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Autore: clairemonchelepausini    30/06/2021    1 recensioni
Le rimangono pochi mesi per finire il suo praticantato in una rivista giornalistica, l’ultimo tassello per raggiungere il suo sogno: diventare giornalista. Lo stesso sogno che viene messo a rischio dall’arrivo del nuovo direttore della rivista per cui lavora. Leonardo Morelli è uno dei giovani redattori che possiede più di una rivista e testata giornalistica, è abituato a stare al centro dell'attenzione, tutti lo applaudono per le sue capacità gestionali e manageriali mentre le riviste di gossip lo dipingono come lo scapolo d’oro che puntualmente si fa fotografare con una ragazza diversa ad ogni occasione. Un uomo cui non è mai capitato di trovare una donna che le tenesse testa, che non avesse paura di far sentire la sua voce. Una cosa è chiara, tra Rebecca e Leonardo non sembra correre buon sangue; lei è una spina nel fianco e lui un attraente arrogante, ma entrambi scopriranno di avere bisogno l’uno dell’altro. E col passare dei giorni, il rischio di infrangere promesse e piani fatti si fa sempre più concreto.
Saranno pronti a sostenere le conseguenze delle loro scelte, il peso dei pettegolezzi e lo stravolgimento delle loro vite?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 1


 
Rebecca si svegliò madida di sudore, con le lenzuola attorcigliate al corpo, il cuore che le batteva forte e l’aria che le mancava. Sapeva a cosa era dovuto, ma era da tanto che non le succedeva e non seppe riprendersi in fretta.
«Non di nuovo» inveì contro di sé, ma non poteva farci nulla.
No, non era del tutto intenzionale e lo sapeva bene.
Si passò una mano sul volto, si scostò i capelli appiccicati sul viso, allungò le gambe cercando di districare lenzuola e coperte e si lasciò cadere all’indietro. Ormai dormire era fuori discussione.
«Bel lavoro Rebecca» si disse mentalmente.
«Grazie, ma non è tutto merito mio» il suo io rispose infastidito.
Avrebbe potuto ribattere, ma che senso aveva? Era in piedi, ormai.
Guardò la sveglia che con la sua lucina rossa segnava le 3:40 come a volersi prendere gioco di lei.
«Perfetto» borbottò scendendo dal letto e indossando le sue pantofole per uscire dalla camera.
La sua testa le disse una cosa, i piedi fecero altro.
Non sapeva spiegarlo, a volte loro la capivano, un po’ come accadeva con Trilly.
Rebecca si avvicinò all’armadio, aprì uno sportello, poi un altro e nascosto dentro una scatola di legno estrasse l’oggetto che sapeva l’avrebbe aiutata. Tutte le volte in cui si sentiva così c’era solo una cosa che, come aveva sperimentato con gli anni, poteva funzionare.
Prima di uscire nel terrazzino, prese il plaid che aveva lasciato sul pouf vicino la sua scrivania e lentamente, cercando di non fare rumore, aprì la porta finestra e uscì. Non appena lo fece fu investita da un freddo gelido, uno di quelli che paralizza e ti lascia inerme; tuttavia Rebecca procedette verso il patio dove aveva nascosto una piccola poltrona.
La sua stanza era quella che si affacciava sul giardino, aveva un grande balcone, lo stesso che aveva studiato nei minimi dettagli e che aveva sistemato secondo i suoi gusti e le sue necessità.
Si lasciò cadere sulla poltrona coprendo tutto il corpo con il plaid, contrastando così il freddo dell’ambiente esterno con il caldo generato dall’indumento.
Non c’era nessuna luce all’orizzonte, tutto taceva.
I suoi occhi pian piano e con molta facilità si abituarono all’oscurità della notte, dall’altronde lei si era già abituata a situazioni molto più buie di quella. Rebecca rabbrividì. Si era ripromessa di non cadere di nuovo in quello stato, ma i suoi tentativi di lasciare fuori tutti i demoni quella notte sembravano inutili, spoglia quasi di tutte le barriere che con gli anni si era creata. Il suo cuore batteva ancora troppo forte, le sembrava che potesse uscirle dal petto e infatti, controllando i battiti come le era stato detto di fare, si accorse che erano davvero alti.
In quel momento la figura della sua terapista si piazzò di fronte a lei, poteva ancora sentire le sue parole e tutti i consigli su quella che ormai era diventata routine. Rebecca chiuse gli occhi, inspirò a fondo ed espirò a lungo, e grazie anche al buio che la circondava, riuscì ad immaginare un luogo rilassante e felice.
Ma come velocemente era riuscita ad immaginarlo, altrettanto velocemente precipitò, durando appena un battito d’ali, proprio come tante altre volte.
La sua mente la catapultò a quel momento che mai avrebbe dimenticato, lo stesso che precedeva ogni cosa.

«Mamma che sta succedendo?» domandò Rebecca con voce allarmata e gli occhi spalancati.
Sapeva che era normale vedere a casa loro persone in giacca e cravatta, con gli occhiali scuri, ma stavolta era diverso, stavolta avevano delle armi con loro.
«Becca ascoltami» iniziò la donna, la stessa che prese la sua piccola manina e la trascinò con sé in un’altra stanza dopo averla chiusa a chiave.
Non si era presa nemmeno la briga di muoversi, era spaventata come non mai, ma sapeva che Laura Ferrari, sua madre, aveva tutto sotto controllo, almeno era quello che voleva farle credere.
La donna si allontanò solo per un istante, prese una chiave e aprì un cassetto da cui estrasse una scatola di legno.
Laura si avvicinò alla figlia, la fece accomodare sul letto e poco dopo si sedette vicino a lei, mettendole in grembo lo scrigno.
«Becca…» provò la donna, ma la voce si bloccò in gola e si smorzò quando guardò gli occhi teneri e dolci della figlia. «Mamma io non voglio separarmi da te e papà» disse con grinta e forza.
«Tesoro, ora non puoi capire e probabilmente anche dopo non riceverai le risposte che meriti nè quelle che ti serviranno per fartene una ragione, ma devi sapere che io e tuo padre non abbiamo mai smesso di lottare per te», la abbracciò e con mani calme e ritmo costante prese ad accarezzarle la testa, nascondendo i suoi occhi.
«Sei troppo piccola per entrare in queste questioni, abbiamo cercato di tenerti sempre fuori dal nostro mondo, ma adesso sappiamo che non possiamo più farlo, non siamo più in grado di proteggerti e dobbiamo prendere le decisioni giuste per te».
Rebecca si avvicinò ancora di più, strinse la madre con tutta la sua forza e iniziò a singhiozzare; non era facile sentire quelle parole, ma la donna gliele disse lo stesso.
«Noi saremo sempre con te, devi crescere e diventare la donna che sappiamo diventerai, trova il coraggio per sostenere sempre la verità, per non nascondere chi sei e cosa vuoi. Mi devi promettere che farai sentire sempre la tua voce, che non ti lascerai intimidire, sottomettere o buttarti giù dalla vita e che dal dolore riuscirai a prendere la forza di cui hai bisogno». Laura provò ad essere forte, a non far trasparire il suo dolore, ma era pur sempre una mamma.
Rebecca alzò il suo viso verso quello di lei, le toccò la guancia con la sua manina e sorrise appena, doveva ricordarla così: felice e coraggiosa.
Il loro tempo stava quasi per scadere, lo sapeva bene Laura e quindi fece l’ultima cosa che avrebbe voluto, non con la figlia così piccola. Aprendo lo scrigno gli occhi di Rebecca s’illuminarono, all’interno c’erano diverse cose che aveva sempre voluto provare, una collana di perle, piccoli orecchini di smeraldo e un anello di diamante. Ma quello che attirò la sua attenzione fu la bibbia bianca, la stessa che sua madre stringeva spesso tra le mani e sulla quale piangeva.
«Becca devi promettermi che questo scrigno lo nasconderai, che terrai al sicuro questa bibbia e che quando ti sentirai sola la stringerai a te per avere me e tuo padre vicino, perché quando sarai più grande questo scrigno sarà il tuo futuro.
Non avrai tutte le risposte, ma qui dentro ci saranno piccole parti di noi» e, non fece in tempo a finire che qualcuno bussò alla porta facendo sussultare entrambe.
Il tempo era scaduto.



Rebecca fu ridestata dai ricordi da un forte tuono seguito da un fulmine che illuminò il cielo e fece scuotere tutto il suo corpo.
Quel ricordo era una parte di quanto più caro avesse, era stato il prequel di tutto quello che era successo dopo.
Il momento che aveva cambiato la sua vita.
Aprì lo scrigno e iniziò a ispezionare gli oggetti che conteneva, gli stessi che lei aveva visto ormai milioni di volte, che aveva stretto a sé e che la facevano sentire parte di una famiglia. Tutta la sua attenzione però, ancora una volta e come sempre, andò alla bibbia bianca, un testo sacro particolare in cui erano racchiusi i suoi segreti o almeno parti di essi.
Sfiorò con l’indice la copertina rigida della bibbia, poi passò a sfiorare la sacra famiglia realizzata in color argento e oro in rilievo e infine, molto lentamente, la aprì e un intenso profumo le colpì le narici.
Avrebbe voluto chiudere tutto, era proprio lo stesso che portava sempre la madre, ma ormai l’aveva aperta e… beh, doveva andare fino in fondo. Fin da piccola non era mai come le sue coetanee, all’età di quindici anni aveva già letto la bibbia, era molto religiosa, aveva pochi amici ed era la ragazza che parlava in modo strano.
Rebecca non si era mai curata delle parole che altri le dicevano e in quel momento sorrise ripensando invece alle parole della madre, così alzò gli occhi al cielo, convinta che loro la stavano guardando.
«Mamma, papà sono sicura che sarete fieri di me. Ho solo ascoltato il mio cuore, ho fatto quello che mi avete detto e… l’ho fatto a modo mio. Oh, non so se sarete d’accordo con il mio metodo, ma posso assicurarvi che funziona e poi… non c’è nessun modo per farlo sentire se non così» sorrise, lasciando che le lacrime dapprima trattenute scivolassero sul suo viso infreddolito.
Le sue mani sfogliarono quei fogli che ormai conosceva a memoria, tra le sacre scritture c’erano le lettere che Laura e Marco, i suoi genitori, le avevano lasciato; pezzi di ricordi, di storia e articoli di giornale.
Sì, quella bibbia conteneva molto di più, non c’era solo la storia di Gesù di Nazareth, ma anche quella della famiglia Ferrari, almeno in parte. Rebecca arrivò al punto in cui si fermava sempre, quello che la faceva sorridere ed emozionare tutte le volte: le promesse dei suoi genitori.
Lesse prima quella del padre, un uomo nato per le belle parole, poi quelle della madre un po’ impacciate, ma che alla fine si riscattava.
«Fammi un quadro del sole…Dammi l’illusione che ruggine e gelo non debbano arrivare mai!» e senza volerlo si ritrovò a recitarle ad alta voce, sentendo il brivido delle emozioni e quella sensazione di casa, famiglia e unione.
Stava per andare avanti quando una mano si poggiò sulla sua spalla e la calma e la pace che aveva trovato cambiarono all’improvviso con il gelo nelle sue vene, fermando quasi il suo cuore.
Non aveva il coraggio di voltarsi e non ebbe nemmeno il tempo.
«Sapevo che ti avrei trovato qua paperella» e, sì, a quelle parole Rebecca tirò un sospiro di sollievo, provò a calmare cuore e battiti e si voltò asciugando le lacrime e stampando un sorriso sulle labbra.
«Nonna, mi hai fatto prendere un colpo» affermò quasi infastidita per quella invadenza nel suo spazio, ma ancor di più per ciò che aveva appena sentito.
La donna la guardò e con un solo sguardo capì tutto e trasmise altrettanto.
Non era da sola.
Carla e Rebecca quella notte condividevano lo stesso dolore. Ed era così da molti anni.
   
 
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