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Autore: Iander    06/06/2021    1 recensioni
Tony Stark. Un genio, miliardario, playboy, filantropo. E molto di più.
Pepper Potts. Assistente scrupolosa e impeccabile, poi amministratore delegato delle Stark Industries. E non solo.
La storia di un uomo che è diventato un eroe, di una donna dalla forza incrollabile, di un amore che ha affrontato ogni cosa e ne è uscito vincitore, nonostante tutto.
Dal capitolo 2: Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.
[Raccolta; Pepperony; Tony&Peter]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Dusk Till Dawn


 
A Rosmary,
che riesce ad emozionarmi come nessun altro
 
A Leila91,
per il miglior supporto che si possa desiderare


 
Capitolo 10
Back to the Start


Contesto: The Avengers – Endgame, What if?

 
“If I could go, go into my heart
And search for all the places I left the spark
To find a way, way back to the olden days
Before it started falling apart”


«Ho agganciato il bersaglio, sono in posizione». Spider-Man si acquattò contro una parete, guardingo. Il rosso acceso del suo costume si intravvedeva appena, nel buio che avvolgeva la via.

«Molto bene. A che distanza ti trovi?».

Lo vide sporgersi con circospezione oltre il muro e osservare rapido il nemico. «Direi 10, 12 metri al massimo» valutò. «Posso lanciare una ragnatela contro il lampione sull’altro lato del vicolo e utilizzarlo come perno. Gli sarei addosso in men che non si dica e potrei atterrarlo».

«D’accordo. Ma fai attenzione: hai un unico tentativo per coglierlo di sorpresa».

Peter si portò una mano all’orecchio coperto dalla maschera, in corrispondenza della ricetrasmittente. Annuì con vigore, staccandosi dalla parete. «Sicuro» confermò. Controllò velocemente che gli spara-ragnatele fossero carichi e funzionanti, poi si mise in posizione e prese un respiro profondo. Lanciò una ragnatela contro il lampione poco più in là e scattò in avanti, pronto a sfruttare la spinta per colpire il nemico con un–

Bada boom.

Un forte clangore metallico si diffuse nell’aria. Spider-Man finì gambe all’aria, andando a sbattere malamente contro la parete di un edificio. Il coperchio in ferro del bidone che aveva preso in pieno roteò per qualche secondo sull’asfalto prima di posarsi definitivamente a terra, seguito dal bidone stesso che rovesciò il suo maleodorante contenuto ovunque.

Attratto dal fragore, il nemico si voltò di scatto nella sua direzione. Si avvicinò velocemente sollevando il braccio, la mano che scompariva per lasciare posto alla canna circolare di un’arma. Un getto di polvere bianca investì Peter in pieno, senza che lui potesse difendersi in alcun modo.

Il ragazzo agitò convulsamente le braccia davanti a sé. «Ok, va bene, hai vinto!» affermò a fatica, sollevando le mani. «Basta, mi arrendo!».

«Uno a zero per l’ammasso di ferraglia. Esercitazione conclusa». Tony si passò una mano sugli occhi, senza riuscire a trattenere uno sbuffo divertito. Attraverso lo spesso vetro davanti a cui sostava, vide il robot numero 4 dell’Iron Legion smettere di spruzzare la sostanza polverosa e reinserire la canna all’interno dell’avambraccio.

Peter si rialzò e cominciò a spazzolare con gesti secchi il costume, tossendo. Si tolse di scatto la maschera, lanciando un’occhiata truce al suo avversario. «Dovevi proprio spararmelo in faccia?!» inveì, agitando il pugno con cui stringeva la maschera. «Indosso questa, d’accordo, ma il tessuto è traspirante. Mi si è infilata tutta la polvere nel naso» si lamentò, starnutendo.

Il robot lo osservò di rimando con i suoi occhi impassibili, restando in silenzio.

«Ah, ma che te lo dico a fare» sospirò Peter, poi si voltò verso la parete alle sue spalle e fissò il vetro rettangolare che si trovava in alto, al centro. «Signor Stark, dobbiamo sistemare questo punto».

Tony si massaggiò la radice del naso, nascondendo un sorrisetto. «Io te l’avevo detto di utilizzare l’Iron Spider. La sua maschera è impenetrabile».

«Ma l’Iron Spider non è adatto per un sopralluogo nel quartiere!» protestò il ragazzo, allargando con enfasi le braccia. «Dovrebbe essere utilizzato solo in casi di assoluta necessità» osservò.

«…che al momento non sono previsti, così come nel prossimo futuro. Dovresti smetterla di fissarti su questi aspetti, sai?».

«Oh, ma non si tratta solo di questo. A me piace molto, questo costume» replicò Peter. Iniziò a saltellare allegro sul posto e a lanciare qualche pugno davanti a sé, come se volesse testare la qualità del tessuto. «E poi, preferisco restare con i piedi per terra. Non mi va di ricorrere ad armi troppo potenti se non è proprio necessario» concluse, con tono sicuro.

«D’accordo, fa come vuoi» si arrese Tony, alzando gli occhi al cielo. Onestamente non capiva per quale motivo il ragazzo non volesse sfruttare ogni mezzo a sua disposizione. Lui non si era certo fatto questo tipo di problemi, quando creava le sue armature: costruita una versione nuova e avanzata, la precedente finiva di riflesso nella sua collezione o smantellata, a seconda di quanto si fosse dimostrata utile. Si strinse nelle spalle, liquidando in fretta la questione: per quel che lo riguardava, finché non si metteva nei pasticci il ragazzo poteva fare quello che voleva. «Dai Pete, va a cambiarti. Per oggi abbiamo finito» lo esortò, iniziando a digitare una sequenza di codici sulla console posta sotto al vetro.

L’ambientazione di periferia svanì dopo qualche istante, lasciando posto all’ampia e sgombra palestra del Complesso. La luce tornò ad inondare la stanza, mentre i droni che avevano contribuito a creare l’illusione si rimettevano a posto ronzando, posizionandosi ordinatamente sugli appositi sostegni lungo le pareti. Peter li osservò muoversi, incantato: sebbene li avesse utilizzati ormai diverse volte nei suoi allenamenti, doveva ancora abituarsi a quella strabiliante tecnologia. Non erano certo cose che si vedevano in giro così spesso. Si riscosse velocemente e tornò a guardare il suo mentore. «Vado!» asserì, per poi correre in direzione della porta.

Tony lo seguì con lo sguardo, osservandolo uscire. Diede un’ultima occhiata alla palestra, vuota e silenziosa: chissà che cosa avrebbe detto il Capitano, vedendo la sua stanza preferita invasa da tutti quei congegni futuristici. Dubitava che ne sarebbe stato contento, abituato com’era al suo semplice e concreto sacco da box. Un sorriso nostalgico gli incurvò le labbra, mentre si decideva ad abbandonare la sua postazione e si avviava con calma. «FRIDAY, rimanda il robot in laboratorio, insieme al resto dell’Iron Legion» ordinò.

«Sì, capo» rispose subito l’intelligenza artificiale.

I suoi passi a tratti incerti e zoppicanti risuonavano lungo il corridoio deserto. Tony cercò di non badare troppo alle fitte lievi ma insistenti che sentiva sul lato destro del corpo: il suo livello di sopportazione si stava alzando sempre di più, ragionò, o forse il suo corpo stava guarendo più in fretta del previsto. Si augurò che fosse davvero così. Il tutore sobrio e funzionale che indossava, così simile a quello di Rhodey, lo aiutava a stabilizzare la gamba offesa, sostenendo il peso del suo corpo e permettendogli di camminare; non fosse stato per il dolore, quasi non si sarebbe accorto di indossarlo. Impiegò qualche minuto per raggiungere lo spogliatoio maschile e si fermò accanto alla porta, appoggiandosi contro la parete. Si sfilò gli occhiali e li pulì con lentezza, assorto.

Non si pentiva di aver deciso di seguire personalmente il ragazzo. Sebbene fosse molto giovane e fin troppo entusiasta, Peter aveva ampiamente dimostrato di avere la stoffa del supereroe. Tony era del tutto convinto che, con un bel po’ di allenamento e un valido sostegno, avrebbe potuto fare grandi cose; forse, un giorno, lo avrebbe addirittura superato. Sorrise tra sé, scuotendo appena la testa. Ci sarebbe stato tempo, per questo. Ora Peter era un adolescente pieno di energia, che andava seguito e appoggiato. Aveva talento, certo, e fremeva per dimostrare il suo potenziale, ma avrebbe raggiunto ogni traguardo con calma, con i giusti tempi. Non aveva alcuna intenzione di spingerlo a bruciare le tappe, come lui stesso aveva fatto in passato.

Il ragazzo uscì proprio in quel momento dallo spogliatoio, stringendosi lo zaino sulle spalle. Si passò una mano tra i capelli umidi e gli si affiancò. «Allora?» lo incalzò «Come sono andato oggi?».

Tony nicchiò, incamminandosi con lui verso l’ingresso. «Beh, direi che non sei andato così male» replicò, gioviale. «Se escludiamo il fatto che ti sei fatto sgamare proprio nel momento cruciale» aggiunse, con evidente ironia.

Peter, che inizialmente aveva incurvato le labbra in un sorriso entusiasta, si imbronciò appena sentendo le sue ultime parole. Le sue spalle si afflosciarono, manifestando chiaramente la sua delusione. «Non l’ho proprio visto, quel maledetto bidone» mormorò, a mo’ di scuse.

«Lo immaginavo. Anzi, lo avevo previsto: l’ho posizionato di proposito in quel punto, per vedere se lo avresti considerato» proferì, studiando di sottecchi la sua reazione.

Peter si voltò a guardarlo, la fronte aggrottata. «Non vale! Non può manipolare così ogni cosa» protestò.

«Posso eccome, invece. Stiamo parlando della mia tecnologia» replicò lui, allargando il braccio sinistro come a sottolineare l’evidenza. «E comunque, stiamo divagando» riprese. «Il punto è che devi imparare a fare più attenzione, Pete. Questa era un’esercitazione, d’accordo, ma sul campo non puoi permetterti di essere così maldestro. Un passo falso e sei out. Devi essere più riflessivo, agire meno di impulso».

Peter inarcò un sopracciglio, con evidente perplessità. «Beh, lei non mi è sembrato così riflessivo, quando ha comunicato il suo indirizzo in diretta tv al Mandarino» gli fece notare.

Tony si strinse nelle spalle. «Anche i migliori possono sbagliare, a volte» replicò spiccio. Poi gli rivolse un’occhiata sorniona, le labbra incurvate in un sorriso divertito. «Dai, non c’è bisogno di fare quella faccia lunga. La tua strategia, in fondo, era buona. Devi lavorare un po’ di più sui dettagli, ma stai facendo un ottimo lavoro» proferì, sincero.

Il ragazzo annuì appena, ma non rispose; continuò a camminare tenendo lo sguardo puntato davanti a sé, la fronte corrugata mentre rifletteva sulle sue parole. Tony poteva quasi vedere gli ingranaggi della sua mente muoversi febbrili, ragionando e ipotizzando. Il suo intento era quello di confortarlo, eppure non gli sembrava di aver sortito l’effetto sperato. Si avvicinò a lui e gli circondò le spalle con il braccio sinistro, dandogli un paio di pacche leggere con la mano. «La prossima settimana possiamo lavorare insieme alle modifiche del tuo costume, se ti va. Ho giusto qualche trucchetto interessante da insegnarti. E potrai scegliere di persona i potenziamenti da inserire» affermò, facendogli l’occhiolino.

Peter sollevò di scatto la testa e lo fissò con sguardo incredulo. Tony sorrise tra sé, osservando la sua reazione. Nonostante avessero iniziato a trascorrere ormai diverso tempo assieme, il ragazzo si stupiva ancora di come lui lo considerasse. Stentava a credere di essere diventato così importante per lui e Tony non ne era affatto sorpreso: per Peter, in fondo, cinque anni erano passati in un battito di ciglia, senza che neanche se ne accorgesse. Non li aveva trascorsi con un dolore sordo sul fondo del cuore, con il profondo rammarico di chi non si perdona per non aver saputo fare di più. Ma avrebbe senz’altro avuto tempo per abituarsi a quell’inusuale ruolo di figlioccio, rifletté. Del resto, lui non aveva proprio intenzione di andare da nessuna parte.

Gli strinse appena la spalla, rivolgendogli un’occhiata sardonica. «Pronto? Sei ancora tra noi?» lo pungolò.

Peter si riscosse con un cenno del capo, un sorriso entusiasta che prendeva a disegnarsi sulle sue labbra. «…S–sì, certo! Davvero? Che ficata!» rispose euforico.

Tony ridacchiò, soddisfatto della sua reazione.

L’ingresso ampio e moderno del Complesso si aprì davanti a loro, attraversato da un viavai di persone che si muovevano frenetiche in tutte le direzioni. La ricostruzione dell’edificio si era conclusa da poco, eppure l’ambiente pullulava già di attività. Tony sospettava che ci fosse la mano di Fury, dietro a tutto questo. Scrollò le spalle, divertito: quell’uomo non si smentiva mai, nemmeno in tempo di pace. Gli sguardi dei dipendenti li seguirono mentre attraversavano l’atrio in direzione dell’uscita, curiosi eppure discreti: non si erano ancora del tutto abituati a quella strana accoppiata, mentore e allievo, patrigno e figlioccio, due supereroi che erano sopravvissuti e avevano vinto una battaglia epica. Tony non ci faceva quasi più caso, ormai; almeno, non lo importunavano.

Varcarono le porte girevoli e si ritrovarono all’aperto, alla luce del pomeriggio che rischiarava il verde paesaggio intorno a loro. Tony estrasse le chiavi della macchina e pigiò un tasto: questa si mosse dallo spiazzo sul fianco dell’edificio e si avvicinò lentamente, posizionandosi di fronte a loro.

Si voltò verso il ragazzo, osservandolo attraverso le lenti scure. «Ah già, quasi dimenticavo» si ricordò. «Ti va di venire a cena da noi, stasera? Puoi chiedere anche a May, se ti va» gli propose.

«Stasera?».

«Sì, esatto. A Pepper andava di fare una cenetta in compagnia. Quell’ingrato di Rhodey ha rifiutato. Impegni militari, ha detto. Sì, come no. Chissà che avrà da fare» replicò, corrugando le sopracciglia. Si strinse nelle spalle e fece schioccare la lingua. «Ma lasciamo perdere gli affari loschi di Rhodey. Allora? Vieni?».

Peter annuì, allegro. «Sì, va bene» confermò. «Non so se zia May sia libera, però. Ultimamente è spesso impegnata con The Salvation Army» aggiunse [1].

Tony fece schioccare la lingua. «Ah giusto, l’associazione» ricordò. «Bella iniziativa».

«Sì, è vero. Conta molto per lei» ammise il ragazzo, sorridendo. «E se non è là…» arricciò appena il naso, meditabondo. «…di solito è con Happy» concluse.

Tony lo scrutò al di sopra degli occhiali, stringendo appena le palpebre. «Happy, eh?».

«Già. Ma non ne so molto. Non ci tengo proprio a saperlo, in realtà». Peter si agitò sul posto, leggermente a disagio.

Lui puntò lo sguardo in lontananza, assorto. Non riuscì a fare a meno di pensare a quanto fosse piccolo il mondo: a New York vivevano più di 8 milioni di persone, eppure uno dei suoi migliori amici decideva di iniziare una relazione proprio con la zia del suo figlioccio. «Beh, vorrà dire che estenderemo l’invito anche a Happy. Fa pur sempre parte della famiglia» considerò. E poi, a Pepper avrebbe sicuramente fatto piacere, per non parlare di Morgan.

«D’accordo» replicò Peter, tranquillo.

Tony decise che era ora di andare, se non voleva fare tardi. Aprì la portiera dell’auto, apprestandosi a salire. «Io ora vado a prendere Morgan a scuola. Vuoi un passaggio?» gli propose.

Il ragazzo scosse la testa. «No, grazie. Scott mi ha detto che oggi sarebbe passato di qui e mi ha chiesto di fare due chiacchiere» rispose. Poi si accorse dell’occhiata condiscendente che gli stava rivolgendo, e inarcò un sopracciglio. «Che c’è?».

Un sorriso sghembo incurvò le labbra di Tony. «Socializzi con le schiappe adesso?».

Peter spalancò la bocca, incredulo. «Ma…» cominciò.

Tony sbuffò una risatina allegra. «Sto scherzando. E va bene, aspetta pure» proferì. Poi si sedette stringendo appena le labbra per le fitte di dolore, che si costrinse ad ignorare – uno stupido tutore e una menomazione non gli avrebbero impedito di guidare le sue amate decapottabili – e chiuse la portiera. «Ci vediamo stasera» lo salutò, avviando il motore e sporgendo il braccio dal finestrino.

Peter agitò una mano, sorridente. «A dopo!».

Ingranò la marcia e si lasciò alle spalle la facciata compatta e autorevole del Complesso, percorrendo a velocità costante la strada che lo avrebbe condotto alla Grande Mela. Il vento gli scompigliava i capelli e gli accarezzava il volto, mentre gli alberi e la campagna punteggiata di verde lasciavano sempre più spazio a costruzioni e fabbricati di ogni genere. Staccò la mano sinistra dal volante e si massaggiò lentamente la spalla destra contratta, lasciandosi sfuggire un sospiro liberatorio mentre avvertiva la tensione affievolirsi un poco. Era ormai passato poco più di un anno dall’epica Battaglia contro Thanos e, tutto sommato, non se l’era cavata così male. Un’ustione gli attraversava la parte destra del viso, insinuandosi sotto l’attaccatura dei capelli; un tutore gli ricopriva il braccio e la gamba, restituendogli una notevole libertà di movimento, pur dovendo comunque prestare attenzione.

In seguito allo schiocco con cui aveva ribaltato le sorti della Battaglia e sconfitto Thanos, aveva trascorso alcuni mesi in coma, la vita appesa a un filo. Circondato dal sostegno degli affetti più cari e usufruendo delle cure migliori del pianeta, aveva vinto anche quella battaglia, l’ennesima e forse l’ultima, e si era svegliato. Se era riuscito a cavarsela con così poco, era merito di una delle sue geniali intuizioni: mentre lui e Bruce lavoravano al nuovo guanto, aveva notato che l’energia emessa dal reattore Arc era in grado di contrastare, seppur non al 100%, gli effetti dei raggi gamma emessi dalle gemme. Aveva allora pensato di dotare la sua armatura di numerosi mini-reattori per precauzione – nella remota ipotesi che le cose potessero andare diversamente da come avevano previsto. Li aveva disposti strategicamente attorno ai gomiti e lungo le braccia, nascosti sotto il metallo scarlatto. La sua intuizione si era rivelata corretta: quando aveva rubato le gemme a Thanos e le aveva indossate sul dorso dell’armatura, l’energia dei reattori aveva formato una sorta di cuscinetto attorno alla mano, limitando gli effetti altrimenti distruttivi delle gemme. Tony fletté appena le dita della mano destra, le più esposte, e le sue labbra si incurvarono in una smorfia di dolore. Le conseguenze del suo gesto erano ancora ben visibili sul suo organismo e sospettava che sarebbe stato così ancora per parecchio tempo; ma se avesse seguito con costanza e pazienza l’intenso percorso di riabilitazione che aveva intrapreso, le probabilità di riuscire a recuperare in buona misura l’uso del lato destro del suo corpo erano molto alte.

Nella sua brillante deduzione, non aveva però calcolato un aspetto fondamentale: i pesanti effetti che il suo sistema nervoso centrale avrebbe subito. Il potere smisurato delle gemme aveva intaccato il cervello, rendendogli di fatto impossibile sostenere sforzi mentali impegnativi e ripetuti. Il che aveva inevitabilmente significato dire addio ad Iron Man: niente più armatura, niente più missioni, niente più salvataggi, né fisicamente né tramite il comando a distanza; il rischio di un corto circuito fatale era troppo alto. E Tony non aveva alcuna intenzione di passare il resto della sua vita come un vegetale, dopo tutto ciò che aveva fatto per preservarla. Si era trovato di fronte ad una svolta che in passato aveva spesso considerato, ma mai davvero soppesato fino in fondo. La fine di un mito, di un’era, di un percorso intenso e straordinario che lo aveva cambiato e reso un uomo migliore.

Persino adesso, a distanza di mesi, il pensiero di non poter più usare la sua armatura gli faceva uno strano effetto. Lui, che aveva sfidato ogni limite possibile per un semplice umano, ora doveva sottostare a mille vincoli: aveva volato fino ai confini dell’atmosfera, attraversato un portale alieno e combattuto all’ultimo sangue su un pianeta lontano e adesso doveva convivere quotidianamente con un tutore, prestando attenzione ad ogni movimento che compiva e cercando di non esagerare. Ma non si era dato per vinto e si era attivato per poter riottenere una vita pressoché normale: Peter, Morgan, Pepper,… le motivazioni non gli mancavano di certo. Aveva finalmente l’occasione di dedicarsi a loro senza ulteriori preoccupazioni e non intendeva sprecarla in alcun modo. E poi, aveva riflettuto, poteva ancora trascorrere del tempo ad armeggiare in laboratorio, a patto di non esagerare: era un compromesso del tutto accettabile. Tony sorrise tra sé, scivolando nel traffico cittadino. Aveva affrontato l’inferno ed era tornato, ritrovandosi a smettere i panni del supereroe per vestire quelli più tradizionali del mentore, del padre e del marito: non poteva fare a meno di pensare che fosse un’opzione più che valida.

Parcheggiò con cura nei pressi del Midtown West School [2] e scese dall’auto facendo attenzione. Si accorse di essere in anticipo e decise di aspettare Morgan tenendosi un po’ a distanza dall’edificio, in un posto più appartato. Onestamente, cominciava a non poterne più di essere assillato ad ogni passo dalle persone che volevano ringraziarlo per aver salvato il mondo: contrariamente ai lavoratori del Complesso, che si limitavano ad osservarlo con espressioni più o meno meravigliate, la gente comune tendeva ad accalcarsi intorno a lui e ad importunarlo concretamente. Si rese conto di essere diventato più schivo, per quanto Tony Stark potesse esserlo davvero; si strinse nelle spalle, senza stupirsi più di tanto: si finisce inevitabilmente per cambiare, quando si tiene il potere dell’infinito sul dorso di una mano.

Il cellulare vibrò per un istante nella tasca dei pantaloni e Tony si riscosse dalle sue riflessioni. Era Peter: lo informava che anche May e Happy sarebbero venuti a cena. Rispose velocemente con un pollice alzato, poi scrisse un altro messaggio a Pepper per avvertirla degli ospiti. In quel momento sentì un rumore di passi concitati farsi sempre più forte e sollevò lo sguardo, riponendo il telefono: Morgan stava scendendo lentamente in gradini, guardandosi intorno. Tony agitò un braccio in aria e aspettò che lei lo raggiungesse.

«Eccola qui!» esordì quando gli fu accanto. Si piegò lentamente sulle ginocchia, cauto. «Ciao, Maguna» la salutò, dandole un bacio sulla guancia. «Tutto a posto?».

«Ciao, papi» replicò lei, ricambiando il bacio. «Sì, tutto ok».

«Molto bene». Si rialzò e le scompigliò i capelli scuri. «Dammi lo zaino, te lo porto io» la esortò.

La bambina lo scrutò con i suoi occhi nocciola, inclinando il capo. «Sicuro? Ce la faccio».

«Ma certo» rispose, gioviale. «Sono pur sempre Iron Man, non lo dimenticare». Le sfilò con delicatezza lo zaino e se lo caricò sulla spalla sinistra. Prese Morgan per mano e l’accompagnò alla macchina, aprendo la portiera posteriore e aiutandola a sistemarsi sul seggiolino. Dopodiché si sedette a sua volta e inserì la retromarcia.

«Com’è andata oggi a scuola?» le chiese.

Morgan si aprì in un sorriso soddisfatto. «Bene. Ho preso una A nella prova di matematica» rispose, contenta. Poi si corrucciò appena, aggrottando le sopracciglia sottili. «Però Aaron mi ha detto che ho preso quel voto solo perché tu sei il mio papà».

Tony strinse le palpebre divertito, osservandola attraverso lo specchietto retrovisore. «Davvero?».

«Sì» confermò lei, annuendo con vigore. «E ha anche detto che sono una femmina e che le femmine sono stupide».

Tony inarcò le sopracciglia e sbuffò una risata esterrefatta. «Ma pensa. E tu cosa hai fatto?» si interessò, preparandosi al peggio.

Morgan si strinse nelle spalle, osservando gli edifici di Manhattan scorrere accanto a lei. «Gli ho detto che non è vero e che è un brutto invidioso. Lui ha preso una D» replicò, senza nascondere una traccia di compiacimento.

«Ottima risposta, molto diplomatica» convenne lui, rilassandosi. Per un attimo aveva temuto di essere presto convocato dalla preside per una rissa tra marmocchi. Forse Morgan aveva preso più da Pepper, pensò. «Vuoi che ci parli io? Non ti disturberà più, te lo assicuro» garantì.

La bambina sorrise felice, scuotendo la testa. «No papà, non serve».

Tony la scrutò con più attenzione. «Sicura? So essere molto persuasivo» sogghignò.

Morgan scosse di nuovo la testa, decisa. «No» ripeté.

Tony nascose un sorriso: sua figlia era orgogliosa e desiderava cavarsela da sola, proprio come tutti gli Stark. Aveva preso qualcosa anche da lui, allora. Si decise a lasciare perdere. «Sono appena stato con Peter, sai?» esordì, cambiando discorso. «Ha centrato un bidone e si è spiaccicato contro una parete» aggiunse, scimmiottando comicamente il rumore della caduta.

Morgan scoppiò a ridere. «Ma sta bene, vero? Si è fatto male?» domandò.

«Sta benissimo» la rassicurò lui. «Sta così bene che stasera cenerà con noi. Sei contenta?».

La bambina si illuminò di colpo. «Oh sì, che bello!» esclamò entusiasta. «Devo fargli vedere i miei giocattoli nuovi! Viene subito?» si affrettò a chiedere.

Tony scosse la testa, divertito dalla sua reazione. «No, ci raggiungerà più tardi. Adesso andiamo a casa e lo aspettiamo, d’accordo?». Un attimo dopo, un’intuizione gli attraversò la mente. Dopotutto, non dovevano per forza rientrare subito. «Anzi, sai cosa ti dico? Mi è venuta voglia di un ghiacciolo. Che ne dici, Maguna? Pit-stop a Central Park con ghiacciolo incluso?» propose, conoscendo già la risposta.

Morgan alzò il pugno verso l’alto, euforica. «Sììì!» esultò.

Tony rise apertamente, preparandosi a svoltare al prossimo incrocio. Neanche per un istante aveva avuto dubbi: i ghiaccioli, osservò, vincono sempre.

***

Tony parcheggiò l’auto sullo spiazzo accanto alla casa e scese, per poi aprire la portiera posteriore e slacciare la cintura di Morgan. La bambina balzò a terra e saltellò allegra in direzione dei gradini che conducevano alla porta. Tony la seguì con calma, il volto disteso in un’espressione serena. Salì a sua volta i pochi scalini e si fermò un’istante sulla veranda, guardandosi intorno: la luce del tramonto illuminava dolcemente le cime degli alberi, che si riflettevano in mille sfumature dorate sul laghetto placido che costeggiava lo chalet. Era uno spettacolo meraviglioso, pensò, di cui non si sarebbe mai stancato. Si riscosse scuotendo appena la testa, poi si apprestò a seguire Morgan e ad entrare in casa.

Pepper sedeva in salotto e teneva tra le mani alcuni documenti di lavoro; altri plichi ordinati erano disposti sul tavolino elegante di fronte a lei, mentre alle sue spalle la cena cuoceva lentamente sui fornelli. Morgan l’aveva già raggiunta e le sedeva accanto sul divano; stava finendo di raccontarle della scuola, esponendole con enfasi ciò che aveva fatto quel giorno. Dopo qualche istante si alzò, affermando di dover andare a preparare i suoi giocattoli per Peter. Pepper le sorrise e le accarezzò i capelli con affetto, per poi guardarla salire le scale entusiasta.

Tony le si avvicinò, baciandola sulle labbra. «Allora? Com’è andata oggi? Le Stark Industries sono sopravvissute ad una giornata senza di me?» indagò sornione.

Pepper sbuffò una risata, intrecciando le dita con le sue. «Guarda che prima che decidessi di riprendere in mano l’azienda, era una consuetudine non averti tra i piedi» ribatté, con evidente ironia. Poi il suo sguardo si fece più serio. «Domani abbiamo la riunione con il consiglio di amministrazione. Devi promettermi che starai buono e non darai di matto» intimò, lanciandogli un’occhiata eloquente.

Tony sbuffò e sciolse la stretta, per poi dirigersi ai fornelli. «Io odio i consigli di amministrazione» si lagnò.

«Beh, ti toccherà fare uno sforzo, temo» replicò Pepper divertita, iniziando a raccogliere tutti i documenti e a riporli con cura dentro a una ventiquattrore.

Lui non rispose, prendendo invece a sollevare i coperchi delle pentole e ad occhieggiarne il contenuto. «Mmh, che profumino» commentò, assaggiando la zuppa di mais e patate. Si bloccò con il cucchiaio a mezz’aria e si voltò verso di lei, lo sguardo attraversato da uno strano luccichio. «Sai, è un peccato che ci abbia pensato tu, alla cena» proferì. Strinse le palpebre, concentrato. «Questa sera mi sento in vena di sperimentare. Avrei potuto creare una nuova versione delle mie speciali omelette».

Pepper inarcò pesantemente un sopracciglio, avvicinandosi a lui. «Non mi sembra il caso di servire cibo radioattivo ai nostri ospiti» osservò candida, mentre prendeva un mestolo di legno dal contenitore delle posate.

Tony la guardò storto, vagamente offeso. «Noto che oggi le battutine sarcastiche si sprecano, signora Stark. Siamo particolarmente di buon umore?» la incalzò, avvolgendo la sua vita sottile tra le braccia.

Pepper rise divertita e continuò a mescolare, poi controllò ancora una volta la zuppa e spense il fuoco. Gli strinse il polso in una carezza affettuosa, allontanandolo infine da sé. «Dai, abbiamo poco tempo. Saranno qui a momenti».

Tony si spostò di lato e aprì uno sportello della credenza, estraendo con attenzione i piatti in ceramica. Cominciò ad apparecchiare la tavola, mentre lei si chinava e dava un’occhiata allo stufato che cuoceva nel forno. Poi lo raggiunse e lo aiutò a disporre posate e bicchieri.

«Quasi non mi sembra vero di poter vivere una vita tranquilla e normale» proferì Pepper dopo un po’. Tony sollevò gli occhi, osservandola con attenzione. Sentendo il suo sguardo su di sé, lei si strinse appena nelle spalle. «Beh, con la faccenda dei viaggi nel tempo e tutto quello che ti è successo, onestamente non mi aspettavo che filasse tutto liscio» ammise.

Tony annuì lentamente, inumidendosi le labbra. Spostò meccanicamente lo sguardo sul braccio destro, avvolto dal tutore, e di nuovo pensò che se l’era davvero cavata con poco. «Già. Abbiamo corso un bel rischio, però è andata bene» replicò, tornando a guardarla. «E questa volta, non manca niente. Abbiamo tutto quello che prima non avevamo» aggiunse.

Le labbra di Pepper si incurvarono in un sorriso gioioso. «È vero» concordò. Un lampo di sincero orgoglio gli attraversò lo sguardo e Tony sapeva che era profondamente felice che lui avesse deciso di lasciare il suo rifugio protetto per aiutare gli Avengers con i viaggi nel tempo. Se non lo avesse fatto, in quel momento un’atmosfera di dolore avrebbe senz’altro aleggiato tra di loro.

Era andato tutto bene: il mondo era salvo e loro stavano bene, erano ancora tutti insieme. Si rese conto di quanto fosse fortunato ad essere lì, vivo e vegeto, circondato dalla sua famiglia. Aveva rischiato tanto, per un attimo aveva creduto che non avrebbe più potuto vivere tutto questo; e invece ce l’aveva fatta e ne era valsa decisamente la pena. I suoi occhi indugiarono sul viso sorridente di Pepper: si ritrovò a considerare quanto fosse fondamentale per lui il loro rapporto, a come si fosse evoluto nel tempo, diventando sempre più importante e imprescindibile. Ripensò a come lei ci fosse sempre stata per lui, in ogni momento e in ogni circostanza, appoggiando con vigore ogni sua azione, anche la più sofferta. E capì che non avrebbe mai più voluto deluderla, che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per essere degno di lei e per non mettere più deliberatamente in pericolo la loro felicità. Avrebbe imparato a stare tranquillo, al suo posto, un passo indietro per poterne poi fare altri mille in avanti.

Il suono squillante del campanello si diffuse nella stanza, rompendo il silenzio. Pepper terminò di sistemare la tavola e si voltò. «Eccoli!» esclamò, per poi dirigersi all’ingresso e aprire la porta, salutando calorosamente i suoi ospiti. Peter entrò per primo, rispondendo al saluto con un sorriso entusiasta.

«Peter!» esclamò Morgan, facendo capolino dalla cima delle scale. Il ragazzo sollevò immediatamente gli occhi. «Ciao, Morgan!» proruppe, per poi fiondarsi a salire i gradini.

May varcò la soglia, in viso un’espressione radiosa: teneva tra le mani una torta e la salutò con un bacio sulla guancia. Happy entrò dopo di lei e si chiuse la porta alle spalle. Pepper prese la confezione colorata che May le porgeva e li invitò ad entrare con un sorriso allegro.

Tony rimase in disparte, ancora parzialmente immerso nei suoi pe nsieri: osservò la sua famiglia allargata ridere e parlare, ne constatò la felicità, la serenità. D’un tratto, gli riaffiorarono alla mente le parole di Yinsen, pronunciate ormai diversi anni prima ma ancora ben impresse dentro di lui.

Non sprecare la tua vita.

Non lo avrebbe fatto di certo, si disse: nonostante in passato avesse rischiato molto, d’ora in avanti avrebbe fatto tutto ciò che poteva per non metterla più in pericolo. Ne era sicuro.

Si riscosse con una lieve scrollata e si avvicinò, accogliendo May con un bacio sulla guancia e dando una sonora pacca sulla schiena a Happy. Peter scese in quel momento le scale portando Morgan a cavalluccio sulla schiena, entrambi in preda alle risate. Pepper gli passò accanto e lui le diede un rapido bacio a fior di labbra, per poi prendere posto a tavola.

Fecero tintinnare i calici, brindando con gioia. Tony aiutò sua moglie a distribuire i piatti fumanti e rivolse un sorriso a sua figlia, che parlava concitata con Peter, lo sguardo acceso. Sentì nettamente la felicità invadergli il cuore: non c’era nessun altro posto in cui avrebbe voluto trovarsi, per nessuna ragione al mondo.

Tutto sommato, rifletté, ricominciare da zero ed essere solo Tony Stark non gli sembrava affatto male.
 

 
“I might find it waiting in the corner
Somewhere in the dark
If I could go, go to where it all began
Yes, I would take it back to the start”

Back to the Start – Michael Schulte




Note:
[1] Si tratta dell’associazione per la quale May lavora in Spider-Man: Far From Home, alla quale ho accennato anche nel capitolo 9.

[2] Il Midtown West School è una scuola elementare situata a Midtown, Manhattan. La scelta è del tutto casuale.



Ciao a tutti! Sono leggermente in ritardo, ma… ecco a voi l’ultimo capitolo della mia raccolta, il “bonus”. È un What-if?: ho provato ad immaginare come sarebbero andate le cose se Tony non fosse morto in seguito allo schiocco. Come avrete notato, il capitolo si pone in contrasto con il nono, che invece si rifà per filo e per segno ai fatti di Endgame: se in quell’occasione ho sentito il dovere di approfondire quella specifica e triste prospettiva, in questa ho tentato di ribaltare gli eventi, nella vana illusione di fingere che le cose siano andate diversamente. Ho cercato di ricreare l’happy-ending che avrei voluto vedere per Tony, permettendogli attraverso la scrittura di vivere quel futuro che meritava senza alcun dubbio; in cuor mio, è così che doveva andare. Lascio a voi la libertà di scegliere quale dei due finali prendere per vero.
 
Passando a questioni più “tecniche”, mi sono scervellata un sacco per trovare un escamotage che permettesse a Tony di sopravvivere in qualche modo e alla fine sono arrivata a questa soluzione: l’idea, cioè, che l’energia combinata di più reattori Arc potesse riuscire a contrastare il potere delle gemme in modo da salvargli la vita. Che le gemme emanino soprattutto raggi gamma lo dice proprio Banner in Endgame, tutto il resto è una mia congettura. Non so quanto questo possa essere attendibile, ma vabbé… fate finta che lo sia. Dunque, Tony sì sopravvive, ma con conseguenze evidenti soprattutto dal punto di vista nervoso: il suo cervello è compromesso e non può più indossare l’armatura senza rischiare di morire. Mi piaceva l’idea che si salvasse, ma che allo stesso tempo perdesse irrimediabilmente qualcosa di molto prezioso e così è: in sostanza, deve forzatamente rinunciare a ciò che lo ha definito e cambiato nei precedenti quindici anni. Significa, ancora una volta, ripartire da zero, ricominciare da capo.
 
Il capitolo si focalizza sugli affetti più cari di Tony, in una sorta di carrellata conclusiva: Tony ha iniziato a seguire concretamente Peter e a dedicare più tempo a Morgan e a Pepper, tornando inoltre a farsi un po’ più carico delle Stark Industries. Piccolo appunto su Scott: niente contro di lui, la battutina è stata fatta non per screditarlo, ma perché, conoscendo Tony, immagino che continui in più occasioni a sfottere chi in Civil War stava dalla parte di Capitan America.
 
Ed eccoci alla fine di questo viaggio che per me ha significato davvero molto. Ci tengo a ringraziare di cuore tutti coloro che hanno seguito, recensito o semplicemente letto la mia storia. Ma il ringraziamento più speciale e sentito va sicuramente a Leila91, alla quale ho dedicato il capitolo: ti sarò per sempre grata per tutto il supporto e per le meravigliose parole che hai speso per me ♥ non potevo sperare in un tifo migliore. :* L’altra dedica è invece per Rosmary, autrice davvero straordinaria: se in tutti questi anni non ho mai abbandonato definitivamente Efp è solo merito tuo e delle tue splendide storie ♥
 
Sono davvero felice di essermi messa alla prova con questo importante progetto. Non so se scriverò ancora (penso di essere più portata per la lettura che per la scrittura), ma… chissà. Magari avrò qualche altra illuminazione improvvisa e tornerò a riempire pagine su pagine di parole. Per il momento, è un arrivederci. Grazie a tutti, di nuovo ♥
 
Iander

 
  
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