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Autore: cancerianmoon    26/05/2021    3 recensioni
Un giorno, all’interno del proprio scantinato, Bulma Brief trova una strana sfera arancione. Quest’oggetto prende il nome di “sfera del drago”, ed è in grado di evocare un leggendario drago in grado di esaudire qualsiasi desiderio.
Ma questa storia, voi, la conoscete già, no?
Allora sedetevi un minuto e godetevi una storia del tutto stravolta in cui, al posto di Goku, è stato mandato Vegeta sul pianeta Terra. Una storia in cui il potere delle sfere e dei saiyan assumeranno un sapore del tutto diverso.
Una storia differente, che spero gradirete.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Yamcha, Goku/Vegeta
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: L'idea per questa storia ce l'avevo già da tempo. Ho guardato parecchi video su diverse piattaforme che spiegavano dei punti di vista sulla possibilità che fosse stato Vegeta, invece che Goku, ad essere spedito sulla Terra quando era bambino, e tutte si rifacevano(giustamente) alla storia originale, in cui Vegeta viene raccolto da nonno Gohan e poi incontrato da Bulma che sta cercando le sfere del drago. 
Qui, non solo la storia è stata completamente st
ravolta, ma anche la locazione dei personaggi, alcune delle loro età ed il modo in cui si scopre dell'esistenza delle sfere, sono diversi. Spero che l'apprezzerete lo stesso. 

~~
Capitolo 1°
La sfera e la bambola

 
 

Era di un colore scintillante e vivo, quasi come un’arancia matura. Se non fosse stato che era di un materiale talmente duro da poter addirittura infrangere il diamante che aveva trovato nel portagioie di sua madre, e che aveva quattro stelline di colore rosso scuro sul davanti. 

Era un oggetto affascinante, mai visto prima: all’inizio la ragazza, dopo averlo raccolto da terra, aveva pensato che si potesse trattare di uno degli esperimenti di suo padre, ma era impossibile che il suo vecchio potesse mettersi a creare oggetti di quel tipo, senza alcuno scopo pratico o tecnologico: e poi, come avrebbe potuto un semplice scienziato poter ideare un materiale addirittura più duro del diamante? 

Doveva trattarsi di uno strano minerale non molto conosciuto, di un prodotto della natura altamente raro che, per puro caso, si trovava in uno degli scantinati di casa sua. Ma come poteva esistere, in natura, una roccia così precisamente levigata a forma di sfera? E soprattutto, in quali tipi di ambienti si sarebbe potuta sviluppare una cosa del genere? 

Era proprio per questo che, l’astuta e brillante ragazza dai capelli turchini, spinta dal suo innato spirito di curiosità ereditato proprio da suo padre, si era chiusa all’interno di uno dei laboratori, sedendosi al computer e compiendo qualche ricerca, ma non arrivando assolutamente a niente di rilevante.

Sul web c’era chi sosteneva che si trattasse di oggetti divini che rappresentavano l’imminente arrivo dell’apocalisse, o c’era addirittura chi li descriveva come anime perdute degli angeli. Ma tutte queste teorie, non avevano alcuna prova a loro carico. 

Prese in mano la strana sfera, stringendola quanto bastava per potersela rigirare tra gli arti, osservandola nel dettaglio, e cercando di captare qualche indizio che la portasse ad una conclusione definitiva.

«Che cosa diavolo sei, eh?» 

 

«Bulma? Sei lì dentro? Accidenti, è tutto il giorno che ti cerco!»

 

Il bussare continuo alla porta e la voce squillante della sua migliore amica la distrasse da ciò che stava facendo, costringendola a posare nuovamente la strana sfera sul tavolo per poter andare ad aprire. 

Aveva trovato quell’oggetto la sera prima, e quella mattina, per poterlo studiare più affondo, aveva deciso di saltare la scuola: probabilmente la sua amica se n’era accorta e, come faceva di solito, le era venuta a fare una lavata di testa sulle responsabilità e sui doveri di uno studente, non volendola veder sprecare il grande ingegno che aveva per quella che lei definiva “svogliatezza mascherata da voglia di sperimentare”. 

 

«Ah! Finalmente ti sei decisa!» esclamò la corvina che, con ben poco riguardo, piombò nella stanza a passo impettito «Ma insomma! Stamattina dovevamo presentare il progetto di biologia, e mi hai lasciata tutta da sola! Hai la minima idea di cosa è significato per me dover spiegare tutti i tuoi ragionamenti controversi a parole mie?!»

Accidenti, il progetto di biologia! 

Avrebbe dovuto presentarsi a scuola per lo meno per tirare fuori la sua migliore amica dai guai, e invece, con la smania di pensare a quella strana scoperta, se n’era completamente dimenticata.

«Oh mio Dio, scusami, Chichi!» esclamò, sinceramente pentita e sbattendosi una mano in fronte, imbarazzata dalla sua stessa sbadataggine «È che... Dio, non immagini che cosa ho trovato!»

«No, aspetta, perché non ho ancora finito!» la interruppe lei, decisamente agitata «Visto che tu non c’eri, mi hanno mandata a chiamare quello sbruffone di tuo fratello! Sai com’è stato umiliante venir surclassata da uno del secondo anno?! È due anni più giovane di noi e ha saputo spiegare quel progetto meglio di me! Mi hanno riso dietro le spalle per tutto il giorno!»

Forse Bulma non avrebbe dovuto ridere a quell’affermazione, ma quando Chichi si arrabbiava era così buffa che non poté farne a meno: diventava tutta rossa, e sembrava che i suoi capelli si drizzassero tutti all’insù.

«Non c’è proprio un cavolo da ridere!»

«Scusa, è che... davvero?! Mio fratello?! Quello non saprebbe fare gioco di squadra neanche se gli resettassimo il cervello da zero! E poi, il fatto che tu all’asilo avessi una cotta per lui mica aiuta a non farti prendere un po’ in giro!»

La corvina arrossì copiosamente, sentendosi violentemente presa in causa «Io non avevo affatto una cotta per lui! Lo usavo soltanto per poter utilizzare le sue penne colorate!»

«Sì, va bene...» tagliò corto la turchina, superando l’amica con tutta l’aria di avere qualcosa di decisamente più interessante di cui parlare «Mi perdonerete entrambi, quando scoprirete che cosa sono stata capace di scovare, te l’assicuro. Intanto, tu va ad avvertire tuo padre che ti fermi a dormire da me: avremo un bel po’ di lavoro da sbrigare.»

«Eh?! Ma io non ho un cambio, non mi sono portata niente! E mio padre non può certo staccare dal lavoro per portarmi le mie cose!»

La turchina le fece un occhiolino «Mi dispiace, tesoro, ma domattina non andremo a scuola. Probabilmente ci sarà una festa nazionale in onore della tua prima assenza.»

«Cos-Bulma!»

 

Ma la ragazza non poté mai finire la frase di disappunto che stava per urlare in faccia alla propria amica, perché quest’ultima, spinta dalla fretta e dalla voglia di avere qualcuno che la aiutasse a fare le sue ricerche, l’aveva afferrata per il braccio, trascinandola con sé fino al piano di sopra dove, intenti ad infilarsi le scarpe da ginnastica in salotto, avevano trovato altri due possibili candidati.

Suo fratello non perdeva mai i suoi allenamenti: andava in palestra letteralmente ogni giorno e, nel giro di soltanto pochi anni di lavoro, era riuscito a diventare il migliore del suo corso di arti marziali, partecipando addirittura ad incontri in televisione con combattenti famosi in tutto il mondo. Insomma, in quel campo era una star, e francamente, la turchina si chiedeva da chi avesse preso, dato che nessuno della sua famiglia brillava in prestanza fisica. 

Ma lei era una star nel suo, di campo, e se Bulma diceva di aver fatto una scoperta interessante, allora voleva di certo dire che era così.

«Potresti evitare di cambiarti le scarpe in soggiorno?» incalzò, disgustata, avvicinandosi al ragazzo dai capelli corvini che rispondeva al nome di suo fratello «Non ho voglia di fare le mie maratone su un divano che puzza dei tuoi piedi andati a male.»

«E io non ho voglia di dover presentare i tuoi stupidi progetti al posto tuo quando ho di meglio da fare. Adesso siamo pari.»

Il migliore amico del minore tra i due, seduto a pochi centimetri di distanza da quest’ultimo, sorrise alle ragazze, facendo un cenno di saluto «Ciao, Bulma!»

Lei ricambiò il sorriso, arrossendo copiosamente «Ciao, Yamcha, sei carino!»

«Beh, grazie!» nonostante si conoscessero da anni ed il suo migliore amico di una vita avesse una sorella in casa ed una che ormai era addirittura sposata, il ragazzo dalla lunga coda di cavallo non aveva ancora imparato come rapportarsi alle donne e, impacciato, decise di ricambiare il complimento «E tu sei molto sexy!»

E quel complimento imbarazzato ricevette non solo un sorriso a trentadue denti da parte della turchina, ma anche uno sguardo glaciale e fulminante, che colpì più forte di una scarica di mille coltelli sul petto «E io sono il fratello della molto sexy. Come la mettiamo?»

Lei sbuffò «Non abbiamo tempo per questo.» e, detto ciò, si sedette accanto all’unico suo parente presente in quella stanza, prendendogli una delle scarpe dalle mani per evitare che terminasse la sua opera e sfrecciasse fuori di casa per il resto del pomeriggio «E tu non hai tempo di andare in palestra. Dobbiamo lavorare.»

«No, tu devi farlo. Io non perdo i miei allenamenti per le tue stronzate.»

«Oh, andiamo, non mi hai neanche fatto spiegare!» si alzò, lanciando la scarpa a Chichi che, nonostante fosse assolutamente contraria a tutta quella situazione, si ritrovò costretta ad afferrarla al volo «Neanche la paghi, l’iscrizione! La palestra è della Capsule Corporation!»

«Hey, tu, moretta.» neanche la stava a sentire «Dammi quella scarpa.»

«No, non ci provare neanche, prima devi starmi a sentire! Senti... se l’idea non ti incuriosisce neanche un po’, allora ti lascerò andare, ma prima stammi a sentire! Dai, per favore!»

Lui, come suo consueto, rimase immobile ad aspettare che la maggiore continuasse il suo discorso per poter andarsene al più presto, incrociando le braccia al petto e tornando a sedersi, sbuffando esasperatamente. A volte sua sorella sapeva essere una vera scocciatrice, ma c’era da dire che la maggior parte del tempo si inventasse anche delle cose formidabili che finivano inevitabilmente per catturare la sua attenzione.

«Andiamo ai laboratori, abbiamo ancora un bel po’ di tempo prima che papà torni a casa e ci becchi a trafficare tra le sue cose!»

Nessuno commentò, e tutta la combriccola si ritrovò a seguire la ragazza giù per le scale, costretti tutti quanti ad una curiosità che soltanto Bulma avrebbe potuto insinuare nelle loro menti di normali adolescenti non figli di scienziati famosi.

Soltanto Chichi ebbe il coraggio di aprire bocca: «Sento che finiremo nei guai...»

 

Luccicava come una pietra preziosa soltanto se lievemente esposta alla luce più bassa che potesse mai impostare, e non si scalfiva con nulla: Bulma aveva provato ad usare un coltello, la punta del diamante che aveva rotto poco tempo prima ed aveva persino tentato di colpirla con un martello, ma niente era servito a romperla o anche solo a farci sopra un graffio. Quella strana sfera aveva spezzato e rotto qualsiasi cosa tentasse di colpirla o scalfirla; era come se fosse coperta da uno strato di copertura elettromagnetico.

«Che cosa diavolo è?» chiese ad un certo punto Yamcha, seduto alla destra della ragazza, con gli occhi color ebano puntati sull’oggetto del giorno.

«È quello che sto cercando di scoprire.» rispose lei «Ragazzi, non ho mai visto niente di simile! È incredibile, è riuscita addirittura a ridurre in briciole un diamante!»

«Ma dove l’hai trovata?» fu la domanda di Chichi. 

«Ieri sera, sono andata nello scantinato a cercare un mio vecchio portatile. Volevo apportargli delle modifiche per poterlo riutilizzare senza farlo finire nella spazzatura, e allora l’ho vista: era incastrata in mezzo alle travi di legno del pavimento! Era lì da chissà quanto tempo, e nessuno se n’era mai accorto! Ragazzi, questa è la scoperta del secolo! Se scoprissimo di che materiale è fatta, potremmo costruirci qualsiasi cosa: è praticamente indistruttibile!» 

Gli occhi azzurri della maggiore si puntarono immediatamente in quelli di ossidiana del minore, con uno sguardo che soltanto lui, dopo anni di esperienza con la ragazza, avrebbe mai potuto decifrare: lo stava implorando di darle una mano, di scoprire che cosa fosse ciò che aveva appena trovato, di starle accanto e di evitare di farla finire nei casini con i loro genitori. Non che lui avesse mai fatto la spia, ma quella sarebbe davvero potuta diventare una cosa grossa: se davvero il materiale con cui era stata costruita quella sfera era indistruttibile, allora l’azienda di suo padre sarebbe cresciuta ancora di più e loro avrebbero avuto il merito di aver scoperto un materiale ancora più duro del diamante. Non era una cosa da poco, e non si trattava neanche di un capriccio come molti avrebbero pensato: come lui, Bulma aveva una vocazione; come lui, Bulma non si sarebbe mai arresa davanti a niente per raggiungere i propri scopi; e come lui, Bulma aveva voglia di scoprire qualcosa di più su quello strano oggetto, arrivati a quel punto. E in fondo, anche i loro compagni non desideravano davvero tirarsi indietro: poteva capirlo dalle loro espressioni. 

Così il ragazzo, sospirando, annuì con il capo, dandole in quel modo tutto il suo appoggio. 

E lei, raggiante come non mai, saltò in piedi, sorridendo a trentadue denti e battendo felicemente le mani «Ah, Vegeta! Sei il fratello migliore del mondo, lo sai?»

«Sì, ma come facciamo a scoprire di che cosa si tratta?» fu la sua risposta secca «Hai detto tu stessa che non hai saputo trovare niente su internet.»

«Ma come? Lo sai benissimo più di me che abbiamo un piano della casa interamente dedicato alla biblioteca di papà!»

Lui sospirò esasperato «Vuoi davvero cercare lì dentro? Ci metteremo tutto il giorno.»

«Beh, potrebbe essere divertente!» si era improvvisamente intromessa Chichi, da sempre amante della lettura e di luoghi sconfinati in cui trovare i volumi più belli ed introvabili; e la biblioteca dei Brief era proprio il posto che faceva per lei «Se ci dividiamo i compiti, magari sarà più facile!»

 

La biblioteca del dottor Brief era ciò che uno studioso od un semplice lettore appassionato avrebbero sempre desiderato: si estendeva tutta sul quinto piano dell’abitazione, ed era completamente diversa da tutte le altre stanze, caratterizzate dalla bellezza del nuovo e del moderno che la signora Brief tanto amava nell’arredamento; quel luogo aveva il sapore di antico, di storico... un sapore che soltanto un intellettuale avrebbe potuto ammirare ed apprezzare nella sua interezza. Ed il tutto si esprimeva attraverso il mobilio di legno pregiato e l’odore di carta che si sprigionava lungo tutta la cabina dell’ascensore dal quale i ragazzi uscirono per recarsi lì. 

«Questo posto è così affascinante...» fu il commento della corvina che, per prepararsi alla lunga ricerca, raccolse la sua lunga cascata di capelli lisci in una coda di cavallo, per poi riprendere a guardarsi intorno «Ogni volta che ci entro, mi sento davvero a casa.»

«Sì, sì, non abbiamo tempo per questo!» la sua migliore amica la spinse verso un lato dell’immensa stanza, che rappresentava la dimora di milioni e milioni di volumi sulla ricerca dei minerali «Tu sei l’addetta a questo genere di libri. Sono impilati in ordine alfabetico, quindi comincia pure dalla lettera che preferisci, ma mi raccomando: passali in rassegna tutti quanti. Non tralasciarne nemmeno uno.»

 

Vegeta non era il tipo da starsene per troppo tempo fermo in un punto: gli piaceva muoversi, sudare, sentire i muscoli dolere e lo stress scivolare via dai pori della pelle. Eppure, quel giorno, era stato delle ore intere sdraiato sul pavimento, a giocherellare con quella strana sfera color arancio vivo, mentre leggeva attentamente ogni paragrafo di ogni capitolo di ogni libro che si trovava su quella libreria, immagazzinando talmente tante informazioni che persino il suo cervello, racchiuso in una calotta cranica piuttosto ampia per uno della sua età, sembrava stesse per colare fuori dalle proprie orecchie.  

Fortunatamente, era arrivato a buon punto e, una volta raggiunto l’ultimo volume della lettera “S”, notò fin da subito che qualcosa non andava, in quel libro: era completamente diverso dagli altri, molto più sottile, e la copertina era completamente consumata, tanto che non si riusciva più a leggere il titolo completo: le uniche tre lettere che si potevano intravedere erano, appunto, la “S” iniziale e le prime due lettere di un’altra parola: “Dr”.

«Hey, ragazzi.» sibilò, attirando l’attenzione dei propri compagni che, come lui, portavano sulle facce le espressioni più stanche ed orrende che avessero mai potuto avere «Penso di aver trovato qualcosa.»

«Ma è più vecchio di mia nonna!» esclamò Yamcha, sdraiato di schiena accanto a lui, con un libro poggiato sul petto «Non si legge neanche il titolo!»

«Appunto. È strano che mio padre tratti così male un libro: questo era sicuramente di qualcun altro, prima di finire qui dentro.»

E, detto questo, aprì finalmente il volume alla prima pagina, leggendone il titolo sul foglio ingiallito dal tempo ed impolverato dal poco utilizzo: «”Sfere del drago: storie ed utilizzi di una leggenda”.»

«Sfere del drago? Che diavolo sono?» 

Ma la domanda del suo migliore amico gli scivolò addosso come acqua perché, sulla pagina immediatamente successiva, il ragazzo poté ammirare un’illustrazione chiaramente allusiva alla strana sfera che sua sorella aveva trovato in cantina. Non c’erano disegnate soltanto le sfere in sé, ma un grosso drago dal colore verde smeraldo, con occhi rossi e lunghi baffi che, ergendosi su una strana piazzola in marmo, teneva tra le zampe, simili a quelle di un dinosauro e con lunghe unghie affilate, delle sfere arancioni. E a quel punto, era chiaro che finalmente i ragazzi avessero trovato ciò che stavano cercando.

«Oh mio Dio!» esclamò esaltata la turchina «L’abbiamo trovato! Abbiamo trovato quello che ci serviva! Sei grande, fratellino!»

Senza ulteriori indugi, il giovane dai capelli a forma di fiamma cominciò a leggere il primo capitolo: «”Sulle sfere del drago c’è poco e tanto da dire. Nessuno sa da chi siano state create, né tantomeno quali siano i loro reali scopi, ma la leggenda parla chiaro: si narra che secoli fa, una divinità discese sulla Terra, creando sette sfere indistruttibili, che sarebbero servite ad evocare un drago mitologico che, fornito dalla divinità di poteri paranormali, sarebbe stato in grado di esaudire qualsiasi desiderio il suo padrone sarebbe stato in grado di porgli. Nessuno è mai riuscito a conoscere l’identità del Dio che ha deciso di fare questo regalo agli esseri umani, ma si dice che egli viva in un palazzo invisibile all’occhio umano, e che vegli su di noi dai tempi dei tempi. Ma qualcuno, come ad esempio gli individui di cui questo libro ha narrato le gesta e le testimonianze, è riuscito a trovare tutte e sette le sfere, evocando in tal modo il mitico drago magico: questi leggendari oggetti sono sparsi in giro per il mondo, nei luoghi più impensabili, ed il coraggioso che deciderà di mettersene alla ricerca dovrà probabilmente affrontare diverse peripezie, ma si dice che, se incaricato di farlo, il drago sia in grado perfino di assicurare l’immortalità all’essere umano che l’ha evocato. Una volta utilizzate, le sfere si spargeranno nuovamente in giro per il mondo in un ordine casuale, trasformandosi in pietra per un anno finché, passato quest’ultimo, non torneranno nuovamente a brillare e, in questo modo, anche a funzionare”.»

Un drago magico che avrebbe potuto esaudire qualsiasi desiderio? Certo, era uno spunto interessante per un libro fantasy, ma la verità era che a Vegeta, tutta quella storia sembrava soltanto una bella favola su cui ispirarsi per diventare famosi. Forse una leggenda del folklore cinese, a giudicare dalle sembianze del drago raffigurato nel dipinto, ma nulla di più; e così, aveva inevitabilmente buttato via un pomeriggio produttivo per quella stupidaggine. Che perdita di tempo.

«Che stronzata.» si ritrovò a commentare, chiudendo il libro e buttandolo a terra insieme alla pila che aveva tirato fuori dagli scaffali poco prima «È stata solo una stupida perdita di tempo.»

Ma sua sorella, da sempre curiosa ed assolutamente non scettica e riflessiva come il minore, non la pensava affatto così «E chi ti dice che non sia tutto vero? Dopotutto, questo libro è qui nella biblioteca di papà! Dovrà pur significare qualcosa!»

«Se davvero esistesse una cosa del genere, tutto il mondo starebbe cercando queste sfere.» fu il suo botta e risposta «È impossibile, Bulma.»

Detestava quel suo modo di fare. Vegeta era fatto così: molto spesso, si fermava alle apparenze, credendo che la sua stupida logica ed i suoi stupidi ragionamenti potessero portarlo alla verità assoluta, quando nel mondo c’era ancora così tanto da scoprire. Era dannatamente orgoglioso, e non sopportava né di avere torto, né tantomeno che si smentisse ciò che sosteneva.

Così la ragazza, conoscendolo alla perfezione, decise di ribattere con il solo metodo che potesse accendere in lui un minimo di dubbio su tutta quella faccenda: una sfida. Suo fratello aveva un debole, per le sfide; gli veniva voglia di vincere e, pur di farlo, era disposto a tutto... persino a rinunciare a qualcosa a cui teneva, certe volte.

E allora, gli tese la mano: «Allora, che ne dici di un accordo? Io approfondirò questa storia delle sfere a modo mio, e partirò a cercarle... ma tu dovrai venire con me. 

Nel caso in cui non dovessimo trovarne neanche una nel giro di due settimane, allora torneremo a casa, ed avrai ragione tu. Ma nel caso contrario, continueremo la ricerca, e una volta trovatole tutt’e sette, faremo apparire il drago ed esprimeremo un desiderio. Uno qualunque. Non m’importa che cosa desidereremo, ma solo trovare il drago e verificare la sua esistenza.»

Lui era rimasto con le braccia conserte, ad osservare la sicurezza con la quale la sorella continuava a sostenere che tutta quella storia delle sfere del drago non fosse soltanto una pura e semplice leggenda. Ma d’altronde, che cos’aveva da perdere? L’aveva detto lei: se non avessero trovato neanche un’altra sfera nelle due settimane successive, sarebbero tornati indietro e quella ricerca sarebbe diventata soltanto un ricordo, e lui avrebbe dimostrato di avere ragione. Ma nel caso in cui davvero esistesse qualcosa del genere, allora avrebbero potuto desiderare qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Lui ci avrebbe guadagnato in entrambi i casi, no? 

Così, sospirando esasperato, allungò la mano verso quella della ragazza di fronte a sé, per poi stringergliela, mentre Yamcha, eccitato al pensiero di poter partire per un avventura, spezzò l’accordo come testimone e come amico. Nel profondo, sperava davvero che le sfere del drago esistessero e che il drago avrebbe potuto esaudire un suo desiderio, ma in verità, credeva soltanto che Bulma non volesse ammettere di avere torto.

Ma almeno si sarebbe fatto una vacanza di due settimane, quindi perché rifiutarsi?

«Allora i patti sono questi.» incalzò di nuovo lei, per poi voltarsi verso la propria migliore amica con sguardo speranzoso «Tu sei dei nostri?»

Chichi, d’altro canto, non credeva di sentirsi davvero pronta a rinunciare alle proprie responsabilità per partire per un viaggio di due settimane, o addirittura più lungo, nel caso in cui quella leggenda si fosse rivelata vera. Ma come avrebbe potuto guardare la propria amica, la sorella che non aveva mai avuto, negli occhi, e dirle che non l’avrebbe appoggiata? Si sarebbe sentita davvero una persona spregevole, se non l’avesse fatto. E così annuì, arrendendosi all’idea che suo padre si sarebbe dovuto abituare alla sua assenza per un po’.

«Bene, si parte domani, appena avrò finito.»

«Avrai finito di fare cosa?» le domandò Yamcha, incuriosito.

«Ho una mezza idea. Voi... occupatevi soltanto di distrarre papà: parlateci... non so, di macchine o cose del genere, e tenetelo lontano per un po’ dal laboratorio. Ho bisogno di prendere alcuni pezzi.»

 

*

 

Le macerie di quel luogo riportavano alla mente di chi c’era sopra ciò che era successo ormai anni prima, quando quel pianeta era ancora una terra fertile e rigogliosa, quando il loro regno dominava incontrastato su metà della galassia... quando ancora non esisteva la remota possibilità che potesse esistere qualcuno in grado di surclassare la potenza della loro popolazione. Nessuno di loro aveva mai pensato alla crudeltà come qualcosa di moralmente sbagliato, fin quando non l’avevano subita sulla loro pelle... e allora, tutto era stato rivoltato: tutti i loro credi, le loro convinzioni, tutto ciò su cui avevano da sempre fondato la loro civiltà era stato mandato in pezzi.

Forse se l’erano meritato. Forse, quel cumulo di polvere e macerie sovrastato dal cielo cupo ed inquietante della notte, era ciò che avevano ricevuto in cambio della malefatte compiute durante i loro anni d’oro.

Il più giovane dei guerrieri aveva stretto i pugni, guardandosi attorno: se solo non fossero stati così sicuri di loro stessi... se solo avessero anche soltanto pensato ad ergere delle barriere protettive intorno al pianeta o anche solo intorno alla città, forse a quel punto avrebbero avuto ancora una possibilità. Forse sarebbero sopravvissuti più di soli tre di loro. 

A terra, impolverata e usurata dal tempo, la testa di una bambola. I suoi capelli erano ancora intatti, ed il solo occhio rimastole attaccato li fissava con insistenza, come ad implorarli di salvare l’insalvabile, di vendicare tutto quel sangue versato... di non rendere vana la morte della sua piccola proprietaria.

Il giovane la raccolse da terra, rigirandosela tra le dita. Così piccola e fragile che si sarebbe potuta polverizzare da un momento all’altro... così tragica da fungere da simbolo di quella carneficina. 

«Sono... passati diciassette anni.» mormorò tra sé e sé, mentre posava la bambola su un macigno a pochi metri da lì, come a volerle dare un trono, una poltrona comoda su cui continuare il suo riposo «Mi dispiace... non sono riuscito a fare nient’altro, per te.»

Sentì una mano possente e callosa posarglisi sulla spalla, spronandolo a spostarsi da lì, a muoversi a cercare ciò per cui erano atterrati su quello che un tempo era il loro pianeta d’origine. La mano di suo fratello.

«Andiamo.» 

Un ultimo sguardo. Un ultimo scambio di occhi con quel piccolo oggetto, mai invecchiato, esattamente come la bambina che un tempo lo teneva tra le braccia, sognando di diventare una guerriera forte e valorosa... come la loro razza comandava.

Ma era davvero così importante?

Davvero, per colpa della loro superbia, avevano rinunciato per sempre a ciò che era veramente importante?

Il giovane guerriero dai capelli corvini se lo chiedeva ogni giorno. Da anni, ormai. 

«Siamo qui per una missione, ragazzi.» li spronò il più vecchio tra i tre, ormai vicino all’età in cui, nella loro vecchia civiltà, un guerriero si ritirava per passare la vecchiaia in pace ed insegnando alle nuove reclute dell’esercito del re; ma ormai, le cose erano cambiate, ed anche lui era costretto a combattere ancora, per poter ridare a quel regno lo splendore di un tempo «Non dimenticatelo. E tu, Kaharoth, cerca di non distrarti.»

 

Continua... 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 
   
 
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