Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Calimon    22/06/2021    2 recensioni
“Sherlock l’aereo deve partire!” dal tono di voce di Mycroft permeava tutta la sua impazienza
“Dammi solo un dannatissimo minuto!” Sherlock scandì ogni parola.
Per lui era già tutto incredibilmente difficile senza che continuassero ad interromperlo; ammettere a sé stesso di provare certi sentimenti era stato uno sforzo immane ma riuscire a dichiarali a qualcuno si stava rivelando in assoluto la cosa più masochista che avesse mai fatto in vita sua, e lui ne aveva fatte parecchie.

Quando Sherlock dichiara i suoi sentimenti a John non ha idea che da lì a poco la missione sotto copertura per cui deve partire sarà annullata. Le conseguenze alle sue parole potrebbero essere molteplici ma quando si trova di nuovo difronte a John è come se nulla fosse mai successo. Stava solo sognando? Era un’allucinazione indotta dalle droghe? Gli eventi travolgeranno i due coinquilini di Baker Street e le notti di Sherlock saranno costellate da incubi e domande a cui solo John può rispondere.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: Altro Martedì, altro capitolo!

Questa volta ho lasciato più spazio al mio caro John Watson, un personaggio che adoro e spero di essere riuscita a rendere al meglio. 

Per certi versi è stato più difficile dar vita ai suoi pensieri che a quelli della mente brillante, contorta e pragmatica di Sherlock…ma non voglio anticipare nulla quindi vi lascio alla storia.

Grazie a chi ha letto, a chi ha recensito e a chi lo farà. A presto! Xo

 

 

2. TRA SOGNO E REALTÀ

 

 

“What do you want from me?

Why don't you run from me?

What are you wondering?

What do you know?

Why aren′t you scared of me?

Why do you care for me?

When we all fall asleep, where do we go?”

{Bury a friend - Billie Eilish}

 

 

“Vai all’inferno Sherlock”

Dalla morte di Mary l’inferno che si era trasferito sulla Terra, più precisamente al 221B di Baker Street.

John incolpava Sherlock per la morte della moglie che aveva promesso di proteggere e, benché una parte di lui sapeva benissimo che non era davvero colpa sua, le parole dell’amico lo torturavano da allora. 

Mary aveva ragione, se voleva salvare John Watson doveva lasciare che John Watson desiderasse salvare lui; per farlo Sherlock aveva deciso di dare il tutto per tutto.

Il fatto che John non gli parlasse più e si rifiutasse di vederlo aveva solo reso più facile la sua discesa verso gli inferi: rischiare la vita non lo spaventava, lo aveva fatto già diverse volte, la differenza era che adesso lo stava facendo per salvare qualcun altro, non solo per appagare il suo bisogno di sapere e conoscere o perché aveva sbagliato a mischiare delle sostanze stupefacenti.

Sherlock, sii sincero almeno con te stesso, lo stai facendo per egoismo anche questa volta.

Sherlock avrebbe voluto mettere a tacere la sua voce interiore ma sapeva che era così: salvare John voleva dire salvare anche sé stesso, e non solo dal rischio di morire a causa di tutta la roba che stava assumendo, ma anche perché la sua vita senza John era una vita menomata.

Per quanto tentasse di fingere il contrario, di far credere a sé stesso che da solo stava più che bene, come era sempre stato, la sua vita sembrava un puzzle a cui mancava un tassello, quel pezzettino senza il quale il quadro d’insieme è irrimediabilmente rovinato.

Una siringa dietro l’altra, una sigaretta dopo l’altra, una cazzata in pubblico più grande di quella precedente.

Sherlock non aveva idea di quanto tempo fosse andato avanti con quel comportamento autodistruttivo, i giorni iniziavano a sembrargli tutti uguali e si susseguivano in un vortice che non seguiva più calendario e ritmo circadiano.

Il caso di Culverton Smith era sembrato un ottimo pretesto per farsi notare da John, in più poter inchiodare un serial killer che la stava facendo franca da troppo tempo era un ottimo incentivo ad impegnarsi.

La prima volta che aveva rivisto John aveva dovuto fare uno sforzo enorme per mantenere la calma ed evitare che il mix di emozioni e sostanze stupefacenti lo travolgessero del tutto.

Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli quanto gli mancava, dirgli che se avesse potuto avrebbe dato la vita per salvare Mary e per vederlo felice, perché essere ucciso da una pallottola sarebbe stato sicuramente meglio che vivere una vita in cui John Watson non era presente. 

Era stato possibile stare solo prima di incontrarlo ma una volta che lui era entrato nel suo mondo lo aveva sconvolto e cambiato a tal punto che fare come se lui non ci fosse mai stato non era più un’opzione.

Tutto il resto era andato secondo i piani, benché Sherlock avesse vissuto tutto come si vive un sogno, vagamente inconsapevole e con la mente annebbiata.

Mr. Smith lo aveva quasi ucciso, strangolandolo con le sue stesse mani, guardandolo negli occhi per soddisfare il suo piacere perverso, ma la fiducia di Sherlock nei confronti di John non era mai vacillata: era certo che sarebbe arrivato a salvarlo.

Nonostante ciò non riuscì ad impedirsi di pensare che se avesse dovuto guardare un paio d’occhi per l’ultima volta prima di morire, avrebbe voluto guardare quelli azzurri dell’uomo che anni prima aveva affittato insieme a lui quell’appartamento al 221B di Baker Street.

Arriverà, lo sai. Cerca di far entrare dell’aria nei polmoni. Non ti agitare. Resisti. John non ti deluderà.

E così era stato, come un angelo sceso negli inferi, John era arrivato a salvarlo.

Cercando di mantenere un’aria non curante Sherlock aveva raccontato all’amico ciò che era accaduto, gli aveva parlato del video di Mary, del suo piano, tutto; poi era svenuto.

I giorni seguenti erano stati un vortice pieno di nebbia, di incubi, di risvegli di soprassalto in un letto d’ospedale e di dolori lancinanti a causa dell’astinenza.

Ogni tanto apriva gli occhi riconoscendo le voci di Mycroft, Molly e Mrs. Hudson, tutti gli chiedevano come stava ma la sua risposta era sempre la solita domanda “John?” 

John però non era mai lì: aveva da fare con Rosie o stava lavorando o semplicemente non era potuto andare a trovarlo.

A quel punto Sherlock semplicemente chiudeva nuovamente gli occhi facendosi inghiottire di nuovo dall’oblio dei farmaci e tornando agli incubi che tutto sommato erano meglio della realtà.

 

“Lui non ti vuole più!” Lo stava sfottendo Moriarty 

“Smettila di parlare!” Sherlock lo spinse giù dal tetto del palazzo su cui anni prima si era sparato un colpo di pistola, ma lui ricomparve quasi subito alle sue spalle.

“Sono ancora qui Sherlock! Non puoi liberarti di me!” Gli sussurrò all’orecchio in tono beffardo.

“L’ho già fatto una volta e lo farò di nuovo!” Sherlock lo afferrò saldamente per il bavero del cappotto e Moriarty cominciò a ridere sguaiatamente 

“Sherlock, Sherlock, Sherlock...se non sbaglio io mi sono ucciso. Io!” Sottolineò per poi puntargli l’indice sul petto 

 “Tu mio caro piccolo detective mancato non sei stato in grado nemmeno di fare quello!” Ghignò 

“Non sei stato in grado di uccidere me e non sei nemmeno riuscito a salvare Mary” 

Gli occhi di Jim Moriarty erano due pozzi scuri accesi da una scintilla di follia, mentre le labbra erano piegate in un sorriso malevolo.

Sherlock sentì qualcosa di pesante battergli sulla gamba; infilò una mano nella tasca del cappotto da cui ne tirò fuori una pistola, che non ricordava di avere con sé, e la puntò dritta sulla fronte di Jim.

“Oh che paura Sherlock!” Lo canzonò il suo nemico “Se premi quel grilletto però il tuo caro amico John farà una brutta fine”

Indicò il lato opposto del tetto dove un uomo con un passamontagna stava puntando un coltello alla gola di John.

“E non sarà nemmeno una fine veloce, mio caro amico...”

Sherlock!

Qualcuno chiamò il suo nome e per un attimo il tempo sembrò fermarsi.

Il detective si guardò intorno ma nessuna delle persone presenti stava parlando, sembravano tutte congelate come in una fotografia.

Sherlock! Mi senti?

Sherlock fu costretto a portarsi le mani alle orecchie perché questa volta la voce esplose con il fragore di un tuono.

La sua vista si offuscò, faceva fatica a mettere a fuoco i contorni delle persone e il paesaggio davanti a lui era sfocato e avvolto da una luce ovattata.

Mr. Holmes ... molti farmaci ... 

Una voce diversa stavolta, meno potente. Le parole arrivavano confuse, come se ci fosse un’interferenza nel segnale.

“Allora Sherlock, farai fare a John la stessa fine che hai fatto fare a sua moglie?” 

Jim Moriarty aveva ripreso a parlare, camminando intorno a lui lungo un cerchio immaginario.

Sherlock provò ad afferrarlo ma la sua figura sembrava evanescente come quella di un fantasma.

“Ah ah ah!” Lo redarguì Jim “Se provi ancora a sfiorarmi la piccola Rosie rimarrà senza genitori e tu non vuoi che questo accada, vero?” 

La voce dell’uomo suonava divertita; nella sua mente di psicopatico questo doveva essere un gioco molto divertente.

“Ti ricordi cosa ti dissi durante il nostro primo incontro Sherlock? Ti dissi che ti avrei bruciato il cuore...” 

Moriarty in poche falcate attraversò la diagonale che lo separava da John e si piazzò davanti a lui, dando la schiena a Sherlock che istintivamente puntò la pistola verso la sua nuca.

“Vedo che sei duro a capire” gridò Jim estraendo un coltello dal taschino della sua giacca, ne fece scattare la lama e in un gesto fulmineo la piantò nella gamba di John che si accasciò a terra in una pozza di sangue.

“Se fai un’altra cazzata il tuo caro John Watson morirà! Vuoi questo Sherlock?” 

Perdonami...prima...

La voce tornò a tuonare nella sua testa, esplodendo come una bomba dentro e fuori da lui; questa volta Sherlock la riconobbe, era la voce di John.

Alzò lo sguardo su di lui: si stava tenendo la gamba poco sotto al femore con entrambe le mani nel tentativo di contenere l’emorragia ma non stava proferendo parola, da stoico soldato quale era.

“Te lo avevo detto Sherlock che ti avrei bruciato il cuore” riprese Moriarty accucciandosi accanto a John “Dovevo solo capire dove colpire” passò la lama del coltello sul viso di John.

“Lascialo stare Moriarty!” Urlò Sherlock con tutta l’aria che aveva nei polmoni “Uccidi me: sparami, accoltellami, fammi quello che ti pare ma lascialo stare!” 

Avrebbe voluto correre verso di lui ma i suoi piedi non rispondevano agli impulsi mandati dal cervello; era come se qualcuno gli avesse incollato le scarpe al cemento.

“Manterrò la mia promessa Sherlock, ti brucerò il cuore e farà molto molto male.” Cantilenò Moriaty prima di passarsi il pollice da un lato all’altro della gola.

“Ti prego, lascialo!” Lo supplicò Sherlock mentre il suo corpo si rifiutava di muoversi anche di un solo centimetro dal punto in cui si trovava.

Sentì una mano che afferrava la sua; improvvisamente il pavimento si sgretolò sotto i suoi piedi e Sherlock cominciò a precipitare.

Intorno a lui non c’era più alcun palazzo, non c’era più Londra, solo una luce accecante.

 

“Perdonami Sherlock se non sono venuto prima a trovarti, avrei voluto farlo ma rivederti dopo così tanto tempo è stato...” John sospirò “Non ero pronto.” 

Posò la mano su quella di Sherlock e se avesse guardato lo schermo che registrava il battito del cuore dell’amico avrebbe notato che la sua frequenza cardiaca in quel momento era aumentata.

Quel semplice contatto aveva riportato Sherlock alla realtà, o almeno così sperava visto che a volte gli risultava difficile discernere i suoi incubi da ciò che era reale.

Il calore sprigionato dalla mano di John però lo sentiva chiaramente, non poteva essere solo un sogno.

Avrebbe voluto aprire gli occhi ma alzare le palpebre gli sembrò uno sforzo sovrumano; semplicemente rimanere cosciente gli impiegava buona parte delle sue energie.

“Ero arrabbiato, con te e con me stesso.” Ammise “E non solo per la promessa che mi avevi fatto, sapevo che dal momento che Mary si era gettata davanti a te per salvarti da quel proiettile tu non avresti potuto fare nulla...ero arrabbiato per quello che mi hai detto prima di salire sull’aereo.” 

La mente annebbiata di Sherlock ci mise qualche secondo a capire a cosa si stava riferendo l’amico. 

Non è stato un sogno...

Nonostante la stanchezza e la confusione, il suo cervello si accese come un computer e iniziò ad elaborare tutto ciò che era accaduto quel giorno. Era convinto che si fosse trattato di un sogno, ma sulla base di cosa? Per via del comportamento di John? Da quando il suo pensiero, così analitico e razionale, veniva ingannato dai più banali comportamenti umani? 

“Ero arrabbiato con te perché avevi deciso di confessarmi i tuoi sentimenti proprio quando tutto nella mia vita sembrava essere perfettamente in ordine. Avevo una moglie, una donna che amavo e che mi amava, e una bambina in arrivo. Il nostro amore stava generando una vita e tu...” John fece una pausa. 

Sherlock lo udì sospirare pesantemente “Cristo santo Sherlock, tu mi hai fatto rivalutare ogni cosa!”

Queste parole colpirono il detective con la stessa potenza di uno schiaffo in pieno viso ma prima che potesse elaborarle John riprese a parlare.

“Abbiamo passato anni a lavorare insieme e tu quando decidi di dirmi quello che provi per me? Quando nella mia vita va tutto a gonfie vele e tu stai per andartene!” La rabbia traspariva chiaramente dalle parole di John che continuava a riversare su di lui come un fiume in piena.

“Ho pensato ogni stramaledetto giorno a quello che mi avevi detto e più ci pensavo e più nella mia testa si insinuavano dubbi e ripensamenti. Cosa sarebbe successo se non te ne fossi andato per due anni? Cosa sarebbe successo se quella sera, quando sei ricomparso al ristorante, io non ti avessi aggredito in quel modo? Cosa sarebbe successo se non avessi più chiesto a Mary di sposarmi?” 

“Ci ho pensato ogni giorno, era diventato il mio chiodo fisso...lo è stato per mesi. Non importava quello che stessi facendo, una parte di me pensava sempre a cosa sarebbe successo se tu mi avessi fatto quella confessione prima che io conoscessi Mary. Lo pensavo anche mentre ero con lei, mentre cambiavo il pannolino a Rosie, mentre un fotografo strapagato scattava le nostre foto di famiglia. Era come una goccia che pian piano stava scavando nella roccia.”

Sherlock sentì il respiro di John farsi sommesso, poteva immaginarlo mentre si portava una mano davanti alla bocca e sospirava ad occhi chiusi, come faceva ogni volta che era pensieroso per qualcosa.

Avrebbe voluto aprire gli occhi, alzarsi e abbracciarlo; avrebbe voluto chiedergli scusa perché non avrebbe mai voluto che le sue parole lo facessero stare così male, ma non lo fece.

Ancora una volta la sua parte più egoista vinse e lui rimase perfettamente immobile, in attesa che John parlasse ancora, avido delle sue parole.

“Quando Mary è morta il senso di colpa che ho provato era enorme. Sono arrivato a chiedermi se con i miei pensieri costantemente proiettati su di te non avessi in qualche modo cambiato io il suo destino...Lo so, è stupido, se tu potessi sentirmi rideresti di me.”

Ti sento John…

Sherlock non pensava che fosse stupido, impossibile si, ma non stupido. Il dolore per la morte di qualcuno amato poteva indurre chiunque a fare pensieri irrazionali e  cercare di attribuire la colpa a qualcuno o qualcosa solo per alleviare quel peso che altrimenti sarebbe insostenibile.

“E’ per questo che ho voluto allontanarti da me. Non potevo sopportare il fatto che avevo inconsapevolmente trascorso gli ultimi momenti con la donna che amavo pensando a te. Darti la colpa di tutto era più facile che fare i conti con la mia coscienza e con...” si interruppe 

Con cosa John? Cosa stavi per dire?

John rimase in silenzio così a lungo che, se non fosse stato per il suo respiro appena udibile, Sherlock avrebbe pensato che si trattasse dell’ennesimo scherzo della sua mente.

La porta della stanza venne aperta producendo un fastidioso cigolio.

“Signor Watson, l’orario delle visite è finito.” La voce di una donna, probabilmente un’infermiera veniva a portargli via John.

Si tratta sempre di una donna, caro Sherlock...

“Posso avere ancora un paio di minuti?” Chiese John con tono gentile “La prego, poi prometto che me ne andrò senza fare storie.” 

“Due minuti, non di più. Mr. Holmes deve riposare.” Il tono severo della donna ricordò a Sherlock quello di sua madre quando da bambino gli intimava di spegnere la luce e andare a dormire una volta per tutte.

La porta si richiuse e nella stanza piombò nuovamente il silenzio.

“Quando ti ho conosciuto, Sherlock, il resto del mondo ha smesso di esistere e quando ti ho creduto morto ho smesso di esistere anche io. Ho passato anni a reprimere dentro di me un sentimento che anzi che affievolirsi cresceva giorno dopo giorno, poi tu sei scomparso e io ho passato mesi a ripetermi che avrei dato qualsiasi cosa pur di rivederti e dirti ciò che provavo. Quando sei tornato però nella mia vita c’era già qualcun altro. Io amavo Mary, davvero, ma poi tu mi hai detto di amarmi e...mi sto solo ripetendo.” 

John si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indieto, Sherlock ne poteva sentire i passi veloci andare da una parte all’altra del suo letto.

“Quello che sto cercando di dirti è che ti ho amato in silenzio per anni, Sherlock, ma sono sempre stato troppo codardo per dichiarami e ad essere sincero non so se avrò mai il coraggio di dirtelo guardandoti negli occhi.”

Il cigolio della porta annunciò il ritorno dell’infermiera “Signor Watson...”

“Sì, lo so, me ne vado!” Scattò bruscamente John e i passi della donna si allontanarono di nuovo nel corridoio.

“A presto Sherlock” 

Fermalo!

Sherlock rimase immobile, diviso tra la volontà di fermare l’amico e la paura per le conseguenze che ciò avrebbe comportato. 

Si sentiva un impostore per aver ascoltato quelle parole che John aveva trovato il coraggio di pronunciare solo perché credeva che lui non potesse sentirlo; sapeva bene cosa voleva dire riuscire a confessare qualcosa solo avendo la certezza che non si subiranno le conseguenze, lo aveva fatto anche lui dichiarando il suo amore a John prima di salire su un aereo che, in teoria, avrebbe dovuto portarlo lontano per molto tempo.

Sapeva che se in quel momento avesse aperto gli occhi tra lui e John sarebbe potuto cambiare tutto.

La sua mente viaggiava ai cento all’ora cercando di prevedere tutti i possibili scenari che sarebbero derivati dalla scelta di far sapere a John che aveva ascoltato tutto, ma la paura di farlo allontanare nuovamente dalla sua vita prevalse e rimase immobile.

Sentì i passi di John fermarsi per poi ripartire più spediti di prima nella sua direzione e in un paio di secondi fu accanto a lui; percepiva il respiro dell’amico sul viso e istintivamente trattenne il suo.

Non c’era cosa al mondo che desiderasse di più di aprire gli occhi e guardare quelli di John, che mai erano stati così vicini, a pochi centimetri dai suoi.

Sherlock si ritrovò a sperare che John lo baciasse. Si sentiva come un adolescente in preda agli ormoni che si trova vicino alla sua cotta, non che lui ne fosse un grande esperto.

Aveva avuto una cotta una volta, per un ragazzo più grande di lui al liceo, ma era passata velocemente come era arrivata; la sua mente razionale e il suo distacco da tutta quella che era la normale sfera emotiva umana non lo avevano fatto soffermare su quelle sensazioni più di qualche giorno.

Nonostante quanto sostenesse Mycroft aveva avuto anche delle esperienze, per lo più al college, ma erano atte solo trarne piacere personale e non a creare un legame con qualcuno.

L’unica persona con cui aveva sentito questo bisogno era stato John Watson, l’uomo che in quel momento si trovava così vicino che poteva sentirne il profumo.

Rimanere immobile stava diventando una tortura.

“Un giorno troverò il coraggio, te lo prometto.” gli sussurrò all’orecchio prima di avvicinarsi alla sua guancia e dargli un bacio; dopodiché si allontanò da lui e uscì dalla stanza.

   
 
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