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Autore: JasonTheHuman    01/06/2021    0 recensioni
Umani.
Verità o finzione? Antica civiltà perduta o solo una vecchia favola dei pony?
Nessun pony ne ha mai visto uno, e molti non ne hanno neanche sentito parlare. Ma Lyra sa che queste creature meravigliose sono più di una vecchia leggenda, ed è determinata a scoprirne di più… e possibilmente far impazzire la sua coinquilina nel processo.
Genere: Avventura, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 15

COSÌ TANTO DA IMPARARE

 

A una settimana dal suo arrivo nel mondo degli umani, Lyra cominciò a capire cosa intendesse Audrey quando diceva che era “noioso”.

Beh, no. Non era proprio la parola giusta. Gli umani riuscivano ancora a sorprenderla ogni giorno. Un termine migliore sarebbe “tranquillo”.

A dire la verità, l’ultimo anno o giù di lì era stato stranamente pieno di eventi a Ponyville. Nightmare Moon era stata solo l’inizio, poi c’erano stati i paraspiritelli, l’Ursa Major, il drago. Innumerevoli altre cose dentro l’Everfree Forest di cui aveva solo sentito storie, ma che non aveva mai visto. E la volta che Twilight aveva lanciato quell’incantesimo sulla sua vecchia bambola, quando Bon-Bon e Lyra si erano procurate a vicenda qualche brutto livido. 

Cose così non erano mai successe a Des Moines. Gli umani sembravano totalmente in controllo del proprio mondo. Lyra non riusciva a dimenticare la storia che le aveva raccontato la Principessa Celestia sulla guerra… Ma finora non aveva visto umani che portavano armi. Era difficile da immaginare Audrey, Nathan, o gli altri che aveva incontrato fare cose del genere.

Lyra aveva trovato la sua routine, e passava la maggior parte del tempo ad esercitarsi a suonare la chitarra. Ci stava prendendo velocemente la mano. La musica era sempre stata come una seconda natura per lei, non era una sorpresa. La chitarra era abbastanza semplice da imparare, ma l’amplificatore la confondeva. Era necessario per emettere suoni, ma non capiva né il come né il perché.

I libri di Nathan l’avevano aiutata. Scoprì che la chitarra era basata più sugli accordi che sulle singole note, e pertanto era diversa dalla sua lira. Provò qualche vecchia canzone che aveva memorizzato per il concerto al Galà, ma non suonavano bene sulla chitarra.

Questo era uno strumento fatto per la musica degli umani. Aveva pertanto chiesto ad Audrey qualche registrazione musicale da ascoltare ed imparare ad orecchio.

“Intendi, musica rock?” Chiese Audrey.

Lyra annuì. “Era ciò che era scritto sul volantino. Però non conosco chi siano quei musicisti.”

“Penso che mio padre possa avere roba del genere. Chiedi a lui.”

Era sabato – entrambi i genitori di Audrey avevano il giorno libero, e Lyra trovò il padre di Audrey di fronte alla televisione in soggiorno. Passavano molto tempo lì, ma osservare a lungo le figure che si muovevano faceva bruciare gli occhi a Lyra. 

Lui la notò prima che potesse dire alcunché. “Ciao, Lyra. Hai bisogno di qualcosa?”

Lei annuì. “Lei ha qualche disco di musica per chitarra, vero? Rock, nello specifico. Sto tentando di imparare.”

“Cerchi musica da chitarra? Pensavo che Audrey avesse detto che suonavi la lira.”

“Sì, lo facevo, ma voglio imparare qualcosa di nuovo.” Aveva imparato molte cose ultimamente, e la musica era stata probabilmente la cosa meno complicata tra quelle. “Se ascolto qualcosa, solitamente riesco a suonarla ad orecchio.”

“Vediamo. Ho molta musica degli anni settanta, se ti va bene,” disse. Gli umani tendevano a descrivere molte cose con i numeri. La condusse ad una mensola piena di sottili custodie. “CCR, Deep Purple…”

“Penso che quell’ultimo fosse scritto sul volantino. Quelle canzoni hanno parti di chitarra, no?” chiese Lyra. 

“Non sarebbe rock senza.” Prese alcune custodie quadrate dalla mensola.

“Tenete la musica dentro queste cose?” chiese Lyra, prendendone una e girandosela nelle mani. Era così piccola. “Sono abituata ad altre cose da dove vengo. Li chiamiamo vinili.”

Quell’affermazione lo fece ridere per qualche motivo. “Di solito sono i ragazzi della tua età a non sapere come funzionino i vinili. Ti mostro come fare per ascoltarlo?”

Lei annuì.

Lui aprì la custodia, muovendo velocemente le dita e pressò al centro. “Tienilo così. Cerca di non lasciare impronte su questo lato.” Reggeva il disco tenendolo con un dito infilato nel buco al centro, e un altro sul bordo.

Lyra lo prese dalle sue mani, tenendolo accuratamente nella stessa maniera. La luce colpì il disco argentato, creando motivi ad arcobaleno sul lato riflettente. “È stupendo.”

“Credo ci sia uno stereo nella tua stanza, Lyra,” disse lui. “Ti faccio vedere come si fa.”

Non aveva notato lo “stereo” prima, sembrava solo un altro pezzo d’arredo. Il disco veniva risucchiato in uno scompartimento che si apriva sul davanti, e la musica veniva riprodotta nonostante non ci fosse una tuba da cui farla uscire. Il suono era meno graffiato di un grammofono, e il padre di Audrey le mostrò come saltare direttamente all’inizio di ogni canzone, o come farle andare in loop. 

Ascoltò una canzone chiamata “Lodi” un po’ di volte. Era piacevole e lenta, e riusciva decisamente a rivedersi nelle parole. Una volta individuata la parte di chitarra, la studiò tutto il pomeriggio, finché le sue dita non si muovevano da sole e riusciva praticamente a suonarla da addormentata.

Da unicorno, suonare la lira troppo a lungo le dava l’emicrania. Usare la magia richiedeva un considerevole focus mentale, suonare entrambi gli strumenti con le mani era molto più rilassante. Dopo aver imparato una canzone, poteva perdersici per ore. E, infatti, è quello che era successo — si dovette ricordare di staccare quando era ora per Audrey e la sua famiglia di andare a letto.

Qualche pony suonava la chitarra, ma Lyra non aveva idea di come facessero. Le dita le davano preciso controllo su ogni corda. Aveva visto pony suonare chitarre con gli zoccoli, ma era molto lontano da ciò che poteva fare con delle dita. Probabilmente, anche i pianisti umani erano migliori. O anche i musicisti di ogni altro tipo di strumento musicale. 

Aveva cominciato da poco più di una settimana. Era difficile immaginare che era un’umana da così tanto tempo. Lyra era nella sua camera, come al solito, lavorando su una nuova canzone.

“Non è male.” Lyra alzò lo sguardo dalla sua chitarra e vide Audrey nel corridoio, a braccia conserte.

“Grazie. Sto lavorando su una nuova canzone,” disse Lyra.

“Quante ne hai imparate finora?”

“Penso, forse… tre?” Si tamburellò il mento. “No, quattro.”

“In appena una settimana.”

“Lo so.” Lyra tornò a suonare, strimpellando il riff principale di una canzone chiamata “Smoke on the Water.”

Audrey si sedette accanto a lei e la osservò. “È strano. Sei brava a suonare — veramente brava. Sei praticamente un prodigio.”

“È quello che dicevano pure i miei genitori.” Lyra sorrise. 

Audrey annuì e fissò il pavimento. Si era trattenuta dal fare tante domande a Lyra ultimamente, probabilmente perché Lyra non aveva intenzione di risponderle. Lyra posò la chitarra sul letto accanto a sé. Audrey aveva ragione, aveva imparato a suonare veramente in fretta.

Lyra si alzò d’improvviso, e raggiunse il suo zaino. Il diario era sopra di esso, a fianco della lira che era rimasta lì a prendere polvere per un po’. Ma ciò di cui aveva bisogno ora era il volantino infilato sotto la copertina.
 

CERCASI MUSICISTA. 
 

Lyra non poteva esimersi dal chiedersi se il posto da chitarrista fosse ancora libero. E ora sapeva qualcosa sugli Aerosmith e i Deep Purple — erano famosi gruppi musicali umani, e ora sapeva suonare qualcuna delle loro canzoni.

Si sedette vicino ad Audrey, leggendo di nuovo il volantino. “Sai, penso che potrei essere pronta per il provino ora.”

“Ci sei ancora fissata, vero?” disse Audrey.

Lyra annuì. “Come li contattiamo? Dicevi di sapere come fare.”

Audrey si stese sul letto, appoggiandosi con le braccia. “È passato del tempo da quando l’hai preso. Potrebbero aver già trovato un altro chitarrista interessato.”

“Vorrei comunque provare.”

“Sembra che sei decisa e pronta, almeno. In qualche modo.” Audrey fece spallucce. “Potremo provare a chiamarli.”

“Sì. Facciamolo.” Lyra non era sicura di cosa volesse dire “chiamare”, ma si stava piano piano abituando al modo di parlare umano.

I suoi genitori avevano sempre voluto che intraprendesse una carriera musicale. E in un certo senso, era quello che stava facendo al momento. In realtà non era più un pony, e questa musica umana non era quella che ascoltavano la maggioranza dei pony, ma Lyra sapeva che sarebbero stati comunque fieri di lei se l’avessero vista ora. 

“Tieni,” disse Audrey, porgendogli qualcosa. 

Era la cosa che Audrey usava spesso, e che ora era abbastanza convinta non si chiamasse Nathan. Lyra lo prese con esitazione, e lo esaminò. “Cos'è?”

Audrey si grattò la testa. “Giusto. Probabilmente avrei dovuto chiederti se sapevi come usare un telefono…”

“Beh, no,” dissee Lyra. “Ma voglio imparare! Insegnami!”

“Uh… Da dove comincio…” Audrey ci pensò un attimo. “È strano. Impari a suonare così velocemente, ma devo comunque spiegarti cose come questa…” 

“Per favore? Fa del tuo meglio.” 

“Devi digitare quel numero del volantino. E poi parlare a chiunque ti risponda. Digli che hai visto il loro annuncio e vuoi entrare nella band.” Esitò un attimo prima di aggiungere, “se ti chiedono da quanto tempo suoni, mentigli.”

“Ok…” Lyra guardò il telefono che aveva in mano. Tentò di ricordare come l’avesse usato Audrey. “Quindi… questi numeri?” Passò delicatamente un dito su di essi. 

“Te li leggo.” Iniziò a dettarle il numero, ma Lyra la fermò subito.

“Più piano.”

Audrey sospirò e tornò indietro, pronunciando le cifre una alla volta. Lyra pressò i numeri in sequenza con le sue dita. I tasti cedettero un po’, producendo ogni volta una nota musicale.

“E ora?” chiese Lyra dopo aver pressato l’ultima cifra.

“Parla.”

Lyra si portò il telefono vicino alla faccia. Udiva qualcosa che squillava. “C’è… C’è qualcuno?” Si sentiva ridicola. 

Gli squilli continuarono, e poi si fermarono di botto. “Pronto?” La voce arrivava da dentro il telefono. Lyra lo fece quasi cadere dalla sorpresa, ma lo riprese appena in tempo.

“Oh, uh… chi sei tu?” chiese lei.

“Hai fatto il numero sbagliato?” disse la voce.

“Digli che sei interessata alla band,” la intimò Audrey.

“Oh! Giusto.” Lyra non era sicura esattamente dove dovesse guardare. Era strano parlare a qualcuno senza poterlo neanche vedere. “Ho visto la locandina, e sono una chitarrista, quindi pensavo…”

“È per la band? Sì, grande,” disse la voce. “Il mio nome è Randall. Sono il cantante e manager temporaneo, fino a quando non riusciamo a trovare qualcun’altro. Quando puoi venire? Sarebbe opportuno farti fare un provino.”

“Oh, uh…” Lyra si fermò. “Penso di poter venire quando vuoi.” Si voltò verso Audrey, che le tornò uno sguardo confuso.

“Fatti dire l’indirizzo,” disse lei.

“Huh? Oh, giusto. Dove vivi?” chiese Lyra. 

Audrey le porse una penna. Lyra si destreggiò tra penna e telefono, portando quest’ultimo dal lato opposto così che potesse scrivere.

“Cosa ci faccio con questa?” chiese.

“Scrivilo.” Audrey indicò un punto del volantino, e Lyra annuì. Trascrisse quello che le diceva la voce al telefono. Sembrava un indirizzo. C’erano anche molti numeri in mezzo. Sembrava che agli umani piacessero tanto i numeri.

“L’hai ricevuto bene?” disse la voce.

Lyra finì di scrivere ed annuì. Poi si ricordò che probabilmente neanche l’umano dall’altro lato del telefono poteva vederla, quindi aggiunse, “Sì, ce l’ho.”

“Non ho tanti impegni questa settimana. Ti va bene se lo facciamo domani pomeriggio ad una qualche ora? Voglio solo sentire come suoni, è tutto.”

“Domani…” Lyra guardò verso Audrey. “Sì, sarebbe bello.”

“Allora ci vediamo domani. Porta con te i tuoi spartiti. Non vedo l’ora di ascoltare che sai fare.”

La voce venne tagliata all’improvviso dall’altro lato. Lyra portò il telefono lontano da sé e lo fissò, cercando di capire cosa fosse andato storto.

“Pressa il bottone rosso,” le disse Audrey. Lyra ne provò uno. “L’altro, quello sul lato.” Quello sembrò funzionare. Il display ora mostrava un orario ad intermittenza.

“Che succede ora?” chiese Lyra, restituendo il telefono ad Audrey. 

“Hai detto che hai il provino domani, no?” disse Audrey. “I miei genitori saranno entrambi a lavoro di nuovo, e non ho la macchina…” Pensò qualche momento, quindi cominciò a premere di nuovo i numeri sul telefono. Le sue dita si muovevano velocemente. Lyra osservò come lo usava — a lei veniva molto più naturale e facile.

“Hey, Nathan? Sei impegnato domani?”


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Il campanello suonò il pomeriggio dopo. 

“È probabilmente lui. Vai ad aprirgli, io stampo questo intanto.” Audrey aveva a malapena alzato la testa. Stava usando una cosa che aveva chiamato “Google Maps” — anche se sembrava più un’altra televisione che una mappa. E Audrey ci stava seduta molto più vicina.

Lyra scese al pianterreno e aprì la porta d’ingresso.

“Oh, ciao Lyra,” Nathan era lì, con un un portachiavi che gli pendeva dalla mano. “C’è Audrey?”

“Ciao! Audrey è su. Non sono sicura che stia facendo,” disse Lyra.

Sentirono dei passi venire dalle scale, e il momento dopo Audrey era lì con un foglio di carta in mano. Lo passò a Nathan.

“Ho stampato il percorso. Grazie per aver accettato di accompagnarla.”

“Non che fossi davvero impegnato oggi.” Fissò il foglio che gli aveva dato. Dallo sguardo che gli aveva dato, a Lyra sembrava una mappa — una veramente complicata. “Penso di sapere dove si trova…”

“Non sappiamo molto di questo tizio, ma sembrava a posto al telefono,” disse Audrey. “Però sta attento lo stesso.”

“Lo farò.” Nathan annuì e tolse gli occhi dalla mappa. “Pronta ad andare, Lyra?”

“Sì, il tempo di prendere la mia chitarra.” 

“Tecnicamente, è ancora mia.”

“Già…” disse Lyra. Salì di nuovo nella sua stanza. Mise la chitarra nella custodia, se la portò alle spalle e sollevò il pesante amplificatore, tendendo le dita dal peso. 

Una volta giù, lo lasciò quasi cadere di fronte ai due umani. “Ora sono pronta,” disse, affannata.

“Lo posso portare io per il resto della strada. La mia macchina è nel viale.” Nathan indicò col pollice sopra la sua spalla, verso la porta d’ingresso. 

“La tua…?”

Lyra lo seguì fuori nel giardino, dove una di quelle carrozze li stava aspettando. Non era quella che si trovava solitamente lì — questa era grigia, ed era uno dei modelli più piccoli. 

“Prendiamo quella?”

Nathan chiuse uno degli sportelli posteriori. “Sì. Non temere — ho preso la patente da poco, ma sono prudente alla guida. Non ti devi preoccupare di niente.”

Girò attorno alla macchina fino ad una delle porte anteriori ed entrò dentro. Lyra restò totalmente immobile per un istante, ma lui le fece un cenno per dirle di entrare. 

“Vieni, e metti la chitarra sui sedili dietro,” le disse.

Lei annuì, e trovò la maniglia della porta. Fece scorrere le dita dentro, e tirò verso fuori. Il sedile era pieno di un sacco di cose — carte, una lattina, qualche busta della spesa. Mise la chitarra sopra tutto il casino, chiuse la porta, e andò dall’altro lato per sedersi nel sedile accanto a lui, sul lato destro. 

C’erano molti tipi di bottoni come quelli sul telefono o sullo stereo, e una leva tra i sedili, e una qualche tipo di ruota di fronte a Nathan. Come in una nave, Lyra realizzò — Probabilmente lo usava per sterzare. I sedili erano comodi, ma non c’era quasi spazio per le gambe.

“Dove ho messo quel…” disse lui. Cercò un po’, e trovò la mappa. “Ah. Eccola.”

Lyra stava ancora facendo l’inventario del veicolo. Una tazza si trovava vicino il sedile di Nathan — c’erano due rientranze modellate perfettamente per quello scopo, una delle quali aveva qualche moneta dentro.

Lui girò la chiave e l’intero veicolo si scosse. Un qualche tipo di rombo veniva da dietro di loro. Lyra potè sentire il cuore batterle in petto. Era stato rumoroso, e quando cominciarono ad andare indietro per immettersi nella strada, riuscì a malapena tenere gli occhi aperti.

“Qualche problema? Mal d’auto?”

Aprì un poco gli occhi, e poi li richiuse di nuovo. “No, sto… bene. Va tutto bene.”  Aveva probabilmente parlato più a se stessa che altro. 

“Lyra, sei mai stata in un’auto prima d’ora?”

“Una di queste?” Le gambe le si irrigidirono. Le osservò. Meglio quelle che i finestrini.

Un ricordo improvvisamente si fece strada nella sua mente — Rainbow Dash che la tirava fuori da un carretto di mele senza controllo secondi prima che carenasse oltre il ciglio di un dirupo. In questa vettura erano completamente rinchiusi e si erano addirittura cinturati. Per non parlare del fatto che non vedeva un pegaso da più di una settimana. 

Tutti quei pensieri non la fecero sentire meglio. “Beh… una volta.”

“Solo una volta?” La guardò per un momento, e poi di nuovo davanti a sé.

“Non era esattamente così. Ma… simile. Non avevamo queste cose da dove vengo.”

Lui annuì lentamente, anche se era evidentemente confuso. “Non preoccuparti. Non andremo lontano.” Tenette gli occhi fissi davanti a sé, senza girarsi mentre parlava. “Da dove vieni, che non sei mai stata in una macchina?”

Lyra sospirò. “È normale chiedere così tante cose a qualcuno che hai appena incontrato?”

“Giusto… Probabilmente Audrey ti avrà già torchiato. Non è solo con te. Le piace analizzare le persone,” disse Nathan. “La ragione per cui ti sta ospitando è probabilmente perché sei così misteriosa. Anche se ha senso che voglia scoprire di più su di te.”

“Sono solo un normale umano.” Lyra notò il suo stesso riflesso in uno specchietto attaccato a lato della macchina.

“Non vuoi proprio parlarne, huh? Non ti spingerò a farlo.” 

“Non c’è niente di male in me.”

“Forse no, ma direi che sei molto lontana dall’essere considerata normale.”

Nathan sembrava completamente calmo. Lyra guardò le mani di Nathan, e ciò la distrasse da quello che le succedeva attorno. Le mani impugnavano la ruota mentre sfrecciavano per la città, e lui le muoveva verso i lati quando l’auto doveva cambiare direzione. Come pensava, era il meccanismo di pilotaggio. Dopo un po’ di tempo, Lyra cominciò ad abituarsi al movimento, ma era ancora curiosa di come questa cosa riuscisse anche solo a muoversi.

Andavano molto più veloci di una carrozza. La velocità non era così percepibile da dentro, rispetto all’impressione che davano quando le osservavi dal marciapiede. Rallentarono di nuovo mentre entravano in un altro quartiere.

Il viaggio era durato solo pochi minuti, anche se era sembrato molto più lungo. E dovevano trovarsi adesso a varie miglia dalla casa di Audrey. Si fermarono davanti ad un edificio di mattoni, e Nathan guardò fuori al numero sulla cassetta della posta.

“Eccoci… Sei sicura che vuoi entrare lì?”

“È dove dovevamo andare, no? Avevi tu la mappa.”

“Beh, sì, ma…” Continuò a guardarsi attorno.

“Non sono per niente nervosa. Mi sono esercitata moltissimo,” disse Lyra. “Sono sicura che mi lasceranno unire a loro.” 

Nathan la fissò. “Non è quello che mi preoccupa.”

Lyra cercò attorno a sé come slacciare la cintura che le bloccava il petto, e pressò il pulsante. Aprì la porta ed uscì fuori, con le gambe ancora tremanti. Poggiò il braccio sulla macchina per sorreggersi finché il tremore non cessò. “Che stai aspettando? Andiamo!”

“Lyra, non credi —” Nathan cominciò a dirle, ma lei aveva già preso la chitarra e si stava dirigendo alla porta d’ingresso. Lui sospirò e uscì dalla macchina, controllando due volte di averla chiusa.

Lei guardò ai lati della porta. “Non hanno uno di quei…” Non c’era un campanello, quindi chiuse la mano a pugno e bussò. Le urtò le nocche, non erano resistenti come gli zoccoli.

“Voglio dire, se non ti va bene, fammi sapere. Possiamo subito tornare indietro,” disse Nathan. Indicò dietro, verso la macchina.

La porta si aprì e un altro umano comparve davanti a loro, più alto e robusto di Nathan. Alzò la mano per scostare i suoi capelli lisci e neri da davanti gli occhi. Erano  lunghi quasi quanto quelli di Lyra. 

“Um… Sono qui per la band?” disse Lyra.

Lui annuì. “Oh, giusto… tu sei la ragazza che voleva il posto da chitarrista. Ti stavo aspettando. Vieni dentro e parliamo.”

Lyra lo seguì velocemente dentro, ma Nathan la toccò sul braccio. “Sei sicura?”

“Dai. è un umano come me e te.”

“Non lo metto in dubbio.”

“Allora, venite?” l’uomo guardò indietro verso di loro.

“Certo!” Lyra mise una mano sulla custodia della chitarra alle sue spalle e si affrettò a raggiungere il soggiorno. 

Furono invitati a sedersi su un divano, e l’altro uomo si mise su una poltroncina bitorzoluta di fronte a loro. Fece un cenno a Lyra. “Eri tu al telefono?” La guardò. “Sembri molto giovane.”

“Oh, è okay. Ho sedici anni.”

“Giusto… Devi essere quella con cui ho parlato ieri,” disse. “Puoi chiamarmi Randall.”

La sua voce sembrava quella che aveva sentito al telefono, ma era strano pensare che avevano già parlato quando si stavano incontrando adesso per la prima volta. Lei notò lo strano disegno sulla sua maglietta — insolitamente dettagliato, anche per un indumento umano. C’era disegnato quello che doveva essere uno zombie umano, e le parole “Iron Maiden” scritte in rosso.

“Sei tu il capo?” disse Lyra. Non era come i provini che teneva di solito, ma in quelli c’erano pony e non umani.

“Devo dire che sono felice di aver trovato qualcuno disposto a farci da chitarrista. Un gruppo non può chiamarsi tale senza, non trovi?”

“Uh… Sì.”

“Quindi, tu sei…”

“Lyra.” 

“Lyra…?” La sua voce si allungò in attesa del continuo.

Lei lo fissò. “È quello che ho detto.”

“Hai un cognome, Lyra?”

“No. Solo Lyra.”

La sua espressione rimase vuota per un istante, e poi scoppiò a ridere. “Bene, okay. Allora, solo-Lyra, hai esperienza in esibizioni?”

“Sì, un sacco.” Disse raggiante d’orgoglio. “Infatti, sono stata scelta a suonare al Galà reale da dove vengo.”

“Un… galà reale.” Si poggiò allo schienale della poltrona. “Che è, sei britannica?”

Lyra fece una smorfia. “Non credo…”

“Beh, comunque sentiamo che sai fare. Dopotutto, ciò che conta realmente è che tu sappia suonare, non è così?”

“Già…”

Nathan si alzò. “Prendo l’amplificatore dal bagagliaio. Va pure avanti, Lyra.” Lui si sbrigò a tornare fuori.

Randall puntò un dito. “E quello era…?”

“Il mio amico Nathan. Mi sta prestando la chitarra.”

Lei notò un motivo nero e contorto sul braccio sinistro di Randall. Sembrava un drago — come quelli che aveva visto durante la migrazione dei draghi, o quella volta che Spike era cresciuto a dismisura. Quella era stata l’unica volta che aveva osservato un drago a grandezza naturale da vicino. “Come l’hai ottenuto quello?”

“Oh, questo?” alzò il braccio e lo guardò. “Heh. Mi sono svegliato una mattina con un mal di testa straziante e questo era apparso. Chissà che altro era successo quella notte.”

“Affascinante…” Non solo questo umano aveva un cutie mark, ma non ricordava neanche come se l’era guadagnato.

Aprì una porta e la portò in un’altra stanza. “Di solito suoniamo qui. Ti faccio sistemare l’attrezzatura.” Appena toccò qualcosa sul muro, un’intera parete tremò e cominciò ad alzarsi.

Fuori, Nathan stava portando l’amplificatore verso la casa, ed entrò nella stanza dove si trovavano. Si guardò attorno. “Wow. Una vera band da garage.”

“Usiamo quello che abbiamo,” disse Randall.

Era come un capanno degli attrezzi attaccato alla casa, col pavimento di pietra dura e macchiato di qualcosa di nero. Lyra si mise a lavoro per montare l’amplificatore. Era ancora difficile ricordare come collegarlo — l’aveva tenuto sempre montato dalla prima volta che l’aveva usato, per usarlo nella sua stanza senza doversi preoccupare di quella parte.

“Bisogno d’aiuto?” chiese Randall, alzando un sopracciglio. Prese una delle corde e la attaccò al muro.

“No, io… Penso di esserci.” Lyra era rannicchiata, tentando di identificare tutti i cavi. Trovò il capo che si doveva connettere alla chitarra e lo fece scattare in posizione, quindi si alzò. “Sono pronta.”

“Sentiamo.” Lui rimase alzato con le braccia conserte. 

Lyra cominciò con “Smoke on the Water.” Era la sua canzone più recente, ma una delle sue preferite. Mise tutta la sua concentrazione sulle dita e sul suono della chitarra. Si dimenticò pressoché dei due umani che la stavano guardando, o della stanza fredda e sporca in cui si trovavano. A dirla tutta, non era così diverso dalle prove per un concerto a Canterlot. Se era abbastanza brava a suonare, non aveva niente da temere.

Dopo qualche minuto, Randall alzò la mano. “Va bene. È abbastanza.”

Lyra si fermò e alzò la testa. Scostò i capelli da davanti gli occhi. “Era buona?”

“Sì. in realtà grandiosa,” disse Randall. “Voglio dire, stavo per farti entrare a prescindere di come suonassi. Eravamo tutti un po’ disperati. Ma questo… da quant’è che suoni?”

“Più o meno da tutta la vita.” Non era tecnicamente una bugia. Non aveva chiesto cosa avesse suonato. O come. Lyra piegò le dita. “Chi intendi con ‘tutti’?”

“Ti presenterò gli altri membri della band. Le prove saranno il prossimo lunedì pomeriggio.” 

“Quindi… Mi avete preso?” Lyra cominciò a sorridere.

“Benvenuta nei Crimson Thunder.”

Non ci poteva credere. Una band umana. Stava per suonare musica con altri esseri umani!

Corse a stringere vigorosamente le mani di Randall. “Grazie mille!”

Lui la guardò un po’ sorpreso, con gli occhi spalancati. “Immagino ci vedremo lunedì allora.”

“Esatto…  lunedì pomeriggio.” Lei annuì, ancora sorridendo.

Se non fosse stata qui così a lungo, Lyra avrebbe giurato che si trattava di un sogno incredibilmente vivido. Cosa penserebbe Bon-Bon di lei adesso?

   
 
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