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Autore: Bibliotecaria    18/06/2021    0 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Note dell'autrice: mi scuso in anticipo per i potenziali errori di battitura e/o grammaticale, ho avuto poco tempo per la revisione purtroppo.
Detto questo, mancano ufficialmente 2 capitoli alla fine della prima parte! Spero che la storia continui ad appassionarvi e che mi possiate perdonare per gli aggiornamenti così lontani l'uno dal altro.
A presto!





20. Trattazione e accettazione
 
 
 
Il giorno seguente, verso il tardo pomeriggio, raggiunsi la base dei Rivoluzionari conscia che se qualcosa andava storto era la fine.
Mi ero portata dietro un coltello e avevo preso la pistola dal cassetto di mio padre, non perché desiderassi usarle, ma per essere certa di non trovarmi impreparata d’innanzi allo scenario peggiore.
 
La prima che incrociai fu Felicitis che mi saltò addosso stringendomi con forza, cosa che fece anche Vanilla ma in maniera meno teatrale limitandosi ad un fuggevole abbraccio. Garred mi strinse dolcemente un braccio per farmi forza ma era chiaramente terrorizzato, si vedeva lontano un miglio che stava tremando. Galahad era estremamente rigido in ogni movimento ma lessi nei suoi occhi verdi che era pronto al peggio e, dal mondo in cui mi salutò, capii che vi era un’estrema determinazione in lui. Nohat invece mi preoccupò: aveva l’aria di uno che non aveva dormito tutta la notte e il suo sguardo da bestia incattivita mi preoccupava ma oramai non potevamo tornare in dietro.
Appena finirono di salutarmi mi ritrovai una dozzina di occhi addosso. “Sei sicura che funzionerà?” Mi domandò Galahad con un’autorità che mi trasmise la sicurezza che mi mancava. “No, ma non fare nulla significa condannare noi e mettere a repentaglio le nostre famiglie. Abbiamo fatto del nostro meglio, e questo mi rassicura, ma a questo punto non sono in grado di dire come andrà: o la va’ o la spacca.” Dissi entrando nel cunicolo che ci avrebbe portato al rifugio.
 
Quando arrivammo nella sala l’intero gruppo dei Rivoluzionari ci stava fissando e non nel migliore dei modi. “Ragazzi.” Ci salutò Orion avvicinandosi per sussurrarci qualcosa. “Dov’eravate finiti? Siete in ritardo e non so per quanto riuscirò a tenerli buoni: la mia autorità è in discussione in questo momento.” Ci informò Orion con fare preoccupato e seccato. “Scusate il ritardo ma dovevamo sistemare una faccenda prima di venire.” Dichiarai con calma per farmi sentire da tutti. “E cosa ci sarebbe di così importante, eh?” Mi incalzò Idoler furioso, mi limitai a lanciargli uno sguardo di sufficienza. “La qual cosa non ti riguarda, forse.” Mi limitai a dire sedendomi su uno dei divani ed invitando gli altri a seguire il mio esempi, mentre controllavo che la pistola fosse al suo posto.
“Come osi mancarmi di rispetto?” Esclamò Idroel mentre Galahad e Felicitis, anche se questa ebbe dei tentennamenti, seguivano il mio esempio. “Non sei un mio superiore Idoler. Quindi sta’ zitto.” Decretai serissima lasciando di stucco il giovane gargoil per qualche istante. Non gli lasciai il tempo di riprendersi e iniziai a parlare. “Immagino che molti qui desiderino la mia pelle.” Scherzai ostentando sicurezza anche se dentro di me stavo tremando da capo a piedi. “La mia e quella di chi mi ha aiutata.” Sottolineai lanciando uno sguardo ai ragazzi.
“Non faranno scemenze, adesso sono io il capo dei Rivoluzionari.” Disse Orion facendo da garante per noi. “Non è detto.” Disse qualcuno dei presenti ma bastò un’occhiata da parte di quella montagna di muscoli incazzata per farlo tacere. “Non ti preoccupare Orion, noi ce ne andiamo: lasciamo i Rivoluzionari.” Mi limitai a dire con calma.
Sentii Galahad lanciarmi un’occhiata preoccupata: si fidava di me e sapeva che ero quella che faceva più paura nel gruppo ma stavo giocando un gioco pericoloso.
 
“Come prego?” Disse Idorel irritato. “Ce ne andiamo, abbandoniamo questa merda, poiché tutto quello che abbiamo fatto finora non avrebbe cambiato di un decimo questo mondo, anzi avrebbe peggiorato la situazione.” Specificai con estrema tranquillità ma mantenendo sotto stretto controllo ogni più piccolo movimento dei presenti. Malgrado Orion avesse proibito di portare armi dubitavo che tutti avessero rispettato quel divieto.
 
“La gente comune ha paura di questi movimenti e li teme come teme la Mafia, la polizia, la S.C.A. o l’esercito. Se vogliamo che il popolo stia dalla nostra parte, che desideri il cambiamento, che ci appoggi, dobbiamo smette di fare rapine e sciocchi tentativi di intralciare la S.C.A., dobbiamo dare alla gente la possibilità di un mondo migliore.” Intervenne Galahad tirando fuori tutto il suo coraggio.
“Una scelta?” Chiese qualcuno scetticamente, confuso dal improvviso discorso. “Sì, una scelta: volete sottoporvi ad un regime ingiusto o creare un mondo nuovo, viverci e ricominciare da capo?” Chiese lui guardando i presenti con estrema attenzione.
 
“Non è quello che stiamo facendo?” Chiese Idoler seccato, gli lanciai un’occhiata di disgusto. “No.” Intervenni. “Non vi sono bastati i morti trai civili che Malandrino ha voluto? E volete che vi dica tutto? Malandrino avrebbe usato il drago per bruciare Meddelhok e basta, si sarebbe fatto ammazzare nel giro di un paio di giorni da qualcuno. Dal suo gesto non ne sarebbe venuto nulla. Avrebbe solo portato a macerie e migliaia di morti innocenti. Quello che abbiamo fatto finora non serve a niente, anzi peggiora solo la situazione.” Spiegai con estrema calma mentre passavo la parola a Galahad.
“Concordo. Se si vuole cambiare questo stato bisogna farlo con l’informazione e con l’istruzione, creare un’alternativa, diffondere nuove idee, non la paura e l’ignoranza, quella è l’arma preferita dalle forze del ordine e dal nostro stato. Se continuiamo così non saremmo meglio di tutte quelle persone che diffondono false notizie o attaccano i non-umani per piacere.” Quella parola non era un termine nuovo, ma quella fu la prima volta che lo sentii usare da qualcuno in un discorso e sentii che quel piccolo cambio d’espressione era importante, ancora discriminante certo, ma fondamentale. “Se invece dimostrassimo al mondo che noi tutti abbiamo pari diritti, pari possibilità e che tutti possono diventare ciò che vogliono, se facciamo aprire gli occhi al mondo, forse riusciremo a creare il mondo che desideriamo.”
 
Non so chi osò interrompere Galahad ma qualcuno borbottò qualcosa di simile a questo “Eccolo un altro che crede che basti scendere in piazza e protestare per cambiare il mondo, che disilluso. Tanto vale ammazzarsi.”
In quel istante Galahad fissò con fare omicida il ragazzo che aveva parlato e riprese a parlare con nuova determinazione. “Non sto parlando di una banale protesta, ma di una vera e propria rivoluzione, non solo per le strade, in combattimenti o manifestazioni, ma un movimento che coinvolgerà tutti, anche gli uomini che riusciranno a vedere aldilà del loro naso.” Gradii l’occhiata che mi rivolse come a sottolineare che umani così esistevano.
“Parlo di soverchiare il vecchio stato e di crearne uno nuovo, ma senza più infettare con il terrore tutto e tutti.” Lo ammetto non fu la sua migliore orazione ma forse è meglio così.
 
“Voi sete pazzi!- Nessuno ci ascolterà!- Belle parole ma a fatti non è possibile!” Urlò più di qualcuno nella folla.
“Parli facile, ragazzino.” Iniziò Idroel guardando con disprezzo Galahad che rispose stoicamente ma non mi sfuggì il fatto che le sue mani tremassero. “Ma forse ti sei dimenticato di un piccolo dettaglino: avete mandato a puttane mesi, che dico, anni di preparativi, ucciso il nostro capo e state tenendo in ostaggio alcuni dei nostri uomini. Con questa premessa avremmo dovuto ammazzarvi nello stesso istante in cui siete entrati. Ma non lo abbiamo fatto solo perché questo vecchio verme di palude si è rammollito.” A quelle parole sentii che Orion avrebbe potuto rompere questa situazione di stallo e ammazzare Idroel, ma non ne ebbe il tempo.
 
“Accuse pesanti per un coniglio che non ha mai partecipato ad una missione da quando è salito di grado.” Commentai portando l’attenzione su di me. “E, anche se fosse, Malandrino era un pazzo malato, e tu lo sai: sarebbe stato la rovina di tutti. Vi abbiamo fatto un favore ad ucciderlo.” Decretai serissima sfidando Idroel. “Io sono qui per informarvi che usciamo dai Rivoluzionari ma intendo continuare a combattere in ciò in cui crediamo, se qualcuno vuole seguirci è libero di farlo. Oppure….”
A quel punto presi la valigia e mostrai loro le foto, i documenti, tutto. Idroel fece per afferrarne una ma lo bloccai con un colpetto. “Credo che tu sappia cosa sono anche senza guardale meglio, vero Idroel? Dubito che tu non sappia riconoscere tua moglie e tuo figlio quando li vedi.” Sussurrai minacciosa, subito tutti i presenti si sporsero e rabbrividirono al unisono.
 
“Tu… schifosa puttana!” Con questo urlo furioso Idroel provò ad assalirmi. Senza esitazione lo bloccai e lo schiantai a terra per poi puntargli il coltello alla gola. “Non vi uccideremo e non diremo nulla a nessuno. Ma minacciate noi, le nostre famiglie, i nostri cari e pensate anche solo lontanamente di infastidire i Longo e un uccellino canterà. Ricordatevi che conosciamo tutte le vostre basi, i nascondigli, i crimini, le vostre facce e i vostri nomi. Con queste prove se siete fortunati vi uccideranno subito, ma le vostre famiglie non conosceranno mai la pace.” A quelle parole Idroel fissò Orion in cerca di aiuto ma questi lo ignorò e capì che, oramai, era dalla nostra parte.
“Se… se parlate anche voi sarete coinvolti.” Rispose Idroel tentando di spaventarmi ma in risposta sorrisi divertita. “Oh, davvero? Ci stenderanno un tappeto rosso e ci grazieranno quando sapranno che siamo stati noi ad impedire la cattura del drago e che glielo abbiamo reso.” Risposi, stavo mentendo, e chi stava con me lo sapeva.
“Che cosa!?!” Urlò Idroel terrorizzato, gli lanciai uno sguardo divertito. “Tu non hai idea di quanto una mente distrutta sia facile da manipolare. Ho mandato una soffiata giusto l’altro giorno alla S.C.A. rivelando il nascondiglio che avevamo trovato per il drago. Adesso è di nuovo nella sua gabbia.” Risposi tornando a concentrarmi su Idroel conscia che dovevo svolgere la parte della cattiva fino in fondo. “E poi, a chi credi che la gente crederà? A voi? Una manica di criminali, ladri, terroristi che ogni singola razza disprezza, oppure alla brava ragazza umana, figlia di agenti S.C.A., rimasta incastrata da questi per proteggere i suoi cari amici Altri?” Nella mia vita ne ho dovute dire di cazzate, ma credo che questa le batta tutte, mi facevo schifo da sola.
Tuttavia ottenni l’effetto desiderato: crollò il silenzio più totale e capii che tutti erano terrorizzati. “Vi ripeto l’accordo: voi lasciate stare noi e le nostre famiglie, in cambio noi vi lasceremo stare. Mi sembra equo.” Decretai sistemando il coltello nel fodero.
 
Idroel strisciò via terrorizzato e si massaggiò il punto in cui il metallo gli aveva sfiorato la pelle. “Non intendi fare nulla?” Domandò questi ad Orion più per avere conferma della sua posizione che per schernirlo.
“Sì, intendo seguire l’esempio di questa poppante che ha più cervello di tutti voi messi assieme. Avrei doluto mollare Malandrino anni fa, questa è la giusta occasione.” Decretò Orion lanciando un’occhiata al resto del gruppo. “Questa ce la paghi orco. Ti ricordo che so dove vivi.” Disse Idroel tentando di spaventarlo. “Anche io so dove vivi, mezza calzetta. Ma mi sa che questi signorini sanno qualcosa di più interessante, o sbaglio?” Specificò Orion per poi fissare i miei amici che erano ancora scioccati dalla scena, in particolare Felicitis era rimasta terrorizzata, mentre Garred stava sorridendo con ammirazione.
“Muovete le chiappe giovinotti o questi vi sgozzano adesso.” Disse Orion ridestando i miei amici che mi seguirono fino al uscita, raccattando i documenti nel processo.
 
“Allora che si fa capo?” Non mi voltai, sentivo che Garred si stava riferendo a Galahad ma mi sbagliavo. “Diana?” Solo quando sentii la voce di Galahad mi voltai: c’erano Felicitis, Nohat, Garred, Galahad, Vanilla e Orion che mi stavano fissando ed erano pronti per un nuovo inizio. Sapevamo che per quello che volevamo fare ci sarebbero voluti anni, solo non immaginavamo quanti, molte più persone, ma non avrei mai immaginato quante, e il prezzo da pagare sarebbe stato salato, estremamente. Eppure eravamo pronti. Trassi un profondo respiro. “Direi di iniziare con l’ampliare il gruppo.” Decretai con un mezzo sorriso.
 
 
Per i seguenti due giorni iniziammo a discutere su come agire a partire da ora ma, a parte l’accennare il fatto che dovevano informare le nostre famiglie e andarcene da Meddelhok il prima possibile, non accordammo su niente.
Il 30 aprile arrivò la lettera dei miei compagni di Lovaris che mi informava che il drago era arrivato e stava bene e che lo avrebbero tenuto nascosto nel bosco per le successive settimane dato che si stavano aggirando diversi agenti S.C.A. per tutta la catena montuosa della Luna. Gli scrissi pregandoli di stare attenti e di tenermi informata e accennai loro la possibilità che appena conclusi gli esami sarei tornata a Lovaris per un po’, ma che non sapevo ancora quando.
 
Ma questi eventi avvennero nel pomeriggio. Poiché mattina tornai a scuola.
La sicurezza era aumentata a dismisura e, avendo previsto questa cosa, ero stata bene attenta a non portarmi dietro niente di vagamente contundente. Vanilla era accanto a me mentre veniva perquisita e notai che gli agenti si stavano comportando come se fosse una criminale: non perché avessero prove, ma perché era una strega. Vanilla non disse nulla ma notavo nei suoi occhi quella sensazione bruciante e distruttiva che collideva con la sua rassegnazione dovuta alla consapevolezza che se reagiva, se protestava, avrebbe solo peggiorato la sua posizione.
Per assicurarmi che non facessero mosse strane con lei rimasi all’entrata scrutando la guardia che stava attuando la perquisizione. Potei notare come fu estremamente meticoloso: prese ogni singolo oggetto nello zaino di Vanilla e lo scrutò con attenzione, controllò anche la sua busta con gli assorbenti causando un piccolo scompiglio generale. Me ne rimasi zitta solo perché avevo la stessa consapevolezza della mia amica e poiché sapevo che non potevo più concedermi il lusso di combattere ogni singola battaglia.
 
“Bastardi.” Sussurrò Vanilla una volta conclusa l’ispezione, stava rimettendo tutte le sue matite e penne dentro al astuccio mentre io riponevo le schede dentro alle buste apposite. “Non serviva controllare così affondo.” Continuò a borbottare.
In muto accordo decidemmo di restare lì assieme ad aspettare il resto dei ragazzi, non si sapeva mai.
 
Il primo ad arrivare fu Nohat che era più pallido del solito, aveva chiari segni di occhiaie e l’aria di uno che non si faceva una dormita decente da almeno una settimana. Con mia grande sorpresa subì l’ispezione passivamente senza aggiungere una parola e, una volta conclusasi, afferrò maldestramente tutti i suoi libri e iniziò a sistemarle dentro allo zaino seduto sul pavimento. Non volle e non chiese il nostro aiuto, ma notai come Vanilla fosse preoccupata per lui e mi lanciò un’occhiata di preoccupata e incerta sul come comportarsi. Le feci un cenno per farle capire di concedergli un po’ di tempo e di lasciarlo stare, conscia che intervenendo avremmo solo ferito il suo orgoglio.
Felicitis arrivò poco dopo ed era terrorizzata dai modi degli agenti di polizia. Tuttavia rimase zitta a capo chino e subì tutto, quando finirono era quasi scoppiata a piangere. Lanciai un’occhiataccia al agente che aveva ispezionato Felicitis e mi segnai il numero di matricola, cucito in bella mostra accanto al distintivo, nel diario per non scordarlo.
Garred paradossalmente fu quello che con pochi sorrisi e qualche battuta riuscì a non farsi ispezionare più di tanto. Noi tutti gli lanciammo un’occhiata sorpresa e questi ci sorrise imbarazzato. “Andiamo ragazzi non fate quelle facce, non è niente di nuovo.” Non riuscii a trattenere un sorrisetto divertito: non si era reso neppure conto di quel che aveva fatto. “Allora ragazzi andiamo in aula? Faremo tardi se restiamo qui!” Esclamò Garred afferrando il suo zaino e iniziando a camminare verso la sua aula, stavo per imitarlo quando un bidello iniziò ad annunciare che le attività scolastiche della prima ora erano sospese e che dovevamo dirigerci verso l’aula magna.
 
Noi ragazzi seguimmo il flusso fino ad arrivare davanti ad un’aula enorme piena di sedie mezze rotte con un piccolo palco dove c’era lo stretto necessario per una lezione: una lavagna enorme, una cattedra e qualche sedia extra. Normalmente veniva usata per le conferenze o gli esami. Tuttavia, quel giorno, c’erano drappi neri al esterno e quattro foto lasciate in bella mostra sulla scrivania e non fu necessario vedere il viso sorridente di Giulio per capire cosa stesse succedendo.
 
La notizia della morte di Giulio era giunta a scuola prima di quel che credessi, e, a quanto pareva, non era stata l’unica vittima: altri quattro ragazzi erano morti durante quella notte, un'altra decina erano in ospedale e la professoressa di Storia era in una condizione simile.
A quanto pareva, per celebrare il ricordo dei ragazzi, avevano deciso di attuare una riunione con tutti gli studenti nell’aula magna.
 
Dopo una prima esitazione mi sedetti in prima fila assieme al mio gruppo d’amici e un paio di professori. Sentivo dietro di me il pianto di un ragazzo che intuii essere nella mia stessa situazione dato che c’era anche una ragazza lì in mezzo. Non osai voltarmi ma solo sentire il nome della ragazza venire pronunciato a mezza voce da uno degli amici del ragazzo mi fece stringere lo stomaco. L’idea che quello sarebbe potuto essere Giulio se fossi morta mi stava torturando e turbando più del dovuto.
 
La preside salì sul palco e iniziò a parlare. “Oggi, miei cari ragazzi, siamo qui per ricordare alcuni nostri cari studenti: Antonio Rovereto, Susanna Massani, Enrico Albiero e Giulio Longo. Morti tragicamente durante i disordini della scorsa settimana. Prego tutti i presenti di attuare un minuto di silenzio in memoria di questi ragazzi e, se poi ci sarà qualcuno che lo desidera, dire due parole in memoria di questi giovani.”
Con queste parole la preside suonò una campanella per segnare l’inizio del minuto e vi fu religioso silenzio nel aula magna. Evento più unico che raro a pensarci.
Teoricamente avrei dovuto pregare ma non riuscivo a farlo in quel momento, ero troppo presa dal guardare quelle quattro piccole foto che erano state disposte sulla cattedra che occupava il centro del palco sopraelevato. Il più giovane doveva avere un paio d’anni in meno di me e Giulio era probabilmente il più grande. Quasi inconsciamente portai una mano al ciondolo a forma di quarto di luna e lo strinsi con forza.
In quel istante la preside suonò nuovamente la campanella per segnare la fine del minuto e allentai la presa. Abbassando lo sguardo mi seri conto di aver lasciato il segno della luna sulla mia mano e mi resi conto di quanta forza avessi usato.
 
“Qualcuno vuole intervenire?” Domandò la preside timidamente. Trassi un profondo respiro e lanciai un’occhiata ai ragazzi che mi fecero un cenno d’incoraggiamento, a quel punto mi alzai conscia che probabilmente mi stavo per fare del male da sola, eppure sentivo che era la cosa giusta da fare.
“Sì? Signorina Dalla Fonte?” Per attirare l’attenzione della preside mi ero alzata e le feci un cenno per chiedere il permesso di prendere la parola. La preside per un istante parve confusa.
 
Sentii un brusio formarsi tra le prime file. La preside pareva leggermente interdetta al inizio, probabilmente non se lo aspettava da me, ma mi concesse il palco.
Lanciai un’occhiata all’aula, non era enorme e la mia voce sapevo essere abbastanza potente da farsi sentire anche tra le ultime file. Così presi un bel respiro e incominciai il discorso che mi sentivo ribollire dentro.
 
“Non avuto modo di conoscere Antonio, Susanna ed Enrico, però vorrei dire due parole sul ultimo ragazzo, l’unico che ho potuto conoscere.” Sentii qualcuno tossicchiare ma comunque andai avanti. “In quest’anno ho avuto modo di legarmi molto a Giulio. Ho imparato ad apprezzare quella splendida persona che era e a conoscere e accettare i suoi difetti. Ho imparato a comprendere i messaggi nei suoi sguardi e a cosa dovevano i suoi sbalzi d’umore impercettibili ai più. E ho scoperto parti di lui che ad un primo sguardo non mi sarei mai aspettata.”
Iniziai a vedere negli occhi di molti della sorpresa e a guardarsi intorno. “Era totalmente dedito alla sua famiglia e alle persone a lui più care, capace di leggere ciò che gli altri provavano e capirne i bisogni senza lasciarsi mettere i piedi in testa. Amava lo studio e dimostrare la sua bravura spesso anche solo per soddisfazione personale. Sapeva consolarti, sorreggerti, darti l’amore che serviva a farti vivere e sapeva vedere oltre.” Trassi un profondo respiro per calmarmi e ripresi il discorso. “Questo era Giulio e vorrei che fosse così che voi lo ricordaste. E non come uno dei tanti morti.” L’ultima frase mi morì in gola e delle lacrime scesero sulla recente cicatrice che scacciai con un gesto seccato della mano. “Vi ringrazio.”
 
Sentii un timido applauso partire dalle prime file e poi espandersi a macchia d’olio. Con lentezza mi risedetti al mio posto. “Sei stata molto brava.” Mi incoraggiò Felicitis con le lacrime agli occhi. “Hai fatto la cosa giusta.” Sussurrò con un mezzo sorriso a cui risposi.
Fu allora che la preside riprese a parlare. “Grazie, Diana, per l’intervento.” A quel punto seguì qualche minuto di silenzio in cui la preside chiese se c’era qualcun altro disposto a parlare ma nessuno se la sentì.
 
“Bene, allora ehm…” La preside guardò in direzione della porta leggermente nervosa e osservai a mia volta: c’era un ufficiale della S.C.A. al entrata e un pezzo grosso della polizia di Meddelhok, lo intuii dalla divisa borghese. “Ora un po’ d’attenzione prego.” Disse la preside ristabilendo il silenzio a seguito del brusio che il mio discorso aveva causato soprattutto tra gli studenti non-umani ma anche gli umani avevano dei commenti da fare, tuttavia nessuno osò proseguire. “Dato che abbiamo di già compianto i vostri compagni leggerò una comunicazione della S.C.A. e della polizia di Stato.”  Quell’informazione più che irritarmi mi incuriosì. Nohat pareva piuttosto infastidito dalla cosa e notai che stava per aprire bocca ma Garred lo bloccò prima che compisse qualche pazzia e intuii che anche lui era incuriosito.
“Se qualcuno fosse a conoscenza di attività illegale da parte di alcuni dei vostri compagni, familiari o conoscenti è pregato di fare rapporto alla stazione di polizia più vicina.” Iniziò la preside ma fu costretta a fermarsi l’agente S.C.A. era salito sul palco e, dopo un breve cenno della mano, iniziò a parlare.
In un’altra occasione mi sarei divertita a vedere l’autorità di quella donna venire calpestata in questo modo ma dallo sguardo che lei fece capii che probabilmente la situazione era più grave di quel che credevo e che probabilmente quel tizio era più influente di quel che credessi.
 
“Miei cari ragazzi, comprendo che per molti di voi la notizia della perdita dei vostri compagni sia un grosso motivo di shock ma adesso vi richiediamo la vostra collaborazione come cittadini.” Iniziò l’agente che compresi essere ad un rango superiore a quello di mio padre. “È giunta voce che il gruppo terroristico dei Rivoluzionari possa essere entrato in contatto con alcuni gruppi di studenti. E siamo tutti piuttosto positivi sul fatto che sia stato questo gruppo ad orchestrare le sommosse di cinque giorni fa.” Una parte di me si preoccupò: se avevano scoperto delle sommosse non escludeva che sapessero che eravamo stati noi a liberare il drago. “Ora se qualcuno è a conoscenza di qualcosa, anche minuscola. È tenuto a fare rapporto immediato, questi terroristi vanno stanati e impiccati.” Continuò l’agente con fermezza, notai il terrore di diversi miei compagni Altri, soprattutto quelli più giovani che erano stati presi di mira dagli occhi scuri del agente. Questi poi lanciò un’occhiata al mio gruppo.
“Anche se fosse qualcuno di caro.” Continuò con i suoi occhi agghiaccianti ma per un istante si soffermò su di me, sorpreso, probabilmente non vedeva molti umani in mezzo ad Altri, lo dovevo aver sorpreso.
Lasciai che un sorrisetto strafottente comparisse tra le mie labbra i Rivoluzionari erano un gruppo di Altri misto ma da quel che sapevano nessun umano faceva parte del gruppo, con questa mossa avevo allentato il sospetto dai miei compagni almeno un po’.
 
“Grazie per lo splendido intervento agente. È stato molto incisivo.” L’uomo soffermò il suo sguardo su di me un altro istante ma proseguì col discorso. “Dovere signora.” Disse dileguandosi all’entrata senza degnare d’uno sguardo la preside.
 
“Bene ragazzi, ora un’ultima notizia.” Disse la preside facendo tornare lo sguardo su di lei. “Dato che la professoressa Dentilli è ricoverata al ospedale. Abbiamo dovuto trovare un supplente per i prossimi mesi. Ragazzi, vi presento il professor Da Sair.” In quel momento un umano dalla pelle scurissima e i tratti tipici dei nomadi del deserto si fece avanti. Garred mi tirò la manica e mi avvicinai. “Che c’è?” Domandai innervosita. “È il tizio che stava col fotografo, quello fissato con gli scatti a tradimento.” Lanciai uno sguardo più accordo: era proprio lui e dallo sguardo che mi lanciò capii che anche lui aveva riconosciuto noi.
 
Ovviamente quella stessa mattina avevo Storia. Il professor Da Sair riuscì, con mia grossa sorpresa, ad imbrigliare la classe velocemente approfittando del fatto che stessimo finendo di studiate la seconda metà del millenovecento per farci un approfondimento sui moti del 1964 e fece un parallelo con i moti precedenti, non parlò di quello appena avvenuto dato che “a scuola non si parla di politica” ma da come parlava la sua posizione era intuibile ad un occhio accorto. Per giunta fu la prima volta che la Storia mi appassionò: fino ad ora avevo studiato solo date, fatti e avvenimenti senza mai approfondire sul senso o sulle motivazioni di questi, invece così riuscii non solo a seguire ma anche ad intervenire, cosa che generalmente in Storia non facevo se non ero interpellata. Mediamente ero conosciuta per alzare sempre la mano alle lezioni di Diritto ed Economia e un po’ a Matematica ma a Storia spesso non prendevo neppure appunti, invece mi ritrovai a stenografare tutta la lezione parola per parola sotto lo sguardo sconvolto di Felicitis.
 
Conclusasi la lezione il professor Da Sair mi bloccò alla cattedra. “L’ho vista particolarmente presa dalla lezione, signorina…?”  “Dalla Fonte.” Risposi prontamente con Felicitis che mi fissava dalla porta leggermente a disagio. “Ho notato che ha preso parecchi appunti. Potrei vederli.” Glieli porsi senza fare tante storie anche se già sentivo i rimproveri per aver stenografato, di solito i professori mi bacchettavano o riprendevano per questa mia abitudine, ma io continuavo a farlo. “Stenografia, non la vedevo da quando andavo alle medie, credevo che con l’avvento delle macchine da scrivere non si usasse più.” “Me l’ha insegnato mia nonna.” Mi limitai a dire nervosa, sapevo che la stava prendendo larga per restare solo con me e Felicitis. “Uhm, affascinante. Ma sarebbe meglio che prendesse appunti con la bella grafia.” “Così è più veloce.” Mi limitai a dire trafiggendolo con lo sguardo: come face ad essere così calmo.
In quel istante uscì l’ultimo ragazzo.
 
“Bene.” Sussurrò tranquillo il professore. “Le volevo fare le mie condoglianze per il ragazzo, era una brava persona.” Trassi un respiro pesante con fare irritato, sembravano condoglianze sentite ma data la situazione non ne ero così sicura. “La ringrazio ma so che non mi sta tenendo qui per la stenografia o perché mi è piaciuta la sua lezione. Siamo qui per parlare del suo amante o sbaglio?” Domandai incrociando le braccia. “Compagno. E sì.” Disse guardandomi con fare preoccupato. “Crede che lo direi in giro?” Domandai nervosa. “Ragazzina non mi hai fatto la migliore delle impressioni e Lorenzo sarà anche un po’…” “Stronzo?” Domandai l’uomo mi fece un cenno seccato ma non commentò. “Ma mi è sembrato di capire che non hai la migliore opinione su di noi.” Disse Da Sair nervosamente.
“Crede davvero che sono così stronza da spifferarlo a qualcuno?” Domandai imponendomi di rilassarmi abbassai le braccia e rilassai la schiena. L’uomo sorrise dolcemente. “Io non credo niente ma, cercate di capirmi, una voce del genere distruggerebbe tutto ciò a cui ho lavorato in questi anni. Insegnare è il mio sogno da sempre e ho fatto di tutto per realizzarlo. E credo che tu sappia che di già non è facile per qualcuno come me.” Lo disse con una tale naturalezza, quasi rassegnazione, ma sapevamo entrambi che non stava parlando del suo orientamento. “Sta parlando del colore della sua pelle vero?” Domandai strofinandomi la mano per il disagio. Io non avevo mai sofferto troppo per il colore della mia pelle, i miei capelli e i miei occhi mitigavano parecchio il mio retaggio, ma già mio padre aveva dovuto sputare sangue e ingoiare parecchia merda per via di questo piccolo dettaglio.
Il professore Da Sair mi sorrise dolcemente nuovamente. “Ho affrontato parecchio per arrivare fino a qui: già da bambino andare a scuola significava attuare immensi sacrifici per comprare un libro, per frequentare le medie dovevo partire prima del alba e raggiungere la città vicina, per frequentare le superiori ho dovuto abbandonare il mio villaggio e andare in un altro comune, mi sono trasferito in un’altra regione per frequentare l’università mentre lavoravo per pagarmi tutto ciò che la mia misera borsa di studio non poteva, e sono arrivato a Meddelhok nella speranza di trovare del lavoro. Sono cinque anni che ho l’abilitazione come insegnante ma nessuna scuola mi ha mai preso se non per delle miserevoli supplenze. Questa è l’incarico più lungo che abbia mai ricevuto e non intendo mandare a monte la possibilità di avere un lavoro perché la gente mi giudica per quello che faccio nel privato.”
 
Potevo vedere oltre la scorza di quel sorriso gentile la sofferenza che provava e in parte pensavo di capirlo. Dopo tanti sforzi e sacrifici si meritava una possibilità.
Presi un profondo respiro. “Se giudicassi una persona per ciò che è e non ciò che fa andrei contro i miei principi.” Lo vidi alzare gli occhi con uno sbrilluccichio sorpreso. “E questa è stata la migliore lezione di Storia a cui io abbia mai partecipato. Lei è sicuramente un ottimo insegnante, si merita questo ed altro.” Lui mi guardò sorpreso. “Pensavo che odiassi quelli come me.” Feci spallucce. “Non vi odio. Solo non so cosa pensare.” Ammisi mestamente.
Il professor Da Sair si alzò e mi sorrise. “Allora spero di indottrinarti nel modo giusto.” Scherzò alzando la mano per farmela stringere. “Vedremo.” Risposi stringendola a mia volta.
 
“Posso considerare quindi questa come una promessa di silenzio da parte tua e dei tuoi amici?” Mi domandò con un mesto sorriso. “Sì, mi prendo la responsabilità di far tenere loro la bocca chiusa. L’unica cosa che mi dispiace è che non potrò vedere la faccia sconvolta della preside all’idea di aver ingaggiato un…” Non completai la frase lasciandola in sospeso. “Non è una parolaccia, la può dire in mia presenza.” Con queste parole lasciai andare la presa. “Buona giornata, prof.”
“Buona continuazione, Dalla Fonte.”
 
Raggiunsi Felicitis che era rimasta tutto il tempo ad attendermi sulla porta e mi fissò preoccupata. “Sei sicura Diana?” Abbassai il capo. “Manterrò la promessa.” Mi limitai a dire anche se dentro di me erano iniziati a sorgere diversi dubbi e la mia mente aveva iniziato a macinare informazioni su questa novità. Ma per il momento sarebbero rimaste lì, pronte a germogliare appena sarebbe giunto il momento propizio.
   
 
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