EPILOGO
Mi sveglio immerso in un’alba da favola. Il sole illumina il
me stesso che cammina verso l’orizzonte illuminato.
All’improvviso avverto tanto rumore, baccano prodotto da
persone e animali.
Cammino verso quello che appare subito come il centro della
mia città; è agghindato a festa, come a Natale, e un grande albero illuminato è
cosparso di lucine che lampeggiano a intermittenza. Tutt’attorno, un grande
mercato.
Mi inoltro in questa visione e noto le persone felici che
parlano tra loro. Hanno cani festosi ai guinzagli, che si annusano tra loro,
guaendo e scodinzolando con serenità.
Mi colpisce molto il fatto che la gente non indossi
mascherine o guanti, niente di niente, sono solo… persone felici, appunto.
Ed ecco il colpo di scena. Tra i venditori ambulanti eccolo lì,
G, sorridente a sua volta. Mostra a tutti la sua merce, tutta chincaglieria
inutile che solo una vecchia volpe come lui riesce a vendere. Naturalmente non
resisto e mi avvicino subito, deciso a salutarlo.
“Ehi, ciao” saluto con prontezza, giuntogli di fronte. Ma G
mi rivolge uno sguardo curioso e sorridente.
“Dimmi, ragazzo, cosa vorresti comprare?” mi indica la sua
merce. Tossicchio, imbarazzato; credo che ci siamo fraintesi.
“Ehm, G, non mi riconosci? Sono Alex…” borbotto. Sento il mio
viso che avvampa, appena noto che egli non solo non mi riconosce, ma torna a
sorridere benevolmente e scuote la testa con sicurezza.
“Mi dispiace, amico, io non conosco nessun Alex. Però mi stai
simpatico, sai? Dai, scegli qualcosa dal mio banco, ti faccio un buon prezzo”.
Gli do le spalle e me ne vado. Inizia a starmi stretta questa
atmosfera. G non mi riconosce? E… che cazzo!
Abbandono il paese e in un attimo nemmeno rientro a casa.
Se fossi cosciente, mi accorgerei che il tempo scorre troppo
in fretta, qui. Una rapida sequenza di immagini mi conduce al cospetto dei miei genitori, in apprensione, che sembrano
attendere qualcuno. Sono in cucina e in pigiama.
“Mamma” saluto mia madre, sorridendo. Lei è la prima che mi
ha visto, ma non accenna a nulla.
“Mamma? Babbo?” domando. Va a finire che…
“Chi sei, ragazzo?” mi chiede mio padre.
Ecco, ho capito tutto.
Li lascio che ancora mi guardano con fare interrogativo. Ehm,
bene, in questa realtà a quanto pare non mi conosce nessuno!
L’istinto mi porta a camminare un po’ all’aperto, riconosco
immediatamente le mie amate campagne e i loro suoni. Galli che cantano, felici,
anitre che starnazzano in lontananza, il tutto con il sottofondo dei grilli e
delle cicale. Qualche lucciola illumina una notte fonda ma piena di vita.
Cammino per un po’ e inizio a sentirmi in pace, qui dove
ormai non sono più nessuno per l’Uomo, ma sono una componente essenziale del
Tutto.
Una sensazione piacevolissima si espande nel mio petto,
sembra una carezza di una qualche divinità del sonno. Perché adesso sono sempre
più consapevole che si tratta di un sogno e vorrei che questo non finisse mai.
Eppure, la consapevolezza spesso porta a un risveglio…
Apro gli occhi; sono nel mio letto.
Non è più notte fonda e la luce dell’alba colpisce con forza
il mio viso.
Anche questa lunga notte è finita; una notte a due facce, con
due sogni così diversi e contrastanti tra loro.
Nel complesso però mi sento soddisfatto, quest’ultimo viaggio
onirico è stato piacevole, come anche quello precedente, in fondo. Peccato che
non abbia avuto la forza per concedermi a G, almeno in sogno, ma non fa niente.
Ed ecco che la realtà mi piomba addosso come un macigno…
mentre mi alzo dal letto con un sorriso beota impresso sul viso, mi vedo
riflesso nello specchio e mi sento un po’ scemo. Ricordo come questa sia la
vera realtà e quanto essa mi stia stretta, e anche antipatica. Se quello che ho
visto in sogno è il mondo prima, questo è il mondo di adesso, dove devi tenere
sul volto la mascherina anche se ti fa soffocare e dove nemmeno un gelato mi
posso gustare, qui in campagna, perché nessuno lo recapita. E non posso nemmeno
andare a prenderlo, che non si può girare.
La vita ha perso anche il dolce delle piccole cose.
Qui gli animali magari cantano di gioia di notte, ma all’alba
le loro serenate vengono interrotte dall’orrore del macello. I canti diventano
strilla disperate prima della morte.
Urla di orrore, come quelle delle tante persone che stanno
male. Grida di sofferenza che rendono questo pianeta un martirio di proporzioni
colossali.
Chissà se esiste una qualche altra Terra, tra tutti gli
esopianeti esistenti, in cui la vita esista nella sua forma più pacifica.
Comunque, in tutto questo dimentico che una guerra o un
conflitto militare sarebbero stati ben peggio del coronavirus, almeno ora
l’umanità è una sola, unita nella lotta contro la sciagura. Ora mi sento parte
dell’Uomo, anche quando non mi sono mai sentito tale.
Vorrei esser stato utile in questa tragedia. Poter dire, in
un futuro prossimo, che ho fatto di tutto per salvare l’Uomo. Invece sono stato
solo un inutile codardo.
Certo, ho rispettato tutte le regole, sono stato a casa e da
bravo cittadino ho seguito alla lettera ciò che il governo ha dettato, tuttavia
avrei tanto desiderato di fare qualcosa di più attivo verso il prossimo. Aver
seguito le regole può bastare per questo? Oppure sono così egoista da bramare
gloria eterna anche quando non me la merito assolutamente?
Credo che, in fondo, siamo stati tutti eroi, questa volta. A
modo nostro, ma tutti. Nessuno escluso. A parte chi ha violato le regole,
naturalmente.
Questa è una nuova alba e per me è un nuovo inizio;
abbraccerò mia mamma e le dirò che le voglio bene. Seguirò le regole e farò il
bravo.
Smetterò di pensare a G e vivrò serenamente ogni attimo della
mia esistenza, pensando a quanto sono fortunato ad avere tutto, a non aver
perso niente e ad essere ancora in ottima salute.
Sì, questo è un nuovo inizio.
Dicono che ogni inizio parta da una fine, giusto? Questo
racconto appunto è iniziato così, e come un cerchio si chiude, per poi
ricominciare.
Una cosa è certa; voglio amare.
E voglio salvare James, il nostro amato agente speciale James
Barley, in una futura storia. D’altronde anche lui, come tutti noi, è vittima
di un sistema; vittima delle bugie, delle doppie facce.
Io la mia maschera la voglio calare. Ehm, non
fraintendiamoci, voglio calare solo quella delle bugie, non quella chirurgica
che preserva la mia salute e quella altrui.
Questa narrazione ha avuto inizio quando il virus ancora non
era conosciuto e in un mondo totalmente diverso da quello attuale: può quindi essere
un nuovo inizio per me, uno sforzo mentale unico in cui ho investito tanto
tempo, ma in cui ho ricavato maggior attenzione per me stesso e maggior
valorizzazione della mia esistenza? Lascio al tempo le risposte.
Da adesso ricomincio, ponendomi le stesse identiche domande
del mio precedente inizio, che però ora hanno un peso diverso.
Cammino spedito, procedo in un sogno; voglio sognare per
vivere, e per sognare devo calare la maschera. Ogni notte, sì, nel sonno io la
perdo e vivo quel che voglio.
Miscelerò vita e sogno, così, come fossero latte e miele.
Quasi impossibili da sciogliere l’uno nell’altro, ma appunto
possibile se ci s’impegna veramente, mischiando a dovere e con forza con il
cucchiaio.
Solo così potrò essere finalmente me stesso.
Io ci credo, ora: e voi?
NOTA DELL’AUTORE
Io devo ancora capire il senso di questo racconto, ma fa
niente.
Sono stato in procinto di buttarlo o di non concluderne la
pubblicazione, a distanza di un anno e diversi mesi dalla fine della battitura.
Poi, rileggendo le mie prime impressioni sull’emergenza ancora in corso… quel
che provavo allora, forse infantile, che ne so… boh, mi sono detto che non
dovevo buttare via niente.
Riflessioni infantili di chi, spaventato e sconvolto da un
radicale cambiamento e dal senso di pericolo, oltre che dalla solitudine, ha
cercato di dare un senso immediato a quel che stava vivendo.
Quelle parti le ho scritte proprio durante i primi giorni di
pandemia e mi piacerebbe tornare a leggerle tra qualche anno, dato che già ora
mi hanno trasmesso un effetto diverso.
Ho lasciato tutto intatto, alla fine.
Questo racconto non mi è piaciuto, ma mi è stato utile per
perfezionare l’ultima versione di Alex, quella definitiva. Un testo che quasi
non si collega ai precedenti, ma che allo stesso tempo ha una funzione di ponte
e di traghetto verso… quella che fu Budapest!
Non vi libererete di me, lettori carissimi e dolci, perché prestissimo
arriva Attraversando il Rubicone ^^
Grazie per avermi sostenuto,
senza di voi non avrei avuto il coraggio di concludere. Vi amo e vi adoro. Avete
dato voi un senso a un racconto che nemmeno al suo autore era piaciuto. Siete speciali.
Grazie di cuore, e, ancora una volta, vi adoro.