Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Miky_D_Senpai    03/07/2021    2 recensioni
Il diario mentale di uno studente che non ha ancora capito il mondo che lo circonda, tenendo per sé una regola che è chiara solo alla sua famiglia. Nascondendo con un velo di apatia il rispetto per un'unica persona, riempiendo i propri vuoti con una devozione cieca.
Sopra le leggi di una società che ai suoi occhi cade a pezzi, ma non abbastanza alto da poter godere di una buona visuale sul mondo che lo circonda.
Dal testo:
"Volevate la solita storia sulla scuola? Su quei college americani tutti fighetti in cui c’è sempre il “cattivo ragazzo” che sta con la timida secchiona di turno, che la persuade a passare nel lato oscuro? “Lato oscuro” che poi è semplicemente in penombra.
[...]
... l’avevo notato dalla finestra, fermo nel viale del mio appartamento, di fronte al mio citofono. Mi diverte vederlo sbiancare ogni volta che pronuncio il suo nome."
[AU contemporanea, quasi tutti i personaggi, provate a shippare e lui vi ucciderà]
[Nota dell'autore: Ringrazio chiunque sia passato o passerà a leggere. Devo ammettere che è la prima volta che finisco una long del genere su Efp quindi grazie di tutto il supporto, alla prossima!]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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«Levi!»
Una vocina, come un ronzio interrompe il silenzio della lezione. Proprio quando la professoressa aveva deciso di cambiare argomento e stava ancora cercando la pagina da cui saltare per iniziare, finalmente, il nuovo programma. Abbiamo ricominciato le lezioni da un mese e già siamo in un ritardo clamoroso per colpa della pigrizia cerebrale che contraddistingue la nostra sezione.
Non che la totale incapacità di alcuni professori nello svolgere il loro lavoro durante la didattica a distanza, saltando completamente alcune delle loro ore per fare appelli infiniti prendendo la presenza anche di perfetti estranei.
Per non parlare di chi per una settimana ha corretto il proprio caffè con ingenti quantità di grappa minando la propria capacità di formulare frasi di senso compiuto. Ovviamente tralasciando quelle di stampo sessista.
Quindi alla fine si sono dovute alternare lezioni di recupero per risanare quei piccoli “incidenti”, ovviamente nessuno venne a conoscenza della parte più entusiasmante di quello che accadeva in presidenza quel periodo. Essere il vice del rappresentante degli studenti ha anche i suoi lati positivi.
Hanji aveva scelto proprio il momento sbagliato. Quello in cui si iniziava a parlare di un nuovo autore che sicuramente avrebbe cambiato la nostra vita convincendoci a lasciare gli studi in medicina imposti da nostro padre per una carriera da artisti squattrinati. Classico esempio di qualsiasi poeta studiato fino a questo punto.
«Levi ascoltami!» Mi giro un millisecondo, giusto il tempo per notare l’enorme scritta sul suo foglio del suo quaderno “TVB”, prima che la prof richiami me.
Ma non fanno preferenze gli insegnanti, assolutamente no.
Io potrei essere richiamato se aiutassi una vecchietta ad attraversare la strada, ma lei potrebbe sgozzare un capretto per fare un sacrificio a Satana e passarla liscia con un “Dovevi tagliare verticalmente, non orizzontalmente”.
A dirla tutta, forse sono io a stare sul cazzo ai professori per vari motivi. Tra i quali c’è forse la problematica che a loro sta più a cuore: distraggo le più brave della classe, che invece di seguire si mettono a scrivere dichiarazioni di affetto nei miei confronti. Messaggi completamente non necessari dato che le dimostrazioni evidenziano molto meglio ciò che pensano.
Se non fosse per alcuni avvenimenti direi che Petra segua qualche diavoleria su Wattpad che le fa credere di avere una possibilità con il ragazzo a cui girano ventiquattro ore al giorno. Di quelli immischiati con faccende mafiose o calamità naturali.
Effettivamente sembra una di quelle svampite che si farebbero convincere anche solo dal segno zodiacale a tentare in tutti i modi di far colpo su una persona, sperando di far breccia in un cuore di ghiaccio o che questo cambi per lei.
Ma ormai ho capito che l’amore, per quanto forte, non cambia nulla.
L’ho capito con Traute, che non si è fatta più viva da quella sera, sparendo semplicemente nel nulla. Un atteggiamento che credo abbia ripreso da Kenny, dato che era anche una sua abitudine fuggire dai problemi.
Di solito il problema ero io, un ragazzino del quale non ci si poteva fidare secondo il loro giudizio, una pedina che era meglio tenere all’oscuro di tutto quello che gli si chiedeva di fare. Fargli fare da autista senza nemmeno la patente, farlo partecipare a pestaggi.
Far cadere nell’illegalità chi non era riuscito ancora a svilupparsi del tutto e lasciare che la sua condizione ne risentisse ancora di più.
Ovviamente la dimostrazione precedente era mio padre, per il quale il problema ero sempre io e che, ovviamente, non ha mai provato a cambiare per la donna che lo amava così tanto. Nemmeno alla fine.
Pensare a lui mi fa tornare di soprassalto alla realtà, ancora intrappolato in quell’aula con il messaggio ancora girato verso di me. Avrò pensato troppo?
Guardo l’orologio appeso sopra la lavagna e noto che le due lancette non hanno cambiato di molto la loro posizione. Mancano ancora venti minuti all’intervallo e non ho già più voglia di essere sottoposto a questa tortura psicologica.
«Ackerman, vieni qui davanti, forza» A proposito di torture.
Questo ragionamento non ha assolutamente senso: farmi spostare più vicino alla fonte della distrazione come se ora Hanji smettesse di comportarsi da scema tutto d’un fiato, o se riuscisse a controllarci meglio mentre continua a spiegare. Come se non avesse un’intera classe da tenere a bada.
L’istante stesso in cui mi siedo di fianco alla professoressa, la quattrocchi scodinzola con la mano come se fosse una vita che non mi vede. Questa è una reazione che non mi aspetterei nemmeno da un cane lasciato solo dal proprio padrone per due giorni.
O sarà che lei è più fedele di un animale… Sto veramente pensando una cosa del genere? Mi sento Pixis quando chiede di non indossare gonne troppo corte, ma è il primo che si abbassa a guardare quando l’alcol lo libera dalle catene del buonsenso.
Tra i ragazzi c’è chi lo chiama mito, chi vorrebbe diventare come lui, ma non si rendono conto che la pensione è la sua unica ancora di salvezza da una ventina di possibili denunce in un mondo ormai troppo sensibile a quelli come lui.
È un mondo che cambia, muta e si adatta. Non sembra più fatto per quelli che una volta ci abitavano. Persone libere di essere ignoranti e di insultare nei modi più infimi gli altri creando oppressioni e bullismo soltanto perché nessuno aveva mai messo in chiaro quanto questo facesse male.
Persone come Kenny o Pixis, reliquie di un’epoca che si preferirebbe cancellare, insieme ai suoi prodotti e coloro che hanno avuto influenze così drastiche. Anche io, insomma, sono uno scarto della società.
Nonostante mi ritrovi circondato da persone che in qualche modo mi apprezzano, la sensazione di fondo è quella di essere sbagliato. Mi ritrovo circondato da persone che si limitano a giudicare la copertina del libro, senza sapere che non sono chi si aspettano.
Sto mentendo, celando segreti che dovrebbero cambiare lo sguardo di Hanji, così sincero e felice di vedermi lì davanti, trasformandolo nella quieta indifferenza che mi aspetterei. Eppure, la scema si è appoggiata su entrambe le mani in adorazione e sinceramente non capisco se mi sta prendendo in giro accentuando la sua espressione divertita.
Ovviamente un’insegnante che si rispetti avrebbe capito che stava per andare in scacco quattro mosse fa. Ma lei era così convinta da andare a finire a perdere completamente la ragione spostandosi tra i banchi.
La quattrocchi non la seguì nemmeno un istante con lo sguardo, continuando invece a cercare la mia attenzione.
«Ehi Levi!» sussurra di nuovo, come se la prima volta fosse andata bene. In realtà a lei non è cambiato nulla, anzi, ha avuto quello che voleva immagino.
Stavolta anche Petra si gira verso di lei turbata dal suo comportamento. Ci guarda entrambi, come se c’entrassi anche io nelle manie di persecuzione della sua compagna di banco, ma dal suo modo di aspettare che l’altra continui capisco che non ha intenzione di farci una ramanzina.
La noto scostare i capelli castani dal laccio della mascherina e protrarsi nella mia direzione per sentire meglio, tentando allo stesso momento di non darlo troppo a vedere.
«Stai bene?» Domanda di routine, posso anche ignorarla perché dovrebbe saperlo ormai.
Annuisco, degnandola di mezzo sguardo giusto perché si tratta di lei. Non voglio dare troppi indizi all’altra, che potrebbe lanciarsi in una crociata per tentare di occuparsi di me e di rotture ne ho già una.
«Dopo se vuoi passo da te con una sorpresa» mi dice ridendo, facendo arrossire per invidia o non so quale altro sentimento negativo nei suoi confronti la sua amica, ormai palesemente il terzo incomodo nella conversazione.
Nei miei occhi invece credo si veda un po’ di paura. Nonostante io sappia che non sia la persona più pericolosa che conosco, sicuramente è una delle quali ho più timore per quanto riguarda regali o sorprese. Non saprei mai cosa aspettarmi, infatti le faccio subito capire che non ho intenzione di ricevere visite, né regali.
Ma sembra fin troppo convinta dal modo in cui mi guarda.
«Non devi portare nulla se vuoi venire» Gli zigomi di Petra raggiungo una colorazione fucsia in risposta alle mie parole, è evidente quanto le dispiaccia che sia Hanji a essere più vicina a me. Io che non vorrei tutte queste attenzioni invece vorrei solo scappare da entrambe.
«Ti ha detto qualcosa Erwin?» mi chiede lei, mantenendo un’espressione beata.
«No, non ho parlato con lui» le rispondo dopo qualche istante, aspettando che la professoressa venga attirata da altro: Gunter si sta praticamente addormentando sul banco. Gli manca solo un cuscino e il pigiama e l’audacia di mettersi a russare.
«Ti doveva dire una cosa» Sempre così. Non poteva soltanto dirla, venire da me e parlarmi. Avvisare.
No, gioca per terze parti, manda piccioni viaggiatori con gli occhiali e la sessualità incerta e pretende che gli altri capiscano le sue intenzioni o quello che deve fare. Se non impara a comunicare direttamente con me finisce che non avremo più tempo nemmeno per dirci addio.
Approfitto dell’ennesima distrazione della prof per mandare un messaggio al biondo, chiedendogli soltanto di restare a scuola un altro po’, ma ovviamente lui risponde che deve tornare a casa per seguire le lezioni.
«Posso andare in bagno?»
 
«Il bagno è la seconda porta a destra» Con una calma pacata e razionale mi aveva risposto Erwin. Un giorno dei tanti a casa sua.
Si stava rimettendo i pantaloni, mentre io mi portavo il cambio con me per mettermi dei vestiti puliti. Avevamo sudato come animali quel pomeriggio e il caldo che c’era non aiutava sicuramente. Quell’estate avevo passato più tempo con lui che con mio zio a casa, lasciando che fosse Kenny ad occuparsi del mio povero gatto. Per settembre era dimagrito di quasi due chili e aveva avuto due intossicazioni da cibi che non poteva assolutamente ingerire.
Non gliel’ho più fatto toccare.
Il bagno non rispecchiava molto quello che a cui ti abitua la dimora Smith, la quale ricorda solo a pensarci colori polverosi e tenui, un po’ vintage e antichi. Un effetto accentuato dai mattoni a vista e i vecchi tomi esposti.
Ogni volta che invece attraverso quella soglia mi rendo conto di quanto sterile e moderno sembri quell’ambiente rispetto al resto. La luce bianca su quelle mattonelle lucide e i dettagli grigio scuro lo fanno sembrare quello privato delle suite presidenziali negli alberghi. Inutile dire che vederlo così pulito è una gioia per i miei occhi.
Quel giorno però ero completamente distratto dai dolori, avevo davvero usato muscoli che non sapevo di avere ed ero stremato dalla fatica.
Spogliandomi però notai anche l’effetto positivo di tutto quello che avevamo fatto. La tensione che rilascia le endorfine e quella sensazione di benessere che potrebbe sembrare droga, ma è completamente autoprodotta.
Quel bastardo mi aveva messo alle strette, senza nemmeno avvertire che avremmo lavorato a quell’intensità. D’altronde era anche la mia prima volta, non mi credevo in grado di riuscire a resistere così a lungo, ma riuscivo ancora a cambiarmi.
I vestiti erano abbastanza sgualciti e avrei dovuto lavarli appena tornato a casa, non avrei usato la sua lavatrice, nemmeno la sua doccia.
Tornai nel salottino e lo vidi, per mia soddisfazione, con il fiato ancora corto.
«Da quanto non lo facevi?» gli domandai con una smorfia che doveva essere un sorriso, ma non avevo abbastanza forza per sollevare il labbro.
Mi guardò ferito nell’orgoglio, naturalmente, e fu la cosa più divertente che vedevo da tantissimo tempo, per questo mi venne quasi da ridere mentre mi piegavo a raccogliere gli oggetti sparsi per il pavimento.
«Erano un paio di mesi effettivamente» Mi fece quasi tenerezza, ma lo aiutai a sistemare per far tornare tutto all’ordine di prima.
«Di solito fai con Mike?» Sollevai i guantini che giacevano a terra insieme al disco di ghisa e li riposizionai nella valigetta. Raccogliendo poi i manubri e aiutandolo a richiudere la panca.
«No, abbiamo montato questa piccola palestra solo di recente» Sentivo solo la sua felicità nel pronunciare fieramente quelle parole, ma il suo sguardo era rivolto più a me che agli attrezzi.
Mentre annuivo prendendo da terra le ultime cose, mi ringraziò della compagnia.
Era sempre stato così strano?
   
 
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