“Mamma,
mi racconti la fiaba della
buonanotte?”
“Certo,
mi amor! Quale preferisci?” – la
gitana siede sul letto di sua figlia minore e si accinge a narrare una
delle
tante storie che ha imparato a memoria nel corso degli anni e che
vedono come
protagonista una bellissima zingarella di cinque anni alle prese con il
suo
sogno di diventare cantante.
Rimboccate
le coperte alla bambina, la donna
inizia – “C’era una volta una bellissima
gitana di nome Ginevra…”
Neanche
due secondi ed ecco entrare nella
stanza un maschietto con gli occhiali da vista e i capelli arruffati.
Il
piccolo si strofina gli occhi e avanza nella loro direzione.
“Seba,
tutto bene tesoro?”
“Si,
mammina!” – risponde, sbadigliando
subito dopo. Poi si accomoda sulle gambe della madre e si accoccola al
suo
petto.
“Noto
con piacere che hai fatto il bagno, tuo
padre ha imparato a convincerti a farlo?” - sorride, felice
di appurare che
quella mansione faticosa, vista la cocciutaggine dei gemelli, non
spetta più
unicamente a lei.
“Non
è bravo come te” – sussurra
all’orecchio
dell’adulta che ride di gusto.
“Ehi,
voi, che bisbigliate? Vi divertite a
prendermi in giro, vero?” – a prendere parola
è il capofamiglia, appoggiato
alla porta, per udire i discorsi madre-figli.
“Bogotá,
sai che amo farlo” – ridacchia la
moglie, facendogli l’occhiolino – “E
comunque… ben fatto, papino” – aggiunge,
riprendendo poi la conversazione con Ginevra.
Osservando
Nairobi assieme ai gemelli, che si
perdono nei suoi racconti e nella dolcezza delle sue carezze e dei suoi
baci,
il saldatore si dirige nella camera da letto per riposare, non prima,
però, di
aver controllato che anche Alba fosse già tra le braccia di
Morfeo.
“Tesoro,
sei ancora sveglia? Sai che è tardi,
domani c’è la scuola e se tua madre si arrabbia se
scopre che….” – precisa
Bogotá,
zittendosi una volta accortosi che la bambina sta sfogliando un
raccoglitore
fin troppo familiare.
“Dove
l’hai trovato?” – gli domanda il padre,
inginocchiandosi davanti alla piccola di nove anni, accovacciata sul
tappeto.
“E’
della mamma!”- spiega Alba – “Questo
è
Axel, vero?”
L’uomo
annuisce, emozionato, guardando dei
ritagli di giornale che riportavano cronache e gossip dei media sulla
rapina
alla Banca di Spagna.
“Già”
Scrutando
con attenzione la foto strappata ad
una rivista, la bambina si accorge di un dettaglio di non poco conto.
“Quest’orsetto
è…?” – poi si alza in piedi e
afferra il peluche sul suo letto –
“…è lo stesso?”
Bogotá
conferma, ricordando il momento
tragico patito per colpa di un giocattolo, diventato un vero e proprio
cavallo
di Troia. Un giocattolo utilizzato dalla polizia per colpire il cuore
ferito di
una mamma che desiderava solo riabbracciare un figlio strappatole via.
“Era
di Axel?”
“Adesso
è vostro” – risponde l’uomo,
deviando
la domanda.
“E’
la sola cosa che abbiamo di lui” – si
commuove la bambina, legata ad un’idea di un fratello
maggiore mai visto e che
sognerebbe di incontrare.
Come
fece Nairobi dieci anni prima, la
giovane zingara stringe a se il peluche e si immerge in un profumo che
sa non
esistere più, ma che richiama al suo cuore sentimenti di
amore incondizionato.
Bogotá
le sorride e le accarezza
delicatamente la folta chioma scura. Poi la invita a sedersi sulle sue
gambe,
avvolgendola tra le sue braccia.
E
in quell’attimo di tenerezza, gli occhi del
saldatore si posano su una foto specifica, che giace tra le altre, sul
pavimento, e che inevitabilmente attira la sua attenzione.
Un
fotomontaggio, per la precisione.
Lo
afferra e esamina, spiazzato, quello che
Agata ha costruito e che, a quanto pare, conserva gelosamente in un
raccoglitore, ritrovato a distanza di anni.
“Ma…questa
è Ginny” -
esclama la bambina, riconoscendo,
nell’immagine che suo padre ha tra le mani,
l’accostamento di due volti,
estremamente somiglianti.
“Non
pensavo fossero così simili” – nota Alba
– “E’ una bella cosa, vero?”
“Ehm…certo,
certo” – risponde Bogotà, seppure
piuttosto preoccupato dall’idea bizzarra della moglie.
Sente
in cuor suo che Nairobi potrebbe avere
una sorta di fissazione psicologica legata alla somiglianza tra
fratello e
sorella.
Così,
con un senso di amarezza che schiaccia
il suo sonno, Bogotá, congeda la bambina, e si reca nella
sua camera.
I
minuti seguenti, che trascorre solo con se
stesso, fisso su un pensiero turbolento, gli permettono di analizzare a
modo proprio
le circostanze.
Sono
passate le 23 da pochi minuti quando la
Jimenez raggiunge il marito a letto.
“Ginevra
stasera non voleva proprio cedere” –
dice, liberandosi della camicetta di seta bianca, pronta ad indossare
la
vestaglia.
Ed
è la totale assenza di Bogotá, preso dalle
preoccupazioni che gli attanagliano la mente, a insospettirla.
“Cosa
hai?” – domanda, studiando il viso di
lui che, invece, non lascia trapelare niente di buono.
“Cazzo,
Bogotá! Mi stai agitando, si può
sapere che succede?” -
non ricevendo
risposta, decide di agire nel modo più diretto che conosce,
utile quando vuole
qualcosa dal consorte.
Sedutasi
a cavalcioni sul suo uomo, mostra le
sue chiare intenzioni.
“Mi
degni della tua attenzione o devo
spogliarmi?” – lo provoca, seppure bruscamente
anziché con malizia.
Non
ottenendo la reazione sperata, la gitana
si avvicina al collo di lui, baciandolo voracemente.
Ed
è il contatto di quelle labbra calde che Bogotá
ama follemente, a farlo destare.
“Aspetta”
– la frena, prendendo parola.
“Finalmente
ti sei deciso ad aprire bocca!
Sapevo che servivano le maniere forti per svegliarti.
Insomma…cosa hai? Sei
evidentemente preoccupato. Raccontami tutto”
Sistemandosi
di fianco al coniuge, Nairobi è
pronta all’ascolto.
Però
mai avrebbe pensato di udire questo –
“Perché continui a pensare ad Axel quando guardi
Ginevra?”
“Cosa?
Che intendi dire?”
“Ho
trovato questa, per puro caso” – da un
cassetto del comodino di fianco al letto, tira fuori il fotomontaggio.
Vedere
quell’immagine tocca Nairobi nel profondo
e la sua espressione rilassata e felice, si incupisce.
“E’
difficile dimenticare il sangue del tuo
sangue. Dovresti saperlo bene, sei padre e sapere che sette dei tuoi
figli sono
chissà dove, e tu sei qui, costretto a non uscire dai
confini stabiliti, fa
male…e a me non correre ai Caraibi per trovare Axel mi
uccide”
Una
lacrima cade veloce rigandole una
guancia, però la fortissima Jimenez la nasconde
immediatamente, intenzionata a
non volersi mostrare debole e, così, dopo un respiro
profondo, rivela che la
somiglianza tra due dei suoi quattro figli è la medicina di
cui necessitava da
tanto, troppo tempo.
“Sono
felice che Ginny assomigli ad Axel, lei
è la tua fotocopia. Quindi era più che normale
che ci fossero tratti in comune
con il fratellastro” – spiega Bogotà.
“Fratello”
– lo corregge lei – “Sono
fratelli. Questo dispregiativo non mi piace”
“Hai
ragione! Però quello che volevo dire è
che… non è un bene se Ginevra scopre che tu non
la consideri per ciò che è ma
solo per il ricordo associato ad Axel” – risponde
il saldatore, sfiorandole
quella gota che poco prima si è inumidita di lacrime amare.
“Ma
non è così! Io amo tutti i miei figli.
Ok, è vero..guardo Ginevra e rivedo Axel. È
più forte di me. Non posso fare
altrimenti. È una lotta contro un sentimento che mi tiene
legata al mio primo
figlio! Però, ciò non vuole dire nulla!”
“Però
Ginny non è Axel, tesoro”
“Lo so…” – l’aria
abbattuta con cui pronuncia quel “lo so”,
pietrifica Bogotá.
“Purtroppo….vero?
è questo che volevi dire?”
Il
silenzio di Nairobi dura qualche secondo.
Presa dai suoi pensieri non ha ascoltato quanto pronunciato dal marito
e
commenta con altro - “Parlo spesso di Axel ai bambini, ma non
nel modo giusto”
“Quale
sarebbe il modo giusto?” – chiede,
confuso, il marito.
“Dovranno
sentirlo come parte della famiglia,
come presenza che presto si unirà a noi”
“Nairo…
sai bene che è impossibile”
“Invece
sì! Ho chiesto ai Johnson di
rintracciarlo. Loro hanno un suo contatto. Così…
gli ho scritto”
“Cosa?
Davvero? E quando pensavi di dirmelo?”
– sobbalza Bogotà, entusiasta.
“Spero
sia l’inizio di una conoscenza che lo
porterà da me, da noi, una volta per sempre”
Entrambi
emozionati, i due trascorrono i
minuti seguenti a parlare dell’argomento, fino ad
addormentarsi stretti l’uno
all’altra, esausti dopo ore di chiacchiere, sognando un
futuro roseo e felice,
con una famiglia unita e completa, assieme ad Axel.
Ignorano
quello che accadrà da lì a due anni.
Quella
notte, Ginevra udì la chiacchierata,
svegliatasi per bere un sorso d’acqua e trovatasi ad
origliare i genitori
intenti a discutere sulla fotografia.
E
le parole materne della madre riguardanti
lei e il fratellastro, le distrugge il cuore.
“Non
mi vuole bene, vuole bene solo ad Axel!”
– singhiozzando corre in camera e, nascosta sotto le coperte,
sfoga in un
pianto il suo malessere.
È
da quel momento in poi che la situazione
prenderà una piega sbagliata… è da
quel momento che i problemi cominciano a
sorgere…è da quel momento che la
felicità di avere un fratello maggiore che
vorrebbe incontrare, diventa invece l’incubo che spera di non
vivere mai nella
vita!
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“Carol,
come mai hai portato quella bambina
qui?” – chiede Carmen Jimenez alla maestra Honey,
approfittando dell’assenza di
Betta.
Le
due sono in cucina, intente a preparare la
merenda alle due bambine.
“Tranquilla,
non hai nulla da temere” –
spiega la Jones, versando del succo all’arancia in due
bicchieri.
“Invece
temo, eccome se temo. Potrebbe
raccontare che Ginny si trova in una casa non sua”
– si allarma l’anziana
zingara.
La
preoccupazione della settantenne fa
sorridere l’insegnante - “Betta sa che la sua
migliore amica è con i nonni,
perché i suoi genitori e Sebastìan sono dovuti
urgentemente partire. Le ho
raccontato che voi badate a lei che non è nel pieno delle
forze, e che vi
conosco perché siamo vicini di casa. Questo ti basta per
rasserenare le tue
ansie?”
L’anziana
scuotendo il capo di fronte alle
assurdità raccontate ad un’ingenua bambina pur di
coprire una storia segreta
riguardante Ginevra, commenta – “Bisogna essere
prudenti, mia cara e forse
noi stiamo superando i limiti
dell’accettabile”
“Sei tu che ti agiti inutilmente! Smettila,
piuttosto… sistema qualche biscotto
sul vassoio. Poi portalo su, in camera! Ti aspetto
lì” – così diceno, la miss
Jones si allontana.
“Ecco
la vostra merenda, bambine” – comunica
loro, una volta raggiunte. E’ piacevolmente colpita dal fatto
che stessero
chiacchierando del nonnulla.
“Posso
rimanere qui con voi?” – domanda
l’adulta, volendo controllare che nulla di scomodo venisse
tirato in ballo.
“Certo”
– risponde Betta, entusiasta,
sorseggiando la sua bevanda fresca.
“Sono
contenta che tu stia bene. Mi sono
preoccupata tanto” - dice poi, e proprio allora fa una
proposta inattesa –
“Posso venire a farti visita più spesso?”
In
quel momento Ginevra e la maestra Honey si
scambiano una strana occhiata complice che la figlia dei banchieri
interpreta a
modo proprio.
“Come
non detto, scusami! Qui, in fondo, è
casa dei tuoi nonni. Io non posso autoinvitarmi!”
“Ehm…
no, no, tranquilla. I nonni sarebbero
felicissimi. Solo che non sono ancora in forze, magari più
in avanti!” – mente
la bambina, riferendosi alla presunta febbre.
Carmen
giunta sull’uscio della porta cede il
vassoio con i biscotti alla signorina Honey; poi osserva sua nipote e
rivede in
lei la sua Agata.
“Vi
porto altro?” – domanda, intromettendosi.
“No,
nonnina grazie”
Sentirsi
chiamare Nonnina, stringe il cuore
di Carmen che, trattenendo l’emozione, va via e si chiude
nella sua stanza.
Si
avvicina ad un cassetto, serrato con una
chiave custodita come ciondolo della sua collana.
Sbloccata
la serratura, tira fuori un diario.
Come
la maestra Honey suggerì a Ginny di
scrivere, allo stesso modo nonna Carmen sfoga in tale maniera i suoi
intimi
dilemmi.
Ma
è tra quelle pagine che è custodita una
fotografia a cui è profondamente legata.
La
sfiora con delicatezza, come se
accarezzasse i soggetti ritratti.
Poi,
preda di un forte senso di colpa,
commenta ad alta voce - “ Sono stata una pessima madre, una
pessima nonna, una
pessima persona… però recupererò, e lo
farò…con Ginevra. Ho perduto Axel, mio
nipote, ho perduto Agata, mia figlia…non perderò
anche quest’ultimo tentativo
per essere migliore”
Adagiando
la foto al suo petto, socchiude gli
occhi e inizia a muoversi lentamente, come se danzasse.
Minuti
che concede alla sua passione più
grande, il ballo, e alla pace con se stessa.
E’
l’arrivo inaspettato di Jorge alla porta
ad interrompere il tutto e riportarla alla triste realtà.
Sistemata,
rapidamente, la fotografia
all’interno del diario, chiude a chiave il cassetto e
raggiunge il marito.
“Cosa
stavi facendo?”
“Nulla, tesoro, nulla”
“Sicura?
Sono sicuro che ti sei di nuovo
sfogata con quell’immagine. Vero?”
Ormai
suo marito la conosce alla perfezione. E
Carmen non può negare con lui. Conferma annuendo con il capo
– “Quello scatto
ritrae me, Agata e Axel. Non potrò mai dimenticare che dopo
quel giorno, loro
andarono via e non li vidi mai più”
Con
una morsa allo stomaco, e il cuore
afflitto, Jorge prende parola – “Il bastardo sono
io che ho combinato solo guai
e ho recato male a un bambino innocente”
“Basta colpevolizzarti. Io ero la nonna, spettava a me
intervenire. Non lo
feci. Sbagliai, però ora posso redimermi. Ginevra
è la mia seconda opportunità”