tutto. Di dire alla sua professoressa che il problema che
l’affliggeva era una cosa seria, che aspettava un bambino,
che la sua vita aveva assunto una piega diversa. Ma diamine era una
follia, come poteva pensare una cosa del genere?
«C’entra
qualcosa... Servante?» La donna
ammiccò verso la porta chiusa, alludendo a Elia, il suo ex
ragazzo che stava in classe con lei.
«Capisco che
l’amore alla tua età possa influire sul rendimento
scolastico, ma non bisogna affliggersi così, cara»
Valeryn guardò bieca
la professoressa che parlava con una convinzione tale da metter i
brividi. Che la signora Rambaldi fosse esclusivamente certa che lei ed
Elia stessero ancora insieme era evidente.
«Io e lui non
stiamo più insieme da tanto, prof»
sbiascicò la ragazza, un po’ in imbarazzo, facendo
ammutolire improvvisamente la donna.
«Oh,
davvero?» chiese esterrefatta, mentre Valeryn faceva un sorrisino
tirato.
«Scusami, cara,
io... Beh sai, fino a l’anno scorso vi vedevo molto uniti, e
credevo che... Oh ma non importa, perdona la pecca!»
La Rambaldi rideva a
mo’ di scuse. Ma in verità era Valeryn che doveva inventarsi
una scusa al più presto. Perché non aveva
studiato? Mh, era incinta... Troppo diretta?
«Prof, deve
scusarmi, ma sono stata poco bene. Le assicuro che
recupererò il brutto voto...»
«Lo spero, Valeryn, tu sei molto
capace» disse la donna seria «Non voglio che il
quattro di stamattina ti rovini la media. Capisci cosa
intendo?»
Valeryn non rispose
abbandonandosi ad un capogiro. Sentiva una sensazione di vertigine tale
da non riuscire a reggersi in piedi. Si aggrappò al muro
barcollando, facendo allarmare la prof.
«Stai bene,
cara, che ti succede?»
La sorresse appena in
tempo, mentre quella apriva gli occhi e annuiva.
«N-niente
professoressa, tutto apposto» sussurrò mentre la
donna la guardava poco convinta.
«Sei sicura che
non ci sia altro?»
La fissò per
un attimo negli occhi trattenendosi dal non urlare tutto. Era talmente
complicato. Era diventato difficile sopportare quel segreto.
La campanella
salvò in extremis la sua folle idea. Fece un sospiro di
sollievo, mentre i suoi compagni di classe aprivano la porta
riversandosi sui corridoi. La prof se ne andò quasi subito,
e Valeryn tornò dalle
sue amiche con aria stanca.
Maia le scoccò uno
sguardo preoccupato. Le diede un piccolo abbraccio e le sorrise, mentre
Sara e Conny si stiracchiavano la braccia.
«Tutto
bene?» le sussurrò la ricciolina. Valeryn non fece in tempo a
rispondere, che una sfilza di domande la precedettero a raffica.
«Allora che ti
ha detto?»
«Ti ha
rimproverato per il voto?»
«Non
è che ti vuole lasciare la materia?»
«Ma Conny,
ancora siamo a dicembre!»
«Zitta, Sara,
tu non puoi capire. I professori lo sanno già da
ora!»
«Cosa?! Allora
il mio Dan è automaticamente bocciato!»
Valeryn si portò una
mano alla testa che le scoppiava. Perché non stavano zitte
quelle due? Maia se ne accorse e venne in
suo aiuto.
«Basta ragazze,
fate parlare lei.»
La castana le rivolse
uno sguardo riconoscente, poi volse lo sguardo di fronte a
sé osservando i suoi compagni di classe saltellare su e
giù.
«Niente, solo
per il voto...» appena pronunciate tali parole, le ragazze
furono investite da un vortice castano dai capelli a caschetto
perfettamente lisci. Daniel batteva un pugno sul banco di Valeryn, cantando a
squarciagola, con aria felice.
«Lo sbirro è il
mestiere più infame che c’è!» si rivolse
alla ragazza prendendola in giro «Quando indossa la divisa
è un leone»
imitò un ruggito «Ma nella vita sai che
uomo è... di merda!»
Urlò
l’ultima parola sghignazzando come un matto. Maia alzò gli
occhi al cielo, infastidita. Daniel era contento per il brutto voto di Valeryn, quel ragazzo stava
diventando veramente insopportabile.
Sara ammonì il
fidanzato con lo sguardo, Conny lo guardò schifata, mentre
quello riprendeva a cantare quella stupida canzoncina nei confronti
della ragazza. Tutte e tre si aspettavano una bella strigliata da parte
sua, magari anche con una bella tirata dai capelli; Conny si era
perfino tappata le orecchie.
Ma fu costretta a
stapparsele subito, dato che Valeryn non sembrava far cenno
di reagire. Mise una mano sulla pancia, socchiudendo gli occhi.
«M-mi viene la
nausea!»
Sara, Conny e lo stesso
Daniel si guardarono stralunati. Quest’ultimo, deluso per non
essere riuscito a far arrabbiare l’amica, se ne
andò sconsolato.
«Nausea?!» chiese Sara
non capendo «Che vuoi dire? Dan ti fa venire il
voltastomaco?»
«Questo
è certo» rispose al suo posto Maia.
Poi la prese dalla mano e
la trascinò verso la porta. Doveva portarla al
più presto lontana da lì. Optò per il
bagno, tanto avevano l’ora di educazione fisica, non se ne
sarebbe accorto nessuno.
Valeryn, trascinata
dall’amica, si scontrò con un biondo di sua
conoscenza. Elia la sorresse appena in tempo.
«Ehi, tutto
bene?» le chiese, alzando un sopracciglio «Hai una
faccia!»
«Certo che va
tutto bene, Elia. Torna a giocare coi lupi!»
«Non dicevo a
te, Maia»
«Toh scusami
tanto, devo essermi confusa!»
La riccia si
dileguò senza lasciare il tempo di proferire altro. Il
ragazzo guardò interrogativo la direzione in cui erano
sparite le due, poi scoccò uno sguardo a Sara e Conny che
alzarono le spalle, sapendone almeno quanto lui.
«No, no,
no!» Maia strappò dalle
mani la sigaretta che l’altra aveva appena acceso
«Non si fuma in
gravidanza, lo sai!»
La castana fece un
sospiro, alzando gli occhi al cielo.
«Ma ne ho
bisogno!»
La riccia
sbraitò, portandosi le mani sui fianchi
«Quando la
smetterete di fumare voi tutti?! Mettevi in testa che il fumo fa
male!»
Ritornò la
sigaretta all’amica, che la portò alla bocca
aspirandola. Quella continuò a guardarla di traverso.
«Questa
è l’ultima che fumerai in queste condizioni, ci
siamo capite?»
«Quali
condizioni?» Valeryn la guardò in
cerca di risposte. Non poteva considerarla diversa solo
perché aspettava un bambino...
«Hai la nausea,
Vale, può essere pericoloso!»
Lei sbuffò con
evidente irritazione. Aveva sempre odiato le raccomandazioni, non
sopportava che le venisse detto ciò che doveva fare.
«Maia, mi fa piacere che tu
voglia aiutarmi» disse tentando di rimanere calma
«ma so benissimo ciò che devo fare»
L’amica rimase
impalata per qualche secondo, chiedendosi se quella ragazza si fosse
rincitrullita.
«Non puoi
fumare! Ricordati che adesso non ci sei solo tu,
c’è un bimbo dentro te. A lui fa male!»
Valeryn sentì
qualcosa spezzarsi dentro di sé appena l’amica
pronunciò l’ultima frase. Forse non era ancora
capace di comprendere che era incinta, forse era troppo egoista da
poter pensare ad un’altra piccola vita.
Gettò la
sigaretta dentro la tazza del gabinetto. Poi sorpassò Maia, che la fissava ancora
con le braccia conserte, e si sciacquò la faccia.
«Cos’hai
intenzione di fare?» chiese la moretta, dopo che si
ridestò.
«Niente.
Proprio niente»
«Tu devi
dirglielo!» La riccia l’afferrò per il
braccio stringendolo forte. Valeryn si voltò
verso di lei perplessa. Non aveva mai usato un tono del genere nei suoi
confronti
«Vittorio deve
saperlo! Deve saperlo subito!»
«So io
cos’è giusto fare per me e... lui…»
si toccò piano la pancia.
«No! Non lo
sai!» continuò Maia, determinata a farle
cambiare idea «Tu stai male così. E poi hai
dimenticato che è pure figlio suo? Cosa dirai poi, quando tutto questo sarà
evidente?»
Valeryn, ferita, volse gli occhi
verdi sul pavimento. Odiava dare ragione alle altre persone, ma questa
volta era così. Maia voleva solo aiutarla. E
lei non faceva altro che aggravare la situazione, continuando a
nascondere la gravidanza al mondo intero. E poi era vero che Vittorio
doveva saperlo. A chi la dava a bere? Tutti si sarebbero accorti prima
o poi che aspettava un bambino, pure i suoi genitori.
La paura prendeva ogni
istante il sopravvento in lei. Era questo il motivo del suo silenzio.
Sospirò pesantemente. Era stanca.
Cominciò a
piangere.
«E’
l’errore più grosso della mia vita»
singhiozzò affranta.
«No, non
è vero» la mora cercò di confortarla
«E’ tuo figlio, ricordi? E’ una parte di te ormai,
anzi di voi. Non sarà mai
un errore, perché tu lo amerai sempre»
Valeryn si soffiò il
naso poco convinta. Maia, la solita romanticona.
Sua madre non avrebbe di certo pensato questo, si disse, nemmeno la
mamma di Vittorio, nemmeno lui stesso.
«Devi
dirglielo. È necessario per voi»
Non rispose.
Aprì la porta del bagno uscendo per raggiungere la palestra.
Maia la seguì
sbattendo il capo. Eppure voleva solo darle una mano, ma era difficile
se lei si comportava così, pensò sconsolata.
Più tardi, in
palestra, Valeryn mise di lato il libro di
chimica. Non riusciva a ripassare nulla con tutto quel chiasso. Il
tentativo di recuperare un buon voto in quella materia era fallito.
Spostò lo sguardo su Maia che, seduta nella panca
accanto a lei, guardava i loro compagni giocare a pallavolo.
Forse aveva bisogno di
sfogarsi, si disse, doveva togliersi di dosso quella sensazione di
malessere. Non riusciva nemmeno a studiare, i pensieri si affollavano
dentro la sua testa. Era impossibile concentrarsi.
Continuò a
guardare i compagni di classe lanciare la palla in aria, sentendo un
bisogno fortissimo di liberarsi. D’altronde era abbastanza
brava a pallavolo. Dove stava il problema?
Gettando un ultimo
sguardo a Maia che le faceva cenno di
star andando in bagno, ne approfittò per alzarsi e giocare.
Sapeva che l’amica non sarebbe stata contenta, ma raggiunse i
compagni in campo lo stesso.
Alcuni si rallegrarono a
vederla entrare nella loro squadra.
«Giochi?»
le chiese Elia, passandole a palla.
Lei annuì
facendo un sorriso.
Daniel,
dall’altra parte del campo, s’imbronciò.
«Non
è giusto! È inammissibile che quella entri
adesso, cavolo, così vincer... ehm, intendevo... Oh,
lei non può giocare, è antipatica e
isterica!»
Il biondo lo
guardò di traverso.
«Sta’ zitto, Dan. Gioca con noi, non farti
problemi»
Fece cenno a Valeryn di schiacciare e la
partita ricominciò.
Giocare quasi attenuava
il dolore, pensò, quasi si sentiva più leggera.
Tentava di convincersi che in fin dei conti la sua vita era rimasta
invariata, con la solita scuola, i soliti amici. Per un attimo ci
riuscì pure.
Recuperò una
palla impossibile, lanciandosi perfino fuori campo per salvare un
lancio di un compagno di squadra poco bravo. Elia si voltò
verso di lei dandole un cinque. Stavano vincendo! La faccia di Daniel
parlava chiaro: era arrabbiato nero, non poteva sopportare di essere
battuto da lei.
Incominciò a
sbraitare verso Sara, che aveva mandato la palla dietro di
sé. Valeryn rise.
Rise di cuore
perché trovava quelle situazioni abbastanza normali, e lei
non voleva cambiare nulla. Per la durata della partita non
pensò a niente, solo a schiacciare e a fare punti.
Ogni tanto osservava Elia
davanti a sé e le venivano strani pensieri in testa.
Ricordava la loro storia finita da molto tempo, e si chiese come
avrebbe reagito lui alla notizia della sua gravidanza.
Elia era un tipo davvero
tosto, si disse mentre lo vedeva schiacciare. Forse era per questo
motivo che si era messa con lui tempo fa. Ma poi... Poi aveva scoperto lui.
Si fermò di
scatto appena il ricordo di Vittorio le riaffiorò in mente,
supino. Mancò una palla facile.
Daniel esultò
con giubilo, mentre i compagni di squadra la guardavano straniti.
«Tutto
okay?» le chiese Elia avvicinandosi, mentre lei continuava a
guardare di fronte a sé, senza vedere realmente.
Annuì.
«Scusa, mi sono
distratta...»
«Dai, rimonta,
che gli spacchiamo il culo» le fece l’occhiolino e
ritornò sotto rete.
Valeryn non sentì
nemmeno il fischio del prof. Continuò a viaggiare con la
mente, ricordando l’estate scorsa, gli sguardi con Vittorio e
il suo amore per lui. Quanto era passato? Solo un anno. Come potevano
mutare le cose nell’arco di un anno? Eppure era cambiato
tutto.
Prese una palla male in
bagher, ma Elia fortunatamente corse a recuperarla. Forse si stava
distraendo con quei pensieri. Eppure non riusciva a smettere di pensare
a Vittorio.
Non riusciva a non
amarlo, ma nello stesso tempo sentiva che il loro rapporto non sarebbe
rimasto invariato. Forse stava solo delirando... Le seghe mentali erano
il suo forte.
Ma... qualcosa la
turbava. Come avrebbe preso la notizia? Ma cosa più
importante, lei stessa avrebbe avuto il coraggio di dirglielo prima o
poi?
Prese una palla da
centrale lanciata da Daniel. Fu così forte che si fece male
ai polsi. E poi guardò nuovamente davanti a sé.
Era incinta.
Queste due parole
inondarono la sua mente. Barcollò un attimo, fino a quando
tutti i rumori si spensero, tutti i colori sbiadirono e un tonfo sordo
la pervase.
«Ma sta bene?!»
«Mamma mia,
è crollata di colpo!»
«Non
sarà... morta, vero?»
«Che cazzo
dici, Conny?! Non senti che respira?»
«Non parlate
tutti in una volta!»
Sentiva voci distanti,
quasi irriconoscibili. Eppure sapeva di essere cosciente.
«Com’è
successo?!» e poi quella voce, l’unica fra tante
«Si sentiva male?»
«No,
è svenuta mentre giocavamo»
«Ma aveva
qualcosa, Eli’?»
Lui. Vittorio era
lì... Tenne ancora gli occhi chiusi. Non gli andava di
vederlo così presto.
«Non credo,
giocava bene. Poi d’un tratto ha incominciato a sbagliare
e…»
Sentì una mano
posarsi sulla sua guancia. Una mano calda, che riconosceva bene.
Vittorio la stava accarezzando, poteva percepire quanto era preoccupato.
«Amore...»
gli sussurrò avvicinandosi al suo orecchio
«Svegliati, ti prego… Ho bisogno di te»
Senza pensarci,
aprì gli occhi di scatto, trovandosi davanti il suo ragazzo
che la guardava angosciato. Appena si accorse che era sveglia
l’abbracciò forte. Poi le diede un bacio sulle
labbra.
«Mi hai fatto
preoccupare. Stai bene?»
Perché lui era
lì? Un attimo prima era sicura di star giocando... E poi
ricordò che lui aveva l’ora dopo in palestra.
Sospirò, mentre alzava lo sguardo, accorgendosi di tutti i
suoi compagni che la fissavano.
«Il prof
è andato a chiamare il dottore» disse Sara
entrando nello scantinato dove avevano fatto sdraiare Valeryn, seguita da Daniel.
«Oh, si
è svegliata, per fortuna!»
Quest’ultimo
fece una faccia indecifrabile, poi si gettò ai piedi di
Vittorio urlando.
«Scusami,
Vitto, scusami tanto, ma non sono stato io! Non è stata
colpa mia! La palla ha sbagliato traiettoria, non voleva prendere lei,
mirava ad un altro... Oh, mi dispiace, scusami, scusami...»
Piagnucolava tirando
Vittorio dalla maglia. Questi gettò uno sguardo
interrogativo a Valeryn che osservava la scena
stordita. Non era di certo stato il tiro di Dan a metterla k.o, si disse. Non proprio.
«E tirati
su!» lo rimbeccò Elia, infastidito «Che
cazzo piangi a fare? Prima la insulti, poi chiedi scusa... E cosa
c’entra lui? È con lei che devi
scusarti!»
Daniel voltò
lo sguardo impaurito verso Valeryn, che lo guardava con
aria indifferente. S’infuriò, come suo solito.
«Che diamine
vuoi, Eli’, cosa ne sapevo io che quella lì
sarebbe crollata per terra? Non conosco persone che svengono colpite da
una palla!»
«Chiedile
scusa, coglione» sibilò quello.
«Ho chiesto
scusa a Vittorio, è lo stesso» rispose Daniel con
aria da snob.
Elia alzò gli
occhi al cielo, avvicinandosi.
«Non solo le
fai perdere i sensi, ma non sei capace di dimostrarti un amico nei suoi
confronti nemmeno quando sta male?» disse arrabbiato.
Vittorio gli fece cenno
di lasciar perdere.
«Lascia stare,
non ne vale la pena»
Il biondo alzò
lo sguardo verso il suo migliore amico, accigliato.
«Ma
l’ha fatta svenire, tu gliela fai passare?»
Valeryn, che era rimasta in
silenzio, intervenne stancamente.
«Daniel non
c’entra, ve lo assicuro. Sono io che non sto bene»
«Ecco hai
visto?!» Il ragazzo con i capelli a caschetto fece una
linguaccia verso il biondo, che lo fulminò con lo sguardo.
«E
allora...» Vittorio la guardò negli occhi,
tentando di capire cosa le era successo
«Si
può sapere che cos'hai?»
Valeryn non rispose.
Voltò lo sguardo altrove, sentendosi in colpa. Nella
più assoluta delle colpe. Perché era
così dannatamente difficile? Tutti si aspettavano una
risposta. Tutti. Ma non poteva dirlo.
Oh, si sentiva
così sola... Dov’era Maia? La porta dello
scantinato si spalancò, e come una furia una ragazza riccia
entrò abbracciandola forte, tanto da farla sdraiare sulle
sedie in cui era seduta.
«Tesoro»
singhiozzava «Oh mio Dio, oh mio Dio! È colpa mia, non avrei dovuto
lasciarti sola!»
E continuò con
parole del genere. Tutti si guardarono stralunati. Vittorio
guardò Elia interrogativo, quello fece lo stesso.
Perché Maia reagiva in quel modo?
Cosa stava succedendo?
La ragazza, dal suo
canto, con ancora le lacrime agli occhi, prese Valeryn dalle guance.
«Mi prometti
che glielo dirai? Promettimelo» le sussurrò.
La scosse un poco, e lei
guardò di fronte a sé. Come faceva a dirglielo?
Era dannatamente complicato...
«Sì»
soffiò solamente, mentre Maia continuava.
«Lo farai
subito, vero?»
Valeryn non rispose, continuando
a guardare davanti a sé. I suoi occhi smeraldini si
incontrarono con quelli grigi di Vittorio. E i due si guardarono per
dei secondi che sembrarono un’eternità, nei quali
tutta la loro vita sembrava passarle davanti.
Gliel’avrebbe
detto presto.