Panico,
caos, ansia, disordine, confusione.
Si
respira di tutto in casa “Sanchez”.
A
percepire la tensione sono Alba e Sebastìan
che, seduti sul divano, osservano i Dalì mobilitarsi,
muoversi continuamente di
camera in camera, con in mano computer, radio…
Nairobi
è la prima a dirigersi verso l’uscita
quando ascolta Hanna comunicare al gruppo la notizia ricevuta da Emilio.
Lei,
nonostante la poca fiducia verso quel
ragazzo che l’ha baciata, mandando
a
puttane il suo matrimonio, crede fortemente nelle sue parole. Non esita
un solo
istante.
“Dove
vai? Non puoi andare fin lì! E’
rischioso…” – la trattiene Tokyo,
afferrandola per un braccio.
“Io
vado a riprendermi mia figlia! Cazzo,
sapete cosa significa questo per me? Sono giorni che è
lontana, che ho temuto
fosse stata rapita dalla polizia o da qualche maniaco! E adesso che
è si trova
a pochi kilometri da qui, credete davvero che me ne stia in casa a
girarmi i
pollici?” – decisa ad intervenire in prima persona,
la Jimenez si rivolge al
marito – “Andiamo insieme?”
Ma
il saldatore è in silenzio e sembra non
darle sostegno in una decisione che, al contrario, sarebbe dovuta
essere
condivisa da ambo i genitori.
“Aspetta,
Nairo! Non è bene che qualcuno vi
veda lì” – interviene il Professore
– “Se la maestra vi riconoscesse, potrebbe,
a questo punto, smascherarvi”
“Se
Emilio stesse bleffando?” – aggiunge
Bogotá,
intromettendosi con aria alquanto seccata. Solo nominare il
primogenito, lo
irrita terribilmente e gli riporta alla mente una scena disgustosa tra
il
ventisettenne e Agata.
“Cosa
cazzo stai dicendo? Non lo farebbe,
papà” – aggiunge Drazen, spiazzato dalla
considerazione paterna.
“Ehm….
fratello, lascia stare” – Julian, a
sostegno del padre, zittisce il consanguineo.
Sono
poche le possibilità allora: devono
agire i soli sconosciuti, sia alla nota maestrina che alla stessa
Ginevra. I soli
Non Ricercati del gruppo.
“Andiamo
noi” – la voce di Axel attira
l’attenzione.
Il ventunenne è posizionato di fianco a Ivana, vicino la
porta d’ingresso del
salone e ha chiare intenzioni di agire in prima persona.
“Voi
chi?” – chiede la gitana.
“Io
e Varsavia!” – spiega il ragazzo, prendendo
la mano della sorella che gli è accanto.
E
quel gesto, tanto dolce e amorevole,
confonde i Dalì che si guardano tra loro cercando, ciascuno,
risposta nello
sguardo degli altri.
“Ma,
tesoro, non è sicuro che voi…”
“Mamma,
per favore. Direi che è bene che
nessuno sappia né di me né di Ivana, per poter
spiare meglio la situazione” –
puntualizza Avana.
“Emilio
mi tiene aggiornata, man mano! Ha detto
di affrettarsi...” spiega Hanna, sostenendo la proposta dei
due candidati alla
missione.
“Io
qui, ferma, muoio” – commenta Nairobi,
tesa come una corda di violino.
“Tu
devi pensare a Ginevra! Fallo per lei,
ok? Resisti” – con quelle parole, il giovane gitano
abbraccia la madre e le
sussurra – “Riporterò la mia sorellina a
casa”
Ivana,
nel frattempo, si è avvicinata a
Bogotà.
“Papà,
per favore, metti da parte il rancore.
Qualsiasi cosa sia successa, che non vuoi raccontare, fidati di
noi”
“Io di voi mi fido!” – afferma certo il
saldatore, accarezzando con dolcezza i
morbidi capelli biondi della ragazza –
“E’ di tuo fratello maggiore che mi fido
meno”
Pronunciando
quell’affermazione, gli occhi
dell’uomo si posano sulla moglie.
“Perché
dovrebbe raccontare frottole?”
“Nulla,
lascia stare! Qualsiasi cosa, usate i
cellulari” – conclude, per darle poi un bacio sulla
fronte.
Cedute
le chiavi dell’auto di famiglia, i due
salutano i rispettivi figli ricordandogli per l’ennesima
volta prudenza.
E
con il cuore in gola, e la rabbia verso una
situazione di merda che li costringe ad essere chiusi tra quattro mura,
impedendogli di riprendersi ciò che gli appartiene, i
coniugi cercano di
distrarsi con le mosse successive, indicate dal Professore.
“Rio!
C’è bisogno di te adesso” – lo
chiama
Sergio, dopo le raccomandazioni ad Avana e Varsavia.
“Come
si muoviamo?”- domanda
Denver.
E
così Cortés scatta immediatamente e si
posiziona di fronte ad un paio di computer di proprietà del
Marquina.
“Fratello,
guarda cosa combino ai sistemi informatici
dell’aeroporto di Perth” – ridacchia
Anibal. Le dita del compagno di Tokyo si
muovono rapide sulla tastiera.
Concentrato
al massimo, mentre gli amici
cercano di intuire qualcosa, di fronte ad un genio di quella portata,
Rio
riesce nella missione. E lo fa in pochi minuti.
“Ecco
fatto” – comunica, esultando.
“Cosa
avresti fatto? Non mi è chiaro” –
commenta Tokyo, perplessa.
È
Sergio a spiegarlo – “Ha appena creato dei
disagi tecnologici che costeranno ai passeggeri di tutti i voli da
Perth una
perdita di tempo notevole”
“Cazzo,
sei un genio” – solo allora Denver
capisce il ruolo dell’amico.
“Quindi
ci saranno dei ritardi nei voli,
giusto?”
“Giusto,
Stoccolma!”
“Ho
una domanda, però!” – riflette Helsinki – “Come
faceva la maestra ad avere passaporto
di bambina? Deve aver prenotato biglietti… come ha
fatto?”
Dilemma
a cui nessuno aveva pensato, neppure
una mente tanto meticolosa come quella del capobanda.
E’
Nairobi a balzare in piedi, udendo tali
considerazioni.
“Cazzo!”
– esclama, correndo nella camera
dove, in uno dei cassetti dell’armadio, sono di regola
custoditi dei documenti
importanti.
Rovista,
gettando all’aria anche carte e
fogli di vecchi giornali, conservati in ricordo delle rapine svolte.
“Allora?
L’hai trovato?” – domanda Lisbona,
raggiungendo l’amica.
Agata
scuote il capo, ma non demorde.
Si
sposta nella stanza dei gemelli e setaccia
ogni angolo.
Nulla.
Nessun
passaporto.
Niente
di niente.
“Per
caso quella donna è stata qui?” –
chiede,
allora Nairobi a
Bogotá.
L’uomo
alzando gli occhi al cielo,
infastidito da allusioni e apparenti rimproveri, scuote il capo.
“Mi
credi scemo fino a questo punto” –
commenta poi.
La
Jimenez finge di non sentirlo, troppo
presa dal panico per litigare con il consorte.
Così
si sposta sui figli ed interroga loro.
“No,
mamma! Qui non è mai venuto nessuno” –
afferma, convintissima, Alba.
“E
come si spiega che il documento si è
volatilizzato?” – l’umore della donna,
decisamente sottoterra, lascia spazio ad
un nervosismo ingiustificato.
“Non
lo so!”
“Non
avrete mica giocato con delle carte che
vi ho detto di non toccare?”
I
piccoli si guardano l’un l’altro, ed è
il
maschietto a confessare qualcosa – “Ginny una volta
ha rovistato lì dentro!”
A
quel punto, la soluzione è sotto il naso di
tutti. Eppure, in un primo momento, nessuno sembra carpire
l’azione della
bambina nascondesse la motivazione della sparizione del
passaporto….e della sua
stessa scomparsa.
“Lì
dentro, dove?” – anche il saldatore si
pone in allerta.
“Nel
comodino della vostra camera da letto” –
continua Seba.
Marito
e moglie, inconsapevolmente, si
guardano l’un l’altra, condividendo la medesima
ansia.
“Hai
visto cosa ha preso?” – chiede il
capofamiglia, inginocchiandosi di fronte al figlio.
“A
questo punto, direi, il passaporto” –
precisa Alba.
“Cosa
cazzo doveva fare con il passaporto?” –
è il dilemma che Agata non riesce a spiegarsi.
E
la risposta, forte e lacerante, viene
proprio da Bogotá.
“Scappare”
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Invece,
in aeroporto, scoppia la catastrofe
operata da Rio.
Voli
ritardati, sistemi informartici
completamente in tilt.
“Cos’è
questo casino!” – brontola Caroline
Jones notando i passeggeri lamentarsi di qualcosa accaduto a cui non
c’è
immediata soluzione. Sospettosa, chiede spiegazioni, avvicinandosi ad
un uomo
con due valigie.
“Resta
qui, tesoro. Torno subito” –
raccomanda a Ginevra. E così la piccola, seduta in attesa,
stringe tra le mani
un documento importante.
Il
suo passaporto.
La
carta della libertà, come l’ha sempre
chiamato la maestra Honey.
Fissa
quel pezzo di carta e ricorda di
quando, di nascosto, entrò nella stanza dei genitori, e lo
portò via.
Un
colpo degno di una figlia di rapinatori.
Un
colpo messo a segno in un millesimo di
secondo, scoperto solo, casualmente, da Sebastìan.
La
mente della piccina vaga e dilaga, fino a
quando una voce la fa sussultare.
“Ciao,
dove vai di bello?” – le domanda una
persona sconosciuta.
Un
ragazzo moro dalla carnagione altrettanto
scura, si siede accanto a lei.
E
la piccola si ritrae – “La mia mamma mi ha
sempre detto di non dare confidenza agli sconosciuti”
“Anche
la mia diceva sempre questo! E diceva
anche “Non accettare caramelle da chi non
conosci!”!” - ridacchia il tipo,
imitando la voce materna
La
sua imitazione fa sorridere Ginny.
“Non
temere, non ho intenzioni cattive”
“Chi
me lo garantisce?” – chiede la figlia di
Bogotà, mostrandosi cazzuta al pari di sua madre.
“Io
sono Emilio, molto piacere” – le porge la
mano, mostrandosi quanto più solare possibile.
Lo
sguardo di quel tipo tranquillizza Ginevra
che, seppure restia, abbassa le difese.
“Anche
la mia”
“Anche
la tua, cosa?”
“La
mia mamma…anche la mia mamma dice sempre
quella storia delle caramelle”
“Bene.
E’ saggia e ha ragione”
“Io
le ho disobbedito, però”
Emilio,
o meglio Yerevan, finge stupore – “Come
mai?”
“Beh…”
La
parola di Ginevra viene zittita dalla
maestra che, da qualche metro più avanti, nota la presenza
dello straniero e
richiama la bambina.
“Devo
andare” – lo saluta afferrando la sua
piccola valigia rosa.
A
quel punto, il venezuelano, sospettoso,
cerca conferma ai suoi pensieri.
“E’
quella la tua mamma?”
Domanda
geniale.. e infatti Ginny non
risponde immediatamente con un NO secco.
Esita
alcuni secondi, poi annuisce.
Fa
cenno con la mano, in segno di saluto, e
raggiunge Caroline Jones.
“Cazzo,
questa faccenda non mi piace” –
riflette ad alta voce.
Fissa
le due muoversi confusamente nell’aeroporto
e cerca di seguirle il più possibile.
Quando
le sospettate entrano in un bagno per
donne, Emilio riceve la telefonata di Ivana.
“Siamo
in aeroporto. Dove sei?”
“A
pochi passi da Ginny” – spiega lui, precisando la
sua posizione.
“Bene,
tienila d’occhio! Stiamo arrivando”
“Credo
sarà un’impresa difficile” –
commenta il
primogenito di Bogotá.
“Perché?”
“Non
collaborerà mai. Vorrei sbagliarmi, ma…
a me sembra intenzionata a rimanere con la sua rapinatrice. E questo
non è un
buon segno. Forse ci siamo sbagliati su tutto, forse non è
stata portata via di
forza, forse è volutamente scappata!! E se così
fosse, sarebbero inutili piani
ed escamotage. Ginevra l’avremmo perduta per
sempre!”