Bogotá,
isolatosi in giardino, stanco di
ascoltare la confusione dei Dalì, fuma silenzioso il suo
sigaro, mostrando
chiari ed evidenti segnali di tensione.
“Amico
mio, sai che i tic potrebbero essere
contagiosi?” – la voce di Palermo attira
l’attenzione del saldatore, il quale,
confuso, fa intendere di non aver capito le sue parole.
“Mi
riferisco alla gamba che ti trema” –
puntualizza Berrote, indicando l’arto di Bogotá,
che continua a muoversi
nervosamente senza che l’uomo se ne rende conto.
“Sono
agitato, ok? Sarò libero di avere tutti
i tic di questo cazzo di mondo, no?”
“Certo”
– risponde Martìn, alzando le mani in
segno di resa. Sa bene che il suo compagno di squadra non è
in vena di parlare
di cose irrilevanti.
“Volevo
solo rompere il ghiaccio”
“E
io voglio restare da solo!” – ribadisce
Bogotá.
Ma
Palermo non demorde.
“A
rischio di beccarmi uno dei tuoi micidiali
pugni, voglio insistere…insomma, amico mio, chiuderti in te
stesso non migliora
la situazione”
Il
saldatore espira nuovamente il fumo del
suo sigaro, volgendo lo sguardo altrove, infastidito
- “Se sei venuto qui per rompermi con delle
ramanzine di merda, meglio che torni dentro casa”
“Sei
serio? Dai, fratello, voglio darti una
mano. Mi dispiace vederti così. Non sei più
tu!”
“Beh…quando
toglieranno una figlia anche a
te, e quando la persona che ami non ti vuole più, allora
capirai…”
Le
parole dell’omone grande e grosso della
Banda, spiazzano Palermo che si ammutolisce.
“Se
si tratta di Nairobi, nonostante in
passato abbiamo avuto diverbi, sono stato uno stronzo, e lo riconosco,
ora ho
scoperto la bella persona che è!
Cioè…in fondo l’ho sempre saputo.
Però ero una
testa di cazzo... ecco, con questo volevo dire che, se hai litigato con
lei,
non affliggerti. Vi amate alla follia, e insieme risolverete i
problemi”
Udendo le ultime affermazioni, il saldatore emette una beffarda risata.
“Devo
cominciare a pensare al discorso che
faceva sempre Berlino” – riflette ad alta voce.
“Cioè?” – chiede Berrote.
“Quello
sulle donne!”
Martìn
lo fissa, stranito, e ascolta le
considerazioni folli dell’amico –
“Berlino diceva che le donne una volta
diventate madri si dimenticano di te! Già…
probabilmente aveva ragione”
“Che
cazzo dici?”
“Nairobi
dopo la nascita dei gemelli mi ha
dato poche attenzioni. Forse perché sono più
vecchio di lei, forse perché non
la soddisfo più”
“Mi
fai paura, Bogotà! Perché dici queste
stronzate?”
Eppure
le domande di Palermo non trovano
risposta. Il saldatore continua il suo monologo, infischiandosi di chi
c’è
attorno, lamentando un dolore che come un pugnale affonda la sua lama
in
profondità e lento risale su.
Una
sofferenza che lo stesso Martin coglie
dallo sguardo e dal tono di voce dell’amico.
Impotente
di fronte a tanto strazio, l’argentino
non può far altro che ascoltare e ciò che ode non
è affatto rassicurante.
“Mio
figlio è bello, prestante, intelligente,
e premuroso. E lei ha bisogno di qualcuno che mantenga accesa la
scintilla. Forse
hanno anche scopato alle mie spalle, io non devo essere stato bravo la
scorsa
notte, lei si è consolata
così…”
“Bogotà, porca puttana! Dici sul serio?”
– a quel punto, Palermo intuisce il
malessere dell’amico – “Ti ha tradito? E
con chi?”
Gli
basta poco per capirlo. Martin ricorda
che qualcuno andato via inaspettatamente c’è stato.
“Cazzo…. Emilio?!”
Il
nome del primogenito risveglia Bogotá
dallo stato di sconforto nel quale è momentaneamente caduto.
Si accorge, solo
allora, di aver riferito troppo.
“Torno
dentro”
“Aspetta,
dove vai? Voglio aiutarti”
“Dimentica
quello che hai ascoltato” –
ignorando le invadenze dell’argentino, il saldatore si
incammina verso l’ingresso
di casa.
“So
cosa significa soffrire per amore,
credimi. Però, se c’è una cosa che ho
imparato, è non lasciarti divorare dal
dolore”
“Quando riavrò con me Ginevra, prenderò
le mie decisioni. Adesso voglio
soltanto essere lasciato in pace”
Entra
nella villa, lasciando il compagno di
squadra con un senso di profonda e intensa apatia.
E
pensare che nessuno dei due si è accorto
della presenza di una terza persona, poco distante, rimasta
pietrificata di fronte
ad agghiaccianti confessioni.
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“Eccovi,
finalmente!”
“Dove
è Ginny?” – domanda Axel ad Emilio.
“Quella
donna l’ha allontanata. Dieci minuti
fa sono entrate in quel bagno laggiù! Ancora non
escono!”
“Forse
sospetta di te?” – ipotizza il gitano.
“Non
so, io ho avuto modo di scambiare due
parole con Ginevra! Non le ho rivelato neppure di essere suo
fratello”
“Bene, meglio così! Non deve
sospettarlo” – precisa Ivana.
“La
faccenda è sempre più sospetta! Nostra sorella
è legatissima a quella sconosciuta!”
“Bisogna
agire quanto prima” – aggiunge il giovane
Jimenez – “Potrebbe minacciarla a dire determinate
cose”
“Aspettatemi
qui” – ordina Varsavia, decisa a
prendere in mano le redini della situazione. Lo fa, raggiungendo
l’esatto luogo
nel quale si erano serrate le due fuggitive.
Con
estrema noncuranza, la ventenne entra
nella Toilette, constatando che molte donne in coda hanno evidentemente
causato
la permanenza della signorina Honey e di Ginevra in quel posto poco
piacevole.
Ivana
riconosce subito Ginny e si emoziona
nel guardarla. Cerca in ogni modo di non destare sospetti, e studia in
silenzio
le espressioni e le mosse della famosa insegnante.
“Possiamo
tornare a casa? io ho sonno” – la bambina
si stropiccia gli occhi, e supplica la tutrice di andare via.
“Dobbiamo
partire, mi amor. L’hai capito
questo, sì?”
“Non
possiamo portare anche i nonni insieme a
noi?” – domanda ingenua e dolce da parte della
piccina.
Caroline
Jones si guarda attorno, ignorando
di avere alle spalle una minaccia alla sua fuga.
E
così le dice – “Loro ci raggiungeranno
presto”
“Io
vorrei salutare almeno mio fratello Seba,
e mia sorella Alba. Mi mancano tanto e sono giorni che non li
vedo”
A
quel punto, l’adulta si vede costretta ad
usare l’arma del rimprovero.
“Sei
stata tu a volere questa cosa, Ginevra!
Ricordi? Adesso ti stai tirando indietro?”
Se c’è una cosa che la maestra Honey sa fare
è schiacciare chi ha davanti a sé con
il fardello del senso di colpa.
“E’
vero, hai ragione” – con quelle parole,
abbassando lo sguardo, Ginny accetta la sconfitta. La sua insegnante ha
ragione, e non le resta che stare a quanto deciso.
“Vedrai
che ci divertiremo noi due insieme. Non
abbiamo bisogno di nessuno” – dopo il tono severo,
la donna si mostra dolce e
tenera.
Una
tattica, quella della dolcezza,
servitale, tempo addietro, per il suo interesse personale.
Ivana,
nel frattempo, cerca di capire le
intenzioni della teacher. Sente di dover giocare la sua mossa quanto
prima! Prima che
sia troppo tardi.
Le
basta scorgere una lacrima sulla guancia
di sua sorella per darle la scossa decisiva e trasformarsi da ragazza
educata e
di buone maniere, in una leonessa pronta a sbranare chiunque si
avvicina ai
suoi cuccioli.
“Maledetta”
– è il primo pensiero della
ragazza, che trattiene la rabbia stringendo con forza i pugni, al punto
di
conficcare le unghie nella sua stessa carne.
Pochi
istanti dopo, la maestra Honey entra
nella toilette ricordando alla bambina di rimanere ferma al suo posto,
accanto
ad uno dei vari lavabi.
“Non
uscire da qui senza di me” – le
ribadisce più volte.
Finalmente
l’occasione che Varsavia aspettava.
“E’
il momento di conoscerci, sorellina del
mio cuore” – pensa la ventenne. Poi si posiziona di
fianco alla bambina,
fingendo di aspettare il turno per utilizzare la toilette.
Con
la coda dell’occhio, Ginevra scruta la
sconosciuta, percependo in lei strane vibrazioni.
“Sei
in coda?” – domanda la maggiore per
rompere il ghiaccio.
“Ehm…no,
sto aspettando la mia…” – Ginny era
prossima a dire “maestra”, poi la voce insistente
di Caroline Jones le rimbomba
nella testa, e si sente costretta a dire – “la mia
mamma”
“La
tua mamma?” – ripete, sbalordita, Ivana.
La
situazione è grave, pensa l’ucraina.
E
udire il rumore dello scarico, significa il
ritorno della Honey sulla scena.
Così
Varsavia ha poche carte da giocare.
Nel
panico più totale opta per la soluzione
più drastica.
“Ginny,
io ti conosco”
“Cosa?”-
si ritrae, terrorizzata, la piccola.
“Mi
chiamo Ivana e sono tua sorella maggiore!
Sono qui per salvarti…”
Gli
occhi lucidi della ventenne sono la prova
per Ginevra della verità.
“Hai
lo stesso neo di papà” – precisa poi la
piccola, indicando il segno sul viso della bionda.
“Vieni
via con me, ti prego” – le porge la
mano, in attesa di scappare.
Eppure
la minore è poco convinta, anzi si
direbbe che non ha alcuna intenzione di farlo.
“Non
voglio” – risponde, correndo via e
disobbedendo agli ordini dell’insegnante.
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“Ehi,
ma quella è Ginny” – esclama Emilio,
riconoscendo la sorellina correre via.
E’
Axel stavolta a non esitare. Si getta tra
la folla di persone che occupano l’aeroporto e segue la
bambina.
Anche
Varsavia, a passo veloce, si
ricongiunge a Yerevan.
“Che
è successo?” - le chiede lui, cercando
spiegazioni.
“Ho
parlato” – confessa, dispiaciuta,
l’ucraina.
“Cazzo,
Ivana! Non dovevi. Sarà difficile
riportarla con noi. Quella donna l’ha plagiata per bene, sono
sicurissimo che
Ginny vuole andare via da Perth perché la maestra
l’ha convinta che è la cosa
giusta da fare”
“Forse
se vedesse Alba e Seba cambierebbe
idea” .- riflette la giovane.
“In
che senso?”
“Prima
ho sentito che chiedeva alla Honey di
vedere i fratellini!”
“Bene,
cosa aspettiamo? Chiama papà, che
qualcuno portasse qui Alba e Sebastìan. Bisogna giocarsi il
tutto per tutto,
adesso!”
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I
minuti seguenti sono cruciali.
Ginny
è seguita da Axel e avverte la sua
presenza alle spalle, corrergli dietro.
Non
conosce l’identità di quella persona
eppure il presentimento che possa essere qualcuno legato alla sua
famiglia
inizia a farla temere.
In
lacrime, non trova una via di fuga e nel
giro di qualche secondo viene raggiunta dal gitano.
“Cosa
vuoi da me? Non ho paura di te” – si pone
sulla difensiva, tirando fuori le unghie.
“Aiutarti”
– dice il moro, scrutando la
evidente somiglianza con quella spaventata e, al contempo, grintosa
bambina.
“Voglio
la mia mamma!”
“Nairobi
o la maestra Honey?” – la domanda di
Axel è voluta e insospettisce ancor di più
Ginevra.
In
silenzio fissa i dettagli di quello
sconosciuto e giunge immediatamente alla soluzione.
Con
il cuore accelerato e gli occhi stracolmi
di lacrime, indietreggia – “So chi sei…
e da te non voglio niente”