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Autore: cancerianmoon    28/05/2021    2 recensioni
Un giorno, all’interno del proprio scantinato, Bulma Brief trova una strana sfera arancione. Quest’oggetto prende il nome di “sfera del drago”, ed è in grado di evocare un leggendario drago in grado di esaudire qualsiasi desiderio.
Ma questa storia, voi, la conoscete già, no?
Allora sedetevi un minuto e godetevi una storia del tutto stravolta in cui, al posto di Goku, è stato mandato Vegeta sul pianeta Terra. Una storia in cui il potere delle sfere e dei saiyan assumeranno un sapore del tutto diverso.
Una storia differente, che spero gradirete.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Yamcha, Goku/Vegeta
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2°
Il medaglione 

 

«Dobbiamo prepararci per il viaggio. Questa notte, prepareremo le borse con tutto l’occorrente necessario ed incapsulerò tutti gli oggetti che potrebbero tornarci utili in queste due settimane: non voglio certo dormire sotto un ponte o in boschi infestati da animali inferociti! Nel frattempo, voi ragazzi avvertite le vostre famiglie che passerete un po’ di tempo qui da me. Non sarà di certo un problema per i vostri genitori bersi la storiella del lavoro di gruppo per la scuola.

Io e Vegeta, intanto, parleremo a papà del viaggio che stiamo per intraprendere: non sono sicura sulla mamma, ma lui di certo capirà i motivi per i quali ce ne andremo per un po’.»

 

Avevano seguito alla lettera le direttive di Bulma che, come al solito, si era auto-proclamata leader della compagnia e organizzatrice; era nella sua natura, e d’altronde, anche Vegeta era fatto così.

Dopotutto, erano fratello e sorella.

Però quest’ultimo, nonostante avesse accettato il patto della maggiore, non poteva evitare di sentire una strana sensazione: era sicuro che, come loro, anche altre persone fossero nel tempo venute a conoscenza dell’esistenza delle sfere del drago, e di certo, non si trattava in tutti i casi di semplici ragazzi alla ricerca del brivido. Di sicuro, quella storia era finita in mano anche a malviventi e criminali pronti a tutto pur di avere nelle loro mani un potere così grande come quello di desiderare la vita eterna.

E nonostante lui fosse molto forte e Yamcha non fosse da meno, le ragazze non avevano nessuna esperienza in materia di combattimento... sua sorella in particolare.

Chichi, in passato, aveva partecipato a delle lezioni di arti marziali, e conosceva le tecniche: inoltre, per essere così minuta, aveva una forza notevole. Ma ciò non toglieva che, di fronte ad un malvivente grande e grosso, lei non avesse poi tante speranze. Quindi, la vera responsabilità ricadeva su loro due.

E se qualcuno avesse fatto del male a sua sorella, lui non credeva che sarebbe stato capace di rispondere di sé stesso.

 

«Ragazzi... sono sfinita!» 

 

La voce di Chichi, che era appena entrata nella stanza gettandosi sul letto, lo aveva distratto dalle sue elucubrazioni, riportandolo con i piedi per terra. 

 

«Ho dovuto raccontare a mio padre una marea di stupidaggini! Mi sento così spregevole! Lui non ha nessuno, oltre me! Si sentirà così solo!»

«Oh, mio Dio!» la canzonò allora il ragazzo dai capelli a fiamma, facendole il verso «Un omone grande, grosso e single tutto solo nella sua villona in cima alla montagna! Come farà a sopravvivere?! 

Credimi, tesoro, averti fuori dai piedi è il sogno della sua vita!»

A quelle battute poco carine, la ragazza si alzò in piedi impettita, lanciando al proprio compagno d’avventura uno dei cuscini che, inevitabilmente, finì per incastrarsi in quella capigliatura così singolare che lo contraddistingueva da letteralmente tutto il resto della popolazione mondiale, forse «Ma perché devi essere sempre così antipatico?! Capisco benissimo perché tuo padre acconsenta a questo viaggio: perché ti tiene lontano da casa!»

Ma chi voleva prendere in giro... si sentiva così stupida. Lui non la vedeva neanche come una donna, eppure, non riusciva a smettere di sperare che un giorno quel ragazzo così tenebroso la smettesse di vederla soltanto come la migliore amica secchiona di sua sorella e cominciasse ad avere un’idea diversa sul suo conto.

Ma forse, quel giorno non sarebbe mai arrivato; e Chichi se ne accorse nel momento in cui Vegeta, con una nonchalance che gli apparteneva sin dal giorno della sua nascita, si era sfilato il cuscino dai capelli e, senza neanche voltarsi nella sua direzione, gliel’aveva lanciato dritto in faccia. Vendetta.

Yamcha, testimone oculare di quel quadretto, scoppiò in una fragorosa risata «Accidenti, ci sarà proprio da divertirsi! Effettivamente, era dai tempi delle elementari che noi quattro non ci facevamo una scampagnata tutti quanti insieme!»

«Scampagnata?» sibilò Vegeta, alzandosi da terra e rovesciando sul pavimento tutto il cassetto del comodino, alla ricerca disperata di qualche arma di difesa nel caso in cui le sue mani non fossero bastate «A me sembra più che altro una tortura.»

Ma tra i due, il ragazzo dalla coda di cavallo era quello che sapeva tirar fuori lo spirito festaiolo che, era sicuro, si nascondesse in fondo all’animo di quel burbero del suo amico e, senza scoraggiarsi, gli mise un braccio intorno alle spalle «Oh, andiamo, fratello! Vedila come... una pausa! Sì! Una pausa dalla routine!»

Ma l’altro, scrollandoselo di dosso, fece soltanto finta di non sentirlo. 

Sì, quella era decisamente una tortura bella e buona: non tanto per Yamcha, perché negli anni era riuscito ad accettare quella sua aria così allegra ed ottimista, ma tanto perché avrebbe dovuto condividere una delle casette incapsulate da Bulma insieme proprio a quest’ultima e a quell’oca giuliva della sua amichetta che, per inciso, non gli staccava gli occhi di dosso da che ne avesse memoria.

E, proprio nel momento in cui il gruppetto era sul punto di prepararsi per la notte, ecco che la giovane turchina, di tutto punto, fece irruzione nella stanza.

«Ma volete andarvene a dormire?!» sbraitò Vegeta, cercando di sottolineare il fatto che quella fosse la sua camera, e che avrebbe gradito un po’ di pace prima di doversi sottoporre a quel supplizio. 

Prese Chichi di peso sulle spalle e, ignorando le sue continue proteste, la lanciò verso l’uscio, facendo cenno a sua sorella di seguire il suo esempio ed andarsene, prima che sbattesse fuori anche lei.

«Hey, calmati Godzilla.» lo canzonò invece lei, inarcando un sopracciglio «Mamma e papà vogliono parlare in privato con te.»

 

*

 

Il discorso che aveva affrontato con i suoi figli non le era piaciuto neanche un po’.

Bunny Brief sapeva perfettamente che, un giorno, quel momento sarebbe arrivato, ma non immaginava che avrebbe davvero dovuto soffrire così presto... che avrebbe dovuto sentirsi in colpa così in anticipo rispetto a quanto preventivato.

Non avevano potuto fermarli, semplicemente non potevano farlo. E non avrebbero mai potuto neanche evitare che, un giorno, i loro amati bambini avrebbero trovato quella sfera del drago. 

Aveva pregato suo marito fino all’ultimo, anni prima, affinché portasse quell’oggetto via da casa sua, ma lo scienziato non aveva voluto sentire ragioni: non avrebbe lasciato che qualche criminale venisse in possesso di tutte e sette le sfere da loro utilizzate, ed aveva ben pensato che, tenendone nascosta una, nessuno avrebbe mai potuto esaudire desideri guidati dalla malvagità. 

Non avevano rivelato a Bulma il fatto che loro avessero usato le sfere, non volevano che lei sapesse. Ma Vegeta... Vegeta meritava di conoscere la verità, e di questo, la biondissima donna appoggiata alla ringhiera del balcone a consumare la primissima sigaretta dopo dieci lunghi anni dall’ultima, ne era perfettamente consapevole.

Ma era un essere umano anche lei... e gli esseri umani sanno essere veramente egoisti, a volte.

«Non voglio dirglielo, tesoro.» asserì, cercando di ributtare indietro le lacrime che, prepotenti, cercavano costantemente di fuoriuscire dai suoi grandi occhi azzurri «Non voglio che ci odi. Non voglio che il mio bambino mi veda come una brutta persona, non lo sopporterei!»

Lo scienziato dai capelli color glicine, ormai brizzolati qua e là, raggiunse la propria signora fuori all’aperto, e la prese per i fianchi, stringendola a sé. Era l’amore della sua vita, ed insieme avevano cresciuto tre fantastici figli... ma a volte, i suoi sentimenti sapevano di gran lunga superare la sua ragione, rendendola schiava di un’emotività troppo forte. 

Era per questo che non l’aveva mai lasciata; non voleva che sua moglie si lasciasse sopraffare dalla sua sensibilità troppo elevata... voleva spalleggiarla, darle una mano, concederle un po’ della sua razionalità, per evitare che si perdesse in un mare di lacrime. 

«Cara... ormai non è più un bambino.» mormorò dolcemente, prendendole la sigaretta dalla mano e lanciandola fuori dal balcone «Ha raggiunto un’età in cui conoscere la verità è fondamentale. Non può rimanere all’oscuro di tutto per l’eternità, questo lo sappiamo entrambi.»

«Sì... sì, questo lo so.» i suoi occhi color del cielo avevano cominciato a luccicare nuovamente, mentre la prima lacrima le solcava la guancia lattea «Ma se... se una volta raccolte le sfere del drago desiderasse di tornare per sempre da dove venne all’epoca? Se decidesse di lasciarci?! Questo non lo sopporterei, Hakase, non lo sopporterei!»

«Oh, tesoro, ma questo non succederà. La vera famiglia è quella che, nella vita, ti da amore ed un tetto sopra la testa. Non certo quella che ti abbandona in una terra sconosciuta per poi non cercarti mai più! Vegeta ti vuole bene, Bunny. Tuo figlio non ti tradirà mai.»

E di questo, il dottor Brief ne era sicuro al cento per cento. Nonostante i suoi modi un po’ bruschi, suo figlio era in realtà un ragazzo d’oro, una persona affidabile che, nei confronti della propria famiglia, aveva sempre dimostrato fedeltà ed affetto; lui sapeva che suo figlio, il ragazzo che aveva cresciuto, non avrebbe mai desiderato di tornare indietro dalle persone che lo avevano abbandonato. Forse conoscere la loro storia, sapere il motivo del suo abbandono... forse quello sì; ma andarsene per sempre? No. Quello non sarebbe stato in grado di farlo.

Eppure... neanche lui era poi così tanto convinto di rivelargli tutta la verità, così, di getto, come se fosse qualcosa di cui discutere con un caffè di fronte ad un camino acceso: “Oh, giusto! Figliolo, in realtà non siamo i tuoi genitori biologici, ma ti abbiamo trovato in mezzo ai boschi durante un’escursione!”. No, quello non era di certo il metodo adatto.

Ma, mentre l’uomo era assorto nei propri pensieri, la sua consorte aveva tirato fuori dal portagioie un oggetto che aveva tenuto custodito per tutta la vita, come un tesoro prezioso, e glielo aveva mostrato.

«Te lo ricordi?» 

«Certo... certo che me lo ricordo.»

Il ciondolo che il loro bambino aveva al collo al momento del ritrovamento. L’unico oggetto che aveva con sé, oltre a quella strana incubatrice nella quale era stato chiuso. 

 

«Oh, tesoro! Non lo trovi delizioso?»

La giovane donna dai capelli biondi teneva in braccio quel fagottino da ore, ormai. Non aveva idea di cosa avesse passato quel piccolino, ma doveva essere stato terribile per lui essere abbandonato in mezzo ai boschi, dove animali feroci avrebbero potuto attaccarlo da un momento all’altro. Quale razza di madre lascerebbe il proprio figlio appena nato in un luogo del genere?! Nel mondo, esistevano delle persone veramente spregevoli. 

«Guarda che bei capelli!» esclamò poi, carezzandogli i ciuffi ribelli che gli ricadevano sulla fronte «Li ha già così folti!»

Il bambino, a quelle attenzioni così accentuate, rispose con un verso incomprensibile e, con nonchalance, afferrò i capelli dello scienziato che, in quel momento, stava cercando di tradurre la scritta che si recava sul retro di quello strano medaglione.

La donna rise «Caro! Sembra proprio che tu già gli piaccia!»

Lui, in risposta, si girò nella direzione della moglie e, prendendo il bimbo in braccio, si rivolse poi a lei «Sembra proprio che su questo medaglione ci sia scritto “Vegeta”.»

«Ooh! È così che ti chiami?» Bunny Brief gli carezzò amorevolmente la testa «Vegeta? Allora Vegeta sia!»

 

Quel ricordo, così dolce e così vivido nelle menti di entrambi, causò un grande senso di nostalgia nel cuore del dottore che, asciugandosi una lacrima solitaria, invitò la propria consorte a sedersi accanto a lui sul bordo del letto.

«Ascolta, caro... perché non gli diamo soltanto questo, per il momento?» propose lei «Sarebbe un duro colpo per lui, se gli raccontassimo la storia tutta d’un fiato. Ma se... se indorassimo la pillola poco alla volta, sono sicura che presto comprenderà ogni cosa!»

Lo scienziato, dapprima diffidente, ma sempre più convinto del fatto che la sua signora potesse sul serio avere ragione, alla fine si ritrovò ad annuire «E va bene... faremo così.»

 

«Che volete?»

 

La voce profonda e piatta del giovane dai capelli a forma di fiamma fece scattare sul posto i due genitori che, sudando freddo, per un attimo credettero che il loro figlio avesse potuto aver ascoltato tutta la loro precedente conversazione.

Ma poi, a giudicare dall’espressione rilassata del ragazzo, entrambi si ritrovarono a tirare un sospiro di sollievo: Vegeta non era certo il tipo da mettersi a origliare, soprattutto se le conversazioni che immaginava due persone avessero in intimità non gli interessavano, e fortunatamente, non si era mai smosso dalle proprie opinioni. 

«Figliolo!» suo padre gli fece cenno di avvicinarsi «Entra. Vieni a sederti.»

Francamente, Vegeta non capiva: da quando i suoi genitori intrattenevano discussioni in privato con i loro figli? Da che ne ricordasse, avevano sempre parlato con lui e Bulma-e, quando ancora viveva in quella casa, anche Tights- tutti insieme. Non era mai successo che uno dei fratelli venisse escluso da qualsiasi tipo di argomento.

Era per questo che, mentre si sedeva sulla sedia della toeletta di sua madre, rivolse ad entrambi uno sguardo più che confuso «Che c’è?»

Fu Bunny Brief ad aprire la conversazione, avvicinandosi a lui e prendendogli entrambe le mani con l’espressione più materna che gli avesse mai rivolto «Tesoro... stai crescendo, ormai. Non sei più un bambino.»

Lui inarcò un sopracciglio. Continuava a non capire.

«Ed ora, tu e tua sorella avete deciso di intraprendere un viaggio molto rischioso ed importante. E noi, in quanto genitori, vogliamo che questo viaggio possa essere anche illuminante: deve diventare un pretesto per crescere, per imparare nuove cose e, soprattutto, per imparare a collaborare fra di voi.»

Non aveva mai, ed era pronto a rettificare, mai, sentito sua madre parlare con quel tono così serio: lei era sempre stata un po’ svitata, forse alle volte addirittura ingenua, ed i suoi discorsi erano per lo più incentrati sulla pace nel mondo e sui pony colorati. Mai aveva assistito ad un discorso così accorato, così serio, così... da persona normale. E la cosa lo mandò ancora di più in confusione.

Poi... la donna di fronte a sé gli mise tra le mani un medaglione; un ciondolo che non gli sembrava di aver mai visto. Eppure... aveva un’aria piuttosto famigliare.

«Prendi questo, per il momento.» gli disse sua madre «Sono sicura che ti tornerà utile.»

Il ragazzo strinse il piccolo oggetto tra le mani, per poi lasciarlo ciondolare di fronte ai suoi occhi, quasi come un pendolo: era di un materiale molto simile all’oro, di forma ovale, ed al centro era incastonata una strana pietra molto brillante, di colore blu intenso, che formava uno stemma; forse lo stemma di qualche Paese straniero, o di una famiglia antica. Sul retro, una strana scritta, incisa a fuoco, in una lingua che non conosceva.

Dove diavolo aveva visto, quell’affare? Perché non gli sembrava affatto qualcosa di nuovo? 

«Consideralo un portafortuna!» esclamò il suo vecchio, rompendo il silenzio che si era venuto a creare «Ed ora vai a riposare, ragazzo. Domani mattina ti aspetta una partenza!»

 

*

 

Le grida di quella gente erano strazianti. 

Stavano disperatamente cercando di salvarsi da qualcosa, o da qualcuno, ma lui non riusciva a capire di cosa si trattasse... aveva la testa e gli occhi rivolti verso il soffitto, ed in quel momento non riusciva a veder altro che quello. Quando provava a guardarsi intorno, vedeva soltanto i lati di una culla; la sua culla? 

Cercava di parlare, di urlare, di emettere qualsiasi tipo di suono, ma sembrava che le corde vocali gli fossero state strappate via; non riusciva a farsi sentire, non riusciva a sentire neanche sé stesso.

Poi, un paio di braccia lo sollevarono, togliendolo dal calore di quella culla ed avvolgendolo in una coperta calda.

«Figlio mio... devi salvarti. Almeno tu, ti salverai.»

 

Si svegliò di soprassalto, quasi urlando, e facendo cigolare pericolosamente il letto. 

Yamcha, addormentato nel sacco a pelo alla sua destra, sembrava non aver sentito nulla e, semplicemente, emise uno strano mugolio, per poi rigirarsi su sé stesso.

Quel luogo... che cosa diavolo era? Perché avrebbe dovuto sognare una cosa simile?

Sentiva delle grida, nel sogno, delle grida assolutamente nitide e spaventose; ma la voce della donna che gli aveva parlato, gli era parsa ovattata e lontana dalla sua prospettiva, nonostante lo stesse tenendo in braccio.

Appoggiandosi svogliatamente al davanzale della finestra alla sinistra del suo letto, Vegeta sospirò rumorosamente: era stato soltanto uno stupido sogno, non c’era assolutamente bisogno di arrovellarsi tanto il cervello. Eppure, quella strana sensazione che aveva provato fin dal momento in cui era andato a dormire, sembrava non volerlo lasciare.  

Si voltò verso il proprio migliore amico, felicemente addormentato nel suo sacco a pelo di Superman, che si ostinava a voler usare nonostante fosse di dieci anni prima e fosse assolutamente troppo piccolo per far sì che il suo corpo ci entrasse tutto. 

“Io ci sto comodissimo!” affermava Yamcha ogni volta, con la sua solita aria da menefreghista fannullone. Sì, certo, comodo come lo sarebbe uno su un letto di spilli. 

«Tu non ti preoccupi di niente, eh?» mormorò con ironia, rivolto al proprio amico «Dannazione, vorrei tanto essere nato con il tuo stesso cervello di gallina.»

 

*

 

Non tirava neanche un filo di vento, e quel silenzio inquietante cominciava a diventare pesante persino per tipi come loro. 

Era doloroso dover camminare su quel suolo, dopo tutti quegli anni, dopo ciò che avevano dovuto subire... ma come tirarsi indietro, dopo che per quasi due decenni avevano soltanto aspettato di essere fuori dal campo visivo dei rivelatori dei nemici per poter uscire allo scoperto? 

Il palazzo reale era proprio di fronte a loro, usurato dal tempo e quasi completamente in macerie: ma nonostante tutto, sembrava li stesse guardando, sembrava li stesse guidando. Nonostante tutto, il palazzo del loro re splendeva di orgoglio... orgoglio di una razza guerriera che non si sarebbe mai arresa, neanche nelle situazioni più gravi e pericolose.

Era per questo che, gli unici tre superstiti di una stirpe ormai estinta, erano decisi e determinati a trovare il modo di sconfiggere coloro che avevano causato tanta distruzione e sofferenza, e vendicare le loro famiglie, il loro re, il loro popolo.

Vendicare la bambina che, un tempo, reggeva tra le braccia quella bambola con un occhio solo. 

«Ci siamo.» incalzò il più anziano tra i tre, muovendo i primi passi all’interno del palazzo reale, facendo attenzione a non muoversi troppo bruscamente per evitare che gli crollasse qualcosa in testa.

«Nappa, hai la minima idea di dove ci stai portando, oppure stai andando alla cieca come tuo solito?» gli domandò il mezzano del gruppo, alludendo all’evidente stupidità del compagno.

«So benissimo cosa sto facendo.» rispose lui «Dobbiamo entrare nella biblioteca del re. Dobbiamo trovare il modo di rompere quel sigillo.»

 

Continua...





Note autrice
Ciao ragazzi! È un piacere essere tornata così presto. Avrei voluto aggiornare la storia settimanalmente come in realtà prevedo di fare da questo capitolo in poi, ma dato che ho notato(con molta sorpresa e piacere) che qualcuno si è già interessato a questa long, mi sarei sentita una persona spregevole a non pubblicare un aggiornamento dato che ne ero già in possesso ^^ 
Non mi sarei mai aspettata che questa storia attirasse tanta curiosità, considerando anche che ormai è raro che qualcuno si concentri sulla "vecchia generazione" di Dragon Ball; ma devo confessarvi che io ci sono molto affezionata: non fraintendetemi, adoro Trunks, Goten, Gohan e tutti i figli che sono spuntati fuori nelle ere più recenti, ma trovo la vecchia generazione molto più vicina al mio cuore. 
Spero che questo secondo capitolo abbia chiarito qualche dubbio: d'altronde, era piuttosto strano il fatto che Vegeta si chiamasse così nonostante sia cresciuto sulla Terra insieme ai terrestri. Beh, adesso sapete per quale motivo ha mantenuto il suo nome originale. La stessa cosa non si può dire riguardo alle piccole parentesi sui saiyan, che ancora navigano in un alone di mistero, ma non preoccupatevi: presto, tutte le spiegazioni verranno a galla. 
Ringrazio col cuore le persone che si sono prese del tempo per lasciare delle recensioni e mi scuso in anticipo per non aver risposto subito, ma risponderò il prima possibile. Spero che continuerete a seguirmi ^^ 
Alla prossima settimana!

-cancerianmoon

   
 
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