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Autore: Dslock01    01/06/2021    0 recensioni
Maya ha appena dodici anni quando, dopo aver perso il padre in un incidente d’auto, viene inviata dalla madre in un misterioso luogo che i suoi abitanti chiamano Santuario.
È lì che Maya scopre che sua madre, prima della sua nascita, è stata una grande Maestra delle Arti Mistiche, persone dalle capacità straordinarie che proteggono l’universo dalle minacce provenienti dalle altre dimensioni.
Comincia così un lungo addestramento che, dieci anni dopo, la porterà a divenire una potente Maestra.
Tuttavia, dopo la misteriosa scomparsa degli Avengers e, di conseguenza, del suo maestro, Maya si ritroverà da sola a gestire una nuova minaccia proveniente dall’universo: Vither.
Vither, braccio destro di Thanos, è sopravvissuta alla distruzione della forma fisica delle Gemme dell’Infinito e ora si sta dirigendo verso la Terra per recuperare le reincarnazioni viventi delle Gemme, dei bambini di appena sei anni.
Riuscirà Maya, insieme ai compagni che è riuscita a reclutare, a fermare Vither?
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Agente Maria Hill, Altri, Doctor Stephen Strange, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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23 marzo 2035, 5:45 P.M.,
177A Bleecker Street,
New York City.


Il viaggio attraverso il portale non fu affatto movimentato come Maya se l’era aspettato.

Niente tunnel bianchi, nessuno sballottamenti fra le dimensioni… niente di niente.

Il portale si era rivelato una semplice porta, crepitante di magia, che conduceva nei pressi dell’edificio che sua madre le aveva mostrato.

Ora che lo strano vortice l’aveva abbandonata in quel vicolo per poi chiudersi alle sue spalle, Maya non poteva fare altro che raggiungere quella strana abitazione e incontrare Stephen Strange.

Si sistemò la salopette di jeans sul petto e si passò una mano tra i corti capelli castani, nel tentativo di darsi una pettinata.

“La prima impressione che fai su un estraneo è la più importante. Per questo bisogna presentarsi sempre impeccabili”, ripeteva spesso il suo papà.

Certo, lui era un uomo d’affari, ma non guastava mai apparire in ordine.

Stirata l’ultima piega con le mani, la ragazzina si decise finalmente a lasciare il vicolo e dirigersi verso l’abitazione.

Facendo attenzione a non calpestare nulla di viscido, si allontanò dalla parete in cui era scomparso il portale e imboccò il marciapiedi più vicino.

Come ogni strada di New York che si rispettasse, quel viale era ingombro di persone impegnate nelle attività più quotidiane, dalla passeggiata pomeridiana in compagnia del cane alla spesa delle casalinghe con al seguito i propri bambini.

Memore delle numerose gite in città per visitare zia Flora, Maya si schiacciò contro la parete più vicina, in modo da non intralciare il continuo via vai.

Maya osservò che l’edificio dava esattamente su un crocevia, caratterizzato da una pavimentazione di cemento ben pulito e dalla presenza di alcuni alberi, intervallati a lampioni e semafori.

Malgrado fossero presenti molti edifici dalla struttura simile lungo quella via, la ragazza non ebbe alcuna difficoltà a riconoscere quello giusto: le bastò osservare l’enorme finestra dalla forma circolare, decorata dalla particolare grata che sua madre le aveva mostrato.

Strinse i pugni per farsi coraggio e mosse gli ultimi passi che la dividevano dall’ingresso principale.

Salì in fretta i quattro gradini e si ritrovò a fissare la porta, centinaia di pensieri ad affollarle la mente.

Come avrebbe reagito Strange quando gli avrebbe spiegato ciò che era accaduto?

Sua madre aveva anche accennato ad altri abitanti di quello strano edificio.

Loro l’avrebbero accettata?

Sospirò, chiedendosi se non fosse meglio raggiungere la cabina telefonica più vicina e chiamare l’ospedale, chiedendo a Lou di venire a prenderla.

Tuttavia, quando fu sul punto di tornare indietro, la porta a vetri tinteggiata di verde si aprì.

Una donna sulla quarantina uscì, il sacchetto dell’immondizia stretto in una mano.

Maya la osservò incuriosita, studiandone l’aspetto.

I lunghi capelli scuri, raccolti in un’ordinata crocchia sulla nuca, mettendo in risalto un bel viso a forma di cuore e due piccoli occhi castano dorato, incorniciati da leggere rughe.

Indossava un comodo vestito azzurro a maniche lunghe, decorato da una fantasia a farfalle variopinte e un paio di comodi mocassini dello stesso colore.

Quando lo sguardo di Maya incrociò quello della donna, quest’ultima si limitò a sorriderle con gentilezza.

«Ciao, piccola. Posso sapere cosa fai qui?», domandò, piegandosi leggermente sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza.

«La mia mamma mi ha detto di venire qui e parlare con Stephen Strange», rispose prontamente Maya.

La donna strabuzzò gli occhi, visibilmente sorpresa.

«Perdona la mia confusione, ma dovresti spiegarmi meglio la tua situazione? Che ne dici di accompagnarmi al bidone e raccontarmi la tua storia per la strada?»

La ragazzina annuì e seguì la donna in direzione del vicolo in cui era svanito il portale.

«Stamattina, io, la mia mamma e il mio papà ci stavamo dirigendo verso la casa di zia Flora, nel Bronx, quando c’è stato un incidente per la strada. Non ho ben capito cos’è successo, ma sembra che il guidatore di un camion abbia perso il controllo e il suo mezzo si sia schiantato contro le auto della corsia opposta. La nostra auto è stata colpita in pieno. Io sono rimasta illesa, ma il mio papà…», s’interruppe bruscamente, tentando di reprimere le lacrime quando il dolore per la perdita del padre la colpì nuovamente al cuore.

Intuito il destino dell’uomo, la donna le donò un sorriso comprensivo e le batté una mano sulla spalla.

A quel contatto, Maya si ricompose rapida e riprese la narrazione, asciugandosi gli occhi lucidi con la manica della maglia nera.

«Poi, ho scoperto che il mio papà era morto sul colpo mentre la mia mamma è stata trasportata d’urgenza in ospedale. Lì, mentre la stavano operando, la sua Proiezione Astrale è venuta da me nella sala ristoro per gli infermieri, dicendo che mi avrebbe inviato qui per parlare con un certo Strange. Ha insistito sul fatto che fosse necessario evidenziare che sono figlia di Paige McInnos», terminò.

Gli occhi della donna si illuminarono nell’udire quel nome.

«Sei davvero Maya, la bambina di Paige e Robert?», le chiese, incredula.

Maya trasalì.

«Come fai a conoscere il mio nome?», esclamò, sbalordita.

L’altra aggrottò le sopracciglia, confusa.

«Paige non ti ha raccontato nulla del suo passato nel Santuario di Kathmandu?»

Santuario?

Kathmandu?

Cosa diamine stava blaterando quella donna?

Dalla sua espressione confusa, la donna comprese che Paige aveva lasciato Maya allo scuro del suo passato.

«Beh, in ogni caso, io non sono la persona più adatta per spiegarti la situazione. Lascerò che sia il Dottore a metterti al corrente della gloriosa impresa di tua madre.»

Raggiunto il vicolo, la signora si avvicinò al bidone dell’immondizia più pulito e vi lanciò all’interno la sua busta.

Un gatto spelacchiato trotterellò fuori dal suo nascondiglio e balzò nel secchio per assicurarsi qualche buon boccone di cibo avanzato.

Le parole della donna non fecero che confondere ulteriormente la ragazzina.

Quale “gloriosa impresa” aveva compiuto sua madre?

Da quel che ne sapeva, infatti, la sua mamma non aveva mai fatto nulla fuori dall’ordinario.

«Magda!», chiamò una voce all’improvviso, risvegliando Maya dai suoi pensieri.

In quell’istante, un giovane uomo si avviò correndo nella loro direzione.

«Joy!», lo rimproverò la donna quando il ragazzo l’ebbe raggiunta. «Quante volte ti ho detto di non uscire in strada vestito così!»

Maya osservò con attenzione l’aspetto di Joy, incuriosita.

Il ragazzo presentava un fisico esile e dai suoi tratti delicati, quasi femminei.

Sul viso, incorniciati da corti capelli biondo platino ben pettinati, spiccavano occhi azzurri estremamente chiari e un naso sottile, ma ben disegnato.

Tuttavia, ciò che attirò maggiormente l’occhio di Maya furono gli abiti: una casacca a maniche lunghe, un paio di pantaloni infilati in pesanti stivali appena sotto il ginocchio tenuti fermi da lunghe bende nere, una tunica a giromanica aperta sul davanti e tenuta ferma alla vita da una spessa cintura intrecciata da cui pendeva un curioso oggetto che Maya non riconobbe.

Il tutto, rigorosamente nero.

La ragazzina si domandò perché quel ragazzo indossasse qualcosa di così particolare.

«Hai visto per caso il mio taccuino?», domandò a Magda. «Su quel quadernetto sono scritti tutti i miei incantesimi e tu sei l’ultima che è entrata nella mia stanza.»

Maya strabuzzò gli occhi.

Incantesimi?

In che covo di matti l’aveva inviata sua madre?

Magda si prese il mento con l’indice e il pollice, riflessiva.

Qualche istante più tardi, rispose: «Se è quel taccuino tutto rotto, la Cappa l’ha trovato nel cortile e l’ha portato a Wong. Credo l’abbia ancora lui.»

Il ragazzo la ringraziò con un cenno e fece per allontanarsi, quando il suo sguardo venne catturato da Maya.

«E questa ragazzina chi è?», chiese.

La donna sorrise e spinse leggermente la giovane in direzione di Joy.

«Questa è Maya, la figlia di Paige Mcinnos», sorrise.

Il ragazzo strabuzzò gli occhi azzurri, visibilmente emozionato.

«Davvero? Allora tua madre ti avrà insegnato moltissimi incantesimi!», esclamò eccitato. «Che ne dici di insegnarmene un paio?»

Il ragazzo fece per avvicinarsi a Maya, ma quest’ultima indietreggiò, intimorita.

Joy gli riservò un’occhiata confusa, quando Magda scosse la testa.

«Joy, la situazione è molto complessa. Non so se ti ricordi del nostro ultimo incontro con Paige, ma ha mantenuto l’ultima promessa fatta al Dottore. Maya è rimasta allo scuro del passato di sua madre e non conosce nulla della magia», spiegò al ragazzo.

Quest’ultimo storse il naso, infastidito.

«Io ho sempre creduto che fosse una stupidaggine», mormorò.

Magda lo rimproverò con un’occhiataccia.

«Vuoi darmi torto?», continuò Joy, testardo. «Paige aveva un potenziale magico enorme e, se sua figlia fosse stata allenata da subito, a quest’ora sarebbe già stata abilissima.»

Di norma, Maya avrebbe difeso la madre con accanimento, ma in quell’occasione non sapeva davvero cosa dire o pensare.

Tutto quel che stava accadendo era sbalorditivo e, nello stesso tempo, terribilmente spaventoso.

Sua madre possedeva un passato glorioso nel campo della magia e, per qualche motivo, aveva deciso di tenere lei e Marcus allo scuro dell’intera faccenda.

Ma perché?

Di certo, vi era qualcosa che Magda e Joy le stavano nascondendo.

Poi, le ultime parole scambiate con sua madre le vennero alla mente: doveva parlare con Strange.

E subito.

Come a leggerle nel pensiero, la donna le afferrò gentilmente un braccio e la condusse verso l’entrata dell’edificio.

Maya la seguì senza opporre resistenza e, insieme a Joy, fecero il loro ingresso nello strano edificio.

Superata la porta a vetri, Maya prese a guardarsi attorno, stupita.

L’ingresso si immergeva in un’enorme sala sorretta da colonne di nuda pietra meravigliosamente decorate, intervallate a tavolini in legno pregiato dov’erano conservati eleganti soprammobili e strani oggetti di cui non comprendeva l’utilizzo.

Le ampie finestre, decorate da spesse tende di raso rosso, illuminavano la sala di luce naturale, donandole anche un’aria cupa.

Al centro della sala, al termine di una rampa di scale protetto da un tappeto di raso rosso scuro, troneggiava una splendida statua.

Avvicinandosi, la ragazzina si ritrovò a studiare il profilo di un guerriero androgino privo di capelli, ritratto in posizione di combattimento.

A qualche centimetri dalle mani del guerriero erano presenti dei complicati mandala circolari dalle tinte arancioni che sembravano illuminare la camera di luce propria.

Maya comprese di trovarsi dinnanzi alla rappresentazione di una persona che, in passato, doveva aver compiuto grandi opere.

«Bella, vero?», le domandò Joy, orgoglioso. «Questa statua l’ho realizzata io.»

Maya sgranò gli occhi, esterrefatta.

«Davvero? Come hai fatto a renderla così reale?»

Il ragazzo sorrise, battendosi un indice sulla tempia sinistra.

«Intelletto e un po’ magia, tutto qui.»

«Posso sapere chi ritrae?»

Joy s’incupì leggermente, ma non perse il sorriso.

«Questa è la mia mamma», le spiegò, una chiara nota di tristezza nella voce. «Abbiamo vissuto insieme soltanto cinque anni prima che morisse a causa di un uomo di nome Kaecilius. È una lunga storia e non mi sembra il caso di raccontartela in questo momento.»

Maya chinò il capo, comprensiva.

Ora che sapeva anche lei cosa comportasse perdere un genitore, sentiva che non era davvero il momento di risvegliare ricordi così dolorosi.

Inoltre, era certa che sarebbe scoppiata in lacrime per l’ennesima volta al ricordo di suo padre.

«Scusami se ti ho rattristato, non volevo.»

Joy le scompigliò i capelli in un gesto fraterno.

«Se volete scusarmi, io andrei in biblioteca a riprendere il mio taccuino. Buona fortuna con il maestro, Maya», si congedò a quel punto, imboccando le scale che davano sulla sinistra.

Poco dopo, Joy scomparve oltre la soglia di un pesante portone di legno scuro.

Magda spinse Maya nella direzione opposta, indicandole una seconda porta cremisi.

«Quello è lo studio di Strange», le spiegò. «In questo momento è immerso nella meditazione. Basterà spiegargli la tua situazione con chiarezza e sono certa che ti accoglierà con piacere.»

La ragazza deglutì rumorosamente, improvvisamente spaventata.

Se quell’uomo l’avesse mandata via in seguito al loro incontro?

Cosa le sarebbe accaduto?

In quella circostanza, avrebbe dovuto ricontattare Lou dell’ospedale o chiamare Zia Flora?

Malgrado la sua mente fosse piena di dubbi, Maya raccolse tutto il suo coraggio e si incamminò verso la sua meta.

Percorse in fretta l’ultima rampa di scale con il cuore in gola e portò una mano alla maniglia d’ottone.

«Ah, un ultimo accorgimento!», gridò Magda dal piano inferiore. «Ricorda di chiamarlo Dottore! Non sopporta essere chiamato Signor Strange. Buona fortuna!»

La giovane annuì e si decise ad abbassare la maniglia, il battito furioso del cuore che le tamburellava nelle orecchie.

La porta si aprì con un cigolio e, quando fu entrata, si richiuse alle sue spalle con un tonfo secco.

Maya notò all’istante che la camera richiamava molto lo stile dell’ingresso: pareti di legno, pavimento di pietra ricoperto da un ampio tappeto rosso cupo, scaffali colmi di pesanti tomi rilegati in pelle e bassi tavolini su cui erano posti oggetti dall’aspetto mistico.

Il dettaglio che colpì maggiormente l’occhio di Maya, però, fu l’imponente finestra circolare che illuminava a giorno la camera.

Diviso in sedici diverse sezioni sistemati in una circonferenza, il vetro riportava un particolare mandala, dove linee curve e spezzate si incontrava in uno splendido disegno che dava suoi palazzi di New York.

«Gradirei che bussassi prima di entrare», la rimproverò una voce profonda, riportandola alla realtà. «Nessuno ti ha insegnato le regole basilari dell’educazione?»

Maya si diede della sciocca.

«Mi dispiace molto», si scusò, «la mia testa era altrove.»

«Scuse accettate, ragazzina, ma la prossima volta ti lascerò fuori se non busserai», replicò la voce, prima che la figura di un uomo le levitasse incontro, facendola sobbalzare.

Rischiarato dalla luce proveniente dalla finestra alle sue spalle, Maya notò che Strange indossava gli stessi strani abiti di Joy, tranne che di una tonalità blu navy e, a drappeggiargli le spalle, vi era una splendida cappa rosso cupo dal colletto inamidato.

Il mantello, come gonfiato da un invisibile vento, permetteva al dottore di levitare in aria.

Pochi istanti più tardi, l’uomo le stava dinnanzi e la osservava con i suoi indecifrabili occhi azzurro ghiaccio.

Maya distolse subito lo sguardo, intimorita dai suoi occhi perforanti.

«Posso sapere cosa ti ha condotto qui?», le domandò.

La ragazzina fece per parlare, quando la Cappa si sollevò dalle spalle di Strange e, come dotata di vita propria, le si gettò addosso.

Spaventata, la giovane tentò di indietreggiare verso la porta per sfuggire al mantello, quando la sua schiena batté contro il legno dell’uscio.

In un riflesso istintivo chiuse le palpebre in attesa del peggio, quando si ritrovò avvolta in un caldo e rassicurante abbraccio.

Confusa e sollevata nel contempo, Maya spalancò gli occhi: la Cappa si era stretta intorno alle sue spalle, ricoprendo il suo intero corpo con la sua calda stoffa.

«Wow», mormorò. «Non sapevo che le cappe potessero muoversi da sole. Tutto questo è stupefacente.»

Come per ringraziarla del suo complimento, il mantello strofinò il colletto contro la sua guancia in una lieve carezza.

Strange tossicchiò, portandosi un pugno alle labbra.

A quel cenno, la cappa le regalò un’ultima stretta e l’abbandonò per riprendere il suo posto attorno alle spalle del dottore.

«Direi che piaci molto alla Cappa della Levitazione», osservò, la voce leggermente più morbida. «Dovresti esserne onorata, l’ho vista uccidere delle persone.»

Maya tirò un istintivo sospiro di sollievo.

«Ora, desidererei che tu mi spiegassi cosa ci fai nel mio Santuario e perché Magda non ti ha sbattuta fuori gridando come una matta», continuò.

Maya annuì e, quando fece per raccontargli come fosse giunta al Santuario, un piccolo lampo di luce l’accecò per un istante.

Riacquistata la vista, si ritrovò seduta su una comoda poltrona foderata di raso rosso.

Dinnanzi a lei, affondato in una poltrona simile alla sua, vi era il dottore.

«Scusami», accennò un sorriso alla vista della sua espressione stravolta, «ma sembra che tu abbia molto di cui parlarmi e volevo mettermi comodo. Ora, comincia pure.»

Maya, gli occhi fissi sulle sue scarpe, ripeté a Strange ciò che aveva già raccontato a Magda, evidenziando il nome di sua madre come lei le aveva raccomandato.

Quando ebbe concluso, la giovane sollevò lo sguardo per incontrare quelli glaciali dell’uomo.

Il dottore si stava strofinando il curato pizzetto brizzolato con una mano ricoperta da lievi cicatrici sulle nocche, meditabondo.

«Dal momento che resterai con noi per un po’, immagino che io debba spiegarti cosa accadde e perché tua madre ti abbia inviato qui da me», rifletté allora, leggermente seccato.

Sospirò e una semplice tazza di tè bianca comparve in una delle sue mani.

Prese un piccolo sorso e alzò la tazzina in ceramica nella sua direzione.

«Tè?», domandò.

La ragazzina negò con il capo.

«No, grazie. Sono a posto», rispose.

Il dottore annuì e sollevò gli occhi in direzione della finestra circolare, come se stesse raccogliendo i propri pensieri.

Poco dopo, riprese a parlare.

«Circa tredici anni fa, un terribile titano proveniente dallo spazio si diresse verso la Terra alla ricerca della Gemma del Tempo, uno dei manufatti magici più importanti mai esistiti. Il suo scopo finale era creare il Guanto dell’Infinito, una potente arma che, unendo il potere delle sei Gemme dell’Infinito, avrebbe potuto distruggere metà dell’universo. Gli Avengers e i Maestri delle Arti Mistiche della Terra, tra cui io, tentammo di combatterlo. Ed è durante questo scontro che tua madre diede prova di essere un’eroina. Thanos, questo il nome del titano, riuscì a eliminare metà dell’universo, compreso me e la maggior parte dei Maestri della Terra. Tra i pochi sopravvissuti, vi era tua madre. Malgrado la situazione, tua madre non si arrese: incoraggiò i restanti Maestri a darsi da fare e, insieme, protessero la Terra dalle minacce provenienti dalle altre dimensioni per mantenere intatto l’equilibrio dell’universo. Cinque anni più tardi, quando Thanos fu finalmente sconfitto, la metà dell’universo eliminata fece ritorno. Fu anche grazie a tua madre se questa realtà non fu sopraffatta dalle molte minacce provenienti dagli altri universi. Al mio ritorno, scoprii che tua madre non si era arresa perché aveva conosciuto un uomo che amava e, in quel momento, era incinta di circa sei mesi. Mi confessò che desiderava donare al suo piccolo il futuro più roseo possibile. Due mesi più tardi, infatti, abbandonò il Santuario di Kathmandu, dove aveva vissuto fino ad allora, e si allontanò per sempre dal mondo della magia con il suo compagno, il padre della sua creatura. Questo, fino a oggi.»

Maya avvertì un capogiro, improvvisamente esausta.

In un solo giorno aveva subito un incidente d’auto da cui era miracolosamente scampata pressoché illesa, aveva perso il padre e scoperto infine che sua madre, prima di trovare lavoro come cassiera, era un’eroina dai mirabili poteri.

Si prese la testa dolorante fra le mani.

«So che quello che hai appena scoperto è destabilizzante, specialmente per una ragazzina come te, ma credo che Paige abbia compiuto la scelta più giusta inviandoti qui da me», continuò Strange. «Avverto in te un forte potenziale magico che, se allenato, potrebbe portarti a divenire una grande Maestra delle Arti Mistiche. Tuttavia, per iniziare l’addestramento, ho bisogno che tu mi comunichi le tue intenzioni.»

Si interruppe, riservandole un’occhiata dura.

«Non ho alcuna intenzione di sprecare il mio tempo con una ragazzina svogliata e indolente.»

Maya sollevò la testa nella sua direzione e gli restituì un’occhiata altrettanto affilata.

Era giunta a un bivio: attendere con le mani in mano che sua madre venisse a prenderla o sfruttare il suo soggiorno al Santuario per imparare qualcosa di utile sulla magia.

La risposta sembrava piuttosto ovvia.

«Sono pronta, Doctor Strange», affermò convinta. «Cominciamo quando vuoi.»

L’uomo sorrise compiaciuto, passandosi una mano fra i corti capelli castani scuri, ingrigiti sulle tempie.

In fondo, avere quella ragazzina come allieva si sarebbe rivelato più interessante del previsto.

   
 
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