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Autore: _Lightning_    28/05/2021    2 recensioni
Con il Giorno della Promessa all'orizzonte, Roy Mustang si ritrova a pensare sempre più spesso a Ishval, ai propri errori, e a cosa gli ha lasciato quel luogo se non ricordi dolorosi e sensi di colpa. Si imbarca così in una lunga reminiscenza con l'aiuto di Riza, fidata compagna di vita, nel tentativo di mettere finalmente a tacere i demoni che gli mordono la coscienza.
Dal prologo: «C’è qualche problema, Colonnello?»
È formale, distaccata, anche se siamo soli. Una pantomima sterile e autoimposta, affinata con gli anni.Non possiamo cedere, mai, nemmeno nel buio cieco di un vicolo dimenticato, o finiremmo per tradirci alla luce del sole con mille occhi intenti a scrutarci. L’abbiamo concordato in silenzio, che è ciò che di solito parla tra noi. Per questo adesso mi sento quasi un profano a romperlo, a voler trasmutare in parole ciò che mi passa per la testa. Ombre dense, a cui non dovrebbe mai essere data forma.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maes Hughes, Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte V
 
Ciò che non uccide
 “E ancora sono il prodigo che ascolta
dal silenzio il suo nome
quando chiamano i morti.
[Fresche di fiumi in sonno – S. Quasimodo]
 
 
 
.1.
 
 
 
 

?? Giugno 1908,
Distretto di Kanda,
???
 
Un rumore familiare mi fa slittare dal sonno profondo a un torpore febbricitante. L’afa che abbraccia sempre le notti dell’Est sfuma nel freddo tagliente del deserto. Torno al presente, alla ferita, all’aria satura di polveri sottili che intasano i polmoni.

Brividi sottopelle mi scuotono incessanti e lotto per non richiudere gli occhi, battendo più volte le palpebre di cemento. La mia mano è ancorata al fianco, colloso e tiepido per il sangue rappreso. Deglutisco, senza un goccio di saliva residuo, e il pomo d’Adamo sobbalza a vuoto, dolente.
 
Cosa mi ha svegliato? 
 
Tendo le orecchie e colgo solo un brusio indistinto nel silenzio statico e illusorio della notte. In lontananza tuonano i cannoni. Focalizzo infine quella che sembra una piccola frana di ciottoli. Forse è solo la casa che sta cedendo, scossa dai costanti terremoti delle esplosioni. È un suono continuo, però, cadenzato – e si fa sempre più forte e distinto. Mi ricorda le stradine di Bushmills, ma non saprei dire perché. Il delirio della febbre mi ha riportato fin troppo spesso a quel rifugio della memoria, nel quale mi sono rincantucciato come un bambino sotto le coperte, rischiando di non uscirne più.
 
È con un guizzo della mente che riconosco finalmente lo scalpiccio di molti zoccoli contro la strada lastricata, come quelli dei cavalli da tiro che attraversavano il paese.
 
Un fiotto di debole energia mi scuote le membra quando un nitrito sommesso spezza in silenzio, seguito da uno strattone tintinnante di briglie. Schiarisco la mente della nebbia torbida che l’ha invasa, col cuore che riprende a pulsare: solo i soldati di Amestris hanno la cavalleria.
 
Gli zoccoli si avvicinano. Oltre la breccia del muro, scorgo le sagome di una mezza dozzina di soldati a cavallo che avanzano placidi lungo la strada. Prima che superino l’apertura, raccolgo il fiato nei polmoni e grido con tutte le forze che mi sono rimaste, staccandomi dalla parete:
 
«Ehi! Pattuglia!» il rumore di zoccoli si arresta all’istante.
 
Gli scatti metallici e secchi dei fucili a cui viene tolta la sicura riempiono l’aria.
 
«Chi va là?»
 
«Maggiore Mustang!» un’improvvisa fitta mi colpisce la gola scorticata e la mia voce si abbassa considerevolmente. «Ferito!» aggiungo in un rantolo, prima di lasciarmi ricadere contro il muro.
 
Sento gli uomini smontare frettolosamente da cavallo in un tramestio di finimenti e distinguo le sagome dei lunghi cappotti bianchi che entrano nel mio rifugio. 
 
Chiudo le palpebre per un istante, ma passa molto più tempo. Le voci mi rintronano, insensate, troppo forti e rimbombanti nellesiguo spazio del mio cranio. Clangori metallici e suoni di legno spezzato si fondono al brusio assordante. Qualcuno mi scuote debolmente, poi scosta il mio mantello dalla ferita, strappandomi un gemito. Le voci si fanno più distinte:
 
«Merda, che casino.»
 
«Porca puttana, è a pezzi.»
 
«Muoviti, prendi qualcosa per il sangue.»
 
«Come fa a essere vivo? Cazzo, guarda che roba.»
 
«Si è azzoppato un altro cane... e adesso chi li sente i superiori?»
 
«Zitto, idiota, vuoi che ti senta? Manda un dispaccio all’Alchimista Caduceo, se ne occuperà lui.»
 
Infine, braccia robuste mi sollevano, fomentando l’incendio della mia ferita. Mi sento adagiare su una barella di fortuna, assemblata con qualche stralcio di tessuto e resti di legno e ferro sparpagliati tra i detriti. Sorregge a malapena il mio peso quando la issano a mezz’aria, le giunture che stridono.
 
Schiudo le palpebre: un sottoufficiale riccio e scuro mi parla agitato sullo sfondo del soffitto cadente. Forse si aspetta una risposta, forse tenta solo di tenermi sveglio. La sua voce è distorta e non riesco a recuperare abbastanza fiato e parole per rispondere. Qualcuno mi getta addosso un mantello e smetto di tremare come a comando. Un velo di sudore freddo mi ricopre la fronte e il cuore mi batte a mille, come a recuperare tutti i battiti persi finora.
 
«La mia truppa...» riesco a sillabare infine, sollevando un braccio nella direzione dalla quale credo di essere arrivato. «La mia truppa, vi prego...» il braccio ricade mollemente, senza forze.
 
Il sottoufficiale abbaia un ordine: due soldati rimontano a cavallo e si distaccano dal gruppo seguendo la mia indicazione, in un tramestio di zoccoli a trotto. Noi ci mettiamo in marcia a piedi, ogni sobbalzo seguito da un mio lamento soffocato. Guardo il cielo, una massa nera e informe sopra di me, che mi preme addosso. Tra spesse nubi di fumo, una sottile falce di luna apre a forza uno spiraglio, gettando tenui raggi nel buio.
 
 
 
 
 
 
?? Giugno 1908
Guarnigione di Kanda, Ishval
???
 
«Ecco perché voi alchimisti da assalto dovreste studiare un po’ di formule mediche organiche prima di caricare a testa bassa. Che disastro è, questo? Hai condensato il tessuto ferroso del sangue per arrestare l’emorragia? Puah, cosa mi tocca vedere... è un miracolo se non ti sei autoinflitto un’infezione da tetano...»
 
La voce borbottante dell’Alchimista Caduceo riempie la tenda, accompagnando il tintinnare acuto degli strumenti chirurgici che posa e riprende dalla padella metallica di fianco al lettino, assiete a quello dei frammenti di mortaio che mi estrae dalla ferita. Mi mordo le labbra, sentendo con chiarezza bisturi, pinzette e altri aggeggi innominabili che mi tagliuzzano la carne del fianco in un concerto di fitte lancinanti. L’anestesia ha fatto effetto, dice, ma non so quanto sia vero, e se il fatto di non essere ancora svenuto sia mero effetto placebo.
 
Rimango in silenzio: è chiaro che non si aspetti che partecipi al suo monologo. Rimango immobile, i muscoli contratti, l'aria gelida della notte che mi fa accapponare la pelle. Di tanto in tanto, nella mia visuale entrano un camice chiazzato di sangue e delle mani tozze che a malapena entrano negli anelli delle pinze chirurgiche. Occhiali protettivi fanno capolino da sopra il panno che gli copre naso e bocca, schermando le iridi scure che a volte si intravedono oltre il riflesso. Di tanto in tanto, il tenue bagliore di una trasmutazione gli illumina il volto, accentuandone il profilo tondeggiante, dagli zigomi piatti.
 
«Uff, può bastare,» sbuffa infine, stringendomi la garza attorno al busto con uno strattone non esattamente professionale. «Ci sei andato vicino, eh? Ma vivrai.»
 
Si lascia ricadere col suo peso non indifferente sullo sgabello lì accanto. Si toglie gli occhiali protettivi, lasciandoli a penzolare dal collo, e abbassa la mascherina raffazzonata, scoprendo il naso poco pronunciato e la bocca piccola, contornata da baffetti sottili. Ciuffi di capelli neri sfuggono alla cuffietta, arricciandosi attorno alle orecchie e agli occhi dal taglio allungato.
 
Elmer Marder non dà l’impressione di essere il competente Alchimista di Stato che in realtà è, quanto un oste strappato a forza dal bancone sudicio di un locale dell’Ovest. Eppure, la dimostrazione della sua abilità con l’alchimia medica sta nel fatto stesso che io sia vivo, in grado di respirare e con una milza ancora funzionante.
 
Rilascio una boccata d’aria flebile, premendo la testa contro il lenzuolo ruvido che copre il lettino operatorio gettato in mezzo allo spazio in terra battuta – una postazione talmente precaria che farebbe sbiancare qualunque chirurgo di Central abituato all’igienica asetticità del proprio ospedale. La mia divisa è stracciata ai miei piedi, un cumulo di tessuto imbrattato e polveroso. L’odore del disinfettante e del sangue mi riempie le narici, unito al tanfo d’infezione che si insinua fin qui dal reparto degenza, separato da noi da un semplice telo cerato. Il concerto di lamenti e vocio stanco dall’altro lato trapela vivido fin qua. 

Sento la ferita che tira lintero fianco, dolente, ma non più devastata da un incendio. Gli antipiretici hanno fatto effetto e ho recuperato la lucidità sufficiente per distinguere la realtà dal mondo onirico e fumoso dietro le mie palpebre, nel quale la mia mente tenta ancora di rifugiarsi di tanto in tanto.
 
Marder non si schioda dalla sua postazione, osservandomi di sfuggita con occhio clinico mentre scribacchia qualcosa su una cartelletta sdrucita. Noto solo ora che, su ogni polpastrello, reca dei piccoli tatuaggi alchemici. Distinguo un bastone di Asclepio e una Croce della Vita sui pollici, ma le formule che li circondano sono indistinguibili. Sento all’improvviso il vuoto del guanto sulla mia mano nuda.
 
«È sopravvissuto qualcuno?»
 
La mia voce è ridotta a un sussurro roco, sottile quanto la mia speranza. Marder sobbalza, colto alla sprovvista. Mi rifila uno sguardo stranito, le iridi che quasi spariscono quando assottiglia gli occhi, e capisco che non riesce a collocare la mia domanda, per quanto ovvia, e non posso evitare di accigliarmi.
 
«Della mia truppa.»
 
«E come faccio a saperlo? Io ricucio solo chi mi rifilano. Ringrazia di esser vivo, piuttosto,» taglia corto, alzandosi con uno scatto che fa ondeggiare la sua mole tarchiata sotto il camice lurido di sangue e umori.
 
«Dovresti saperlo, visto che è il tuo lavoro,» riesco a dire, sforzando la voce, così densa e difficile da controllare che quasi mi si incastra a mezza via.
 
«Non mi pagano abbastanza per tenere il conto di tutti quelli che passano per le mie mani. O che ci muoiono. Se vuoi un conto dei morti, chiedi a quel becchino del dottor Knox, lui ne vede certo più di me,» quasi ride lui, senza nemmeno voltarsi e con una nota di disprezzo.
 
«Che razza di medico sei?» mi lascio sfuggire, trattenendo un colpo di tosse che poi emerge comunque, sconquassandomi le costole.
 
Marder si ferma, trapassandomi con lo sguardo, e abbozza un sorrisetto mentre inclina il capo con sufficienza.
 
«Tu che razza di Alchimista sei? Pensa al tuo, di lavoro.»
 
Stringo i denti, trattenendo una risposta tagliente, mentre lui mi supera con passi pesanti. Lo vedo affaccendarsi attorno al carrello dei medicinali con la grazia di un pachiderma. È quasi impossibile immaginarselo a portare a termine delicate operazioni chirurgiche sui suoi commilitoni. La sua fama è però indiscussa, sul campo di battaglia: se si ha la fortuna di passare sotto i suoi ferri, difficilmente si torna a casa in una scatola di frassino. 
 
Peccato che sia una fortuna riservata agli ufficiali superiori e agli altri Alchimisti di Stato. Macchine di morte privilegiate.
 
Mi chiedo, una voce flebile dai meandri della mia mente, se Marder avrebbe remore a salvare e curare un Ishvaliano, tante quante ne ho io a ucciderli. Se la sua, di linea nella sabbia, sia davvero così marcata come vuole far credere. Non credo avrò mai risposta – anche se le sue azioni e parole mi hanno già detto abbastanza.
 
«Senti, Mustang,» riprende poi a biascicare, sullo sbatacchiare di dozzine di bottigliette e fiale di vetro, «io avrei l’ordine di starti appresso come una balia finché non sarai di nuovo in grado di sputare fuoco e fiamme. Ma non ho tempo da perdere, qui, e so riconoscere una seccatura quando ne vedo una, quindi...»
 
Fa una pausa e si avvicina di nuovo a me, tenendo con due dita una boccetta scura e piazzandomela di fronte al naso.
 
«Tu adesso esci di qui, te ne stai un paio di giorni allettato sotto morfina, poi ti prendi qualche goccia di questo e sparisci dalla mia vista. Chiaro?» Mi caccia la bottiglietta nella tasca dei pantaloni e si volta a chiamare a gran voce l’infermiera. «Ruth!»
 
«Che roba è?» riesco a chiedere, tastando sospettoso il profilo del medicinale attraverso il tessuto.
 
«Laudano. Allevia il dolore, stordisce i sensi e ti fa dormire come un neonato. Non abusarne. Una decina di gocce al giorno, mattina e sera, non di più,» aggiunge, con tono improvvisamente serio e più in linea col suo ruolo di medico, anche se solo per un istante. «E non sbandierarlo in giro. Mi aiuta a liberare i letti più in fretta, ma... beh, capisci da solo che non è una procedura ufficiale.»
 
«Capisco benissimo,» mormoro io, livido, ma troppo esausto per reagire in modo appropriato.
 
Pensa al tuo, di lavoro, sembra ripetermi lui con sguardo duro, e seguo quel consiglio, seppur malvolentieri.
 
Un’infermiera e un assistente scostano il telo e fanno il loro ingresso nella sala operatoria, mettendo fine alla discussione e trasferendomi rapidi su una barella. Sento la coscienza vacillare anche per questo lieve sforzo passivo.
 
«Dottor Marder, sta arrivando una mezza dozzina di ufficiali feriti dal distretto di Nahasti. Granate e arma da fuoco, gravi. Possibili amputazioni,» annuncia Ruth in tono monocorde, poco prima di lasciare la stanza.
 
«Fate il triage e mandate qui il salvabile,» annuisce lui, legandosi di nuovo la mascherina sul volto mentre si lava rapido le mani in un bacile d’acqua. «Che notte d’inferno,» borbotta poi tra sé, sfregandosi via con vigore le macchie del mio sangue dai palmi.
 
È l’ultima immagine che ho di lui, prima che il telo lo nasconda alla vista.
 
 
 

 
 

Note:
-Il laudano è uno pseudo-medicinale a base d’oppio realmente impiegato sui campi di battaglia del XX secolo. Veniva prescritto come fosse un’aspirina, a dispetto del fatto che creasse dipendenza.
-Il Caduceo è il bastone alato con due serpenti attorcigliati, simbolo moderno della medicina, associato a Ermes/Mercurio. Il simbolo appropriato sarebbe il bastone di Asclepio/Esculapio con un singolo serpente, ma nel corso dei secoli entrambe le versioni sono andate a rappresentare quest’arte.
 
Note dell’Autrice:
 
Cari Lettori,
eccomi con quest’aggiornamento un po’ in ritardo, ma che spero sia stato gradito.
 
Questo capitolo può sembrare di passaggio (e lo è), ma è fondamentale per raccordare varie parti della storia, oltre che dei punti lasciati in sospeso finora, come il laudano menzionato nei primi capitoli o il perché la ferita di Roy sia guarita male. A questo proposito, essa si trova sullo stesso fianco che poi si cauterizzerà in seguito allo scontro con Lust, questo per spiegare il perché non ci sia una cicatrice in quel punto. Sì, siete autorizzati a dire "che c**o, Roy" :’D
 
Detto questo, grazie a tutti coloro che votano, commentano e leggono la storia ♥
Alla prossima, con un capitolo decisamente più denso di avvenimenti!
 
-Light-
 
P.S. Inutile specificare che Elmer Marder è un mio OC, quindi ne vieto l’utilizzo/rielaborazione in qualsivoglia modo. Il cognome, come tutti della Arakawa e dei miei OC relativi all'esercito, è ripreso da un veicolo militare realmente esistente.
   
 
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