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Autore: Calimon    29/06/2021    2 recensioni
“Sherlock l’aereo deve partire!” dal tono di voce di Mycroft permeava tutta la sua impazienza
“Dammi solo un dannatissimo minuto!” Sherlock scandì ogni parola.
Per lui era già tutto incredibilmente difficile senza che continuassero ad interromperlo; ammettere a sé stesso di provare certi sentimenti era stato uno sforzo immane ma riuscire a dichiarali a qualcuno si stava rivelando in assoluto la cosa più masochista che avesse mai fatto in vita sua, e lui ne aveva fatte parecchie.

Quando Sherlock dichiara i suoi sentimenti a John non ha idea che da lì a poco la missione sotto copertura per cui deve partire sarà annullata. Le conseguenze alle sue parole potrebbero essere molteplici ma quando si trova di nuovo difronte a John è come se nulla fosse mai successo. Stava solo sognando? Era un’allucinazione indotta dalle droghe? Gli eventi travolgeranno i due coinquilini di Baker Street e le notti di Sherlock saranno costellate da incubi e domande a cui solo John può rispondere.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice: Solo una piccolissima nota per dirvi che questo non sarà l’ultimo capitolo come avevo annunciato. Durante la stesura di questa breve fanfiction mi sono affezionata ancora di più a Sherlock e John, così ho deciso di scrivere anche un epilogo che pubblicherò la settimana prossima.  

Grazie di nuovo a chi legge e commenta, ora vado a festeggiare che qui s’invecchia! Xo

 

3. INCUBI E PANNOLINI

 

I lost my way, oh baby, this stray heart

Went to another, can you recover, baby?

Oh, you′re the only one that I'm dreamin′ of

Your precious heart was torn apart by me and you

You're not alone, oh, and now I'm where I belong

We′re not alone, oh, I′ll hold your heart and never let go

Everything that I want, I want from you

But I just can't have you

Everything that I need, I need from you

But I just can′t have you”

{Stray Heart - Green Day}

 

 

Non di nuovo, non di nuovo!

Sherlock non poteva permettere che il panico lo assalisse ma era esattamente quello che stava succedendo.

Il suo cervello lavorava velocemente cercando di elaborare le informazioni che Eurus gli aveva dato per salvare l’aereo che stava precipitando, ma non riusciva a concentrarsi sapendo che John era stato rinchiuso da qualche parte.

Non poteva permettere che gli succedesse qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.

Quando finalmente capì che il suo migliore amico era stato gettato nel pozzo si precipitò da lui, ignorando il cellulare che continuava a suonargli nella tasca; corse verso il bosco che circondava la casa e giunse all’imboccatura di pietra con la gola chiusa dalla paura.

La torcia gli tremava nella mano gettando lame di luce sulle pareti e nello specchio d’acqua.

“Rassegnati Sherlock” la voce di sua sorella lo sorprese alle spalle “John Watson ha fatto la stessa fine di Barbarossa” disse con tono apatico

“No! John!” Urlò lui affacciandosi nel pozzo

 

“No!” 

Sherlock si svegliò di soprassalto mentre il grido di terrore gli moriva in gola; ci mise qualche secondo a capire che si era trattato dell’ennesimo incubo.

Dopo aver salvato John dal gioco malato di Eurus gli capitava molto spesso di sognarlo morto nel pozzo, nonostante sua sorella non costituisse più una minaccia per loro.

Eppure aveva rischiato così tante volte di perdere John che il suo subconscio gli proponeva svariate visioni di questa possibilità sotto forma di incubi da cui si risvegliava sempre gridando, con la sensazione che la sua mente gli stesse giocando qualche brutto scherzo e che John fosse effettivamente in pericolo.

Dopo settimane avrebbe dovuto sapere che le immagini che aveva appena visto non erano niente più che le sue paure rivissute durante la fase rem, eppure non riusciva a reprimere il senso di ansia che lo assaliva e gli stringeva lo stomaco in una morsa.

Quel comportamento così irrazionale non era da lui e Sherlock detestava profondamente essere in balia di tutte quelle emozioni da cui non riusciva a distaccarsi.

Alla consapevolezza che si stava comportando come una persona totalmente estranea da quella che era solito essere, seguì un’altra azione per lui alquanto inconsueta: prese il cellulare che teneva appoggiato sul comodino e mandò un messaggio.

“John, stai bene? SH”

La schermata dei messaggi tra lui e John era rimasta quasi intonsa da quando si erano conosciuti; Sherlock detestava profondamente mandarne e riceverne, eppure da qualche settimana si leggevano una serie di messaggi simili a quello che aveva appena inviato, quasi sempre con accanto la risposta di John che di solito variava da “Sto bene, non preoccuparti” a “Era solo un incubo Sherlock, torna a riposare”.

Eppure c’erano volte in cui John non rispondeva e la paura iniziava a serpeggiare dentro di lui incontrollabilmente, come in quel momento.

Nel giro di un minuto Sherlock era saltato giù dal letto, si era infilato scarpe, sciarpa e cappotto, sopra il pigiama perché non voleva perdere tempo a vestirsi, ed era corso in strada a cercare un taxi.

Torna in casa, lo sai che sta bene!

La sua parte più razionale sapeva che probabilmente John stava solo dormendo o era indaffarato con Rosie, più di una volta infatti gli aveva aperto la porta con la piccola urlante in braccio o sporco su tutti i vestiti di latte rigurgitato, ma non riusciva a controllare l’altra parte, quella irrazionale e spaventata che finiva sempre per prendere il sopravvento.

Non era da lui, non avrebbe voluto comportarsi così; non c’era cosa che desiderava di più di avere indietro il suo raziocinio e tornare ad essere il lucido e pragmatico Sherlock di sempre, tuttavia rischiare di perdere John così tante volte, e dopo aver saputo che ciò che provava per lui era ricambiato, aveva incrinato la sua armatura adamantina.

Dieci minuti dopo stava bussando alla porta di casa Watson. Nessuna risposta.

Attese un minuto e bussò di nuovo più forte di prima; ancora nessuna risposta.

No, no, no!

Tutti gli scenari peggiori cominciarono a prendere forma nella sua mente. 

Magari un altro familiare di cui non sapeva nulla stava minacciando la vita di John e Rosie, o forse prima di morire Moriarty era riuscito a mettere a punto un piano per fargli del male, oppure John...

“Sherlock, mi ero appena addormentato...” 

Preso dalle sue congetture e dal cercare di individuare un modo per entrare in casa per scoprire cosa stava succedendo, Sherlock non si era nemmeno reso conto che l’amico aveva aperto la porta e lo stava guardando con gli occhi socchiusi e stanchi.

“Non hai risposto al mio messaggio” disse mente si dava mentalmente dell’imbecille.

“Rosie ha pianto fino a mezz’ora fa e quando finalmente è crollata mi sono addormentato anche io” spiegò John prima di sbadigliare

“Scusami. Ho avuto un incubo e...beh lo sai.” 

Ed eccola lì, puntuale come un orologio svizzero, quella sensazione di aver fatto una cazzata; arrivava ogni volta che si rendeva conto che aveva lasciato che le sue paure irrazionali lo avevano spinto a precipitarsi da John in piena notte solo perché aveva immaginato qualcosa.

Si sentiva stupido, e se c’era una cosa che lui odiava era sentirsi stupido nonostante il suo intelletto fuori dalla media.

“Vieni, entra” John si fece da parte per lasciarlo passare, come faceva ogni volta.

Sherlock varcò la soglia sentendosi come un bambino che dopo un brutto sogno va a cercare conforto nel letto dei genitori.

John era in grado di farlo sentire al sicuro.

Ne aveva passate tante nella sua vita, in particolare in quell’ultimo anno, e nonostante ciò riusciva a fare da colonna portante anche a lui.

Sherlock non voleva certo ergersi sopra l’amico ma se tempo addietro gli avessero chiesto chi tra i due pensava che avrebbe retto meglio emotivamente, avrebbe detto che sarebbe stato lui senza ombra di dubbio.

E invece Sherlock era crollato. 

Riusciva a mantenere il controllo fintanto che la sua mente era impegnata a risolvere casi che Scotland Yard non riusciva a portare a termine, ma appena il suo cervello aveva un attimo di pausa le sue paure prendevano il sopravvento.

La notte era il momento peggiore: si rigirava nel letto con lo stomaco contratto e il fiato mozzato dall’ansia e quando finalmente riusciva a prendere sonno si ritrovava dentro ad incubi da cui si risvegliava sempre urlando.

La piccola Watson fece capire a gran voce di essere nuovamente sveglia e l’espressione di sconforto che si dipinse sul volto di John fece sentire Sherlock ancora più in colpa per averlo privato di quei cinque minuti di sonno.

“John, mi dispiace” si rammaricò Sherlock 

“Non preoccuparti, sarebbe successo comunque” lo rassicurò l’amico incamminandosi verso la stanza della figlia

“Aspetta, tu riposati. Ci penso io a Rosie” 

Tu pensi a chi Scherlock?!

John sembrò perplesso dalla proposta dell’amico “Sherlock sei sicuro?” poi alzò le braccia in segno di resa, probabilmente troppo stanco per ribattere qualcosa. 

Sherlock si affacciò alla porta della cameretta con le pareti dipinte di rosa pensando che non era mai stato da solo con un bambino piccolo, ma non poteva certo essere peggio di quella volta che aveva disinnescato una bomba.

E invece fu peggio, molto peggio:  le bombe non urlano a squarciagola di continuo, le bombe ti danno addirittura il tempo di pensare a cosa fare, le bombe non si divincolano come delle anguille iperattive, i bambini piccoli invece sì, scoprì suo malgrado Sherlock.

Solo dopo un rocambolesco cambio di pannolino -chissà se si metteva davvero così- e quelle che erano sembrate ore a cullarla, Rosamund si era finalmente addormentata e lui era rimasto in piedi con la bambina in braccio, terrorizzato all’idea di fare un qualsiasi movimento e risvegliarla, finché John non aveva fatto capolino nella stanza con in mano un biberon.

Con gesti delicati era riuscito a prendere in braccio la piccola senza che lei aprisse gli occhi, si era accomodato sulla sedia a dondolo e aveva dato da mangiare a Rosie guardandola con occhi innamorati, nonostante la stanchezza.

Sherlock lo osservò pensando che mai aveva visto niente di più perfetto e che avrebbe dato qualsiasi cosa per avere la possibilità di passare la vita con John.

Scosse la testa per mandare via quel pensiero. 

John riuscì a mettere Rosie nella culla senza svegliarla, fece cenno a Sherlock di uscire dalla stanza e una volta in cucina accese il bollitore per il the.

“Sherlock per quanto tempo sei rimasto lì in piedi?” Domandò divertito avendo intuito ciò che era accaduto

“Non ne ho idea, avevo troppa paura che Rosie si risvegliasse ed iniziasse a gridare di nuovo” ammise crollando su una sedia

John cominciò a ridere, prima sommessamente e poi sempre più forte.

“Dovevi vedere la tua faccia quando sono entrato!” Lo prese in giro bonariamente “Terrore allo stato puro!” 

La risata di John, così allegra e fragorosa, contagiò anche Sherlock 

“Non pensavo che il famoso Sherlock Holmes potesse aver paura di qualcosa, figurarsi di una bambina!” 

Mentre Sherlock lo osservava ridere, spensierato e felice, qualcosa scattò dentro di lui e le parole gli uscirono dalla bocca ancor prima che avesse modo di elaborarle davvero.

“C’è un’altra cosa che mi terrorizza” ammise

“Cosa?” Domandò John alzando un sopracciglio, ancora sorridendo.

Era il momento: Sherlock poteva scegliere se essere codardo oppure dichiarare i suoi sentimenti senza possibilità di fuggire questa volta.

Guardò John negli occhi “Perderti”.

 

Il bollitore stava fischiando ma né Sherlock né John gli diedero peso.

Nella stanza regnava lo stesso silenzio che c’è nell’aria l’istante prima di un terremoto, prima che tutto venga stravolto.

“Sono solo incubi Sherlock” John fu il primo a parlare e le sue parole furono come uno schiaffo per lui. 

Non sapeva se l’amico non avesse capito cosa intendeva o se stesse solo cercando di deviare l’argomento perché dopo la visita in ospedale aveva deciso di archiviare il capitolo “sentimenti per Sherlock”.

“Non parlo solo degli incubi, John. Ho paura che tu possa decidere di non voler più avere a che fare con me come è successo dopo la morte di Mary.” 

L’espressione sul volto di John divenne tesa, teneva la mascella contratta; provò ad abbozzare un sorriso prima di rispondere ma il suo sguardo rimase serio.

“Lo sai perché l’ho fatto. Ero talmente distrutto per Mary che avevo bisogno di trovare un colpevole per poter elaborare ciò che stava succedendo.” Sembrava stesse recitando un mantra a memoria.

“Non c’è altro?” Incalzò Sherlock cercando di portarlo a ripetere le parole che gli aveva già sentito dire

John sospirò alzandosi per mettere l’acqua bollente nelle tazze.

“Nient’altro, davvero. Stai tranquillo!”

Fu il secondo schiaffo morale per Sherlock ma la sua mente analitica volle aggrapparsi ad un dettaglio: John non lo stava guardando negli occhi perché sapeva che lui avrebbe capito che mentiva.

O forse vuole solo evitare di ferirti…

Era troppo tardi per tirarsi indietro per uno come lui che voleva arrivare infondo alle cose ad ogni costo.

Quella conversazione era il gatto di Schrodinger della loro amicizia: avrebbe potuto farla finire per sempre o farla diventare qualcosa di più, ma non lo avrebbe mai saputo finché non avesse aperto la scatola.

“Lo so che che c’è di più John” si alzò dalla sedia e lo raggiunse vicino ai fornelli “Ho sentito tutto quello che mi hai detto in ospedale”

John fece un movimento così repentino per voltarsi a guardarlo che scontrò con il gomito una delle tazze e la fece scivolare dal piano della cucina ma poco prima che toccasse per terra, grazie ai suoi riflessi, Sherlock riuscì ad afferrarla; per un attimo il detective pensò che il fatto che non fosse finita in frantumi potesse essere di buon auspicio.

“Tu…cosa?” Il suo sguardo era furente

“All’inizio erano solo parole confuse, stavo avendo degli incubi finché la tua voce non mi ha riportato alla realtà…” iniziò a raccontare Sherlock, ma l’altro lo interruppe

“E te ne sei stato lì a fingerti addormentato mentre io mi rendevo ridicolo?” Chiese allontanandosi da lui

“Non stavo fingendo! Ero in astinenza, mi stavano riempiendo di farmaci e la maggior parte del tempo non sapevo se quello che mi succedeva era reale o meno!” Sherlock posò la tazza sul tavolo e si avvicinò di nuovo a John “Però ammetto che quando ho capito che tu eri lì e mi stavi davvero aprendo il tuo cuore non ho voluto interromperti, volevo sapere cosa provavi per me. E non eri ridicolo..”

“Mi hai preso in giro! Hai fatto passare tutto questo tempo senza dirmi una parola” i suoi occhi azzurri erano glaciali in quel monumento 

“John capisco che ora tu ti senta ferito ma..”

“Oh no Sherlock, non giocare a fare il bravo detective con me adesso! Ti sei comportato come se non fosse mai successo!” 

Quella frase fu come un fiammifero gettato su della benzina e Sherlock perse la calma “Ho imparato dal migliore!” Sbottò 

“Per mesi ho creduto di aver solo sognato le parole che ti ho detto prima di salire sull’aereo mentre tu fingevi che non ci fossero mai state!” 

L’unica cosa che lo tratteneva da gridare per la frustrazione era la paura che Rosie potesse sentirli e svegliarsi.

“Ero sposato! Cosa ti aspettavi che facessi? Abbiamo lavorato insieme per anni e tu non mi hai mai detto nulla!”

“Beh se la memoria non mi inganna nemmeno tu!” 

“Cosa dovevo fare eh Sherlock? Tu continuavi a dire di non avere amici, di star bene da solo…”

John aveva ragione. Era stato così abituato ad essere da solo e così determinato a reprimere le sue emozioni e i suoi sentimenti che aveva sempre costruito un muro tra lui e chiunque altro, John compreso.

Solo dopo essergli stato lontano due anni si era reso conto di quanto invece avesse bisogno di lui ed era finalmente riuscito ad ammetterlo anche a sé stesso.

“Non è questo il punto” tagliò corto Sherlock

“E dimmi, quale sarebbe?” 

“Il punto è…” si interruppe, sospirò e poi riprese a parlare con voce più calma “Il punto è che io provo sempre gli stessi sentimenti per te, John. Lo so che è passato poco tempo dalla morte di Mary e ti lascerò tutto il tempo di cui hai bisogno ma voglio che tu lo sappia: ti amo John.”

La cucina sprofondò nel silenzio.

I battiti del cuore di Sherlock erano così veloci e potenti da fargli pensare di essere prossimo all’infarto; l’attesa delle parole di John era una forma di tortura molto dolorosa.

Lui detestava non avere tutto sotto controllo ma si rese conto ancora una volta che quando si trattava di sentimenti non c’erano soluzioni logiche, era tutto nelle mani dell’altro.

Dopo quelle che erano sembrate decadi, John sorrise, il suo sguardo si addolcì e guardandolo dritto negli occhi pronunciò le parole più belle che Sherlock avesse mai sentito in vita sua: “Ti amo anche io, Sherlock.”

   
 
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