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Autore: All_I_Need    05/07/2021    5 recensioni
John ha un incidente nel laboratorio della struttura militare di Baskerville. Mentre aspettano che gli scienziati trovino una soluzione, lui e Sherlock devono riesaminare la natura della loro amicizia mentre si destreggiano nella vita quotidiana e nel Lavoro, il tutto cercando di rispondere alle domande veramente importanti: va bene accarezzare il tuo coinquilino se al momento è un cane? E come chiedi esattamente le coccole a un autoproclamato sociopatico?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 14 

Tornarono a casa e ripresero quella che era diventata la loro solita routine.

Sherlock diede a John il suo cibo, rinunciando questa volta al kong a favore della ciotola. Mentre John mangiava, Sherlock finì per prendere una tazza di tè con la signora Hudson, che salita al piano di sopra ‘solo per vedere come stavate’ e per puro caso aveva con sé una teglia di pasta al forno.

Aveva un odore paradisiaco e John si ritrovò ad abbandonare la sua ciotola quasi vuota e sedersi accanto a Sherlock con aria d’aspettativa.

"Cosa c’è?” chiese Sherlock quando notò lo sguardo di John su di lui.

John lo fissò e si leccò il naso, gli occhi fissi sulla forchetta carica di pasta al forno e carne macinata che Sherlock stava per mangiare.

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia, aprì la bocca e mangiò.

"Ecco, sto mangiando,” disse. "Puoi smettere di farmi da mammina, ora.”

John sbuffò e rimase dov'era, guardando la forchetta andare avanti e indietro tra il piatto e la bocca di Sherlock.

Emise un gemito sommesso, spostando il peso.

"Sul serio, John, cosa..." iniziò Sherlock, poi s’interruppe, afferrando finalmente il concetto. "John, stai mendicando?"

Fu il turno di John di guardarlo male.

Sherlock sogghignò. "Lo stai facendo! Non ho idea se ai cani siano permesse carne tritata e pasta, non guardarmi così."

John non lasciò che l’argomento lo preoccupasse e fece del suo meglio per adottare un'espressione da cucciolo da far sciogliere il cuore.

Il detective non sembrò impressionato. "Non funzionerà con me, John."

John cercò di rendere l'espressione un po’ più intensa, inclinando il più possibile in avanti le orecchie flosce e lasciando che la coda si muovesse avanti e indietro sul pavimento. Poteva sentirsi sul serio sbavare, ma non gliene importava abbastanza da fermarsi. Il cibo aveva un odore celestiale e lui sentiva davvero, davvero la mancanza del cibo umano. Un pasto vero e proprio in quel momento sembrava il paradiso.

"Non te ne darò," lo informò con fermezza Sherlock. "Smettila."

Il suo tono rendeva perfettamente chiaro che non avrebbe cambiato idea, così John emise un sospiro deluso e sgattaiolò sotto il tavolo, sperando che un frammento potesse in qualche modo cadere sul pavimento per poterlo divorare.

Un piede gli diede un colpetto sul fianco e alzò la testa per trovare la signora Hudson che gli offriva di nascosto una manciata di pasta sotto il tavolo.

Avrebbe sogghignato se avesse avuto la capacità di farlo. Invece, si avvicinò e la mangiò con cura dalla sua mano.

"Molto sottile,” disse Sherlock seccamente. "Davvero, signora Hudson, questo cosa dovrebbe insegnargli?"

"Oh, lascia che il povero ragazzo mangi un po’ di pasta, Sherlock," sbuffò lei. "Non ha fatto un pasto decente da quando è iniziato tutto questo pasticcio, abbi un po’ di compassione."

"Il cibo è comunque sopravvalutato," le disse Sherlock in modo secco e non del tutto convincente. John poteva sentire il suo stomaco brontolare e nascose un verso divertito a quel suono.

Continuarono a mangiare e John alla fine rinunciò a qualsiasi tentativo di ottenere altra della meravigliosa pasta e trito, tornando alla ciotola per mangiare i resti della sua cena. Leccò con ostentazione la ciotola fino a pulirla prima di saltare sul divano e rannicchiarsi lì.

Ascoltò mentre la signora Hudson e Sherlock finivano il loro pasto e la signora Hudson che raccontava quello che aveva da dire la signora Turner della porta accanto sui suoi sposati e sulla vacanza in Francia per cui erano partiti quella mattina.

John trovò che quel particolare frammento di notizia fosse un sollievo. Si era un po’ stancato di dover ascoltare quei due che lo facevano ogni notte. Non li biasimava per il loro amore e il loro piacere, ma era un po’ fastidioso doverli ascoltare quando lui era in un periodo di siccità forzata.

Come si era scoperto, anche dormire nella stanza (o nel letto) di Sherlock non era abbastanza lontano perché i suoni svanissero. Dopotutto, poteva sentire fino in fondo alla strada. Il semplice trasferimento nella stessa casa non aveva influito sulla sua capacità di sentire cosa stava succedendo alla porta accanto.

La conversazione si spostò da quell’argomento alla signora Hudson e Sherlock che litigavano su chi avrebbe lavato i piatti. Sherlock, in uno di quei rari momenti di cavalleria che si mostravano solo nei dintorni della sua padrona di casa, insisteva per fare tutto da solo, mentre lei insisteva che fosse compito suo coccolare lui e John al meglio delle proprie capacità e che lui avrebbe dovuto smettere di essere così testardo al riguardo.

Finirono per condividere il lavoro e John guardò divertito mentre Sherlock era delegato ad asciugare e ritirare i piatti che lei gli passava.

Dopodiché, Sherlock si mise a sedere sul divano, spingendo John di lato per sedersi al suo solito posto e appoggiare i piedi sul tavolino da caffè. Si era a malapena sistemato prima che John si spostasse per mettergli la testa sulle cosce, com’era diventata loro abitudine.

"Awww, guardatevi, voi due!" esclamò la signora Hudson. "Che quadretto delizioso che state facendo!"

John uggiolò, puntando il naso verso di lei e poi sullo spazio libero accanto a sé.

"Credo che tu sia stata invitata a unirti a noi," tradusse Sherlock. "Il telegiornale inizierà tra un minuto."

"Oh, molto bene. Volevo guardare le previsioni del tempo,” disse la signora Hudson, cercando senza successo di nascondere il proprio piacere, e si sedette accanto a loro. John agitò la coda contro la sua gamba in segno di benvenuto.

Lei gli diede una pacca sul fianco, poiché quella era la parte di lui che le era più vicina. "Oh, sei una bella fonte di calore, vero? Non sono sorpresa che a Sherlock piaccia così tanto accoccolarsi con te."

Sherlock fece una smorfia. "Io non mi accoccolo."

"Certo che non lo fai, caro,” disse lei con un tono che comunicava in modo palese che non credeva a una parola.

John, determinato a minare ancor di più il terreno traballante su cui si trovava Sherlock, strofinò la testa contro l'osso iliaco e lo stomaco del suo amico prima di riportare la testa nella posizione precedente sulle sue ginocchia.

Sherlock emise un borbottio d’inarticolata irritazione, ma un attimo dopo la sua mano destra si fermò sulla schiena di John e le sue dita gli affondarono nella pelliccia del collo, accarezzandolo dolcemente senza muoversi molto.

John emise un mugolio soddisfatto e si rilassò.

La signora Hudson scovò il telecomando in mezzo alla confusione che era il loro tavolino da caffè e accese il telegiornale della BBC.

Era incredibilmente comodo, pensò John, rannicchiato tra due delle persone più importanti della sua vita, con il dolce sussurro del loro respiro, i suoni gemelli dei loro cuori che battevano, il calore che si irradiava dai loro corpi e la voce familiare della conduttrice che blaterava sugli avvenimenti nel mondo.

Ogni tanto, Sherlock faceva scorrere distrattamente le dita attraverso il pelo di John e gli spediva un piacevole brivido lungo la schiena.

Il notiziario passò al bollettino meteorologico e poi finì, ma in qualche modo nessuno di loro si sentì di muoversi, quindi scorsero i canali finché non trovarono un documentario sul crimine negli Stati Uniti, a cui Sherlock e la signora Hudson erano interessati.

Sherlock continuò a commentare il modo orribilmente pigro in cui erano state condotte le indagini o in cui il reportage aveva fatto le ricerche, aggiungendo dettagli ai casi menzionati mentre passavano e in generale migliorando i contenuti del documentario, aggiungendo almeno due terzi di informazioni in più.

La signora Hudson, nel frattempo, aveva molto da dire sul tema della criminalità nel sud.

"Oh, lo conoscevo,” disse quando in TV apparve il volto di un uomo carnoso. "A volte veniva a trovarci per affari con Frank. Be’, questo è quello per cui pensavo che fosse lì in quel momento, naturalmente, e in un certo senso lo era. Niente di tutto ciò era legale, ovviamente. Penso che gli abbiano sparato per la strada un paio di mesi prima che tu saltassi fuori, Sherlock."

Sherlock mugolò. "Di certo non l'ho mai incontrato, ma penso che sia stato uno dei casi in cui suo marito era il principale sospettato."

La signora Hudson annuì seria. "Oh sì, ma in quel caso non hanno potuto provare nulla e alla fine hanno condannato uno dei soci in affari suo e di Frank per questo. Penso che anche lui sia ancora in prigione. L'intero processo è stato una farsa, ovviamente, ma dovevano mettere qualcuno dietro le sbarre e quel tizio aveva fatto abbastanza cose orribili per conto suo da meritarselo pienamente.”

John ascoltava con interesse mentre parlavano di persone che avevano conosciuto e di eventi accaduti molto prima che lui diventasse parte della loro vita. Né la signora Hudson né Sherlock avevano mai veramente parlato di come si erano incontrati, ma da quel poco che sapeva al riguardo, per qualche motivo dopo di allora erano rimasti in contatto.


Si chiese se forse la signora Hudson avesse dato un'occhiata a Sherlock e avesse deciso all’istante che era qualcuno di cui valeva la pena prendersi cura, un sentimento che di certo comprendeva e che condivideva, anche se per ragioni leggermente diverse.

In una delle interruzioni pubblicitarie, Sherlock si alzò e frugò tra gli scaffali della cucina, scoprendo infine un sacchetto di carta marrone che fece scoppiare nel microonde.

Una serie di sonori schiocchi e un ‘ping’ più tardi, tornò con una ciotola di popcorn appena fatti.

"Dal momento che questa sembra essere diventata ciò che a John piace chiamare 'serata del cinema' e mi è stato detto che questa è la cosa appropriata da mangiare durante un evento del genere... prenda un po’ di popcorn."

La signora Hudson ne fu deliziata.

John ne provò un boccone, ma scoprì che aveva problemi a masticare i popcorn e non gli piacevano molto, quindi i due presto smisero di passarsi la ciotola e la posarono semplicemente sul divano tra loro, piazzata al sicuro tra le zampe e la pancia di John.

Lui si abituò alla mano di Sherlock che lasciava il collo per prendere i popcorn e s’intrattenne con un felice calcolo di tutte le calorie che lui e la signora Hudson avevano fatto in modo che il detective assumesse quel giorno. Se continuava così, avrebbero potuto finalmente indirizzare Sherlock verso qualcosa di simile a normali abitudini alimentari.

Quando la serata finalmente si concluse, era già mezzanotte passata e la signora Hudson aveva sbadigliato per un'ora buona prima di arrendersi.

"Mi dispiace interrompere questa bella serata, ma credo di dover andare a letto o mi addormenterò su questo sofà, e non sono più abbastanza giovane per questo genere di cose."

Sherlock balzò con prontezza in piedi e l'aiutò ad alzarsi dal divano e poi l'accompagnò persino verso le scale.

"Oh, sei un tesoro, Sherlock. Grazie per la meravigliosa serata. Spero che la ripeteremo un giorno, forse quando John sarà tornato alla sua solita forma,” disse, tirando il braccio di Sherlock per farlo piegare in avanti in modo da potergli baciargli la guancia. "Buonanotte, caro ragazzo."

"Buonanotte, signora Hudson,” disse dolcemente lui, restituendole il bacio sulla guancia.

"Buonanotte, John," gridò lei verso il divano.

John le rivolse un allegro abbaiare e scodinzolò, sperando che lei afferrasse il messaggio.

Poteva udirla mormorare sommessamente tra sé mentre scendeva le scale ed entrava nel suo appartamento e sentì qualcosa nel petto palpitare di caldo affetto.

A volte era facile dimenticare che alla signora Hudson non era rimasto nessun altro oltre a sua sorella, che non viveva a Londra e che quindi vedeva solo di rado. E poi, in notti come questa, John si ritrovava a ricordare che mentre lui e Sherlock potevano essere i figli surrogati che lei non aveva mai avuto, anche la signora Hudson era la figura materna di cui entrambi avevano bisogno. Baker Street senza di lei non avrebbe dato la sensazione di casa. Sherlock aveva avuto ragione tutti quei mesi prima. L'Inghilterra sarebbe caduta, lei se avesse lasciato Baker Street.

Ma in notti come quella, era facile credere che l'avrebbero avuto per sempre. In notti come quella, era facile pensare che questo fosse quanto di più vicino alla perfezione una persona potesse mai ottenere. In notti come quella, John pensava di poter trascorrere felicemente il resto della vita in quel modo (esclusa la parte del cane) e non desiderare mai nient'altro.

Sbadigliò e guardò con occhi assonnati mentre Sherlock raccoglieva la ciotola dei popcorn ora vuota e la metteva nel lavandino prima di vagare verso la sua camera da letto.

Il detective si fermò sulla soglia della stanza quando notò che John non l’aveva seguito e chiese: "Allora? Resterai qui fuori, stanotte?"

John saltò giù dal divano e trotterellò verso di lui, scodinzolando. Poteva non essere stato un invito esplicito, ma con Sherlock si doveva leggere tra le righe.

Lo seguì nella sua stanza e saltò sul letto, lasciandosi cadere sulle coperte e chiudendo appagato gli occhi.

La camera era calda e poteva sentire ogni mossa di Sherlock, il battito del cuore e il dolce sussurro del respiro, il fruscio di cotone e stoffa mentre si toglieva i vestiti e si metteva il pigiama.

John s’impegnò a non guardare, in parte per correttezza e in parte per esigenza di autoconservazione.

Pensò che i rumori differissero dai soliti suoni, ma non riuscì a darsi la briga di aprire gli occhi e vedere il perché.

Sherlock si ritirò in bagno per usare il gabinetto e lavarsi i denti. Quando tornò, John ritenne che fosse sicuro aprire gli occhi ed era quindi del tutto impreparato per trovarsi a fissare il petto nudo di Sherlock.

"Fa troppo caldo per preoccuparsi di mettere una maglietta," gli disse Sherlock. "Smettila di guardarmi così, è difficile che mi ammali solo per questo."

John sbatté le palpebre e scosse la testa, chiedendosi quale espressione avesse avuto, se questa era la conclusione a cui Sherlock era saltato. Per un momento, fu incredibilmente lieto di essere un cane e che la sua faccia fosse quindi molto più difficile da leggere, perché se fosse stato umano perfino Sherlock non avrebbe potuto scambiare la sua espressione per nient'altro che per quello che era.

D’altro canto, se fosse stato umano, in primo luogo non sarebbero finiti in quella situazione.

Decise di non commentare nel modo limitato in cui era in grado di farlo e si spostò semplicemente in modo che Sherlock potesse arrampicarsi nel letto e trascinarsi le coperte addosso.

John si raggomitolò sulle coperte accanto a lui, premendogli la schiena contro il fianco e notando felicemente che poteva sentire il petto del detective espandersi e contrarsi ad ogni respiro che faceva.

"Sai, credo che dovremo prendere in considerazione l’idea di prendere un cane, una volta che sarai tornato alla tua forma umana," rifletté Sherlock. "Mi sto abituando ad avere un altro essere vivente nel letto."

John fu molto contento di non poter parlare in quel momento, ma questo non gl’impedì di pensare che, se Sherlock avesse voluto, quello avrebbe potuto averlo anche se non ci fosse stato più nessun cane in giro. Tutto quello che doveva fare era chiedere.


*****


La mattina successiva iniziò più o meno allo stesso modo di quella precedente, tranne per il fatto che la mancanza di una maglietta, unita al fatto che il riscaldamento si era spento durante la notte, aveva fatto sentire a Sherlock un po’ più freddo di quanto gli piaceva e così si era rivolto all'unica fonte di calore disponibile.

Come risultato diretto, John si svegliò e si trovò avvolto nelle coperte calde e con la forma di un investigatore dormiente accoccolato attorno a sé.

Grazie alla loro notevole differenza di dimensioni, Sherlock era effettivamente riuscito a raggomitolarsi intorno a lui in modo tale da formargli un semicerchio attorno, con le coperte sottili come unica barriera tra di loro.

Era comodo e caldo e John pensava che avrebbe trascorso felicemente un altro paio d'ore in questo modo quando Sherlock si spostò nel sonno, rivelando accidentalmente che anche il suo problema della mattina precedente sembrava essersi ripresentato.

Questa volta, non c'era alcuna possibilità di sgattaiolare educatamente via mentre lui dormiva, così John rimase esattamente dov'era e decise di sonnecchiare per un po’.

Quando Sherlock si svegliò alcuni minuti dopo, lo fece lentamente, il che era una rarità, e poi imprecò in tono sommesso quando notò lo stato in cui si trovava.

"Questo sta diventando fastidioso," mormorò nel cuscino. "Come mai il mio mezzo di trasporto continua ad andare in cortocircuito in questo modo inaccettabile?"

John emise un basso lamento di scusa, visto che non poteva rispondere molto bene.

Sherlock borbottò qualcosa d’incomprensibile prima di mettersi a sedere con un gemito.

"Vorrei che questa cosa smettesse di capitare. Non sapresti come raggiungere questo risultato, vero?"

John voltò la testa e sbatté le palpebre. Aveva un paio di suggerimenti, in realtà, ma sospettava decisamente che a Sherlock non sarebbe piaciuto nessuno di loro.

"No, è quello che pensavo," sospirò Sherlock. "Tranne l'ovvio, naturalmente, e davvero non posso darmene la pena."

John si ritrovò a desiderare malinconicamente di trovarsi nella posizione in cui avrebbe potuto prendere una decisione del tutto diversa. Era un cane ormai da circa una settimana e la cosa cominciava a dargli sui nervi.

Non c'era né il tempo né la possibilità di ottenere sollievo e non aveva davvero idea di come avrebbe fatto un cane a farlo, tranne che montando la gamba di qualcuno.

Per un selvaggio, folle momento immaginò di farlo a Sherlock, solo per vedere la sua reazione, ma poi scartò quel pensiero prima di poter iniziare a prendere sul serio l’idea.

C’erano dei limiti, dopo tutto.


*****


Sherlock borbottò durante l'ennesima doccia fredda, vestendosi e facendo colazione, con grande divertimento di John, prima di lasciare che lui lo trascinasse fuori al parco per una passeggiata.

Portò la pallina da tennis e il lanciatore e John fu contento di potersi sgranchire un po’ le gambe.

Mezz'ora dopo l'inizio del loro gioco, emerse da un boschetto di alberi, scodinzolando e con la pallina da tennis ben stretta tra i denti, e si fermò di colpo.

Sherlock era esattamente dove l’aveva lasciato, ma non era più solo.

C'era un uomo con lui e proprio mentre John si concentrava sulla loro conversazione, l'uomo disse "Oh, è tuo?" e lo indicò.

John balzò verso di loro, lasciando cadere la palla ai piedi di Sherlock e voltandosi a guardare con sospetto lo sconosciuto. Gli annusò la gamba per un po’: sudore per la corsa, forte dopobarba e un’intera vagonata di feromoni. Naturalmente, cazzo.

John gli voltò le spalle con uno sbuffo e si mosse per sedersi di fronte a Sherlock, inserendosi efficacemente tra i due uomini.

Purtroppo questa manovra lo avvicinò molto anche al suo amico, e notò con lieve fastidio e nessuna sorpresa di sorta che non tutti i feromoni nell'aria erano dovuti allo sconosciuto.

"Questo è Johnny,” disse Sherlock, indicando John. "Mi dispiace per il suo comportamento. Non gli piacciono gli uomini."

Lo sconosciuto aprì la bocca, senza dubbio per far notare che Sherlock stesso era chiaramente un uomo, ma poi decise diversamente e invece annuì.

"Non sono offeso,” disse allegramente. "Dev’essere difficile avere un appuntamento con lui che non ama gli altri uomini, però."

Sherlock si strinse nelle spalle. "Johnny e io non andiamo ad appuntamenti."

Il che era vero, pensò John, ma suonava anche piuttosto sprezzante.

Se lo pensava anche lo sconosciuto, non lo fece capire.

"Be ', forse ti piacerebbe unirti a me per un caffè quando sarai libero," suggerì. "Non c’è bisogno che porti il tuo cane."

Ora questo, decise John, era decisamente sprezzante. Snudò i denti verso l'uomo, solo un po’, ed emise un ringhio sommesso.

Sherlock gli posò una mano sulla testa. "Shh." E all'uomo disse: "Be’, puoi vedere cosa ne pensa. Quindi è un no, temo. Buona giornata. Vieni, Johnny."

John raccolse la sua pallina da tennis e fu fin troppo felice di seguire Sherlock.

"Davvero, John,” disse il detective non appena furono fuori dalla portata dell'udito dell'altro uomo, "era necessario? Posso assicurarti che non sono così disperato. Di certo non hai pensato che avrei lasciato che qualche estraneo a caso mi adescasse in quello che era un travestimento sottilmente velato per il coito?"

John non l'aveva pensato, ma soprattutto perché ‘coito’ non era la parola che gli era venuta in mente, e in effetti non gli sarebbe mai venuta in mente finché ci fosse stato in giro il buon vecchio ‘scopare’.

Si rifiutò quindi di commentare e toccò semplicemente la mano di Sherlock con il naso, offrendogli la pallina da tennis.

"Oh, molto bene."

Sherlock accettò la palla e continuarono il loro gioco. Ma questa volta, John mantenne parte della propria attenzione su Sherlock e sul sentiero, pronto a intervenire se lo sconosciuto fosse tornato o se qualcun altro avesse fatto un tentativo.

Ormai era diventato evidente che Sherlock o era del tutto ignaro del motivo per cui le donne continuavano ad avvicinarsi a lui nel parco o semplicemente fingeva di non esserne consapevoli per scaricarle più facilmente. Tuttavia, grazie al loro incontro con i soldati la mattina precedente, era altrettanto evidente che il suo disinteresse non si estendeva agli uomini e quindi John cominciava a considerarli come potenziali bracconieri su quello che era decisamente il suo territorio.

Naturalmente né lui né Sherlock avevano mai concordato una cosa del genere, ma eccolo lì, intrappolato nel corpo di un cane e regolarmente sopraffatto dagli istinti da cane. E uno di questi sembrava essere il rifiuto assoluto di tollerare potenziali rivali per l'attenzione di Sherlock.

E, a giudicare dal modo in cui il trasporto di Sherlock lo stava ripetutamente tradendo, era solo una questione di tempo prima che incontrasse qualcuno che facesse colpo o almeno che attirasse la sua attenzione abbastanza a lungo da permettergli di decidere che forse grattarsi il prurito avrebbe aiutato a farlo andare via.

John non aveva intenzione di lasciare che ciò accadesse, e mentre si diceva che ciò era interamente dovuto alla sua riluttanza a doverlo ascoltare, visto che non aveva vie di scampo, sapeva che non era quello il motivo.

Scosse la testa davanti all'infinito carosello di pensieri che gli giravano in mente.

Adesso di certo non era il momento per questo.

Forse quel momento non sarebbe arrivato mai, o forse sarebbe stato più tardi quella settimana.

Ma per ora aveva una pallina da tennis da prendere e un detective scorbutico con cui giocare.

Tutto il resto poteva aspettare.


*****


Tornarono all'appartamento, dove John lappò un po’ d'acqua e poi si lasciò cadere sulla cuccia e guardò Sherlock che camminava su e giù per la stanza.

Ora che erano tornati nell'appartamento dove non esisteva il vento per soffiare via l'odore prima che raggiungesse il suo naso, John scoprì rapidamente che i feromoni non erano ancora diminuiti nell’organismo di Sherlock.

Poteva annusare gli ormoni, il testosterone, i feromoni e la dopamina, tutti intenti a scatenare il caos nel trasporto di Sherlock.

Gli venne in mente che l'irrequietezza del suo amico non aveva assolutamente nulla a che fare con il lento procedere del caso e tutto a che fare con una prolungata frustrazione sessuale.

Fino ad ora, John non aveva pensato che questo fosse un problema che Sherlock aveva mai dovuto affrontare, ma a quanto pareva su quel punto si era sbagliato.

Sherlock camminava su e giù per il soggiorno come un animale in gabbia, spostandosi dalla finestra dietro il divano verso la porta e poi di nuovo indietro, fissando di tanto in tanto il muro o le persone fuori sulla strada prima di voltarsi bruscamente e continuare il proprio irrequieto peregrinare.

Dopo un po’, John sentì un'auto che si fermava fuori, e un attimo dopo si udì il rumore della porta d'ingresso che si apriva e qualcuno che saliva le scale del loro appartamento.

Sapeva chi era molto tempo prima che il loro visitatore entrasse nel loro salotto, e non c’era voluto il suono della punta di un ombrello che picchiettava sul pavimento per dirgli chi era entrato.

"Vedo che sei già in piedi,” disse Mycroft, senza darsi la pena di perdere tempo con un saluto.

Sherlock si voltò di scatto, sul viso un'espressione che suggeriva la sua propensione a sventrare chiunque avesse osato disturbarlo. In qualche modo, riuscì a indicare che tale propensione era doppia se si trattava di Mycroft, solo dal modo in cui lo guardava.

"A cosa dobbiamo il dispiacere della tua visita?" ringhiò. "E non dire che stavi solo passando da queste parti. Baker Street non è neanche lontanamente vicina a nessuno dei tuoi luoghi preferiti o ai percorsi più brevi tra di loro."

"Cosa ti fa pensare che questo indirizzo non sia sulla lista?” chiese con calma Mycroft, esaminandosi le unghie della mano sinistra. "Non mi spingerei a definirlo un indirizzo preferito, ma vengo qui abbastanza spesso."

"E desidererei con tutto il cuore che non lo facessi," l’interruppe Sherlock. "Cosa vuoi? I tuoi scienziati hanno finalmente trovato una soluzione?"

"È passata solo una settimana, fratello mio," lo rimproverò dolcemente Mycroft. "Persino gli scienziati di Baskerville avrebbero difficoltà a sviluppare un antidoto funzionante e sicuro in così poco tempo. Lo sviluppo di qualsiasi farmaco, anche uno semplice come per aiutare a curare il comune raffreddore, richiede fino a sei anni. Di certo non credevi davvero che sarebbero stati così veloci?"

"No, ma ho pensato che potevi essere in grado di terrorizzarli e farli lavorare più in fretta," strascicò Sherlock. "O semplicemente che potevi farti coinvolgere tu stesso, dare al tuo cervello un po’ di quell'esercizio che sarebbe molto più adatto al tuo trasporto. Vedo che hai guadagnato un chilo intero dall'ultima volta che ho avuto il dispiacere della tua compagnia."

John, che si era rianimato alla menzione di una soluzione alla sua condizione, lasciò ricadere la testa sulle zampe. Era chiaro che oggi non era il giorno in cui avrebbe smesso di essere un cane. Be’, fintanto che non ci fossero voluti sei dannati anni...

"Potrebbero essere più veloci se permettessi loro di eseguire alcuni test su..."

"No," l’interruppe Sherlock. "Assolutamente no. Non è una cavia. Non permetterò a nessuno di eseguire alcun tipo di test su di lui. Sono riusciti a trasformarlo in un cane senza fare nessun test, possono anche dannatamente invertire l'effetto senza alcun test."

Mycroft sospirò. "Come vuoi." Si voltò per rivolgersi direttamente a John. "Se non sei d'accordo con mio fratello, sei naturalmente il benvenuto a far conoscere la tua preferenza, John. Spero che tu sappia che verrà presa in considerazione e che sarai adeguatamente compensato per tutti i problemi che questo spiacevole incidente ha già causato e probabilmente ti causerà in futuro."

John rivolse un orecchio verso di lui, ma non reagì in altro modo. Non c'era niente da dire. Sherlock aveva ragione: non voleva diventare una cavia e l’idea di essere esaminato e punzecchiato dalle stesse persone responsabili di tutto questo era assolutamente ripugnante.

Annuendo come se avesse pienamente compreso ciò che John stava esplicitamente non dicendo, Mycroft si voltò di nuovo verso Sherlock. "Sei insolitamente teso per essere così presto,” sottolineò. "Ho ragione a credere che questo sia collegato al tuo incontro al parco di stamattina? Se vuoi, posso far scoprire per te il nome e l'indirizzo di quell'uomo."

Sherlock sbuffò. "E ti aspetti davvero che io creda che non hai già entrambe le cose nel tuo taccuino? È stato quasi un'intera ora fa, dopotutto. Un sacco di tempo per spiare chi vuoi e ricevere i loro dati da uno dei tuoi tirapiedi. Ti ringrazio se starai fuori dalla mia vita."

Suo fratello inarcò un sopracciglio. "Così male, vero? Ti avevo avvertito, Sherlock."

"Sì, e guarda quanto effetto ha avuto," ringhiò Sherlock. "C'era qualcosa in particolare che volevi dirci, o sei qui solo per renderci tutti infelici?"

"Non credo che tu possa diventare più infelice di quanto sei già oggi," osservò freddamente Mycroft. "Volevo semplicemente informarti che, sebbene lo staff di Baskerville non sia ancora arrivato a una svolta, stanno lavorando febbrilmente a una soluzione per il nostro piccolo problema e hanno una serie di teorie potenzialmente funzionanti che testeranno nei prossimi giorni. Si spera, avremo una stima più precisa di quanto tempo ci vorrà entro la fine della settimana.”

"Meraviglioso,” disse Sherlock in un tono che suggeriva che fosse tutto tranne che quello. "Buona giornata, Mycroft."

Mycroft gli rivolse un cenno del capo. "E a te, fratello mio. Ti suggerisco di fare qualcosa per il tuo problemino, e presto. La tensione qui è abbastanza forte da soffocare e sono certo di non voler sapere cosa deve sopportare proprio adesso il povero naso sensibile di John."

Sherlock ringhiò senza parole, il che sembrò più che sufficiente per far capire il suo punto di vista.

Con un’ultima piroetta dell'ombrello, Mycroft se ne andò silenziosamente come era venuto.

Non appena se ne fu andato, Sherlock riprese il proprio marciare rabbioso, borbottando tra sé e sé dei fastidiosi fratelli maggiori che ficcavano il naso dove non c’entravano e nel frattempo innervosivano tutti.

John lo guardò in silenzio per un po’.

Mycroft aveva ragione su una cosa, però. La tensione era davvero abbastanza forte da soffocare. Poteva quasi sentire i muscoli di Sherlock diventare sempre più tesi, e poteva sicuramente sentire l'odore degli ormoni che s’irradiavano da lui. Una loro nuova ondata annebbiava l'aria ogni volta che Sherlock si passava la mano tra i capelli, scompigliandosi completamente i ricci e rendendo del tutto chiaro che una doccia fredda non sarebbe più stata sufficiente.

Alla fine, John ne aveva avuto abbastanza.

Questo li avrebbe mandati entrambi fuori di testa se fosse continuato ancora un po’. Qualunque cosa avesse innescato Sherlock, il suo trasporto aveva chiaramente raggiunto il proprio assoluto limite di resistenza e non gli avrebbe permesso di continuare più a lungo in questo modo.

John decise che era ora di fare qualcosa, e se questo significava sacrificare un pezzo della sua tranquillità, allora così fosse. A questo ritmo, avrebbe finito comunque per perdere tale tranquillità, quindi tanto valeva sacrificarla per il bene più grande di convincere Sherlock a rilasciare parte della sua tensione.


*****


Sherlock si sentiva quasi pronto a strapparsi la pelle di dosso. Aveva sperato di poterlo evitare per un po’ più a lungo, ma a quanto pareva il suo trasporto si era stufato di aspettare.

A volte accadeva, dopo mesi di pace, e lui desiderava che non capitasse. Aveva certo sperato che non succedesse ora, mentre c'era un caso e, cosa più importante, mentre John era un cane e incredibilmente ben equipaggiato per capire lo stato in cui lui si trovava.

"Questa è colpa tua,” disse al cane in questione, facendo un ampio gesto con la mano per includere l'intera situazione.

John inclinò la testa in una chiara espressione di 'Come diavolo è che sarei io biasimare? ' e alzò gli occhi al cielo.

Sherlock sbuffò. "Se non mi avessi fatto aderire a un regime di pasti regolari e a un ciclo del sonno 'normale', il mio mezzo di trasporto non avrebbe insistito per fare tutte queste richieste per le quali non ho tempo. Davvero, cosa c’è con te e la tua ossessione di farmi dormire e mangiare regolarmente?"

John gli uggiolò e fece una complicata scrollata di spalle, che Sherlock interpretò come se avesse una risposta ma nessuna possibilità di esprimerla in modo adeguato in quel momento.

Si guardarono l'un l'altro per un po’, ma Sherlock non era dell'umore giusto per una gara di sguardi, così si voltò e riprese a camminare avanti e indietro. Supponeva di dover essere grato che John fosse un cane in quel momento, perché il John umano si sarebbe dimostrato troppo da sopportare in quel momento.

Nelle poche occasioni precedenti il suo mezzo di trasporto lo aveva deluso in questo modo, era stato in grado di affrontare il problema in modo rapido ed efficiente e senza che John notasse nulla di strano, ma per come stavano le cose ora, semplicemente non c'era modo di nasconderlo.

Si passò una mano tra i capelli per la frustrazione e si morse il labbro per soffocare un gemito. Era come se l'elettricità gli stesse scoppiettando lungo la spina dorsale, i follicoli troppo sensibili per poterlo sopportare con calma.

Ci fu uno sbuffo dietro di sé e si voltò per vedere John che si alzava e prendeva il guinzaglio dal tavolino dove lui l'aveva lanciato circa un'ora prima.

Si accigliò: perché John avrebbe voluto fare un'altra passeggiata?

Ma John si limitò a lasciare cadere il guinzaglio vicino alla porta e poi spinse col naso la scatola di fazzoletti giù dal tavolino e verso Sherlock.

"Cosa dovrei farci con quella?” chiese lui. "Non è affatto utile per una partita a palla e dubito che ti divertirai molto a giocare al tiro alla fune con un fazzoletto."

John alzò gli occhi al cielo e spinse di nuovo la scatola verso di lui.

Sherlock la raccolse di malavoglia, spostando lo sguardo dalla scatola a John e viceversa. "Be’?"

In luogo di una risposta, John si mosse intorno a lui e gli premette la testa contro le ginocchia, spingendolo in avanti.

Sospirando, lui seguì la guida dell'amico e si lasciò condurre fuori dal soggiorno, attraverso la cucina e verso la sua camera da letto.

"John?"

Ma John si limitò a emettere un complicato brontolio nel petto e lo spinse verso il letto prima di voltarsi con aria molto intenzionale. Lasciò la stanza e un attimo dopo Sherlock poté sentirlo saltare giù per le scale, seguito da un latrato soffocato e poi dal saluto sorpreso della signora Hudson.

Meno di un minuto dopo, lei gridò su per le scale: "Porto John a fare una passeggiata, caro!"

Sherlock era in piedi nella sua stanza, con lo sguardo che saettava avanti e indietro tra la porta e la scatola dei fazzoletti in mano, e sentendosi del tutto senza parole.

A volte, pensò, John non era solo incredibilmente percettivo, ma anche straordinariamente orientato alla soluzione.

C'era un limitato numero di cose che John avrebbe potuto aver intenzione di fargli fare, ed era piuttosto certo che soffiarsi il naso non fosse sulla lista.

E ora eccolo lì, con i nervi tesi su una cremagliera costruita di pura frustrazione, e John aveva escogitato una maniera per offrirgli la possibilità di un po’ di sollievo in modo educato e discreto.

Tutto quello che doveva fare era prenderlo.

Non aveva una gran scelta, non con il modo in cui il suo mezzo di trasporto lo aveva tradito continuamente per ben più di due giorni di seguito. Conosceva i segnali e sapeva che non si sarebbe fermato a meno che lui non avesse fatto qualcosa al riguardo.

Rassegnato al proprio destino e non volendo sprecare l'occasione che John gli aveva dato, chiuse la porta della camera da letto e andò a cercare un po’ di sollievo.


#####


La sua camera da letto era sorprendentemente calda, il riscaldamento era finalmente entrato in funzione. Per una volta, non aveva lasciato la finestra aperta per errore e ora ne era lieto. Togliersi i vestiti era molto più comodo quando non dovevi preoccuparti di prendere un raffreddore nella tua stessa camera da letto.

Non esisteva che si sarebbe tenuto i vestiti addosso. Prima di tutto, non voleva che diventassero tutti spiegazzati e sudati, ma in secondo luogo, e più importante, aveva avuto voglia di strapparseli via tutto il giorno, silenziosamente disperato di sentire aria e lenzuola fresche sulla pelle, e forse anche le mani di qualcun altro.

Dato che quell'ultimo dettaglio non sarebbe accaduto oggi, forse mai, avrebbe dovuto arrangiarsi come faceva di solito. L'unica altra persona che poteva anche solo immaginare che lo toccasse al momento non era disponibile.

Si tolse in fretta i vestiti. Era plausibile che John gli avrebbe concesso almeno un'ora, per ogni evenienza, e probabilmente questo includeva il tempo per una doccia successiva. Si prese a malapena il tempo per gettare la camicia e la giacca sullo schienale della sedia accanto al guardaroba prima di togliersi le scarpe e slacciarsi i pantaloni.

Era stato mezzo duro tutto il giorno e il solo pensiero di trovare sollievo, finalmente, finalmente, era più che sufficiente per portarlo fino in fondo. Il battito del cuore stava già accelerando, il respiro era più affannoso.

Sherlock si spinse giù pantaloni e mutande e si lasciò cadere sul letto, annaspando alla cieca nel primo cassetto del comodino alla ricerca della bottiglia di lubrificante che teneva lì per la rarissima occasione in cui poteva averne bisogno. Ne spremette una generosa quantità sulla mano e alla fine - finalmente, cazzo! - avvolse quella mano attorno alla propria erezione dolorante.

Il gemito gli cadde dalla bocca quasi senza la sua approvazione, ma con John e la signora Hudson fuori non c'era bisogno di censurarsi e gemette di nuovo, pompandosi l’uccello due volte prima di iniziare a muovere la mano sul serio.

Il lubrificante lo rese facile, uno scorrere scivoloso di pelle su pelle che gli bandì efficacemente tutti gli altri pensieri dalla mente. Lasciò che il pollice gli scivolasse sul glande a ogni secondo colpo, con nuove scintille di piacere che gli scorrevano ogni volta su e giù per la spina dorsale.

Lasciò passare la mano sinistra libera sul petto, pizzicandosi i capezzoli uno alla volta, così fermamente da essere quasi doloroso, e sentì il suo uccello pulsare in risposta. Questo sarebbe finito presto, grazie a Dio.

Aveva bisogno di venire, ne aveva un disperato bisogno.

Era quasi un peccato che la situazione attuale fosse così com'era. Se John fosse stato umano, non si poteva dire cosa avrebbe fatto. Forse sarebbe diventato ancora più agitato e anche più in fretta. Succedeva di tanto in tanto, dopotutto, e non voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se fosse stato così eccitato con un John umano nell'appartamento e così presto dopo aver incontrato un'intera truppa di soldati.

Oh Dio.

Gemette, con il pugno che accelerava, il pollice che ora scivolava sulla fessura sulla punta del suo uccello a ogni colpo. Sembrava troppo bello perché fosse permesso.

Naturalmente, non voler immaginare qualcosa e non immaginarlo erano due cose completamente diverse e lui, colpevolmente, disperatamente, si ritrovò a chiedersi... e se?

E se le cose fossero andate in modo diverso, e se John fosse stato umano in questo momento? E se Sherlock avesse osato chiedere ciò che voleva?

La mano sinistra si spostò sul petto, lungo il fianco e lui permise che le sue gambe si aprissero, contento delle proprie lunghe dita che gli permettevano di arrivare in basso e indietro senza fare contorsioni. Trascinò la mano sinistra lungo la destra e oltre l’erezione, raccogliendo lungo la strada un po’ del lubrificante in eccesso, prima di girare intorno al buco con un dito.

Un piagnucolio che sarebbe stato imbarazzante se non fosse stato così perso gli uscì dalla bocca, un quasi singhiozzo gli si strozzò in gola.

"Oh, Dio. Per favore."

E quello che cosa diceva di lui, che ora stava implorando per il sollievo se stesso e qualche divinità inesistente, implorando per le orecchie di nessuno tranne le sue?

E se...?

Gemette, con le cosce che tremavano per lo sforzo. Era così vicino al limite che poteva sentirlo alla base della spina dorsale, in attesa, in attesa...

Immaginò altre dita, non le sue, più corte, più ruvide, infinitamente gentili ma abbastanza decise quando ce n’era bisogno, proprio come l'uomo a cui appartenevano.

Solo per un momento, Sherlock si concesse la fantasia, pensando a luminosi occhi blu mentre agitava il dito e spingeva dentro con cautela.

Riuscì a malapena a superare la prima nocca prima di iniziare a venire, ansimando e gridando mentre l’orgasmo lo attraversava, prendendolo completamente di sorpresa.

La mano destra volò sopra l’uccello, nel disperato tentativo di strappare dal proprio corpo ogni ultimo frammento di piacere, e spinse il dito indice sinistro fino in fondo, sentendo i suoi muscoli palpitare e strizzargli intorno mentre l’orgasmo lo attraversava.

Spesse strisce di seme gli solcavano il petto e lo stomaco e poteva sentire il sudore che gl’imperlava la pelle. ma non gli importava, lo notò a malapena, era troppo perso in una nebbia di piacere e finalmente, finalmente, finalmente.


#####


Mentre giaceva senza fiato, tremante e troppo esausto per considerare anche solo di togliere le mani da dove si trovavano, il primo pensiero che finalmente gli filtrò nella mente cosciente fu che era davvero lieto che John fosse uscito, perché nemmeno lui avrebbe mai potuto fraintendere Sherlock che gridava il suo nome in quel modo.

Gemette, aspettando che il battito e il respiro si calmassero, e infine spostò le mani con molta attenzione. Il movimento gli spedì un altro brivido lungo la schiena, le scosse di assestamento di un orgasmo davvero spettacolare che gli viaggiavano attraverso tutto il corpo come onde sismiche.

Per un po’, Sherlock rimase semplicemente lì, fissando il soffitto ad occhi spalancati.

Erano passati secoli dall'ultima volta che si era preso la briga di venire e anche di più da quando era stato anche solo vicino a questo. Ciò non era di buon auspicio per la sua situazione in generale, ma non riusciva a preoccuparsene, non mentre il suo corpo era inondato di endorfine, dopamina e adrenalina, cavalcando il flusso del sollievo.

"Oh, al diavolo."

Con un gemito sommesso, riuscì finalmente a spostarsi abbastanza da raggiungere la scatola di fazzoletti sul comodino, tirandone fuori un paio e tentando almeno di ripulire il peggio del casino. Quella doccia sembrava incredibilmente allettante in quel momento, non appena qualcuno avesse sostituito la gelatina che aveva nelle gambe con ossa, muscoli e tendini veri.

Gli ci vollero diversi minuti prima che si sentisse in grado di alzarsi e inciampare in bagno con le gambe tremanti.

La doccia calda aiutò a rilassare ulteriormente i suoi muscoli, rimuovendo le tracce di tensione residua. Una generosa applicazione di bagnoschiuma e shampoo fu sufficiente per sopraffare il profumo del sesso e lavargli via lo sperma dalla pelle. Poteva solo sperare che il naso di John non fosse abbastanza buono da individuarli comunque.

E se lo fosse stato? John naturalmente sapeva cos’aveva fatto, questo era il punto centrale del suo lasciare Sherlock da solo nell'appartamento.

Avrebbe dovuto trovare un modo per ringraziarlo per quello.

Forse, una volta che tutta questa faccenda fosse finita e John fosse tornato ad essere se stesso, forse allora avrebbero potuto... lui poteva... loro potrebbero...

Scosse la testa impotente, frustrato con se stesso.

Cosa importava?

John non era interessato e non lo era mai stato, lo aveva già reso abbastanza chiaro. Ora poteva sapere per certo che Sherlock era gay - lui non sarebbe arrivato al punto di dire che 'gli piacevano gli uomini', in quanto la maggior parte del tempo non gli piaceva nessuno del tutto - e anche, imbarazzantemente, che non poteva evitare di essere un po’ eccitato dai soldati, ma questo non significava necessariamente che lui fosse in qualche modo interessato a John. Lo era, però, quello per lui era emerso chiaramente. Ma John era immerso fino alle orecchie nella negazione riguardo a lui, quindi quello sarebbe probabilmente il suo ragionamento.

E se Sherlock desiderava di poter avere di più... be’, quello era un suo dannato problema, no?

In un certo senso, adesso era più facile. Il fatto che John fosse un cane aveva reso molto più facile stargli vicino. Non c'era alcun desiderio che potesse provare per un animale, tranne quello di accarezzarlo e fargli scorrere le dita attraverso la pelliccia calda e lanciare una pallina da tennis per lui finché non sembrava che il braccio gli potesse cadere.

Si godeva le loro tranquille serate sul divano, amava il fatto che John il cane si fidasse abbastanza di lui da mettergli la testa in grembo senza alcuna esitazione. Ora, se solo il vero John umano fosse stato altrettanto accomodante, o almeno avesse permesso a lui...

Sherlock sbatté una porta mentale su quel pensiero.

C'era un limite alle torture che era disposto a infliggersi da solo e desiderare cose che non avrebbero mai potuto essere di certo non era sulla lista.

Era già abbastanza brutto che oggi avesse ceduto e fosse stato spinto a farsi una sega come un adolescente arrapato, non avrebbe peggiorato le cose desiderando di poter assaggiare John, anche solo una volta.

Chiuse risolutamente l'acqua e prese un asciugamano.

Basta pensare a questo.

Per una volta era piacevolmente rilassato, aveva i muscoli caldi, la mente calma e non voleva pensare a nulla o far altro che godersela finché durava.

Tornò in camera da letto, si vestì con abiti puliti e ispezionò il letto. Le lenzuola avevano sicuramente bisogno di una lavata e la stanza di una buona aerazione.

Spalancò la finestra e poi portò le lenzuola al 221c, dove la signora Hudson ora teneva la lavatrice e l'asciugatrice per mancanza di inquilini. Sarebbe stato inutile fare la doccia e arieggiare la stanza se tutto ciò che John doveva fare era annusare le lenzuola e molto probabilmente fare un conteggio degli spermatozoi solo con il senso dell’olfatto.

Sherlock non sapeva quanto fosse sensibile quel naso, ma i cani avevano così tanti milioni di recettori del profumo che decise che fosse meglio non correre rischi.

Era un po’ fastidioso essere così trasparente, e si chiese se questo fosse ciò che le persone provavano tutto il tempo intorno a lui. In effetti, a volte era anche un po’ opprimente sapere tutto, che lo volesse o no.

Dopotutto, se sapeva tutto della vita sessuale di John con le sue amiche solo guardandolo, allora sicuramente era giusto che John sapesse quest’unica cosa su lui stesso, no?

Accese la lavatrice e tornò arrancando al piano di sopra. I suoi capelli erano ancora bagnati, ma uno sguardo all'orologio gli disse che probabilmente John e la signora Hudson sarebbero tornati presto, se la sua ipotesi di un'ora fosse stata corretta, e non voleva che John dovesse sopportare il suono del phon con le sue orecchie sensibili.

Invece, decise di rannicchiarsi nella sua poltrona, tirando fuori un libro dallo scaffale.

Meno di dieci minuti dopo sentì John e la signora Hudson che rientravano, la padrona di casa che chiacchierava con il cane come se fosse in grado di rispondere, più o meno come faceva lui, dovette ammettere.

Sorrise quando sentì John abbaiare in accordo a qualcosa che aveva detto la signora Hudson, seguito dal suo tubare su di lui e poi dal picchiettio e scalpiccio delle zampe sugli scalini di legno.

Un attimo dopo, John balzò nella stanza, scodinzolando e apparendo del tutto troppo soddisfatto di se stesso.

Sherlock sentiva di non poterlo biasimare per questo. Aveva davvero avuto bisogno di quel tempo da solo.

E così, quando John si avvicinò per sdraiarsi accanto a lui e appoggiò casualmente la testa sul suo piede per sonnecchiare, Sherlock mormorò "Grazie" e sperò che John capisse quanto lo stesse davvero ringraziando.


*****


John trascinò la signora Hudson attraverso Regent's Park a un passo molto più lento di quello che tenevano di solito lui e Sherlock. Il tempo era bello e lei sembrava perfettamente felice di andare a fare una passeggiata con lui. E questo aveva l'ulteriore vantaggio di lasciare il 221 di Baker Street del tutto vuoto eccetto che per Sherlock.

Insomma, era la soluzione perfetta.

Sperava solo che Sherlock sarebbe arrivato alla stessa conclusione e avrebbe sfruttato la possibilità che John gli aveva fornito.

Cercò di non pensarci troppo. C'erano alcune immagini che non voleva in testa per il bene della propria pace mentale, ma questo era molto meglio che aspettare fino a quando Sherlock non si fosse spezzato da solo e non avesse ceduto alle richieste del suo trasporto con John proprio lì ad ascoltare e annusare le conseguenze.

Non c'era modo di dire quanto tempo ci sarebbe voluto, ma aggiunse quindici minuti per una doccia.

"Questo è carino," gli disse la signora Hudson mentre camminavano lungo il lago, guardando un padre e i due figli che davano da mangiare alle anatre. E ai piccioni. E ai gabbiani. E a due cigni. E ad alcune oche. John aveva il forte sospetto che l'intero sciame di uccelli vari li avrebbe seguiti fuori dal parco e fino a casa a meno che non fossero scappati a gambe levate e avessero preso la metropolitana per la maggior parte del viaggio.

Questa era l'area in cui i cani dovevano essere tenuti al guinzaglio. John ne era lieto: una parte di lui smaniava per saltare in acqua e catturare una delle anatre.

Dopotutto, lui era un Retriever Duck-Tolling della Nuova Scozia, e il punto centrale di Toller era che erano stati allevati appositamente per la caccia alle anatre. Meglio essere consapevoli del guinzaglio e resistere alla tentazione.

Non avrebbe voluto disturbare la pittoresca tarda mattinata nel parco con uno sciame di uccelli scombussolati che svolazzavano.

La signora Hudson non prestò attenzione al suo interesse per le anatre e si concentrò invece su qualcosa del tutto diverso... sfortunatamente, era proprio l'argomento a cui John si era sforzato tanto duramente di non pensare. Gioco di parole non voluto.

"Il povero Sherlock sembrava un po’ teso oggi,” disse la signora Hudson. "Potevo sentirlo camminare su e giù dal mio appartamento. Va tutto bene? Ho notato che suo fratello è passato poco prima che tu venissi a trovarmi, e sappiamo tutti quanto si irritano a vicenda, ma Sherlock ha camminato su e giù per tutta la mattina."

John le uggiolò e fece guizzare le orecchie incerto. Non era qualcosa che poteva, o voleva, spiegare alla signora Hudson, date le circostanze.

"È stata una buona idea uscire di casa per un po’ e lasciarlo al suo umore,” continuò lei imperturbabile. "Non siete stati separati da quando siete partiti per Dartmoor. Suppongo che dopo un po’ tu voglia il tuo spazio, non importa quanto ami la persona con cui stai. Il Signore sa che ho avuto giorni in cui non volevo vedere neanche l’ombra di mio marito per paura di poterlo strozzare nel momento in cui avesse emesso un suono."

John lasciò che la lingua gli ciondolasse fuori dal lato della bocca, incapace di dare una risposta migliore. La menzione casuale dell'amore lo aveva preso alla sprovvista, così come il fatto che la signora Hudson avesse praticamente paragonato il proprio matrimonio all'amicizia sua e di Sherlock.

Considerando come fosse finito il suo matrimonio, non era sicuro che fosse una buona cosa,

In lontananza, udì il suono delle campane provenienti dalla direzione della chiesa di San John, fra tanti posti, che annunciavano lo scoccare dell’ora.

Cercò di ricordare se c'era stato un momento in cui le aveva sentiti prima durante la loro passeggiata, ma non ne era sicuro.

Per fortuna, la signora Hudson colse quel momento per dare un'occhiata al suo orologio. "Siamo fuori da quasi un'ora! Non credi che sia ora di tornare indietro? O gli vuoi dare un po’ di tempo in più per superare la claustrofobia?"

John si ritrovò ancora una volta lieto di non essere in grado di parlare in quel momento, altrimenti avrebbe potuto far accidentalmente notare che la claustrofobia non era certo la ragione della tensione di Sherlock. 

Un'ora avrebbe dovuto funzionare, però, o almeno lo sperava.

Si guardò intorno e si accertò che si trovassero ancora sull'altra sponda del lago e che, se avessero voluto tornare a casa, avrebbero dovuto girarci intorno oppure tornare indietro e attraversare il ponte. Al ritmo in cui stavano camminando, quella sarebbe stata un'altra mezz'ora circa.

Annuì tra sé. Sarebbe bastata mezz'ora. Poteva solo sperare che Sherlock avesse ancora abbastanza attività cerebrale per fare effettivamente una doccia. Forse avrebbe rimosso almeno alcuni degli odori e reso più facile per entrambi fingere che nulla fosse realmente accaduto.

John seguì docilmente la signora Hudson mentre faceva il lungo giro intorno al lago. Arrivarono ai cancelli giusto in tempo per vedere il padre ei suoi figli tentare di andarsene. Erano effettivamente seguiti da metà degli uccelli nel parco e da alcuni che di sicuro non appartenevano al parco, ma che a quanto pareva avevano deciso di non rifiutare la possibilità di ottenere cibo gratis.

John ebbe pietà di loro e finse di saltare verso gli uccelli con un latrato che li fece disperdere in un turbinio di ali e piume perse.

"Oh John, davvero!" esclamò la signora Hudson, ma non riuscì a nascondere il suo divertimento. Lui agitò la coda verso di lei.

Tornarono a casa e John si fermò un momento nel corridoio, ascoltando eventuali rumori sospetti. Tutto sembrava tranquillo, così aspettò che la signora Hudson lo liberasse e poi riportò il guinzaglio al piano di sopra.

La porta del soggiorno era aperta e Sherlock sedeva rannicchiato sulla sua poltrona, leggendo un libro.

I suoi capelli erano umidi e odorava di shampoo e gel doccia che non riuscivano a nascondere i livelli ormonali ancora piuttosto alti, ma non si poteva negare che sembrava molto più rilassato e che molta della tensione sembrava essersi dissipata. Sembrava comunque di malumore, molto probabilmente a causa del fastidio per essere stato costretto a cedere alle richieste del suo mezzo di trasporto piuttosto che ignorarle fino a quando non se ne fossero andate.

John decise comunque di segnarla come una vittoria e di non pensare troppo ai perché e ai percome.

"Già tornato?” chiese Sherlock mentre John lasciava cadere il guinzaglio e poi collassava sulla sua cuccia ai piedi di Sherlock. "Ti sei divertito a uscire con la signora Hudson?"

John gli lanciò uno sguardo fisso e ansimò, desiderando di poter raccontare a Sherlock delle anatre. L’avrebbe trovato abbastanza spassoso.

Passarono un paio di minuti di silenzio prima che Sherlock dicesse, molto piano: "Grazie."

John gli diede un colpetto affettuoso col naso alla gamba e si raggomitolò per dormire.



 




NdT: John è ancora un cane, ok, ma le cose si sono fatte comunque un po' più intime, come avevo anticipato 😏 Dovremo avere ancora un bel po' di pazienza, però, per uscire dal regno delle fantasie... 🤣
   
 
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