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Autore: Urban BlackWolf    06/07/2021    3 recensioni
Possono i desideri personali, l’ambizione insita in ognuno di noi, la latente frustrazione che comporta il ritrovarsi a tirare parzialmente le somme della propria vita vedendo quanto si è dovuto rinunciare per aver fatto scelte diverse, oscurare l’amore che fino a pochi istanti prima si considerava il punto di forza di tutta la propria esistenza?
Questo Michiru non lo sa, ma lo scoprirà presto.
Sequel dei racconti:
”l'Atto più grande”
“Il viaggio di una sirena”
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Altro Personaggio, Haruka/Heles, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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La vita che ho scelto

 

Sequel dei racconti:

l'Atto più grande”

Il viaggio di una sirena”

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Quei piccoli dettagli

 

 

Anche se vestita da una tuta integrale da meccanico color blu scuro, Martah Holland non poteva certo dirsi un tipo mascolino, anzi, il suo modo di fare brioso ed informale nascondeva una femminilità avvolgente e curata, fatta di piccoli gesti cortesi, che sarebbero sicuramente stonati in un posto come l’attività di famiglia, se la donna non avesse avuto una punta di goffaggine quasi adolescenziale.

Si era presentata ad Haruka porgendole la destra, mentre sfoderando un sorriso convincente le domandava chi fosse ed era stata proprio la piega di quella bocca a lasciare la bionda di sasso mentre non poteva non richiamare a se l’immagine della sua donna. Il viso di Martah era completamente diverso da quello di Michiru, senza farle torto si poteva dire che la prima avesse lineamenti talmente comuni da poterli definire graziosi, ma nulla di più. Occhi e capelli castani, naso leggermente aquilino, ciglia folte e zigomi alti, assolutamente ben proporzionata, ma in poche parole, una donna anni luce lontana dalla sua. C’erano però due cose riconducibili ad entrambe; la silhouette ed il sorriso. Quest’ultimo aveva catturato Haruka facendola sentire subito a proprio agio ora che, invitata dietro al bancone, stava aspettando di ricevere il suo ordine.

“Ce l’ho proprio qui. Porta pazienza.”

Tenou si appoggiò ad una delle scaffalature metalliche del retro. “Non preoccuparti. Non ho alcuna fretta.” Disse convinta incrociando le braccia al petto iniziando a guardarle le spalle.

“E’ che su questi scaffali c’è sempre un gran casino. Papà! Per caso hai spostato il pacchetto che ho preparato ieri sera per l’officina Astorri di Bellinzona? L’avevo messo sul terzo ripiano del secondo scaffale!” Urlò per farsi sentire dal genitore che prontamente negò iniziando a borbottare cose a caso riferite alla cronica mancanza d’ordine di sua figlia.

“Sono settimane che mi dico che dovrei mettere un po’ a posto, ma gira che ti rigira salta sempre fuori qualche imprevisto!”

Michiru avrebbe già catalogato tutto secondo ordine di consegna, marca e colore del pezzo, pensò l’altra divertita. “Ti assicuro che anche ritrovarsi in casa una maniaca dell’ordine non è che sia una passeggiata di salute.”

“Come, scusa?”

“Niente. Stavo parlando tra me e me.” Ammise con una leggera punta di malinconia.

Non era ancora arrivata a sentire di Kaiou anche la mancanza delle cose che più le davano fastidio, come appunto l’ordine, il dover sottostare a stupide regole di bon ton che estromettevano a priori la comodità di un divano per mangiare, o il penetrante profumo di lavanda nella biancheria, il non potere MAI entrare nel suo studio quando si decideva ad esercitarsi con il violino o quelle stramaledette calze sempre appese nel suo adorato box doccia, ma a distanza di un paio di giorni, Haruka stava sulla buona strada per iniziare a rimpiangere anche quelle piccole manie che da anni facevano comunque parte dell’altra metà del suo cielo.

Così, inaspettatamente ed in assoluta buonafede, la bionda iniziò a studiare il fisico di quella perfetta sconosciuta che aveva più o meno l’età della sua donna quando si erano conosciute, provando a sovrapporlo a quello di Michiru e la cosa la divertì, perché sarebbe stato oltremodo sensuale fare un gioco di ruolo dove per una volta era la compagna ad indossare una tuta da lavoro invece che i soliti capi femminili. Il rimpianto di Tenou era sempre stato quello di amare un mondo del quale Kaiou non era affatto attratta. Nulla di ciò che la bionda faceva per vivere aveva mai interessato l’altra, anzi, il saperla ricoprire anche il ruolo di pilota collaudatore, era spesso causa di discussioni. “Hai già un lavoro come Ingegnere meccanico… - Le diceva con quel suo cipiglio critico. - … Mi spieghi che senso ha il dover rischiare anche l’osso del collo? Non ti basta correre per le strade con la tua Ducati?”

E tutte le sante volte la risposta che Haruka le dava era sempre la stessa; ovvero una busta paga più corposa, la possibilità di estinguere prima il mutuo, il poter fare dei viaggi o il semplice concedersi qualche sfizio. Naturalmente non erano certo quelli i motivi o almeno non i più importanti. Lei voleva correre. Le piaceva farlo in un ambiente controllato come una pista, dove poteva verificare nel concreto quello che da Ingegnere simulava con l’aiuto di un programma. Le piaceva e nonostante sapesse che Michiru non era d’accordo, continuava egoisticamente a farlo, esorcizzando la possibilità di un incidente con la sua classica arroganza.

“Eureka!”

Sbattendo le palpebre un paio di volte la bionda riemerse dalle sue fantasie e spostando velocemente lo sguardo agli scaffali, lo tolse definitivamente ai dettagli delle forme di Martah prima che quest’ultima si voltasse stringendo tra le mani una scatola di cartone.

“Trovato! Magazzino nasconde, ma non ruba.”

“Bene.” Espresse laconica mentre le si avvicinava.

“Penso proprio che questo faccia al caso vostro.” Disse estraendo delicatamente il fanale consegnandolo ad Haruka.

Iniziando a rigirarselo fra le mani il viso della bionda s’illuminò tanto che l’altra scoppiò a ridere. “Vedo che ti piace!”

“Non sai quanto. E’ perfetto!”

“Mi fa piacere.”

“Faccio una foto per mandarlo al mio socio.”

“Certo. E’ vostro.”

“Che fortuna averlo trovato così in buone condizioni!” Ammise iniziando ad armeggiare con il suo I phon.

“In effetti è arrivato meno di un mese fa. Sono indiscreta se ti chiedo dove avete trovato il telaio?”

“Ad un’asta.”

“Un azzardo.” Si lasciò scappare riprendendo il fanale per riporlo nella scatola.

“Abbastanza. Stiamo investendo un capitale per rimetterla a posto, ma ti assicuro che ne vale ogni franco speso.”

Tornando verso il bancone, Martah prese un rotolo di scotch per pacchi sigillando la parte superiore del piccolo collo, poi consegnandolo alla bionda sorrise provocandole nuovamente quel brivido indefinito.

“Hai una sua foto?” Chiese ed Haruka si sentì pervadere da un’inaspettata onda di felicità, come se finalmente qualcuno che non fosse Stefano, suo fratello o il capo Smaitter, avesse la voglia di conoscere quel suo grande progetto.

“Certo! - Ed iniziò a mostrarle più di un’immagine. - Abbiamo parecchie aspettative su questa bambina.”

Martah le scorse lentamente e con avida curiosità iniziando eccitatissima a tempestarla di domande tecniche che la bionda soddisfò con molto piacere rimanendo alla sede della Holland ricambi molto più del previsto. Si accorsero entrambe dell’ora solo quando lo stesso signor Holland chiuse a chiave la porta per la pausa pranzo.

“Martah, io vado a mangiare un boccone a casa. Ci pensi tu al cancello d’ingresso?”

“Si papà, tranquillo.” Rispose vedendo il genitore salutare Haruka per poi scomparire sul retro.

“Non credevo fosse così tardi. - Portandosi una mano allo stomaco Tenou stirò le labbra improvvisamente colta dai morsi della fame. - Conosci qualche posto nei dintorni dove possa mandar giù un boccone?”

“Devo mangiare anch’io, perciò se non hai fretta possiamo farlo insieme. Ma prima devo chiudere.”

Haruka fece un cenno affermativo con la testa ed uscendo entrambe aspettò che Martah finisse.

“Arguisco dal casco e dal tuo abbigliamento che tu sia venuta in moto.”

“Si. E’ la.” Rispose tronfia indicandole la rossa rimasta l’unico mezzo sul piazzale.

“Una Panigale?!” Riconobbe a prima vista.

“Bellina, eh?!”

“In effetti a guardarti bene potresti essere un tipo da Ducati.”

Una vaga presa in giro? Haruka la fissò in maniera quasi piccata tanto che Martah sbottando a ridere le chiese un paio di minuti.

“Aspettami al cancello. Arrivo subito.” Disse sparendo dietro l’angolo del capannone.

Che tipo, pensò Tenou rimettendosi guanti e casco. Messo via nel sottosella il suo preziosissimo bottino, accese la moto dirigendosi piano alla cancellata bianca.

Il tempo d’indossare tutto l’occorrente e dopo pochissimo Martah le si fermò accanto inforcando una Kawasaki Ninja 250 R verde pisello.

“Ti piace, casa motociclistica concorrente?” Chiese afferrando il telecomando per attivare la chiusura.

“Una 250? - Domandò sarcastica. - Di quel colore?” E senza aggiungere altro, perché altro francamente non poteva aggiungere cavalcando la potenza della sua 950, Tenou si abbassò la visiera scassando coattamente un paio di volte come a voler ribadire chi tra le due potesse mordere più aggressivamente l’asfalto.

Un provocatorio stammi dietro e la donna più giovane partì a razzo immettendosi su strada.

“Ma che…?” Così colta in contropiede ad Haruka non rimase altro che seguirla per le strade sconosciute della periferia di Sion.

 

 

Si fermarono nella più classica delle piazzole sosta dove si ritrovano i camionisti per mangiare e dove perciò si va sempre sul sicuro sulla qualità del cibo e il basso prezzo del servizio, parcheggiando in una zona coperta e ben riparata dagli eventuali guidatori della domenica. Mantah a fare da Cicerone ed Haruka a guardarsi intorno cercando di non badare a quanto da dietro, con il casco addosso, quella donna assomigliasse alla sua. Aveva accettato quell’invito senza pensare a nulla di più che ad un’informale chiacchierata ed un piatto ben cucinato e non rimase affatto delusa. Cibo eccellente e a basso costo e compagnia gradevole dai risvolti inaspettati. Già, perché fra una portata e l’altra, Tenou aveva rivelato quanto ancora fossero indietro sul progetto della Winchester e quanti pezzi ancora sarebbero serviti per terminarla.

“Ti confesso che nel campo delle moto d’epoca siamo ancora dei novellini e credo sia per questo che stiamo trovando così tanta difficoltà nel reperire ciò che ci serve.” Sospirando si portò il bicchiere alle labbra.

“Lo immagino e aggiungo che fra noi rivenditori c’è anche una buona fetta di bullismo.”

“Me ne sono accorta.”

“Il giro è piccolo e i clienti facoltosi. Vien da se che tra te ed un vecchio acquirente io favorisca quest’ultimo. Per me sarebbero buoni i franchi di entrambi, ma così sono sicura di tenermi stretti quelli che so che torneranno.”

“Ma questa volta hai fatto un’eccezione.”

Sporgendosi in avanti Martah la stupì. “Non sono tanto nobile… E’ che di Winchester da restaurare non ce ne sono tante. Quel pezzo sarebbe rimasto in giacenza per una vita.”

“Perché allora lo hai preso?”

“E’ stato mio padre. E’ un inguaribile romantico.”

“Viva la sincerità!” Disse Haruka alzando il bicchiere a mezz’aria invitandola a fare un divertito brindisi.

“Senti…, tu e i tuoi soci avete mai provato a frequentare i mercati dell’antiquariato automobilistico?” Chiese lasciando che l’oste le portasse via il piatto ormai vuoto.

“E chi ne ha il tempo! Siamo al lavoro tutto il giorno e almeno io sto già sacrificando troppo tempo alla famiglia.”

“Ecco, lo vedi? E’ per questo che noi rivenditori preferiamo fare affari con i collezionisti.”

“Martah non stiamo giocando, se è quello che credi.”

“Non è quello che ho detto.”

“Ma è quello che pensi.”

Tornando a sporgersi verso la bionda schiuse nuovamente quel sorriso che tanto aveva il potere di domarla. “La vuoi qualche dritta si o no?”

“Del tipo?” Sospirò tirandosi leggermente indietro.

“Domani, nei pressi di Ginevra, si terrà il der Historischer Gummi, uno dei mercati più grandi del paese.”

Letteralmente la gomma storica, era un evento che un’amante di moto d’epoca non poteva non conoscere. “Ne ho sentito parlare.”

“E allora cosa aspetti! Io ci andrò con mio padre e potrei farti conoscere un paio di amici che sono sicura potrebbero tirar fuori dal cilindro qualche altro pezzo per la vostra bambina.”

“Dici sul serio?”

“Mai stata più seria. - Affermò sbattendo leggermente il palmo della destra sulla semplicità della tovaglia. - Anche se questo equivale ad offrirmi il pranzo! Con dolce annesso, naturalmente.”

“Mi sembra il minimo.” E rise mentre Martah richiamava a gesti l’oste per farsi portare la carta dei dolci.

Se Michiru mangiasse tanto andrei fallita, pensò rilassando la schiena alla traversa di legno della sedia mentre il grumo di solitudine annidatosi nel petto come un male cattivo al partire della sua donna, si scioglieva un poco.

 

 

“Giovanna, non è successo niente! Devo solo trattenermi un giorno in più.“ Haruka iniziava a spazientirsi.

Camminando avanti ed indietro per la modesta stanza del B and B che aveva preso per la notte, cercò di mantenersi calma. La sfilza chilometrica delle domande della sorella sul perché e per come non fosse ancora rientrata a Bellinzona, la stava francamente stancando.

“Allora, vuoi dare da mangiare tu a Tigre, per favore?!”

“Certo, è ovvio!”

“Ok. Allora ci vediamo domani sera.”

“Ma non hai un cambio.” Affermò Giovanna dal vivavoce ancorato al cruscotto della sua auto mentre stava facendo ritorno a casa.

“Mi comprerò un paio di cose qui. Non è certo un problema!”

“Hai avvertito Stefano?”

“E perché?!”

“Come perché! Perché vorrà sapere come mai domani non andrai all’officina per montare il fanale.”

“Senti, ormai mi conosci e sai che non sono solita parlare più del dovuto, perciò dacci un taglio. Le chiavi ce le hai. Grazie te l’ho detto. Perciò… ci vediamo appena torno. Ok?!” E prima che la maggiore potesse dire altro, Haruka le chiuse letteralmente il cellulare in faccia crollando sul letto due secondi dopo.

“Che cazzo mi ha preso?!”Arpionandosi i capelli si chinò sulla schiena continuando a guardare lo schermo ormai nero.

Aveva reagito come se fosse rimasta lontano da casa per fare chissà cosa, mentre un latente senso di colpa sia nei confronti della sorella che di Michiru, s’impadroniva della sua coscienza costringendola a mandare un messaggio di scuse alla prima e a chiamare la seconda.

“E’ mai possibile che non si riesca mai ad avere un periodo di pace più lungo di due o tre anni?! Prima Zurigo, poi Atene ed ora Stoccolma.” Improvvisamente rabbiosa scattò il pollice sulla rubrica dei numeri preferiti sapendo in cuor suo che la simpatia che stava provando per Martah altro non era che il sintomo di una profonda frustrazione.

Qualche istante ed il portatile di Michiru risultò irraggiungibile costringendola a desistere. Non lasciando neanche un messaggio in segreteria, sempre più di furia compose un altro numero. Uno appena aggiunto in memoria.

“Pronto? Mi stavo chiedendo se avessi già finito di prepararti per domani. A si?! Bene! Ti andrebbe di fare il bis di oggi? Vicino al mio B and B c’è un localino che sembra carino. Ci stai?! Perfetto, allora se mi dai il tuo indirizzo vengo a prenderti con una moto dove ci si possa viaggiare in due.” E ridendo alla presa in giro riattaccò soddisfatta.

Ma quella strana euforia non durò molto e andando alla finestra per perdere lo sguardo allo skyline sconosciuto della periferia di Sion, Haruka tutto d’un tratto si fece pensierosa.

“Stai attenta a quello che fai, Tenou.” Si disse prima di prendere chiave e portafogli ed uscire dalla porta spinta dalla necessità di doversi comprare qualcosa.

 

 

Riempiendo l’ennesimo tempo speso senza poter far nulla, quel pomeriggio Michiru si ritrovò a camminare da sola per le strade del Gamla Stan in attesa di una chiamata di Kristen. Non se la sarebbe mai aspettata così quell’esperienza, che tutto stava sembrando tranne che un viaggio di lavoro.

Passi per il giorno precedente, dove la sua esclusione dal concistoro dei grandi, l’aveva spinta ad oziare in una gita nei dintorni del Moderna Museet con Philip Marson, ma il sapere di essere stata messa nuovamente in panchina iniziava a renderla nervosa. Era stata liquidata con la scusa di dover avere tutti i suoi quadri fisicamente presenti in loco, cosa questa che le aveva subito fatto pensare ad una potente presa per i fondelli. Lei stessa a Castel Grande, per iniziare un nuovo allestimento, non aveva mai atteso l’arrivo di tutte le opere di un’artista. Per non perdere tempo prezioso lei usava fare subito un progetto su carta e lavorare su quello fino all’arrivo di tutti i pezzi, per poi magari individuare gli ovvi accorgimenti e focalizzarsi sulla cosa più difficile di tutte; ovvero l’illuminazione. E questo modus operandi era giustificato dal fatto che per dar vita a più temporanee possibili nel corso di un anno, non si potesse certo aspettare i comodi degli artisti o delle assicurazioni sulle loro opere.

Invece in quella struttura museale, forse per via della grandezza e della sua fama internazionale, le cose sembravano viaggiare su binari completamente diversi. Questo era quello che l’era stato detto dalla Kocc e visto che Michiru, in quell’occasione molto più diffidente del solito, era fermamente decisa a non muovere nulla dal suo box di Berna fino a quando non avesse avuto in mano qualcosa che tutelasse i suoi quadri, in un certo senso si stava tirando la zappa sui piedi da sola. Di questo passo per potersi beare della sua parte di temporanea sarebbe passata un’eternità, perché anche se i suoi dipinti fossero partiti da Berna quello stesso pomeriggio, Philip si sarebbe comunque concentrato prima sulle opere del maestro Marinof e quelle di Kristen.

All’idea di dover aspettare tanto, Michiru fu colta da uno stranissimo stato di repressa agitazione che attribuì alla sua solita mania di controllo. Voleva iniziare a lavorare, a dare corpo alla sua parte di gloria giustificando la sua presenza in quella città straniera con qualcosa di tangibile. Ne aveva bisogno, perché il ritrovarsi per quelle strade strette pervase dell’odore dolce dei caffè all’aperto unito a quello spugnoso della salsedine marina e non a casa sua,a ridosso delle Alpi, la stava facendo sentire come un’orfana. Per inseguire il sogno di un successo personale stava chiedendo un sacrificio enorme alla sua compagna e non poteva permettersi di stare ferma a fare la turista per caso.

Fermandosi accanto ad una vetrina, si tirò indietro uscendo dal flusso dei passanti per poter fare così l’ennesima telefonata all’amministrazione del museo. Doveva cercare di velocizzare la cosa e fosse cascato il mondo, avrebbe dato il tormento fino a quando la sua assicurazione non fosse stata pronta. Così fece, educatamente, ma con rigida determinazione così che dopo svariati minuti di un tira e molla ridicolo, riuscì a farsi promettere che la sua documentazione sarebbe stata pronta da li ad un paio di giorni.

Soddisfatta ed un tantino più calma, Michiru ringraziò l’interlocutrice appena in tempo prima che la batteria del suo cellulare non l’abbandonasse. “Accidenti.” Se ne uscì accigliata.

Avrei voluto chiamare Ruka. A quest’ora dovrebbe essere già tornata a casa, pensò maledicendosi per non aver portato dietro la power bank. Continuando a frugare nella sua capiente borsa si voltò distrattamente verso la vetrina del negozio davanti al quale si era fermata dilatando di colpo gli occhi.

Fu un attimo e le labbra di Kaiou andarono a formare via via un sorriso sempre più evidente mentre gli occhi correvano sugli oggetti esposti. “Ma guarda un po’! Posso provare a vedere se per caso…” Disse entrando in un mondo che conosceva solo per sentito dire, ma al quale non si era mai voluta approcciare seriamente.

 

 

 

NOTE: Salve, capitolo breve, ma il caldo ruggisce e non è facile ragionare. Vorrei ringraziare Elena per le sue competenze in campo motoristico, perché ignorante come sono mi stavo un po’ perdendo.

Spero di aggiornare presto snocciolando i vari intrecci che si stanno formando sulla tratta Sion-Stoccolma.

Ciau

 

   
 
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