Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: _aivy_demi_    16/06/2021    13 recensioni
Gli individui sudcoreani di sesso maschile sono tenuti a prestare un totale di due anni di servizio militare, che può essere effettuato tra i 18 e i 28 anni di età.
Jin, 2020, anni 28.
_
Sarà doloroso separarsi dalla sua seconda famiglia, tanto quanto decidere se aprire o meno il proprio cuore al collega più giovane, prima di partire.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Seokjin/ Jin, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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When the time will come

Don’t go…




Jungkook aprì gli occhi, stropicciandoseli con poca energia: persino alzare il braccio gli procurava stanchezza, come se non ne avesse già a sufficienza. Ricordava vagamente di essere finito a letto, l’ultima cosa precisa che continuava a ravvivargli l’attenzione era l’espressione inviperita di Jin che lo rimproverava pesantemente, illuminato da un flash bianco, forse quello di un cellulare.
Poi il vuoto, nulla, soltanto caldo. Estremamente caldo, tanto da bruciargli la gola e seccare occhi e labbra. Ingoiò a vuoto, constatando d’essere sudato e stanco, sfiancato anche nel riprendere aria riempiendo i polmoni; scostò il piumone che lo aveva protetto e soffocato in quelle che potevano essere ore invece di minuti, e si tastò ritrovando solo boxer e canotta. I suoi vestiti, i suoi effetti personali non li aveva addosso. Qualcuno doveva averlo spogliato.
Avvampò violentemente pensando al possibile candidato, scosse il capo a destra e a sinistra eliminando l’immagine di Jin a pochi centimetri dal suo corpo, che lo stava liberando degli abiti e lo adagiava a letto.
Su di lui.
No, non doveva pensarci, anche se si trattava di quelle immagini vividissime accostate alla nebbia data dalla febbre. Ingoiò un paio di volte, aveva bisogno di acqua. Tanta acqua, anche per rinfrescare la fronte che ancora scottava.
Solo nel momento in cui si allungò per raggiungere il mobiletto accanto al letto alla ricerca del cellulare, di un bicchiere o di entrambi, si accorse di non essere in camera sua: il mobile di fatto non c’era. Strizzò un paio di volte gli occhi, confuso e stordito: la stanza ordinata anche se affollata di oggetti di varia natura, una libreria colma, la scrivania con il computer e le riviste, ed il lampadario di quello stile unico che poteva piacere solamente all’amico… sì, non poteva sbagliarsi. Era quella di Jin, e si trovava sul suo letto. Si ridistese un attimo affondando la testa sul cuscino, muovendo il corpo sul materasso, imprimendosi la sensazione delle lenzuola non sue che fino alla notte prima avevano accarezzato la pelle dell’altro. Schiuse palpebre e labbra alla sensazione di imbarazzo procurata dal semplice essere lì; non era come da ragazzini, dove dormivano tutti assieme per cause di forza maggiore. Erano cresciuti, cambiati, erano maturati e avevano riscoperto un confortante senso di intimo spazio personale, ormai rispettato quasi da tutti. Quasi, pensò sorridendo, visto che Taehyung e Jimin avevano scelto di comune accordo di continuare a dormire nella stessa camera. Per lui e Jin era diverso, avevano scelto di occupare le due stanze più distanti nel corridoio.
E sapeva perfettamente per quale motivo: sarebbe riuscito a stare alla larga da lui e celare la tentazione di andare a bussare alla sua porta di notte, colto dall’agitazione del farsi sentire dagli amici vicini. Quante volte aveva percorso il pavimento di legno a piedi scalzi, per poi tornare indietro rassegnato. Ora invece era lì, senza essere stato invitato, senza aver osato colpire la porta color crema con le nocche tremanti.
«Ti sei svegliato?»
La voce familiare lo destò dal torpore confusionario da cui ancora non si era risvegliato. Infilò automaticamente la testa al di sotto delle lenzuola.
«Guarda che non devi vergognarti, capita a tutti di stare male. Certo è che cercarsele come hai fatto tu… è da pochi. Anzi, proprio da stupidi.» Jin si sedette nuovamente a fianco del proprio letto, stringendo tra le dita un termometro e un blister di medicine. «Devo controllarti la febbre, hai dormito per qualche ora. Se è tanto alta, dobbiamo farla abbassare.»
Jungkook sorrise, un sorriso nascosto dai tessuti. Sorrise per l’improvviso tono paterno, per il senso di protezione che avvertiva nelle parole dell’altro. Si voltò cauto verso di lui, incrociando gli occhi febbricitanti con i suoi, stanchi, spenti. Notò con dispiacere le occhiaie ad incorniciargli gli occhi: chissà da quanto tempo non dormiva serenamente? Avrebbe voluto chiederglielo, ma preferì glissare sulla questione.
«Perché qui?»
Jin poggiò ciò che aveva portato con sé sul comodino, prima di stringersi le mani nervosamente.
«Perché no?» Aveva risposto vigliaccamente ad una domanda con un’altra domanda.
«Beh, potevi portarmi in camera mia, no?» La voce interrotta da un paio di colpi di tosse a sconquassargli il petto, «sai, era anche più vicina.»
«Non dovresti dormire?» Sorrideva Jin, tirato.
Il ragazzo si voltò verso di lui, sbucando sul cuscino ed immergendosi fino alle orecchie nel piumone, per poi chiudere gli occhi che faticava a tenere aperti. Era stanco, ancora parecchio, e la testa vorticava senza fermarsi, dando un senso di nausea rimescolata nello stomaco. Si sarebbe fermato lì volentieri, certo non si sarebbe alzato per raggiungere la propria camera in quelle condizioni.
Non era solo quello però. Non avrebbe rinunciato alla presenza di Jin per nulla al mondo.
Le dita di quest’ultimo si mossero su di lui.
Un fremito lo scosse al semplice contatto.
Stava controllando la temperatura della fronte, nulla di più semplice.
Di più distruttivo.
Perché Jungkook tratteneva a stento un sospiro ad ogni polpastrello che lo stava accarezzando. Non osava rialzare le palpebre, credeva sarebbe sparito tutto quanto se avesse guardato. Preferì respirare piano e dalla bocca, profondamente. Un gemito uscì dalle sue labbra, lieve.
Era colpa della febbre.
Era colpa del dolore.
Questo si stavano dicendo entrambi. Di questo stavano tentando di convincersi. Erano vicini, più di quanto si sarebbero potuti permettere fino a quello stesso giorno. Tanto da sentire il calore del respiro, tanto da non distinguere più chiaramente di chi fosse il cuore che stava battendo tanto forte da rimbombare all’interno dei timpani.
Troppo vicino.
Jin non era in grado di muoversi più di così, la mano ancora sull’epidermide arsa dalla febbre, era rapito: rapito perché Jungkook aveva incatenato il suo sguardo, senza dargli possibilità alcuna di evadere. Il ragazzo si aggrappò al più grande con tutta la forza che ancora possedeva, il fiatone a spezzargli le parole in bocca. Strinse e si arrampicò sul suo petto, raggiungendo le spalle ed appoggiandosi sulla clavicola, fermandosi per respirare.
«Non andare, ti prego… non andare…»
Jin lo sapeva, sapeva che non parlava di ora, di quella camera, del suo letto. Lo sapeva, e faceva ancora più male, avvolto nel suo abbraccio, tremante non certo per il freddo. Se ne sarebbe andato, e per quanto Jungkook stesse soffrendo, così come lui, lo avrebbe fatto comunque.

   
 
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