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Autore: Bellamy    04/07/2021    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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I vampiri non esistono. Non ero finito in Italia per dei vampiri perché non esistono.
Mi avevano rapito. Quei due bastardi e drogati dei miei genitori erano a corto di denaro e avevano preferito farmi rapire così loro non avrebbero speso un centesimo. Oppure la famiglia del mio patrigno aveva scoperto che lo avevo ucciso io e aveva deciso di vendicarsi. Chissà perché avevano preso la scusa dei vampiri, come se avessi cinque anni.
Bizzarra vendetta se questa consisteva nel portarmi in Italia da una strana combriccola di persone. Erano terrificanti e disumani: non parlavano, non si muovevano, non dormivano, non bevevano né mangiavano, non uscivano di giorno.
I vampiri non esistono. Forse questi facevano parte di qualche setta o di qualche esperimento segreto del governo.  
Ma io avevo paura e non riuscivo a nasconderlo. Odiavo mostrarmi vulnerabile.
Le massicce porte si aprirono ed entrarono due persone: una donna e una ragazzina. Non le avevo mai viste prima. La donna sembrava come tutte le altre che avevo visto in quel posto: terrificante e mozzafiato.
La ragazzina… era una ragazzina normale. Finalmente! Non ero solo! Mi avrebbe potuto spiegare cosa diamine stava succedendo oppure confermarmi che era stata rapita pure lei.
Si mise accanto a me e mi fissò: era mia coetanea; era molto magra, ma con le forme al punto giusto, e aveva dei lunghissimi capelli castani, legati in una treccia spettinata, e i riccioli nelle punte sfioravano il pavimento. Altri ricciolini le incorniciavano il volto come una cornice di legno pregiato.
La sua pelle era molto pallida, come quella di tutti gli altri tizi ma con una curiosa sfumatura lavanda, e le sue guance erano macchiate di rosa. I suoi occhi erano enormi e marroni, con lunghe ciglia, e non indossava le lenti a contatto rosse. Le labbra erano troppo carnose. Il suo viso era simmetrico però non risultava strano.
Il cuore iniziò a battere forte.
Era impossibilmente bellissima. Non avevo mai visto nessuna così bella al liceo o nei locali notturni, da nessuna parte.
La sua presenza era quasi astratta, eterea. La sua bellezza era lontana, inumana, intoccabile, inconcepibile ma c’era e rubava il fiato e qualsiasi capacità di ragionare.
Ebbi il violento impulso di coprirla, di proteggerla e di baciarla. La sua faccia era buona, positiva.   
Mi rivolse uno sguardo spaventato e ansioso, neppure lei sapeva cosa stava succedendo.
Il tipo strano con i capelli lunghi e le iridi rosse iniziò a parlare di nuovo, così velocemente che non riuscii a captare nemmeno una lettera. Si stava rivolgendo alla ragazza la quale non sembrava avere nessun problema a stargli al passo. Teneva la bocca semi aperta e sgranò gli occhi: era impaurita.
Vedendola così spaventata, iniziai ad avere ancora più paura.
“Nutriti, Renesmee.”
Che razza di nome era?
Ma soprattutto, di cosa si doveva nutrire?
La ragazza chiamata Renesmee si allontanò da me come un soffio leggero di vento. Fu velocissima proprio come lo furono tutti gli altri in quella sala.
“No.” Disse, la voce tremante, scuotendo la testa. Continuava a guardarmi spaventata. I suoi occhi puntavano sulla mia faccia e sul mio collo e la sua bocca, prima tenuta stretta, si ammorbidì e si schiuse.
Le chiesi di non uccidermi, in qualsiasi modo lo stesse per fare.
“No!” Sentii gridare per l’ultima volta.
 
 
 
 
 
 
 
 
Non potei attuare il mio piano immediatamente.
Il processo di guarigione era lentissimo e io non avevo tanta pazienza.
La prima volta mi volle un mese, non potevo concedermi tutto quel tempo anche per la seconda, non in quel momento. Avrei potuto farlo quando sarei ritornata definitivamente a casa, con calma e senza nessuna fretta.
Casa. Questa volta sarebbe stato sul serio.  
L’impazienza mi contorceva lo stomaco e metteva in subbuglio il mio umore. Mi rendeva sia elettrizzata che nervosa, euforica e furiosa.
Non vedevo l’ora di andare a Volterra, la Renesmee di quasi un anno prima non l’avrebbe mai detto. Per lo più, non vedevo l’ora di relegarla nel mio passato per sempre. Se fosse stato possibile estrapolare specifici momenti della vita dalla memoria, avrei preso quelli passati in Italia, dar loro fuoco e ballare intorno alla pira.
Meglio ancora: avrei felicemente barattato i miei ricordi di Volterra con quelli che avevo perso molti anni fa.
Erano le dolorose fitte al petto e quella strana febbre, che mi travolgevano in qualsiasi momento della giornata, che mi fermavano. Non davano nessun segno di sparire e la morfina sembrava avere nessun effetto su di loro.
Per questo motivo feci scorrere, con mio disappunto, un’altra settimana. Ero sparita da un mese e due settimane ormai. Troppo tempo.
Ogni ora che scoccava, io ero sicura di star perdendo il controllo sulla mia vita, sul mio destino e sulla realtà. Mi sentivo estraniata, da me stessa e dalle vicende che avevano dato luogo a quel senso di alienazione. Mi sentivo in balia dell’oceano, a galleggiare nell’acqua profonda, senza nessun appiglio a cui appoggiarmi.
Quel senso di perdita e caos era destabilizzante e travolgente.
L’altro motivo che mi indusse a posticipare l’avvio del mio piano era Andrew: mi aveva chiesto di aspettare per riprendere un po’ di forze.
Andrew.
Dopo il nostro litigio, cambiò atteggiamento nei miei confronti: divenne molto più tranquillo e mi aiutava nei momenti di maggiore difficoltà. In quei pochi attimi in cui ci rivolgevamo la parola, lui non si mostrava più adirato e non tentava più di evitarmi.
Anzi, era sempre dolce e premuroso con me. Durante le mie fastidiose crisi febbricitanti, mi stringeva sempre in un abbraccio perché sapeva che il freddo del suo corpo mi dava sollievo, e mi consolava. Io ero tanto egoista da approfittarmene e m’incollavo a lui. 
Per quasi tutta la giornata mi lasciava sola, rimaneva con me solo quando stavo male, perché andava alla ricerca di qualche sfortunato che sarebbe finito sotto i miei e i suoi canini. Portava sei o sette persone ogni ora, stava svuotando una città.
Io provavo a rifiutarmi: mi sentivo una assassina – non solo di umani ma anche di mezzi vampiri, ormai -  ed estremamente colpevole. Non era quella l’educazione che avevo ricevuto e stavo tradendo i miei principi. Poco importava se ero uno straccio, non era giusto sacrificare degli innocenti per il mio benessere, strapparli alle loro vite, ai loro cari. Infondo anche io ero umana, come loro. Uccidendoli voltavo le spalle alla mia natura.  
In ogni volto impaurito e implorante vedevo Carlisle e tutti gli altri Cullen. Le loro espressioni erano deluse e furiose. Fui felice che non ero con loro in quei momenti caotici, che non potessero vedere il lato peggiore di me stessa. Mostrarmi in quello stato selvaggio e oscuro era l’ultima cosa che desideravo.  
Tentai più volte di fermare Andrew, piangendo pure, pregandolo, ma lui mi costringeva. Gli spiegai che non era quello il tipo di sangue di cui io, di solito, mi nutrivo. Lui prese me e i Cullen per pazzi. 
“Se vuoi andartene il più presto possibile, questo è l’unico modo.” Mi diceva sempre, prima di offuscare le mie volontà.
In effetti, non potei non ammettere, purtroppo, che ogni ora trascorsa, io diventavo sempre più forte grazie al sangue che stava riprendendosi il pieno possesso del mio organismo. Ritornai a essere più agile e reattiva, forte. Riuscivo a tenermi in piedi e in equilibrio, i muscoli si stavano di nuovo riempiendo, le profonde occhiaie che circondavano i miei occhi erano sparite e io avevo ripreso colore nelle guance. Andrew lo aveva notato e questa evoluzione lo spingeva a portare ancora più persone.  
Nonostante fosse grottesca, io non meritavo quella cura da parte di Andrew, come se non lo avessi ferito. Io lo avevo ferito e lui non ne faceva mistero. Lo aveva ammesso e il mio cuore terminò di spezzarsi definitivamente, come se dovesse essere il mio a farlo e non il suo.
Non me lo ricordava ma il suo assurdo  comportamento mi faceva sentire male, cattiva, perfida e immeritevole. Non aveva nessun motivo di comportarsi in quel modo così reverenziale con me, non lo meritavo.
Spesso mi abbracciava anche quando stavo bene o, ancora peggio, mi baciava. Non lo meritavo, non meritavo il suo tocco e non rispondevo mai alla sua vicinanza, farlo sarebbe stato irrispettoso. Lui non insisteva, però il mio atteggiamento lontano non sembrava essere sufficiente da fermare quello suo amorevole. 
Mi aspettavo un atteggiamento freddo e distaccato, mi aspettavo che mi abbandonasse, che mi insultasse. Per quale motivo continuava a stare con me dopo avergli esplicitamente detto che lui non c’era nel mio futuro?
Non glielo domandai, non ero abbastanza forte emotivamente da poter tollerare una sua risposta, bella e brutta che fosse. Probabilmente non avevo neanche il diritto di domandarglielo.
Andrew non mi era indifferente, ovviamente. Gli auguravo il meglio, lo volevo felice. Iniziò a far parte di me dal primo momento in cui posò i suoi occhi azzurri nei miei, prima che venisse trasformato in vampiro.
Il suo tocco, la sua presenza intorno mi erano, da subito, risultati familiari. Era stato facile e naturale accettare la sua vicinanza, i suoi abbracci. Era come se lo conoscessi da sempre. Visto da un punto di vista esterno, mi rendevo conto che le dinamiche del nostro rapporto erano state tutt’altro che normali. Furono contorte.   
Con Andrew mi sentivo sempre sotto effetto di un incantesimo perché lui era costantemente nella mia testa. Non sentivo mai la sua mancanza. Nemmeno quando ero ritornata, per poco tempo, dai Cullen provai le conseguenze dell’assenza di Andrew. Era sempre con me, non c’era ragione per cui dovessi soffrire la sua lontananza. Ed ero sicura che, in futuro, avrei continuato a non soffrire la sua mancanza.
Come potevo spiegarglielo senza creare incomprensioni e in maniera chiara? Non avrebbe capito, era quasi incomprensibile a me. Per lui sarebbe stata un’altra scusa.
E quando lo vedevo, il cuore rischiava sempre di scoppiarmi e un proiettile di felicità mi colpiva improvviso. Mi sentivo a mio agio con lui, sicura e forte.  
Era questo l’amore? Ci si sentiva così? Anche Andrew provava le stesse cose?
Non sapevo darmi nessuna risposta. Non ne sapevo nulla di cuori e amori, di relazioni.
Mi odiavo, odiavo questa mia mancata consapevolezza. Seguii l’esempio di molte eroine che lessi nei romanzi: aprire e far parlare il mio cuore. Lo avevo fatto e il mio cuore dava per scontato ciò che provavo nei confronti di Andrew ma non lo definiva.
Eppure avevo così tanti esempi viventi per comprendere se fosse amore o meno, i miei nonni e zii, ma il caso che costituivamo io e Andrew era così lontano da loro, il polo opposto. Eravamo una coppia improbabile o la rendevo io tale?
Andrew e io continuammo a non esprimere esplicitamente i nostri sentimenti. I suoi motivi erano comprensibili: perché manifestarli quando si era certi che non sarebbero stati ricambiati?
Io non mi esprimevo perché non volevo fare dichiarazioni delle quali non ero sicura al cento per cento. Sarebbe stato oltraggioso, non volevo mentirgli e io odiavo le bugie. 
Lui, almeno, lo faceva, a gesti. Io no. Io continuavo a rubare quello che mi mostrava ogni volta.
Dovevo stargli lontana, un altro motivo per cui avevo così tanta fretta di andare in Italia. Avrei smesso di farlo soffrire. Non era corretto, nei suoi confronti, comportarsi in quella maniera così sconsiderata e insensibile. Non volevo prendere per i fondelli nessuno.
Cercavo sempre di rimanergli lontana, in quei brevi momenti in cui si presentava a casa sua, ma era Andrew stesso a cercare il mio tocco facendo crollare i miei propositi.
Non parlavamo molto. Io mi chiusi in un mutismo mezzo obbligato: non riacquisii ancora il mio dono, la mia unica e naturale facoltà di comunicare. Questo aumentava il mio stress e il mio panico di averlo perso definitivamente.
Prima la memoria… ora il mio dono? Questo era auto sabotaggio, un tradimento auto inflitto. Che fosse una sorta di punizione?
No, non potevo perderlo. Preferivo diventare muta per l’eternità anziché perdere la mia stramba capacità di trasmettere i miei pensieri, di parlare.  
Inoltre mi vergognavo troppo di me stessa da mostrarmi indifferente intavolando conversazioni con Andrew, come se nulla fosse successo.
Ad Andrew non sembrava disturbare quel silenzio. Lui era quasi sempre essente, forse lo faceva volontariamente, con la scusa di portare gente da assassinare nelle mura sicure della sua abitazione.
Non lo biasimavo. Ma se si allontanava volontariamente, perché voleva essere sempre vicino a me, una volta ritornato? Era una comportamento strano.
Spesso cercava di farmi cambiare idea, se ne usciva sempre con nuovi pretesti. Continuava a propormi di stare con lui ma nella sua voce non c’era rabbia o implorazione. Rendeva la sua una semplice e comune richiesta. Io replicavo sempre con la stessa, onesta risposta. Gli proponevo di venire con me, ma pure lui rispondeva sempre allo stesso modo: “No.”
“E se a loro non importasse nulla?” Mi chiese, un giorno. Lui era ancora convito che io sapessi già che Edward e Bella fossero i miei genitori biologici. Non si rendeva conto quanto la sua fosse una assurdità, una sciocchezza. Andrew sarà stato pure più veloce e perspicace di me, ma sicuramente non si era servito dei miei sogni e dei miei pensieri. Era assurdo, semplicemente assurdo.   
Quella che mi aveva fatto era una ottima domanda, me l’ero posta pure io. D’altronde dovevano avere pur un motivo per cui si erano allontanati da me. Magari davvero non importavo loro nulla.
“Ti sbagli e sai perché? Perché i tuoi cari genitori non hanno fatto nulla per evitarlo.”
Scacciai quelle parole dalla mia mente. Gli risposi con una scrollata di spalle: “Nessun problema.”
Fui estremamente tranquilla in quella risposta ma ero consapevole che quella indifferenza nascondeva qualcos’altro da me stessa. Qualcos’altro che, in quel momento, era dormiente, assopito.
“Allora” continuò Andrew con il suo interrogatorio, “Perché disturbarsi così tanto?”
Eravamo in salotto. Andrew aveva portato via gli ultimi cadaveri. L’appartamento moderno a due piani era diventato un mattatoio nel pieno centro di Londra.
“Andrew, immagina di vivere ottanta anni della tua vita consapevole di non ricordare nulla del tuo passato. Condividi la stessa casa con altri sei vampiri che chiami nonno oppure zio. C’è un motivo e, qualsiasi sia, significa che, prima che tu perdessi la memoria, c’erano una madre e un padre con loro e con te. Se il motivo non ci fosse stato, i Cullen si sarebbero presentati con te semplicemente con il loro nome. Non avrebbero definito in maniera così dettagliata i rapporti tra te e loro. Non credi?”
I nostri ruoli familiari non erano solamente motivati per salvare le apparenze di fronte agli umani.
Veramente gli zii consideravano Esme e Carlisle come dei genitori, davvero Emmett considerava Jasper un fratello e viceversa. Anche io potevo finire di considerare i nonni come i miei genitori – e lo erano per me – ma loro mi consideravano una nipote nonostante più volte mi avessero detto che ero, per loro, una figlia.
Feci una pausa ma ripresi immediatamente. “Ho passato la mia vita intera a chiedermi chi fossero, che volto avessero, perché se ne fossero andati. E adesso so chi sono e, credimi, non sai quale sollievo sia per me, che peso immenso mi sia tolta dalle mie spalle. Finalmente posso andare avanti. Mi sentirò solamente libera, però, da questo macigno solo quando li vedrò negli occhi e dirò loro: indovinate un po’, ragazzi? L’ho capito! Addio!” Calcai la mia voce nell’ultima parte, scimmiottandomi.
Realizzai tutto questo solo quando lo pronunciai a voce. Davvero mi sentivo più libera, leggera e tranquilla. Tale sensazione prevaleva su tutte le altre emozioni, le sopprimeva, le ammutoliva. Non mi sarebbero aspettate più notti insonni, dubbi e domande. Sapevo, potevo anche sorvolare sulle inquisizioni nonostante queste continuavano a premere numerose contro le pareti del mio cervello sovraccaricato.
Il mio piano consisteva di non inondare Edward e Bella di domande ma la curiosità mi affogava. Non ero tanto convinta di poter resistere alla tentazione. Dentro di me un dissidio era in corso: cedere alle infinite domande o no? Dopotutto, meritavo delle risposte, no?
No, mi sarei tenuta al piano. Sarebbe stato breve e indolore, di pochi secondi. Non avrei posto nemmeno i Cullen al mio interrogatorio.     
Andrew corrugò la fronte e si guardò il petto e la braccia sporchi di sangue. Gli avevo dato sicuramente elementi su cui pensare e lo dimostrava la sua espressione pensierosa. Le basi dalle quali partivano le mie intenzioni erano a prova di bomba.
“Secondo te, perché ti hanno lasciata?” Domandò.
Sospirai. “Non lo so.” Le ragioni potevano essere migliaia oppure zero. Tutte quelle che avevo ipotizzato nel corso degli anni, ora, mi sembravano stupide.
Edward e Bella erano membri della Guardia dei Volturi e supponevo lo fossero da molto tempo. C’era una ragione, una motivazione.
Pensai a Eleazar, cugino di Denali: lui scelse di far parte della Guardia perché non c’era nulla e nessuno che si opponesse a quella scelta. Non esisteva nessuna specifica ragione dietro quella decisione. Molti vampiri erano affascinati dai Volturi e tale fascinazione li portava a unirsi a loro.
Chissà, forse il caso era stato lo stesso per Bella ed Edward.  
Poi Eleazar conobbe Carmen e capì che Volterra non era più il posto adatto per lui, la lasciarono insieme e si unirono a Tanya e Kate.
“E non si sono mai fatti vivi?”
Assolutamente no. “No.” Risposi soltanto. Non ero cieca e i miei istinti erano gli stessi dei vampiri. Se Edward e Bella avessero deciso di fare un salto dai Cullen, in mia assenza, lo avrei potuto capire facilmente. Avrei potuto ricordare semplicemente il loro odore una volta a Volterra.
Magari lo avevano fatto! Ma non a casa, in spazi aperti. In quel modo non avrei mai potuto intercettare il loro odore con tanta facilità…
Andrew piegò la testa di lato, c’era qualcosa che non gli quadrava. “E… i Cullen, non ti hanno mai detto nulla?”
“No.” Ripetei, facendo una brevissima risata amara. “Ma loro sanno, ovviamente.”
Eccolo di nuovo, il dissidio interiore. Chiedere o no? D'altronde, sapevo! Non c’era nessun motivo per cui dovessero nascondermelo ancora. Mi avrebbero potuto dare la loro versione dei fatti…
Andrew mi rivolse uno sguardo confuso, non capiva. “E perché non gliel’hai chiesto?”
“Non sai quante volte l’ho fatto!” Gli risposi, improvvisamente esausta. Infinite volte.
Non potei evitare di sentirmi stupida. Sentii la presa in giro dietro le parole di Andrew. E la sua incredulità.
“Non mi hanno mai risposto, a volte cambiavano proprio discorso. E poi, non è facile impuntarsi su qualcosa quando sei accanto a un vampiro che può farti perdere interesse in qualsiasi cosa.”
Jasper. Ogni volta che io insistevo troppo con le domande, i Cullen si giocavano la carta Jasper e la mia attenzione volava altrove.
I tratti di Andrew si indurirono. “Ti hanno mentito per tutto questo tempo, Ren, e tu vuoi ritornare da loro.”
Lui non li conosceva, non sapeva nulla di loro. Andrew aveva un percezione strana dei Cullen, risultato della distorta immagine che gli eventi passati, e io stessa probabilmente, avevano trasmesso.
“Sicuramente hanno avuto i loro motivi.” Dissi io, a denti stretti. Non potei immaginare persone più oneste dei Cullen. Se lo avevano fatto, c’era senz’altro una ragione.  
“Certo, certo.” Disse Andrew e mi lanciò una occhiataccia. “Questo non significa nulla, comunque. Potevi sempre aprire quel medaglione.”
Mi portai le ginocchia vicino al petto e mi abbracciai. “Hai ragione.” Risposi. Aveva più che ragione. Se lo avessi fatto tempo prima, mi sarei risparmiata un sacco di pene, sicuramente. Ma non ero pentita di non averlo fatto, avevo i miei motivi e non mi aspettavo che qualcuno li comprendesse.
Ma se avessi aperto il mio pendente tantissimo tempo prima, i Cullen mi avrebbero spiegato tutto? Mi avrebbero portata da loro? Pensai di no, non l’avrebbero fatto. Mi avrebbero fermata in tutti i modi. Non avrei potuto porre le mie speranze neanche nella fuga: Alice non era in grado di vedere il mio futuro, ma Emmett era capace di acchiapparmi immediatamente. E poi, ero costantemente sotto la supervisione di qualcuno.
Andrew sbuffò e disse, divertito, rispondendo ai miei pensieri: “Se lo avessi fatto prima, avresti creato l’effetto sorpresa quando hai messo piede per la prima volta a Volterra.”
Scoppiai a ridere. “Sì, forse.”
Se davvero fosse andata in quella maniera, cosa sarebbe successo? Sarebbe successo tutto quello che, alla fine, era successo? Oppure sarebbe accaduto tutt’altro?
Il giorno successivo, dopo avermi nuovamente proposto di restare con lui, Andrew mi domandò: “Secondo te, ti stanno cercando?”
“Chi?” Domandai dopo aver ingoiato le pillole di morfina, mi ero appena svegliata dopo una estenuante crisi ardente. Andrew rubava la morfina da tutti gli ospedali di Londra.
“I Cullen e i tuoi.” Rispose distendendosi nel divano e appoggiando la sua pesante testa nel mio ventre. Per un breve momento mi immobilizzai e portai le mani vicino ai fianchi.
Rimasi in silenzio, indugiando sulla risposta. Aveva posto un altro quesito che mi ero posta pure io. Per quanto riguardava Edward e Bella i casi potevano essere due. Per quanto concerneva i Cullen, mi auguravo che non fossero a conoscenza di nulla.
“Magari Bella, ma non so fino a quanto si stia spingendo.” Risposi, incerta. L’idea che si potesse mettere nei guai a causa mia mi innervosì, come lo fece tempo fa. Non volevo che si preoccupasse per me. Cos’altro poteva inventarsi?
Non avevo neanche considerato la possibilità che Edward fosse sulle mie tracce. Edward mi odiava. Non mi avrebbe mai cercato.
Oppure nessuno dei due mi stava cercando perché convinti che fossi morta. Probabilmente si erano liberati di me nella maniera assoluta.
“Spero davvero che tutti i Volturi abbiano creduto alla tua parola, Andrew.” Dissi. In quel modo mi sarei potuta muovere di soppiatto a Volterra e andarmene senza far intendere ad Aro niente di niente.
Era estremamente importante, per me e per il mio piano, che Edward e Bella collaborassero. Una volta ritornata negli Stati Uniti, i miei genitori biologici dovevano tenere la bocca chiusa, per sempre. Non dovevano far sapere che io ero ritornata a Volterra, anche solo per tre secondi. Me lo dovevano, era la mia unica richiesta.
Se Aro e i suoi fratelli erano convinti che fossi morta, lo dovevano essere per l’eternità.
Su Bella potevo contare, mi fidavo. Su Edward no.
“Certo che credono alla mia parola.” Andrew alzò gli occhi verso di me, offeso. Non considerava minimamente sospetta la sua scomparsa.
Non gli risposi e distolsi lo sguardo dal suo volto, lo puntai verso i muri bianchi macchiati di sangue davanti a me.  
“I Cullen?” M’incalzò.
“Spero davvero che non sappiano nulla. Racconterò tutto quando ritornerò.” La mia risposta uscì sia come una preghiera che come un lamento. La notizia della mia morte, se era già arrivata a loro, li avrebbe distrutti, fatti impazzire… non volevo pensarci. Ero ben consapevole di cosa dovevo aspettarmi una volta tornata a casa: mi avrebbero fatta a pezzettini per un anno intero, forse due, ed Esme mi avrebbe chiusa in una gabbia. Non mi sarei opposta, me lo meritavo.  
Avrei voluto tanto contattarli ma li avrei solo allarmati. Non avevo intenzione di ripetere gli stessi errori che feci prima. Chiamarli li avrebbe solo fatti preoccupare ma era difficile starsene fermi sapendo che, probabilmente, erano in pensiero per me.
Era crudele però volevo attenermi al mio piano e questo non prevedeva nessun’altra persona eccetto me, Bella ed Edward. Nessuna intromissione, nessuna influenza esterna. Li avrei chiamati dopo, quando tutto sarebbe finito.
A volte continuavo a desiderare che i Cullen non volessero avere più niente a che fare con me, che rinunciassero a me, per la loro sanità mentale.
 
 
 
 
 
 
 
 
Era passato un altro giorno. Non potevo più aspettare. Dovevo andare.
Dopo essermi vestita con gli abiti che Andrew aveva rubato per me, assicurato il medaglione nella tasca interna della mia giacca a vento, aver preso le ultime pillole di morfina rimaste, salii sopra il tetto del palazzo.
Andrew, insieme alle vittime, non entrava mai dalla porta di casa ma da una scaletta che portava direttamente al tetto. Lui mi proibì di utilizzarla.
Mi sedetti sul cornicione del tetto e lo aspettai, i piedi ciondolavano nel vuoto. Erano le quattro del mattino passate e il cielo era nuvolo. La città era più che viva, vibrava di gente e attività e né l’ora né il tempo la potevano arrestare. La pioggia aveva dato posto al vento che spingeva via qualche nuvola per dare posto ad altre. Il petricore entrava prepotente nelle narici. Era estate, Agosto ed era ancora presto per l’alba.
Sotto di me c’erano uomini e donne che andavano e venivano. Mi domandai se c’erano altri vampiri in città, se c’erano i Cullen. Sicuramente c’era qualcuno.
Mi aspettavo di tutto, qualsiasi interruzione del mio piano. Non escludevo la possibilità che Aro avesse mandato altre persone a Londra per cercare Andrew ma lui non aveva fatto riferimento ad altre escursioni.
Inspiegabilmente ebbi la voglia di scontrarmi con qualcuno, di confrontarmi tramite la lotta come se avessi bisogno di confermare la mia forza non del tutto ristabilita. Ero molto guardinga e leggermente paranoica quella sera. Un ringhio venne soppresso nel mio petto.
Perlustrai la zona intorno a me più volte, la casa di Andrew era collocata tra Buckingham Palace e i giardini di Kensington. Da quella postazione così alta non avevo rivelato nulla di strano, niente di sospetto ma non abbassai la guardia e tenni gli occhi aperti ovunque.   
Sentii il suo arrivo leggero, rimase alle mie spalle.
“Ren?”
Mi misi in piedi, balzando sulle punte. Con il cielo scuro come sfondo e illuminato dalle innumerevoli luci della città, Andrew sembrava più alto, un gigante. I suoi occhi rossi erano lucidi, luminosi. Il suo corpo era in tensione, pronto a scattare.
Vedendomi lì pensai si arrabbiasse, invece mi rivolse una espressione comprensiva e calma.
“E’ ora.” Gli dissi solamente. Il mio tonò di voce non riuscì a nascondere la mia fretta.
Andrew annuì e si avvicinò a me. “Sei sicura?”
Annuii di rimando. “Sì.”
“Ti senti bene?” Domandò. Poggiò un dito sotto il mio mento e alzò la mia testa verso di lui, mi scrutò attentamente. Non poté che vedere solo determinazione nei miei occhi.  
“Sì, davvero.” Lo rassicurai ricambiando il suo sguardo. Due ore prima avrei risposto diversamente ma ora mi sentivo a posto.
“Va bene.” Concesse Andrew e mi lasciò andare.
Prendendolo alla sprovvista, eliminai quei pochi centimetri che ci dividevano e lo abbracciai forte, portandolo alla mia altezza, curvandolo. Non mi chiesi, in quel caso, se potevo permettermi o meno quel gesto. Lo feci e basta. Quella era l’ultima volta che potevo farlo.
“Grazie di tutto, Andrew. Ti sarò grata per l’eternità.”
Lui ricambiò l’abbraccio e mi strinse a sé, sollevandomi da terra. Lo sentii annusare il mio profumo tra i miei capelli. “Non devi ringraziarmi.”
Sì, dovevo. Aveva fatto moltissimo per me. Io lo avevo solo ferito.
“Grazie.” Ripetei. Lo sentii sbuffare e io sorrisi. Nelle ultime ora aveva ripetuto spesso, più a se stesso che a me, quanto fossi testarda. Pensavo l’avesse capito già da tempo.
Sciogliemmo l’abbraccio. Riportai i piedi in superficie e feci un passo indietro.
Dovevo dirgli addio. Per me non sarebbe stato veramente un addio. Andrew sarebbe stato sempre con me, ovunque andasse. La sicurezza in questa consapevolezza mi disarmava ma l’avevo.
Non riuscii a non chiedermi come avrebbe reagito al momento: sarebbe stato calmo oppure la sua reazione sarebbe stata diversa?
Andrew era ancora un vampiro neonato, anche se non lo si notava molto, e aveva l’infinito davanti a sé. Avrebbe incontrato tantissima gente, sarebbe riuscito ad andare oltre quella breve parentesi, costituita da me, della sua vita da immortale. 
Mi sentii cattiva a pensarlo ma era meglio così. Meglio l’onestà che incertezze.  
“Sei pronta?” Mi domandò.
Mi morsi il labbro e annuii. “Sì. Andrew…”
Mi interruppe. “Andiamo.”
Cosa? Sarebbe venuto pure lui?
Battei le palpebre e fermai il corpo pronto a voltarsi verso la destinazione. “Vieni pure tu?”
Andrew mi guardò torvo mentre si alzava il cappuccio della sua felpa e chiudeva la cerniera della sua giacca di pelle fino al collo. Infine indossò dei guanti scuri e un paio di occhiali. Sembrava appena uscito da qualche rivista di moda. Si stava difendendo dalla luce del sole che, di lì a poco, avrebbe fatto la sua comparsa in cielo.  
“Certo.” Borbottò.
L’osservai. “Hai detto che non volevi ritornare dai Volturi.”
Portò le mani dietro la testa. “Infatti, ma non ho nessuna intenzione di lasciarti attraversare l’Europa con la febbre, Ren.”
Era una rischio che volevo correre, avrei resisto fino a quanto potevo tollerare. Se mi fosse capitato di nuovo, mi sarei nascosta da qualche parte e avrei aspettato che finisse.  
“E cosa farai dopo?”
Andrew fece un sorrisetto, si chinò su di me e scoccò un bacio freddo sulla mia guancia.
“Non t’importa più.”
Aveva ragione: non m’importava, prossimamente le nostre vite si sarebbero separate. Però non smettevo di preoccuparmi. Stava ritornando nel luogo da cui partivano potenti vampiri per cercarlo. E se gli avessero fatto del male? Bella non era l’unico scudo presente a Volterra…
Scossi la testa, pronta a obbiettare: “Andrew…”
La mia bocca si serrò da sola, interrompendomi. Andrew mi prese per mano e disse: “Andiamo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Eravamo sotto un albero in un immenso campo, diventato biondo dal sole e dalla stagione cocente, che si alternava con l’asfalto della strada dove le macchine sfrecciavano veloci e chiassose. 
Erano le nove del mattino ma sembrava essere già mezzogiorno, il sole era altissimo e altrettanto caldo.
Protetti dall’ombra degli alti rami, Andrew e io osservavamo la collina dalla quale la cittadina di Volterra si ergeva. Eravamo a undici chilometri di distanza dalle sue porte ma la vedevamo chiaramente.
La medievale facciata, bella e innocua, nascondeva la sua sinistra origine. Dalle rustiche casette che componevano la città proveniva solo un debole brusio. Gli abitanti stavano ancora riposando, era ancora troppo presto per l’arrivo dei turisti e visitatori.
“Li troverai all’interno del Palazzo dei Priori, probabilmente staranno aspettando i turisti insieme ad Aro, i suoi fratelli, le moglie e tutto il resto. Non so, però, se aspettano turisti oggi. Se non vedi nessuno lì, scendi nei sotterranei e percorri qualsiasi tunnel fino alla fine.”   
Annuii, avrei seguito le sue indicazioni. La sua voce era sempre calma, non traspariva nessun’altra emozione.
Gli davo le spalle e quindi non potei vedere quale fosse la sua espressione. I miei occhi erano fissi sull’obiettivo.
“Devo aspettarmi qualcuno in strada?”
“Se stanno cercando turisti, sì. Potresti trovare Heidi. In questo caso, cammina alla luce del sole. Lei ci penserà due volte prima di fare qualcosa davanti agli umani.”
Come potevo muovermi sotto a una fonte di luce così potente quando dovevo muovermi in totale segretezza?
Non posi la domanda ad Andrew. Mi girai verso di lui.
“Mi prometti una cosa?” Domandò inespressivo.
Annuii, riuscii a rispondere solo tramite quell’impercettibile movimento della testa. In quel momento tutta la mia esistenza era aggrappata alle parole che stava per pronunciarmi. Trattenni il respiro e sgranai gli occhi, in attesa.
“Fatti passare la febbre… e tornatene a casa.”
Velocemente, Andrew si chinò verso di me, avvolse il mio viso con le sue fredde mani e mi diede un bacio leggero e breve sulle labbra. Mi aggrappai ai suoi polsi per trattenerlo.
“Ai tuoi ordini.” Gli risposi in un soffio. “Non metterti nei guai.” Aggiunsi stringendomi di più alla sua pelle di marmo.
Lui si allontanò da me con una risata spensierata. Il bianco dei suoi denti splendeva alla luce del sole.
Lo vidi riprendere la stessa strada che avevamo percorso per raggiungere Volterra. Divenne un puntino in lontananza e poi sparì completamente.
Quello era stato il nostro addio.
Mi appoggiai al tronco dell’albero e guardai verso l’orizzonte dove il cielo, la campagna e l’asfalto nero si confondevano.
“Ciao Andrew.” Sussurrai al silenzio davanti a me. Se n’era andato, come volevo.  
Feci un respiro profondo e mi girai di nuovo verso Volterra. Posta in alto sembrava stesse aspettandomi. 
Controllai la tasca interna della mia giacca a vento: il medaglione era ancora lì.
Mentre le mie gambe iniziarono a muoversi verso le porte di Volterra, il mio cervello elaborava il piano.
Non sarei entrata direttamente dall’ingresso principale del Palazzo dei Priori. Troppo rischioso. Avrei potuto trovarvi qualcuno, soprattutto Heidi se era in giro alla ricerca di persone da farvi entrare per non farli uscire da lì mai più. Potevano esserci delle sentinelle, o qualcosa del genere per quanto potevo saperne, acquattati all’ombra, protetti dalla luce solare e da occhi indiscreti.
Dovevo dirigermi nella parte laterale del Palazzo, quella ben nascosta e isolata, dalla quale si affacciava la stanza di Bella ed Edward e quella che avevo utilizzato io. Con attenzione mi sarei arrampicata sul muro di pietra per entrare in sicurezza all’interno dell’antico stabile. Se la fortuna era un po’ con me, potevo trovare i miei genitori biologici direttamente là.
Cinque secondi dopo varcai l’arco etrusco e mi fiondai dentro Volterra. Le stradine tortuose erano leggermente affollate, i negozietti stavano appena dando il benvenuto ai primi clienti, e ancora adombrate per la maggior parte. 
Rallentando di mezzo passo il mio andamento, annusai l’aria: captai solamente l’odore dolce del sangue e l’acre del sudore umano. Nessun vampiro.
Poco più di due chilometri mi separavano dalla mia meta. Camminavo lentamente e cautamente, come se passeggiassi, unendomi alla mischia che si stava per formare nelle strade. Nel frattempo i miei occhi perlustravano qualsiasi angolo e il mio naso cercava qualsiasi essenza che mi urlasse di scappare.
Cercavo sempre di camminare al sole. In mezzo agli umani e alla luce, nessuno dei Volturi si sarebbe azzardato a esporsi.  
Arrivai alla piazza principale, la fontana al centro zampillava tranquilla. L’ingresso del Palazzo dei Priori, di lato, era chiuso.
Mi guardai intorno e inspirai: niente. Forse non c’era veramente nessuno in quel momento. Era giorno, dopotutto.
Il cuore iniziò a pompare veloce e venni colpita da una scarica di adrenalina. Avvertii una strana sensazione di vittoria ma sapevo che era troppo prematuro cantarla. Ero solo arrivata a Volterra, non avevo fatto niente ancora.
Velocizzando il passo, indirizzai i miei piedi verso la stretta stradina a destra, dove a malapena vi potevano passare le auto. Era totalmente in ombra e protetta da orecchie e occhi umani. In fondo avrei trovato le camere. Feci, prima, il giro della piazza per assicurarmi che fossi l’unica vampira, anche solo a metà, presente.
Ci fu un particolare che catturò la mia attenzione: una Ferrari, rosso fiammeggiante e con i finestrini oscurati, era parcheggiata in quella limitata frazione di pietra dalla quale dovevo passare. Non avevo mai visto quel modello, forse era nuova.
Addentrandomi nello stretto viale, tenevo costantemente gli occhi aperti verso l’alto, avanti e dietro le mie spalle.
I finestrini neri di quell’auto sportiva erano inaccessibili alla vista umana. Tuttavia non lo erano per me.
Mi bloccai.
“Renesmee Carlie Cullen!”

 
  
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