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Autore: margheritanikolaevna    29/05/2021    7 recensioni
Ann Leary ha i capelli viola, un segreto e una missione da compiere. La sua missione include portare via con sè il Bambino e lei non si fermerà davanti a nulla pur di completarla.
Un nuovo amore, un nuovo nemico, un nuovo finale.
Questo racconto è dedicato alla mia amica meiousetsuna, fantastica autrice qui su efp, le cui bellissime storie mi hanno fatto tornare la voglia di scrivere qualcosa che mi facesse battere il cuore
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DODICESIMO
 
La ragazza che viaggiava
 
 
Era caduta anche la brezza e non si udiva altro rumore che il gocciolio dell’acqua che correva verso la laguna e si riversava da una foglia all’altra fino alla terra bruna.
L’aria era fresca adesso, umida e chiara: l’orlo della laguna era diventato una striscia di fosforescenza appena increspata che si muoveva dolcemente intorno alle rocce sulla riva, avvolgendole in una curva tesa e lucente.
Qua e là un oggetto più grande - un tronco o un masso - emergeva, ricoperto da uno strato di perle, piccole onde lambivano il fango della riva ricoprendo tutto con uno strato d’argento.
L’acqua chiara specchiava il cielo chiaro con tutte le sue strane, scintillanti costellazioni e scherzava sui loro corpi allacciati.
Ma Ann Leary era sveglia, il suo tempo stava arrivando.
“Per l’ultima volta. Sì, l’ultima volta” sussurrò, chiudendo gli occhi.
D’improvviso la sua mente scivolò fuori dal corpo e iniziò a volare: nell’aria, sotto le stelle, sulla laguna, invisibile come il vento, fresca come il respiro della foresta nell’oscurità della notte.
Si fermò tra gli alberi, nei fiori, in una goccia di rugiada.
Volava.
Si rannicchiò in una rana dalla pelle blu e con un occhio solo, immobile sul fondo melmoso del lago. Giacque per un istante così, guardando in su attraverso la fresca oscurità.
Attraverso le lucide antenne di un piccolo insetto sentì l’acqua scorrere intorno al suo corpo ritmicamente, in fresche spirali di luce lunare catturata.
Dagli occhi di un uccello notturno guardò in giù, verso la foresta insonnolita e la piccola nave argentata.
Pensò a se stessa, ai suoi strani poteri, al suo mondo che non esisteva più.
La sua mente che si andava indebolendo volò dentro l’uccello notturno che andò a posarsi accanto al Mandaloriano addormentato, nuovamente avvolto nella sua gelida armatura.
L’odore della terra bagnata aleggiava tutto intorno a loro, mentre sugli alberi verde-azzurri le foglie respiravano l’una sull’altra, tremando e frusciando.
Un’ultima volta pensò Ann Leary.
Entrò nella testa bruna, distinse per la prima volta il colore dei suoi occhi dietro le palpebre chiuse.
Ascoltò attraverso le sue orecchie il suo mondo.
Le labbra semiaperte sui denti bianchi, le sopracciglia che si inarcavano nitide, le ossa affusolate.
La sua memoria, i suoi ricordi.
Il suo cuore, una rosa rossa cucita col fuoco, sospesa nel buio.
Ti stai innamorando vi lesse Ann Leary.
L’uomo addormentato si mosse appena nel sonno.
Era così bello stare lì, stargli accanto così profondamente e intimamente!
Era come immergersi in una vasca d’acqua tiepida, appena increspata sulla superficie. 
Avrebbe voluto restare per sempre, ma non poteva.
Il suo tempo era segnato, il gesto che avrebbe dato un senso alla sua esistenza doveva essere compiuto.
Basta! E’ ora di andare 
D’un tratto Ann sbattè le palpebre, il suo corpo s’irrigidì come un guanto nel quale fosse stata infilata una mano.
Si rialzò silenziosamente, si guardò per l’ultima volta intorno e iniziò a correre verso l’astronave.
Salì in un balzo la rampa e aprì la porta del piccolo locale dove dormiva il Bambino.
Lui era sveglio - probabilmente grazie ai suoi poteri aveva sentito cosa era successo lì fuori, aveva sentito lei – e la guardò di sotto in su con aria interrogativa.
Ann deglutì, il cuore che accelerava i suoi battiti.
Si chinò verso di lui, le mani giunte.
Grogu - disse senza parlare - io so chi sei. Conosco i tuoi poteri e sono qui per chiederti una cosa: ascoltami.
 
ooOoo
 
So che è molto pericoloso e non posso obbligarti…ma lo farai?
Ann palpitava, in attesa della risposta.
Poi il piccolo annuì in silenzio e per poco lei non gridò di gioia.
Ma fu solo un istante.
Come tutto dentro di lei le ricordava, il tempo a sua disposizione stava scadendo.
Si alzò di scatto, prese tra le braccia il Bambino e lo sistemò sul sedile del copilota.
Poi, più rapidamente che potè, attivò i comandi per una partenza immediata. 
Il rumore inconfondibile dei motori della Razor Crest che si avviavano strappò dolorosamente Mando dal sonno più dolce che avesse sperimentato da quando era un bambino.
Ancora intontito si sollevò sulle ginocchia, sperando con tutto il suo cuore di essersi sbagliato.
Una frazione di secondo dopo si rese conto che non era così.
Allora balzò in piedi e iniziò a correre con tutte le sue forze verso la nave, il cuore in gola e la testa affollata di mille pensieri confusi.
Quando arrivò alla radura il velivolo si era appena staccato da terra.
Senza rifletterci, tirò fuori il blaster e cominciò a sparare, gridando.
Ovviamente non sortì alcun risultato e quindi si slanciò verso la rampa che ancora stava chiudendosi; fece un balzo e riuscì ad aggrapparsi al margine inferiore.
Poi, con uno sforzo poderoso si tirò su.
I motori ruggivano alle sue spalle.
In equilibrio precario sulla rampa inclinata sotto il suo peso, il vento che cominciava a mugghiare intorno a lui man mano che la velocità aumentava, vide Ann Leary in piedi di fronte a lui.
Era pallida, i suoi capelli guizzavano al vento come una strana bandiera.
Sul volto aveva un’espressione tremendamente triste, che lui dapprincipio non riuscì a distinguere.
“Mi dispiace” disse solo.
Dio sa se non avrei voluto farti questo
Poi, prima che lui potesse tentare qualsiasi reazione, con entrambe le mani e tutta la forza di cui era capace lo spinse, facendogli perdere l’equilibrio e cadere pesantemente all’indietro, sull’erba della radura.
Rotolò al suolo e vi rimase per qualche istante, confuso e attonito.
La rampa si richiuse con un sibilo e il Mandaloriano, quando rialzò la testa, vide la sua nave allontanarsi velocemente.
La sua nave.
Il Bambino.
E tutto ciò che aveva avuto importanza per lui.  
Non riusciva a respirare.
Era come se una mano enorme gli avesse stretto il cuore così, con cinque dita, come si stringe una spugna.
Mentre guardava la navicella scomparire in alto sulla sua testa fu colto da un furore atroce:
avrebbe voluto gridare fino a perdere la voce, spaccare tutto quel che aveva intorno, ma sapeva che sarebbe stato completamente inutile.
Ingannato, così crudelmente ingannato.
Quanto era stato stupido, se a causa sua fosse accaduto qualcosa al piccolo non sarebbe mai riuscito a perdonarsi!
Rimase perciò immobile, incapace persino di piangere, mentre dentro di sé moriva.
Intorno a lui, l’alba sprofondava nel tempo e nelle stelle e nella calda eternità.
 
ooOOoo
 
Nella penombra dell’abitacolo della Razor Crest Ann Leary, seduta al posto del pilota, si passò una mano sul viso. Era bagnata di lacrime.
Con un sospiro, volse lo sguardo verso l’alieno verde che le sedeva accanto, anche lui con un’espressione profondamente triste nei grandi occhi scuri.
“Lo so che è stato doloroso per te lasciarlo” disse “Lasciarlo...così. Ma ho fatto in modo che torni da te, quando tutto sarà finito”.
“Tornerà a prendersi cura di te” aggiunse, allungando una mano verso di lui.
“Te lo prometto”.
 

Note&credits: il titolo cita l’omonimo racconto di Ray Bradbury alla cui protagonista, Cecy Elliot, è – molto molto liberamente – ispirata la nostra Ann. Il capitolo è breve, mi rendo conto, ma fondamentale per lo sviluppo della storia…spero che, tuttavia, non sia ancora tutto completamente disvelato e che vi resti ancora un po’ di curiosità.  Complimenti a meiousetsuna che, col suo talento di narratrice, ci aveva azzeccato e grazie a chi continua a leggere e seguire questo racconto.
A presto!
 
 
  
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