Carmen
Jimenez osserva dalla finestra della
sua stanza l’uscita di Betta dalla villa, assieme
a Caroline Jones, la ormai nota
maestra Honey.
Dover
fingere tranquillità davanti agli occhi
di quella bambina le è costato molto; avrebbe voluto dire
tanto ma la
situazione l’ha costretta a tacere.
È
il motore acceso dell’automobile di Jorge, presa
in prestito dalla Jones, a
staccare gli
occhi della gitana dalla scena in giardino.
A
passo lento raggiunge la cucina ma il suo
cammino s’interrompe prima, precisamente davanti la porta
socchiusa della
camera di Ginevra.
La
vocina della bambina canticchia qualcosa e
ciò la incuriosisce.
La
Jimenez la spia, dalla leggera apertura
dell’uscio, e sente il cuore sussultare quando riconosce la
melodia.
“A
la nanita
nana, nanita ella, nanita ella
Mi
niña tiene sueño, bendito sea, bendito sea
A la
nanita nana, nanita ella, nanita ella
Mi
niña tiene sueño, bendito sea, bendito sea”
https://www.youtube.com/watch?v=CO4Zno9L8n0
“Chi
ti ha insegnato questa ninnananna?” – domanda
l’adulta, trattenendo i
singhiozzi.
“Mia
madre me la cantava sempre!” – risponde Ginny, con
un velo di nostalgia.
Carmen
chiude gli occhi per qualche secondo, cercando di nascondere un intenso
dolore.
Poi
li riapre e vede sua nipote a pochi metri dal suo viso.
“Nonna…”
– le dice, intenzionata a farle una richiesta.
“Dimmi,
mi amor”
“La
canteresti per me?”
“Io?”
“Si,
sei stata tu ad insegnarla alla mia mamma, vero?”
La
gitana adulta annuisce, e piacevolmente colpita dalla proposta, accetta.
Si
siede sul letto della piccola e invita la nipote a fare lo stesso.
Le
prende entrambe le mani e le intreccia alle sue.
Occhi
negli occhi, quegli occhi identici, tratto distintivo di famiglia,
così grandi
e profondi, talmente penetranti da stregare chiunque li incroci, intona
il
ritornello di un’antica canzone, a sua volta apprese dalla
madre.
E
Ginevra, cullandosi mentre, felice, ascolta la ninnananna, segue a
ruota sua
nonna.
Le
loro doti canore s’intrecciano, le voci si uniscono in un
flusso vibrante che
placa ogni dramma interiore e che emana con forza un desiderio
d’amore
disperato, quello cercato da Ginny in una consanguinea ormai entratale
nel cuore
e quello voluto da un’anziana zingara pentita che, dopo anni
di galera,
continua a vivere la sua penitenza di vita.
Un
attimo tanto speciale che coinvolge perfino Jorge, seduto in giardino a
fumare.
“La
canzone di Axel” – commenta il Gonzales, ricordando
delle volte che Nairobi la
canticchiava al piccolo per farlo calmare.
E
un violento flash gli balza alla mente: un volto paffuto e dolce,
quello di
Axel, di soli tre anni, a cui versò del liquore…
non una volta, tante volte! Difficile
dimenticare le grida di strazio di Agata quando scoprì che
proprio lui, il suo
patrigno, recava male al bambino causandogli dolori lancinanti alla
pancia.
Amareggiato
da quanto accaduto, rincasa diretto verso le due zingare.
Quando
le raggiunge, le trova abbracciate l’una all’altra.
“Siete
bravissime. Vi ho ascoltate e mi avete emozionato”
– dice, attirando l’attenzione
su di sé. Poi prende posto di fianco alla bambina e,
teneramente, le accarezza
i capelli.
“Sei
uguale a tuo fratello!” – in
quell’istante di nostalgia e di profondo senso di
colpa, Jorge dice qualcosa di catastrofico.
Lo
sguardo allegro e dolce di Ginevra, si irrigidisce. Aggrottando la
fronte, la
piccola si alza bruscamente distanziandosi dai due.
Carmen
lancia un’occhiata di rimprovero al marito, cosciente di
quanto quella
somiglianza ferisse la nipotina.
Solo
allora, il Gonzales si accorge dell’errore e cerca di
riparare – “Non volevo
tesoro, tu sei speciale e nessuno lo è come te”
“Hai
detto che sono uguale a quello”
Il
labbro tremante della piccola dei Dalì anticipa un pianto
isterico.
E
lei non ama mostrarsi in quello stato.
Così,
ignorando i nonni che tentano di calmarla, la bambina pretende di
essere
lasciata da sola.
“Mi
amor, hai capito male” – interviene Carmen.
Inutile
calmarla come vorrebbero. A quel punto sono costretti a uscire dalla
stanza.
“Ma
come ti salta in mente di dire che è identica ad
Axel!” – la Jimenez richiama
il marito, dandogli un colpetto sul braccio.
“Quella
canzone sappiamo entrambi che è di Axel, e lei la stava
cantando…ho ricollegato
le due cose. Quei due sono talmente simili che…”
“Basta,
Jorge! Non dirlo più”
La
loro discussione termina quando torna a casa Carol Jones.
“Qui
tutto ok?” – chiede l’insegnante, mentre
si libera delle scarpe ed indossa
delle ciabatte.
“No,Ginevra
si è arrabbiata!” – comunica Carmen,
ancora alterata con il consorte.
“E
come mai? Cosa le avete detto?” – la maestra Honey
si allarma immediatamente e
si dirige verso la stanza della piccola.
Mentre
percorre quei pochi metri che la separano dalla bambina, ascolta
impassibile il
resoconto della settantenne.
E
quando le viene rivelato il dettaglio che ha scaturito il finimondo, si
immobilizza.
Resta
ferma, pietrificata, a pochi passi dalla meta.
“Ho
sbagliato, non avrei dovuto. Ora non so come rimediare”
– interviene l’uomo.
“Quello
è il suo punto debole, non dovevate ricordarglielo, non
giova a nessuno di noi
farlo. Lei potrebbe sempre decidere di andarsene se continuate a
ricordarle il
fratello. E non possiamo permetterlo”
“Come ne veniamo fuori?” – chiede il
Gonzales.
“Provo
a parlarle io! Deve capire che siamo i soli di cui può
fidarsi, i soli che la
amano come merita!”
Così
dicendo riprende il passo, lasciando i due anziani indietro.
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Nel
frattempo, i tre Dalì hanno raggiunto la villa.
Hanna
entra in casa per prima. Ad accoglierla c’è
l’agitazione dei restanti compagni.
“Calma,
calma, parlate uno per volta, perché così non vi
capisco” – precisa la giovane,
circondata dai parenti e dagli amici che vogliono notizie.
“Dove
sono Nairobi ed Emilio?” – domanda, sospettoso,
Axel, notando la loro assenza.
“La
situazione è stata alquanto difficile da gestire e Nairobi
ha perso i sensi” –
spiega, dispiaciuta, la finlandese.
“Cosa?
Perché cazzo non l’hai detto prima?”
– la sgrida Bogotá, correndo fuori in
direzione dell’automobile.
È
lì dentro che Yerevan consola Agata.
“Andrà
tutto bene, adesso abbiamo la certezza che i tuoi sono qui a
Perth” – dice il
giovane.
“Lo
so, e rivederli mi ha distrutta! Mi ha lasciata senza
forze…” – spiega la
Jimenez.
Emilio
la osserva in tutta la sua fragilità e in
quell’istante sente di doverle fare
da spalla.
E
quando la donna solleva lo sguardo, mostrando i suoi occhi colmi di
lacrime,
specchio di un’anima distrutta, il ventisettenne agisce senza
più freni.
Non
dà modo ad Agata di pronunciarsi né di tirarsi
indietro.
Le
si avvicina e non esita a baciarla.
Un
contatto di labbra breve, e senza significato per Nairobi, la quale
reagisce
quando metabolizza il fatto, dando uno schiaffo al figliastro.
Incredula
di quel gesto, e delusa da un comportamento sconsiderato, scende dal
mezzo,
pronta per rientrare in casa.
Peccato
che qualcosa la frena. O meglio, qualcuno.
Qualcuno
che ha visto la scena tra lei ed Emilio
“Bogotà!”
– esclama, notando il pallore sul volto dell’uomo.
Ha lo sguardo spento, frutto
di un miscuglio di emozioni che lottano per prevalere.
Rabbia,
odio, amarezza, tristezza, e voglia di mandare tutto a puttane.
“Da
quanto sei qui?” – domanda, preoccupata che potesse
aver visto.
“Il
tempo giusto per avere la prova che cercavo”
“Quale
prova? Amore, non è come pensi” – avanza
verso di lui, cercando di dargli
spiegazioni.
Ed
è il saldatore ad indietreggiare.
“Adesso
mi chiami “amore”? Solo ora ti ricordi che
esisto?” – preda di una sofferenza
acuta, l’uomo pronuncia parole dure e cariche di rancore
– “Ti sei innamorata
di mio figlio. Ammettilo”
“Cosa? E’ una sciocchezza. Non è
così. Io amo solo te, ho sempre e solo amato
te”
“E
perché vi siete baciati?”
“E’
colpa mia, papà” –
s’intromette Yerevan, comparso alle spalle di Nairobi.
I
due uomini si trovano faccia a faccia, per la prima volta mostrando
sentimenti
non tipici del rapporto tra consanguinei.
“Vattene,
non voglio vederti mai più” –
è la sola espressione pronunciata da Bogotà al
suo erede.
Di
fronte al figlio accasciatosi a terra, disperato, per la rottura di un
legame
di sangue che credeva indissolubile, il saldatore rincasa ignorando le
sue
suppliche di perdono.
“Amico,
che faccia! Cosa è accaduto?” – a
chiederglielo è Denver che lo vede salire le
scale e dirigersi verso la camera matrimoniale.
Non
riceve alcuna risposta. Ma basta il rumore di una porta chiusa con
forza a far
intendere il peggio.
E
lo shock dipinto sul volto del saldatore è un brutto segno
che solo Axel, messo
al corrente dei dubbi del patrigno, riesce a cogliere interamente.
Raggiunge,
perciò, sua madre, ancora in giardino assieme a Yerevan e,
nascondendosi per
bene, origlia la lite tra i due.
“Come
hai potuto farlo? Perché?”
“Non
avrei dovuto, mi dispiace. È che mi sono innamorato di te,
che colpa ne ho! Non
si decide chi amare”- confessa il giovane.
“Innamorato?
Ma sei pazzo? Sei il mio figliastro!”
“Farò la cosa giusta, per il bene di tutti! Mio
padre mi ha detto di andar via,
ed è ciò che farò. Spero possiate
chiarire, perché non posso vivere sapendo di
avergli distrutto la vita”
Conclude
la conversazione con Agata, dicendole, a modo suo, addio. Poi entra in
casa,
ignorando le mille domande dei Dalì, e raggiunge la stanza
dove ha la sua roba
ancora sistemata nelle valigie.
Axel,
invece, affronta sua madre rimasta da sola con il suo senso di colpa.
“Cosa
avete combinato voi due? State insieme?”
“No,
tesoro come puoi pensarlo! Io amo solo Bogotà”
“Allora
come mai ho sentito che lui ti ha baciata?”
“Non
io!” – si giustifica la donna.
“Questo
non cambia le cose”
“Lo so, sono stata una stronza. Ho recato dolore a tutti.
però io non posso vivere
senza di lui, ti prego…aiutami” –
affranta, la gitana implora suo figlio, tra
le lacrime che le scorgano e scivolano violente lungo le sue gote.
E
il gitano non riesce ad essere impassibile di fronte a tanta sofferenza.
Sua
madre ha bisogno di lui, ora più che mai.
“Io
ci sono, ci sarò sempre. Non ho esitato a venire fin qui
quando mi hai chiesto
una mano per le ricerche di Ginny, e non esiterò neanche
adesso” – si avvicina
all’adulta e l’abbraccia.
Un
gesto, quello, che serve alla Jimenez come l’aria ed
è ciò di cui necessita
adesso che sembra essersi creata un vuoto attorno.
Il
suo adorato Axel, quel figlio perduto e poi ritrovato, quel figlio che
ricollegava costantemente a Ginevra, adesso è lì
esclusivamente per lei… non
poteva chiedere di meglio.
Il
gitano è cosciente che è necessario che la coppia
si ricongiunga il prima
possibile, soprattutto perché la situazione di Ginevra va
affrontata senza
intoppi sentimentali di mezzo.
E
tutti ignorano che, in questo momento, Ginny è nelle mani di
chi potrebbe
allontanarla per sempre dalla sua vera famiglia.
Infatti,
proprio in quella casa, di proprietà dei Gonzales, la
maestra Honey consola la
sua alunna.
“Tesoro,
i nonni mi hanno detto cosa è successo! Perdonali, non
volevano offenderti” – le
dice, sedendosi di fianco alla piccola.
“Io
non sono Axel e non voglio esserlo. Mi chiamo Ginevra”
– puntualizza, come a voler
ricordare un dato di fatto che però sembra che chi le
è accanto non vuole
accettare.
“Lo so, cara! Ti prometto che non accadrà
più” – poi la prende in braccio e la
stringe a se, sussurrandole – “Ora sono qui, la tua
mamma è qui, e non
permetterò a nessuno di
ferirti…ancora!”