When the time will come
Don’t go…
Jungkook aprì gli occhi, stropicciandoseli con poca energia: persino alzare il
braccio gli procurava stanchezza, come se non ne avesse già a sufficienza.
Ricordava vagamente di essere finito a letto, l’ultima cosa precisa che
continuava a ravvivargli l’attenzione era l’espressione inviperita di Jin che
lo rimproverava pesantemente, illuminato da un flash bianco, forse quello di un
cellulare.
Poi il vuoto, nulla, soltanto caldo. Estremamente caldo, tanto da bruciargli la
gola e seccare occhi e labbra. Ingoiò a vuoto, constatando d’essere sudato e
stanco, sfiancato anche nel riprendere aria riempiendo i polmoni; scostò il
piumone che lo aveva protetto e soffocato in quelle che potevano essere ore
invece di minuti, e si tastò ritrovando solo boxer e canotta. I suoi vestiti, i
suoi effetti personali non li aveva addosso. Qualcuno doveva averlo spogliato.
Avvampò violentemente pensando al possibile candidato, scosse il capo a destra
e a sinistra eliminando l’immagine di Jin a pochi centimetri dal suo corpo, che
lo stava liberando degli abiti e lo adagiava a letto.
Su di lui.
No, non doveva pensarci, anche se si trattava di quelle immagini vividissime
accostate alla nebbia data dalla febbre. Ingoiò un paio di volte, aveva bisogno
di acqua. Tanta acqua, anche per rinfrescare la fronte che ancora scottava.
Solo nel momento in cui si allungò per raggiungere il mobiletto accanto al
letto alla ricerca del cellulare, di un bicchiere o di entrambi, si accorse di
non essere in camera sua: il mobile di fatto non c’era. Strizzò un paio di
volte gli occhi, confuso e stordito: la stanza ordinata anche se affollata di
oggetti di varia natura, una libreria colma, la scrivania con il computer e le
riviste, ed il lampadario di quello stile unico che poteva piacere solamente
all’amico… sì, non poteva sbagliarsi. Era quella di Jin, e si trovava sul suo
letto. Si ridistese un attimo affondando la testa sul cuscino, muovendo il corpo
sul materasso, imprimendosi la sensazione delle lenzuola non sue che fino alla
notte prima avevano accarezzato la pelle dell’altro. Schiuse palpebre e labbra
alla sensazione di imbarazzo procurata dal semplice essere lì; non era come da
ragazzini, dove dormivano tutti assieme per cause di forza maggiore. Erano
cresciuti, cambiati, erano maturati e avevano riscoperto un confortante senso
di intimo spazio personale, ormai rispettato quasi da tutti. Quasi, pensò
sorridendo, visto che Taehyung e Jimin avevano scelto di comune accordo di
continuare a dormire nella stessa camera. Per lui e Jin era diverso, avevano
scelto di occupare le due stanze più distanti nel corridoio.
E sapeva perfettamente per quale motivo: sarebbe riuscito a stare alla larga da
lui e celare la tentazione di andare a bussare alla sua porta di notte, colto
dall’agitazione del farsi sentire dagli amici vicini. Quante volte aveva
percorso il pavimento di legno a piedi scalzi, per poi tornare indietro rassegnato.
Ora invece era lì, senza essere stato invitato, senza aver osato colpire la
porta color crema con le nocche tremanti.
«Ti sei svegliato?»
La voce familiare lo destò dal torpore confusionario da cui ancora non si era
risvegliato. Infilò automaticamente la testa al di sotto delle lenzuola.
«Guarda che non devi vergognarti, capita a tutti di stare male. Certo è che cercarsele
come hai fatto tu… è da pochi. Anzi, proprio da stupidi.» Jin si sedette
nuovamente a fianco del proprio letto, stringendo tra le dita un termometro e un
blister di medicine. «Devo controllarti la febbre, hai dormito per qualche ora.
Se è tanto alta, dobbiamo farla abbassare.»
Jungkook sorrise, un sorriso nascosto dai tessuti. Sorrise per l’improvviso tono
paterno, per il senso di protezione che avvertiva nelle parole dell’altro. Si
voltò cauto verso di lui, incrociando gli occhi febbricitanti con i suoi,
stanchi, spenti. Notò con dispiacere le occhiaie ad incorniciargli gli occhi:
chissà da quanto tempo non dormiva serenamente? Avrebbe voluto chiederglielo,
ma preferì glissare sulla questione.
«Perché qui?»
Jin poggiò ciò che aveva portato con sé sul comodino, prima di stringersi le
mani nervosamente.
«Perché no?» Aveva risposto vigliaccamente ad una domanda con un’altra domanda.
«Beh, potevi portarmi in camera mia, no?» La voce interrotta da un paio di
colpi di tosse a sconquassargli il petto, «sai, era anche più vicina.»
«Non dovresti dormire?» Sorrideva Jin, tirato.
Il ragazzo si voltò verso di lui, sbucando sul cuscino ed immergendosi fino
alle orecchie nel piumone, per poi chiudere gli occhi che faticava a tenere
aperti. Era stanco, ancora parecchio, e la testa vorticava senza fermarsi,
dando un senso di nausea rimescolata nello stomaco. Si sarebbe fermato lì
volentieri, certo non si sarebbe alzato per raggiungere la propria camera in
quelle condizioni.
Non era solo quello però. Non avrebbe rinunciato alla presenza di Jin per nulla
al mondo.
Le dita di quest’ultimo si mossero su di lui.
Un fremito lo scosse al semplice contatto.
Stava controllando la temperatura della fronte, nulla di più semplice.
Di più distruttivo.
Perché Jungkook tratteneva a stento un sospiro ad ogni polpastrello che lo
stava accarezzando. Non osava rialzare le palpebre, credeva sarebbe sparito
tutto quanto se avesse guardato. Preferì respirare piano e dalla bocca, profondamente.
Un gemito uscì dalle sue labbra, lieve.
Era colpa della febbre.
Era colpa del dolore.
Questo si stavano dicendo entrambi. Di questo stavano tentando di convincersi.
Erano vicini, più di quanto si sarebbero potuti permettere fino a quello stesso
giorno. Tanto da sentire il calore del respiro, tanto da non distinguere più
chiaramente di chi fosse il cuore che stava battendo tanto forte da rimbombare
all’interno dei timpani.
Troppo vicino.
Jin non era in grado di muoversi più di così, la mano ancora sull’epidermide
arsa dalla febbre, era rapito: rapito perché Jungkook aveva incatenato il suo
sguardo, senza dargli possibilità alcuna di evadere. Il ragazzo si aggrappò al
più grande con tutta la forza che ancora possedeva, il fiatone a spezzargli le
parole in bocca. Strinse e si arrampicò sul suo petto, raggiungendo le spalle
ed appoggiandosi sulla clavicola, fermandosi per respirare.
«Non andare, ti prego… non andare…»
Jin lo sapeva, sapeva che non parlava di ora, di quella camera, del suo letto.
Lo sapeva, e faceva ancora più male, avvolto nel suo abbraccio, tremante non
certo per il freddo. Se ne sarebbe andato, e per quanto Jungkook stesse
soffrendo, così come lui, lo avrebbe fatto comunque.